WONDROUS MACHINE
1) THE FIFE AND ALL THE HARMONY OF WAR
A ciascuno il suo.
Questo è un principio che sta a
cuore a tutti perché dà dignità, ma soprattutto
perché cela la possibilità d’avere sempre un’altra
chance.
Preme a tutti poter ricominciare, soprattutto perché
la mente lo esige indipendentemente dai fatti concreti.
Succede spesso che si decida, quando le cose vanno
irrimediabilmente male, di lasciarsi il passato alle spalle vivendo una “nuova
vita”, ci pensa poi il tempo ad illuderci che sia legittima.
Moltissime persone vivono così.
Per sua natura, Joe apparterrebbe a questa specie, eppure
non gli è dato d’andare fin in fondo.
Si spiegherà meglio cosa s’intende:
Joe apparteneva ad un gruppetto scelto di ragazzini col preciso compito di
salvare un mondo digitale noto come Digiworld.
Sotto quella insegna aveva vissuto numerose avventure, imparato grandi cose
e fatto scelte importanti.
Soprattutto aveva capito che tutto prima o poi arriva alla sua naturale conclusione,
spetta a ciascuno accettarla o meno…
Per la verità quest’ultima cosa l’aveva
imparata a vicenda conclusa, quando era già era tutto finito, ma si
può comunque dire che ne sia la morale, no?
Ora Joe non ha più il ruolo di custode di Digiworld e
quello che pretende è di poter guardare avanti.
Qualcosa in lui, però, non glielo permette.
Le parole dell’astruso testo di fisiologia erano solo
una lontana cantilena senza senso.
Provò a leggere a voce più alta ma l’unico risultato fu
l’incremento esponenziale del mal di testa.
Andava avanti così da tutto il pomeriggio ed ora era
sera inoltrata.
L’esame era alle porte.
- Ora basta! -
Si alzò di scatto dalla sedia se si sdraiò sul
letto chiudendo gli occhi.
Oltretutto aveva un raffreddore omicida che sembrava aver infuso vita propria
al suo naso, costringendolo a soffiarselo ogni cinque minuti e a respirare con la bocca.
La testa gli pulsava.
A lui, in fondo, interessava solo trascorrere una vita
ordinaria! Non poteva immaginare un comportamento più umile di quello,
eppure continuava a provare la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso
dalle parti di Digiworld, sensazione tuttaltro che ordinaria e che sicuramente
non era vera.
La cosa non aveva senso e soprattutto non era giusta! No, non lo era affatto!
Non lo era indipendentemente da checche ne potesse dire Izzy!
Si alzò a sedere sulle coperte disordinate, stiracchiandosi senza motivo.
Fare una breve passeggiata?
Chiacchierare telefonicamente con qualcuno? Oddio, questo no! In questo momento,
causa vicissitudini autogene, era in contatto solo con Izzy e parlare con lui avrebbe
significato inevitabilmente tornare a discutere di Digiworld!
Izzy giurava di aver tentato di smettere di pensarci un sacco di volte e che comunque
se ci pensava ancora era solo per intrattenersi ludicamente, ma anche solo dalla passione con cui ne
parlava si capiva che non era così.
Gli dispiaceva molto per lui, capiva la spaccatura che stava vivendo visto che qualcosa del genere
lo stava vivendo anche lui, ma proprio per questo motivo non gli piaceva tirare in ballo quell’argomento.
Si avrebbe potuto dargli del codardo, certo, ma non biasimarlo, questo no! Non alla luce di ciò che aveva
letto tra le righe dei discorsi che Izzy da un po’ di tempo faceva ed in più con la consapevolezza,
limpidissima, che Izzy non sbaglia mai.
Perché, anche se non l’aveva mai manifestato,
Joe sapeva che Izzy stava covando qualcosa di sconvolgente.
Intuiva che gli era venuto un dubbio fondamentale, ancora
nebuloso, certo, ma mancava poco! Quando lo avesse
scoperto sarebbe cambiato tutto.
Era solo questione di tempo.
Il cellulare squillò violentemente dimenandosi sulla scrivania,
Joe lo afferrò goffamente…
“Oh, no!”
Rispose rassegnato:
- Che c’è? -
- Joe, ormai sono sicuro di aver capito tutto, quadra ogni cosa…
tutto è finalmente trasparente! -
- Izzy, guarda, non voglio saperne più niente di questa faccenda! -
- Che vuoi dire… -
- Che voglio starmene alla larga da quelle cose ! -
- Come…Joe,sono confuso… l’ultima volta eri coinvolto almeno
quanto me…non avrei capito quello che voglio dirti senza il tuo aiuto…senti,
ci vediamo in biblioteca, così non rischierai le solite isterie da senso di colpa
per aver interrotto lo studio. Chiariremo tutto lì. - La linea si interruppe.
