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Autore: nightswimming    10/08/2011    4 recensioni
Stringo la sua mano con un sorriso sincero.
- Léa. –
- Léa come? – chiede, sciogliendo subito la stretta.
- Brian come? – ribatto automaticamente io, aggrottando le sopracciglia. Lui esita un attimo e poi sorride, piegando le labbra in una smorfia ironica.
- Brian Molko. Ma sono l’unico Brian in città, non mi puoi confondere con nessun altro. – dice, in un buffo tono a metà fra il lieve e il presuntuoso. Ha una voce incredibilmente nasale.

(II capitolo online)
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Molko, Nuovo personaggio, Stefan Osdal, Steve Hewitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Remember me when you’re the one you always dreamed.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
Il telefono squilla, e come è ormai proverbiale squilla nel momento meno opportuno possibile. Mi alzo in piedi sollevando una consistente nube di polvere e raggiungo il cellulare nella tasca di questi maledetti jeans troppo stretti – non prima però di battere una tremenda testata contro la trave portante del sottoscala.
- Porca troia! – ululo nel microfono, massaggiandomi la nuca dolorante.
- Buonasera, contessa... Le si è spezzata un’unghia, per caso? – ribatte una voce sardonica dall’altra parte.
- No, Alex, scusami, è che sto mettendo tutto negli scatoloni e in questo momento mi sto occupando del ripostiglio. Devi vedere il casino che c’é. –
- Immagino benissimo. –
- Ho inalato più polveri nocive negli ultimi dieci minuti che in dieci anni di sigarette. –
- Quindi un bel cancro non te lo toglie nessuno, ora! Così impari: fumare fa male. A proposito, mi sono scordato di nuovo gli orari del tabaccaio qua sotto, se domani mi porti un pacchetto di Gauloises rosse mi fai un vero piacere. –
Alzo gli occhi al cielo.
- Sì, tu però vedi di portare l’equivalente in denaro. Mi devi già una fortuna. –
- Sì, sì, certo. Disturbo, cara? –
Mi siedo sui talloni, incastrando il cellulare fra il mento e la spalla e apprestandomi ad aprire il primo vecchio, muffito, lercio scatolone che mi capita sottomano.
- Cambierebbe qualcosa se dicessi di sì? – rispondo, arricciando il naso sotto la minaccia di un imminente starnuto. Fottuta allergia.
- No. –
- Ecco. Avanti, parla. –
- Avrei bisogno di un favore. –
Starnutisco.
- Alex, ti devo ricordare che dopodomani mi sposo…? – mugolo tirando su col naso, gli occhi lacrimosi.
- Certo che no. Anche perché se ho capito bene io quello stesso giorno dovrei essere al tuo fianco, vestito come un pinguino un po’ checca, a reggere su un ridicolo cuscino di raso rosso quella paccottiglia che Julien ha avuto il cattivo gusto di scegliere come fedi nuziali. –
- Ehi, non tutto questo entusiasmo, mi raccomando!... – ribatto secca, strappando con un urlo di vittoria un pezzo di scotch caparbiamente intenzionato a restare attaccato allo scatolone per il resto dei suoi giorni.
- Dai, lo sai che sono semplicemente fuori di me dalla gioia, sposina. Ugh, sposina. Che orrore anche solo pensarlo. –
- Alex, va’ a farti fottere. Ma stavolta non prenderti il disturbo di farti pagare. –
- Vedi? Sei già una moglie frustrata e inacidita, e non ti sei ancora nemmeno sposata! –
- Alex… - ringhio, tuffando le mani in quello che sembra un mucchio di vecchi, orrendi vestiti di quando ero adolescente. Dio. Ma cosa mi era saltato in testa di andarmene in giro vestita così?
- …Il favore, sì. Dunque, ci sarebbe questo mio amico… -
- Come si chiama? – chiedo brusca, reggendo disgustata con gli indici tesi una gonna di velluto rosso che sarebbe andata niente male ad Anna Bolena il giorno della sua decapitazione. Dall’altra parte uno sbuffo infastidito riempie di rimbombi metallici la cornetta.
- Non ti provare a sbuffare, cretino. –
- Steve. Va bene? –
- Steve come? –
- Beh, belloccio, direi. Ma non il mio tipo – troppo grosso, troppi… –
- Alex, Dio mio… Il cognome! –
Ennesimo, insopportabile sbuffo condiscendente.
- Hewitt. Ti cambia la vita, ora che lo sai? – biascica con quella sua vocetta irritante.
- Sì, per tuo interesse, sì. E che cosa vuole questo egregio mister Hewitt dalla mia vita? -
- Un servizio fotografico. –
- Si sposa anche lui? –
- Ehi, bellezza, non è che ora che ti sposi tu la gente comincerà ad affollare le chiese e a pensare che il matrimonio sia una figata. Sei tu l’unica deficiente capace di farsi impalmare, per non dire altro, a ventiquattro anni - fattene una ragione. –
- Alex, sto per metterti giù con violenza e cattiveria. –
Lungo sospiro, stile “guarda-cosa-mi-tocca-sopportare”.
- Cazzi tuoi, hai ragione, io non sono che un umile testimone. –
- Se continui così tra poco non sarai più neanche quello. –
- Magari. Ehm, no, gli serve per lui e il suo gruppo. Stanno per far uscire un disco. –
