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Autore: Unriccio    10/08/2011    1 recensioni
Nel Medioevo, in una cupa notte scozzese, i vichinghi guidati da Norvegia avanzano, pronti ad attaccare la cittadina dove risiede un ignaro Scozia. Ma qualcuno, a sua insaputa, veglia su di lui, e lo proteggerà... ora e per sempre.
[Breve apparizione di Norvegia, OC!Scozia (quello col design più diffuso, insomma.) e una sorpresa. Spero di essere riuscita ad incuriosirvi!]
Genere: Malinconico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Guardian

Le navi norvegesi risalirono silenziosamente il corso del fiume, e quando finalmente furono arrestate, da esse scesero moltissimi uomini, armati e pronti a combattere. Erano guidati dal re Haakon, oltre che da Norvegia stesso, che teneva lo sguardo fiero puntato al cupo cielo scozzese. Egli si mise in testa alla colonna di uomini, facendo cenno di stare il più in silenzio possibile: il minimo scricchiolio li avrebbe fatti scoprire, e addio all’effetto sorpresa. Ma i suoi vichinghi erano uomini robusti, che avanzando sulle foglie secche e sui ramoscelli creavano un rumore dopo l’altro, così, il re ebbe un’idea: disse a tutti di togliersi le calzature che indossavano, rimanendo scalzi. In questo modo avrebbero attutito i rumori. Tutti, un po’ scettici, ubbidirono, e anche Norvegia, pur non avendone bisogno, smilzo e leggero com’era, fece altrettanto, dando l’esempio ai soldati. Camminarono cautamente nascondendosi tra le ombre della notte, mentre a poco a poco iniziavano ad avvicinarsi alla città fortificata dove risiedeva Scozia con le sue truppe. Ormai erano arrivati, presto avrebbero incendiato tutto e conquistato quelle lande senza neanche combattere. L’ambiente che li circondava sembrava trattenere il fiato, con orrore. Non si sentivano più gli insetti risuonare nella notte, né il vento che correva tra gli alberi facendo frusciare il fogliame. Solo un silenzio opprimente e denso. Quando i soldati, estratte le spade e le torce, si rimisero in marcia, pronti ad avventarsi sulla cittadella addormentata, iniziarono, uno dopo l’altro, ad urlare per il dolore, colti alla sprovvista. Ovunque scappassero, nel panico, potevano sentire delle lame ferirgli le piante dei piedi, e ad ogni passo, avvertivano le carni lacerarsi sempre più. Gridando terrorizzati che si trattava di un maleficio, si ritirarono, sprofondando di nuovo nell’oscura foresta dove erano state nascoste le imbarcazioni. Tra tutti, soltanto Norvegia rimase lì, poco lontano dalle porte della città, immobile, mentre del sangue stillava dai suoi piedi al terreno. Non poteva crederci. Non riusciva neanche a realizzare cosa fosse accaduto. D’improvviso, c’era stato il dolore, e poi il panico. Ancora sotto shock, non si accorse di quando le nuvole che fino a quel momento avevano oscurato la luna, d’un tratto si spostarono di poco, ed alcuni raggi lunari irradiarono col loro pallore una pianta davanti ai piedi di Norvegia. Un semplice, umile cardo, con un solo fiore viola sulla cima, ma pieno di spine. Una goccia del sangue di Norvegia scivolò lenta sullo stelo, come rugiada rosso rubino. Il cardo, poi, prese a brillare d’argento, e iniziò a crescere. Lo stelo si allungò e ingrossò, i rametti pure, le radici crebbero. L’intera pianta, contorcendosi e scricchiolando, si modellò, e tra le spine e le foglie si poterono distinguere delle sottili gambe di donna, con i piedi piantati nel terreno, delle braccia pallide, con le mani che terminavano in lunghi artigli, un corpo magro e rigido, e infine un volto esile, sovrastato da capelli dorati raccolti morbidamente sulla nuca, che ricadevano poi in una lunga ciocca fin sulla schiena. Il capo era coronato da spine intrecciate a fiorellini di cardo violacei. Norvegia, sebbene durante quella metamorfosi avesse fatto un passo indietro, fissò dritto negli occhi ametista la creatura, con ira, per nulla spaventato.
«Perché tu, volgare pianta di campo, ti sei intromessa?» chiese, senza aspettarsi alcuna risposta, e infatti proseguì:
«Non ne avevi il diritto. Non ti saresti dovuta immischiare tra gli affari dei Regni.»
Il cardo abbassò lo sguardo, guardandosi le mani che terminavano in punte acuminate, e i piedi ancorati al suolo. Una volgare pianta, e nulla più. Lo sapeva, sapeva che non avrebbe dovuto immischiarsi in quelle questioni, ma…
«…ma io lo amo.» mormorò con una voce lieve, quasi inudibile.
 Poi chiuse gli occhi.
Norvegia la guardò. L’espressione triste che aveva gli raggelò il sangue, e sentì la sua rabbia svanire come nebbia al sole.
«Scozia! Esci da quella tana e fatti vedere!» urlò Norvegia, in direzione della città fortificata. In quel momento le grandi porte si aprirono, e ne uscì un ragazzo alto, dai capelli arruffati e rossi. Portava una spada al fianco, ma non sembrava preoccupato alla vista dell’altra Nazione. Al contrario, esibiva un sorriso strafottente, che irritò Norvegia talmente tanto che lo scandinavo, prima che Scozia potesse avvicinarglisi ancor di più e aprir bocca, si voltò, facendo ondeggiare i capelli biondi, e si ritirò anche lui nella foresta dove i suoi uomini lo stavano aspettando. Ormai sarebbe stato inutile restare. Nel prato rimasero soltanto Scozia e quel cardo così pieno di volontà da aver preso vita. Scozia allora, smessa la sua espressione strafottente, si fece serio, mentre si avvicinava al cardo.
«Qual è il vostro nome, milady?» le chiese dolcemente, prendendole una mano tra le sue. Ella cercò di ritrarla, temendo che le dita nodose e acuminate potessero ferirlo, ma l’altro non glielo permise.
«Mi chiamo Thistle. È quel che sono.» rispose allora lei, in un sospiro.
Scozia la guardò, percependo l’immane tristezza da cui essa era afflitta. E allora le parlò così:
«Thistle. So cosa hai fatto. Hai protetto me ed il mio popolo, scacciando gli invasori. Hai mutato te stessa, combattendo per la tua terra. Ti sono immensamente debitore per questo, e voglio farti una proposta.»
Le si inginocchiò davanti, sempre tenendole una mano, e guardandola dritto negli occhi disse:
«D’ora in avanti, tu sarai il mio simbolo. Ti porterò con me sugli stemmi, sugli stendardi, sulle monete. Sii la mia Protettrice, Thistle, perché hai dimostrato di poterlo essere. Sii sempre con me, Thistle, anche nel mio cuore.»
Thistle, tremando appena, accennò un sorriso, e annuì debolmente col capo. Allora Scozia, di nuovo in piedi, le allacciò le braccia attorno alla vita stretta e, lentamente, avvicinò le labbra alle sue. Si scambiarono un bacio leggiadro, mentre Thistle sentiva già le forze abbandonarla, e sapeva che si stava ritrasformando nella semplice pianta che era prima. Ma era felice, e l’ultima cosa che vide furono gli occhi verde smeraldo del suo amato, al quale aveva giurato fedeltà eterna.