Ora Joe non aveva più vie di fuga.
Gli era crollato il mondo addosso: il tono con cui Izzy gli aveva parlato, lo conosceva bene
Si tolse agilmente gli occhiali e si strofinò gli occhi con pollice ed indice.
Una smorfia, un singulto e poi la forza della rassegnazione.
Avrebbe dovuto brandire nuovamente la sua spada, lo sentiva! Tutti i suoi tentativi di vivere in
serenità sprecati inutilmente.
“ Io non volevo saperne più niente, eppure… ancora !” Con questa frase
si congedò definitivamente dal se stesso degli ultimi tempi.
Joe, in fondo, è una persona semplice e come ogni altra persona semplice usa affrontare
le difficoltà direttamente, con i propri mezzi, con sincerità, prudenza e
determinazione; Joe è come una formica.
In quel momento non capiva di che natura fosse quel suo stato d’animo, che cosa realmente provasse;
frustrazione, certo, e paura e rabbia e altro ancora, ma nessuna di queste parole, e nemmeno tutte
insieme, avrebbero potuto descrivere quella sensazione.
La cosa però non lo infastidiva: usava ignorare altamente la sua dimensione intima,
la reprimeva combattendola con la caparbietà e con l’ottusità, riducendola a semplici
emozioni che, per quanto forti, erano talmente elementari da risultare
in se stesse del tutto innocue.
Questa era la sua maggiore forza ma
era anche il suo tallone d’Achille poiché, in effetti, decidere
cosa essere senza una radicale riflessione è necessariamente pericoloso:
impressioni e sensazioni minacciano in tali casi di rivendicare con la forza il
loro posto al sole e se vincono, in genere, si fanno sentire molto
violentemente.
La nebbia calava pesante sull’imbrunire annoiato mentre Joe muoveva per la biblioteca, infreddolito
e raffreddato, nella morsa indifferente del gelo invernale.
Aveva paura di Izzy.
2) LES INVALIDES
Seduto su un grosso tavolo di noce, Izzy rigirava tra le
mani una vecchia bic blu opaca e fitta di crepe.
Stava aspettando Joe già da un quarto d’ora.
Guardò in alto, oltre i pesanti scaffali carichi di
libri, la piccola finestra a grate ed al di là la nebbia calare pesante
sull’imbrunire annoiato.
In verità quando gli aveva telefonato era già
in biblioteca da alcune ore.
Si era recato lì per avere una risposta semplice e
invece aveva ottenuto una rivelazione completa, un po’confusa forse, ma illuminante.
Aveva un’aria seria, concentrata, era ancora sconvolto
dal fascino di quello che aveva capito, non riusciva che a contemplare
mentalmente quell’idea.
Non aveva ancora iniziato a considerare le conseguenze
concrete di quella sua nuova sicurezza, ma, in effetti, quello non era mai
stato il suo compito, lui le cose le doveva solo capire.
Per questo serviva Joe: col suo piglio pratico sarebbe
sicuramente riuscito a dare corpo alla sua scoperta.
Un movimento goffo del gomito fece cadere la logora penna senza tappo;
si chinò per raccoglierla.
Ancora chino guardò la penna: non era sua, era di Joe!
Quel piccolo particolare era mastodonticamente significativo per lui, perché, onestamente, pensava
che non avrebbe mai più potuto notarne uno così: aveva con
sé qualcosa di un’altro che poteva chiamare amico.
Era già stato molto amico di qualcuno, di Tai, molto tempo fa; poi Tai si era inspiegabilmente allontanato
e lui aveva altre cose in testa per farci troppo caso.
Ma non avrebbe mai pensato che sarebbe potuto succedere
ancora, perché con Tai era diventato amico da bambino e, si sa, i bambini sono creature alquanto stravaganti.
E poi lui e Joe non erano mai stati particolarmente legati, solo in quegli ultimi mesi avevano iniziato a frequentarsi, e per puro caso poi, per quanto con convinzione.
Joe era stato contattato dalla scuola per integrare con racconti della propria esperienza universitaria il progetto di orientamento tanto caro ad a certi professori e da lì e da un pranzo al bar dell’istituto era iniziata la loro attuale frequentazione. Ed era una frequentazione sincera, era una vera amicizia.
O, più semplicemente, Joe era un vero amico.