- Come si chiama il gruppo? –
- E chi se lo ricorda… Un nome un po’ cretino, se non mi sbaglio… -
Alzo gli occhi al cielo.
- Oh, perfetto. – dico, sarcastica.
- Eh… Com’è che si dice quando una medicina non fa effetto? -
- Fregatura? –
- No… Ecco, mi è venuto! Placebo. Si chiamano Placebo. –
- Beh, meglio di Fregatura di sicuro. E per quale convincente motivo io dovrei mandare a monte il mio ormai settimanale pellegrinaggio dalla sarta per questi Placebo? –
- Perché Steve è un mio amico. –
- Perché, Ed? –
-… Perché il bassista non è niente male. –
Scuoto la testa, buttando alle mie spalle una camicia dalle improponibili maniche a sbuffo.
- Ah, ecco. Mi pareva. – mugugno, per niente sorpresa.
- E neanche il cantante. – continua lui, ignorandomi. - Ma avrebbe bisogno di una scala anche solo per farmi un pompino, troppo complicato. –
- ALEXANDER CLARKE! –
- E’ la verità! E’ alto meno di te! –
- Guarda che sei tu che sei alto due metri! Per forza che la maggior parte degli uomini ti sembra bassa! –
- Ti dico che questo è veramente uno gnomo. Comunque, bando alle ciance: mi fai questo favorino, bellissima, dolcissima, stupendissima Léa? –
- No. –
- Dai, non fare la troia. –
- Alex…!! Non ti permettere! –
- Tranquilla, che sei la cosa più lontana da una troia che possa esistere. Per questo ti posso chiamare così. –
- Bella soddisfazione. –
- Allora? –
- No. –
- Dai, pensa se diventano i nuovi Nirvana. –
- Chissà perché sono convinta del contrario. –
Breve silenzio. Riesco a sentire a distanza le rotelle del suo cervello ingranare disperatamente in cerca di un piano b.
- Avantiii… E’ un gruppo rock. Pure un po’ sull’alternativo-spocchioso andante, come piace a te. – uggiola infine. Io occhieggio con soddisfazione una sciarpa stranamente sobria che si intona alla perfezione col cappotto che ho comprato la settimana scorsa.
- Mmmh… - dico meccanicamente, distratta.
Sospirone metallico.
- Prometto di non mettermi la cravatta a righine verdi. – mugugna, di malavoglia.
Sorrido entusiasta senza riuscire a trattenere la mia gioia.
- Affare fatto! Tutto purché non mi si venga rovinata l’estetica matrimoniale! –
- Tu non sai neanche cosa voglia dire la parola estetica, deficiente. –
- Alle nove sotto casa mia, domani mattina? –
- E nemmeno quello sgorbio del tuo futuro marito! –
- Alle nove domani mattina, perfetto. Ciao, dolcezza. Ti voglio bene, tu me ne vuoi? –
- No. Troia. –
- Buonanotte. –
- Buonanotte, tesoro. –
Metto giù sorridendo e lasciandomi cadere pesantemente all’indietro, trascinandomi lo scatolone fra le gambe aperte. Qualcosa mi dice che non riuscirò a concludere un bel niente nemmeno stasera, maledetta me, la mia pigrizia e soprattutto quella suocera isterica che mi sono scelta come socio in affari.
Strofino le mani per darmi coraggio e immergo le braccia fino ai gomiti nei vestiti ficcati dentro a casaccio. Non è tanto la polvere che mi turba, benché senta di poter morire da un momento all’altro stroncata da uno shock anafilattico, quanto questa straniante fatica di dover archiviare la mia vita una volta per tutte. Scegliere cosa dovrò portarmi dietro nel nuovo appartamento mi spaventa: ci sono cose, qui dentro, che non tocco da anni, e non sono sicura di volerle ritirare fuori dallo scatolone e dal mio passato. Qualcuna mi ha fatto un gran male, se ricordo bene – è strano, è passato tanto tempo, tempo durante il quale mi sono obbligata a non pensarci e ci sono quasi riuscita. Nemmeno Julien, Julien il critico musicale, Julien con quel riccio che gli cade sempre sull’occhio, Julien dagli occhi grandi e neri e meravigliosi, insomma, Julien di cui sono innamorata e che dopodomani devo sposare è riuscito a farmi parlare di me scavando così tanto a fondo. So che la cosa l’ha ferito, so che, in qualche modo, si è sentito tagliato fuori e persino deluso, perché lui con me si è aperto come un fiore, come non aveva mai fatto con nessuno… Ma è come se qualcuno, dopo tanti anni, continuasse a sussurrarmi nell’orecchio non voltarti indietro e guarda avanti, perché è avanti che dovrai sempre andare.
Questo qualcuno mi è caro e famigliare, lo so bene, ma non voglio che riaffiori in superficie – obbedirgli mi basta.
D’un tratto tocco qualcosa di duro, uno spigolo, forse, e mi fermo per starnutire per la millesima volta ma soprattutto per la sorpresa. Rovisto con decisione. E’ qualcosa di quadrato… Un libro? Magari Il lupo della steppa, era il mio preferito, Dio quanto mi piaceva, quanto mi ci ritrovavo, quanto-
Le mie mani riemergono da sotto una giacca di pelle stringendo un quadernino azzurro. Socchiudo gli occhi: attaccato sul retro c’è un foglietto, ma è pieno di polvere, non riesco a capire se c’è scritto qualcosa. Ci soffio sopra. Starnutisco. Sì, c’è scritto qualcosa, in una calligrafia un po’ tremolante. Leggo.
 