«SCOZIA! Bloody hell! Vuoi muoverti?! Abbiamo un meeting, non puoi stare lì a poltrire nel letto!» gli urlò addosso Arthur, spalancando le finestre e facendo entrare della luce nella stanza buia. Scozia, assonnato, si stropicciò gli occhi, e aspettò che il fratello uscisse per potersi vestire.
Rimasto solo, tornò con la mente al sogno di quella notte, che era in realtà un ricordo molto, molto lontano. Ripensò agli occhi viola di Thistle, e mentre lo faceva, si accorse di una cosa appoggiata sulle lenzuola candide: un piccolo fiore di cardo viola. Lo prese tra le dita delicatamente, per non rovinarlo, pur sapendo che quel fiore era molto più forte di quanto sembrasse. Dopo essersi vestito, si avvicinò, sempre tenendo il fiore in mano, ad un vaso nell’angolo della stanza. Era un vaso di pietra grigia, antico, abilmente scolpito da uno scalpellino che lui stesso aveva scelto. Al suo interno, cresceva alta e rigogliosa la più bella e grande pianta di cardo che si fosse mai vista, ricoperta di fiori viola per tutto l’anno. Scozia, sfiorando piano un fiore, sorrise, e poi sistemò quello che aveva trovato nel suo letto all’occhiello della giacca.
«Thanks, my Guardian. Thanks, Thistle.» mormorò, prima di uscire dalla stanza.
E i rami del cardo ondeggiarono piano, mossi dal vento che entrava dalla finestra aperta, e sembravano mormorare qualcosa anche loro, con una voca quasi inudibile.

«Ti amo, Scozia.»

 

 

Note:

“Thistle” in inglese vuol dire “cardo”. Lo Scottish Thistle è chiamato anche “The Guardian” proprio perché, secondo la leggenda, queste piante che sono molto diffuse in Scozia ferirono i vichinghi norvegesi che stavano assaltando di nascosto un accampamento scozzese, e le loro urla di dolore svegliarono i soldati che così poterono combattere e sconfiggere gli invasori. Oltre a questa leggenda, mi ha ispirato anche una splendida immagine con Scozia e il Cardo, eccola. 

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Un saluto a tutti coloro che leggeranno, recensiranno o lasceranno un commento.

BabiSmile.





 

 

   
 
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