Perché Izzy sapeva di non esserlo, sapeva di avere sempre la testa altrove e che aver a che fare con lui significava inevitabilmente sopportare il suo disinteresse per le cose semplici e quindi anche per l’amicizia stessa. Quella condizione non poteva durare, gli dispiaceva moltissimo ammetterlo, ma la sua esperienza gli aveva insegnato che l’inevitabile non poteva che essere accettato. Chi poteva saperlo meglio di lui, lui che era stato adottato?
Non aveva senso però aspettare la solitudine, si sarebbe perso molto, era assai più saggio goderselo quel periodo.
Poi sarebbe tornato tutto come prima.
Un improvviso fracasso gli fece risollevare lo sguardo dalla
penna: Joe stava aiutando mortificatamente l’aiuto bibliotecario,
stizzitissimo, a raccogliere una pila di libri precipitata da un carrello.
Si congedò con infiniti inchini e scuse troppo
rumorose e si diresse rigido verso Izzy.
- Ho…ho fatto prima che ho potuto; ciao, Izzy -
- Ciao Joe, ah, la tua penna, ce l’avevo io -
- Tienila tu… allora, quale sarebbe la clamorosa scoperta? -
Aveva il viso imperlato di sudore e lo sguardo inespressivo.
Izzy lo guardò e capì qual’era
il vero motivo per cui aveva chiamato l’amico.
“ Oh mio Dio, ricomincerà tutto !” pensò. Ciò
che prima era solo concettuale, ora si era caricato di significato, di
sensazioni e di prospettive.
Gli serviva il pragmatismo di Joe per capire che la sua
intuizione avrebbe inciso tanto a fondo nella sua vita.
- Izzy, ci sei? -
- Eh? Ah… siediti, è meglio! -
Joe prese rigidamente posto di fronte all’amico.
- Joe, hai presente i calcoli sulla presunta struttura di Digiworld ? - e così dicendo gli passò
un quaderno malconcio dalla copertina ridicola.
Joe afferrò con familiarità il logoro
quaderno.
- Presunta struttura che! Abbiamo controllato e ricontrollato formule e passaggi uno ad uno ed un sacco di
volte! E guarda che Digiworld è stato creato da
gente ben più esperta di noi… non ci può essere nulla di
sbagliato in quei calcoli!-
- Shhh, parla più piano; si, a riguardo hai ragione,
pero, per quanto questi calcoli spieghino perfettamente come ha preso corpo
Digiworld, non spiegano… il perché. -
- Che vuol dire il perché! Doveva essere un mondo diverso no?
E’stato creato per evadere dalla
realtà, già lo sappiamo questo! -
- Non voglio dire questo… pensaci, come ha potuto un
insieme di calcoli inghiottire creature fatte di materia? -
- Beh… era possibile che succedesse ed è successo per azione di variabili… -
- Le variabili sono state tutte considerate. Non abbiamo considerato la cosa più ovvia! -
- …Quindi…? -
- Esiste un piano più profondo dei calcoli, un motivo
che ha approfittato dell’ingenuità del creatore di Digiworld per venire alla luce sottoforma di
Digiworld stesso! Detto così sembra ridicolo, me ne rendo conto, ma per quanti calcoli si
facciano non si riuscirà a spiegare il salto che c’è tra la
procedura per creare Digiworld e la realizzazione dello stesso… è necessario qualcosa in più,
qualcosa in grado di rendere i calcoli…reali!-
- Oddio… -
- Cosa? -
- Non avevamo capito niente… -
- Beh, non direi proprio niente… - disse
Izzy masticandosi nervosamente l’unghia del pollice.
- Izzy, questo significa che siamo ancora digiprescelti,
l’hai capito, no? –
Izzy lo fissò silenzioso.
- Izzy, se è vero potremmo venire richiamati a
Digiworld in qualsiasi momento! E poi chissà cosa ci aspetterebbe! Abbiamo sempre
creduto di aver combattuto per salvare Digiworld, ma ora come possiamo
continuare ad esserne certi, chissà che abbiamo combinato in
verità! Oddio, se ci penso… Gomamon, Gennai e tutto il
resto…potrebbero non essere ciò che per noi sono
sempre stati! Io mi sento completamente…-
-…Inerme? -
- Già, inerme. E smarrito. -
L’aiuto bibliotecario infranse maleducatamente la
tensione tra gli sguardi pietrificati dei due amici:
- La biblioteca deve chiudere! - e
detto questo si avviò a spegnere le luci.
Si annota, tardi ma convintamente, che i personaggi citati in questa storia non appartengono al sottoscritto
e non sono sfruttati a scopo di lucro.
Ci si vuole poi scusare per la pessima impaginazione che la storia ha subito. E’ un male per lo sguado, certo,
ma la simpatia che il sottoscritto nutre per internet e gli strumenti telematici non è mai stata ricambiata.