“Se non che io purtroppo sono fatto così, non sopporto questa contentezza, che dopo un po’ mi diventa odiosa e insopportabile e ributtante, e devo rifugiarmi disperato in altre atmosfere, possibilmente passando per le vie del piacere ma, in caso di bisogno, anche per le vie del dolore”.
 
Ammutolisco, mi alzo in piedi di scatto e picchio un’altra testata sul soffitto.
 
*
 
In cucina stappo una bottiglia di vino con un gesto quasi omicida e mi riempio un bicchiere fino all’orlo, lo guardo come se mi stesse dicendo qualcosa di complicato e lo butto giù in tre sorsi. Lo riempio di nuovo, lo guardo come se stesse persistendo a dirmi qualcosa di complicato che io continuo a non capire e lo vuoto in altri tre sorsi. Lo riempio una terza volta, lo bevo fino a metà e dopodiché stramazzo sullo sgabello cercando con una mano nervosa il pacchetto di sigarette sul tavolo.
Lo trovo. Me ne accendo una, la finisco in poche, brusche boccate. Me ne accendo un’altra con il mozzicone acceso e mi tiro forte una ciocca di capelli che dovrei tagliare perché dopodomani mi sposo e devo essere una bomba, sì, come ha detto Alex, una bomba.
Devo essere bellissima, ed è meglio che cominci adesso. Quindi per favore vediamo di chiudere il rubinetto. Niente piagnistei, grazie. Le lacrime rischierebbero di rovinare il trucco che non ho.
Mi trattengo, non so come, e decido che è meglio distrarsi per non ripiombare nel ridicolo melodramma di cui mi ritrovo d’un tratto protagonista. Cercare i Fregatura, sì, insomma, quei Placebo su internet per vedere chi cazzo sono potrebbe essere una buona cosa. Sì, perfetto.
Mi siedo davanti al computer sempiternamente acceso e digito Placebo. Non trovo nulla, ma è ovvio, Cristo, sono ancora dei signori nessuno, una delle tante band new wave che si assomigliano tutte e che si potrebbero vendere al mercato al mazzo, Dio, non ci-
Oh, ecco, grazie signori nessuno: vi ho trovato, mi avete salvato il sistema nervoso. Vediamo un po’ chi siete.
Steve Hewitt, perfetto, quello belloccio ma troppo grosso per piacere ad Alex, Stefan Olsdal, boh, chissà chi sei, ah sì, sei questo palo della luce biondo che invece piace ad Alex, eccome se gli piaci, altrimenti pigro com’è non si scomoderebbe mai, Brian-
Mi blocco. Ammutolisco – sta diventando un’abitudine, ormai.
Mi alzo in piedi di scatto e mi massaggio meccanicamente la testa, come se avessi appena preso una terza testata contro un’immaginaria trave del mio salotto.
- Questa è… Bella. Bella davvero. – gracchio.
La botta si sente tutta, comunque.
 
*
 
Torno in cucina ed ebbene sì, svuoto la metà del bicchiere che avevo lasciato in sospeso e me ne verso pure un quarto. Sono ufficialmente brilla. Accendo un’altra sigaretta e frugo nel mobiletto sotto il bancone per cercare qualcosa di forte che mi dia il colpo di grazia. Tequila, fantastico, vado matta per la tequila, se riuscissi a trovare del seltz e un po’ di sciroppo di qualcosa sarebbe davvero… Troppo tardi, sto già bevendo a canna.
Sbatto la bottiglia sul tavolo, tossendo e sputacchiando tequila dappertutto perché non la reggo, dannazione, mi piace ma non la reggo e non l’ho mai retta. Mi viene di nuovo da piangere.
Mi appollaio mestamente sullo sgabello e lancio uno sguardo obliquo al quadernino azzurro che giace abbandonato poco distante.
E’ un segno? mi chiedo, continuando a fissarlo come fossa una mina inesplosa che non trovo il coraggio di disinnescare. Se non è un segno questo… mi rispondo subito, battendomi una mano in fronte.
Afferro la bottiglia di tequila e il pacchetto di sigarette con una mano e prendo con qualche esitazione il quaderno e l’accendino nell’altra, dirigendomi al piano di sopra.
I segni sono importanti, dice una voce molto lontana nella mia testa. La mia.
O quella di Brian, forse.
 

*
 
Poggio la tequila a lato del letto, come se potesse d’un tratto trasformarsi in un fido cane da guardia. Arriccio le dita dei piedi e, respirando forte, mi rigiro il quaderno tra le mani con aria critica. Tiro al petto le ginocchia e lo poggio ben chiuso sulle lenzuola tirate. Tormento un angolo.
Non riesco ad aprirlo.
Sporgo il braccio per cercare la tequila, la trovo, bevo un lungo sorso e tossendo mi lascio andare indietro sul cuscino. Palpeggio il comodino per scovare le sigarette e me ne accendo una – forse riuscirò nell’impresa di morire soffocata dal fumo e non dovrò più preoccuparmi di sembrare una vigliacca perché non riesco non dico a leggere, ma neanche ad aprire il mio diario del liceo. Che bello.
Sbuffo, infastidita. Non potrà essere peggio di un altare e della famiglia di Julien in lacrime che si scaglia ad abbracciare mia madre compita e impeccabile nel suo vestito a fiori, no? No.
Resto in silenzio per un minuto o due, dopodiché apro il diario lasciando che il fruscìo della carta mi solletichi le orecchie. Tiro un’altra boccata e comincio a leggere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: dopo mesi che se ne stava nel cassetto, mi sono decisa a pubblicarla :D
Dovrebbe essere la mia versione romanzata della vita di Brian prima dei Pacebo, filtrata dagli occhi di una persona che gli era vicino. Maneggiare Léa è più facile di quanto pensassi *-* E’ un personaggio che davvero mi piace descrivere, e caratterizzandola mi sono divertita molto. (Fondamentalmente, è un’isterica XD E anche il suo amico XDDD)
Il secondo capitolo è già quasi finito, poi ci dovrebbe essere il terzo e poi fine. In my mind è già tutto scritto e la cosa mi rende entusiasta perché Santo Cielo, capita così raramente XD
A presto :***
 
P.S. Il titolo è un brano di Peeping Tom, mentre la frase d’apertura è – ça va sans dire – Special Needs. 

   
 
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