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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    11/08/2011    0 recensioni
[Leggerissimi, quasi inesistenti accenni D27]
Tsuna è ferito, perso in un bosco dopo essere sfuggito per un pelo a un agguato. Come farà a salvarsi? E cosa gli accadrà?
"Ora poteva distinguere una pesante cancellata in ferro battuto e, aldilà, la casa: aveva le finestre illuminate, e nel cortile battuto dal vento c’erano due macchine, nere ed eleganti; e il cancello era solo accostato, come a invitarlo a entrare.
Con la ferita che gli doleva, esausto, conscio di essere inseguito, il quindicenne sapeva che doveva rischiare di chiedere aiuto agli abitanti di quella casa, se non voleva diventare cibo per qualche lupo o altro animale che poteva abitare da quelle parti."
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dino Cavallone, Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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F

NEI BOSCHI D’ITALIA

 

Con le braccia tutte graffiate e la maglia stracciata, Tsuna uscì a fatica dalla parte più intricata del bosco, inerpicandosi su per il sentiero stretto e impervio, con la mano destra a stringere la spalla sinistra seriamente ferita.

Le ginocchia gli tremavano ed era esausto.

Privo di forze, si lasciò cadere in ginocchio sull’erba umida e soffice, tremando di freddo per i vestiti zuppi che aveva indosso mentre la pioggia non accennava a smettere di cadere, gelida e pesante.

Non sapeva nemmeno come era riuscito ad arrivare fin lì, vivo, ma di una cosa era certo: doveva restarlo.

Doveva restarlo e ritornare dagli altri.

Se solo fosse riuscito a capire dove era finito, sarebbe stata già una grande conquista!

Sawada alzò lo sguardo annebbiato, cercando di identificare un qualche cosa che poteva fungere da punto di riferimento, ma tutto quello che riusciva a vedere oltre alla pioggia battente erano solo alberi, cespugli, ancora alberi, una casa…

Un momento…

Il Decimo Boss dei Vongola registrò inconsciamente quel particolare e il suo cervello fece il resto: il suo corpo scattò in piedi, reggendosi al tronco più vicino per non cadere di nuovo bocconi sul terreno umido, e aguzzò la vista, sicuro però di non essersi affatto sbagliato, era proprio una casa quella che vedeva sorgere tra gli alberi, in lontananza.

Si guardò nervosamente alle spalle, tendendo al massimo l’udito e cercando di non pensare affatto al suo cuore che gli rimbombava nelle orecchie: non sembrava che ci fosse nessuno alle sue spalle, ma era meglio non rischiare.

Facendo appello a tutte le sue ultime forze residue, il giovane Vongola spiccò una corsa, gettandosi tra gli arbusti e si fece strada tra l’erba alta che copriva il sentiero; scivolò a terra parecchie volte, aggiunse altro fango ai suoi vestiti già luridi ma tutta la sua attenzione era focalizzata sul raggiungimento dell’obiettivo.

Ora poteva distinguere una pesante cancellata in ferro battuto e, aldilà, la casa: aveva le finestre illuminate, e nel cortile battuto dal vento c’erano due macchine, nere ed eleganti; e il cancello era solo accostato, come a invitarlo a entrare.

Con la ferita che gli doleva, esausto, conscio di essere inseguito, il quindicenne sapeva che doveva rischiare di chiedere aiuto agli abitanti di quella casa, se non voleva diventare cibo per qualche lupo o altro animale che poteva abitare da quelle parti.

Stancamente, chino sotto il peso della pioggia che gli picchettava addosso, Sawada spinse la struttura in metallo, che cigolò sinistramente sui propri cardini e s’affrettò ad attraversare il giardino alla massima velocità che le sue gambe prostrate gli consentivano, giungendo infine sotto il portico che delimitava la veranda che non riusciva più a muovere un solo passo.

Praticamente strisciando, Tsuna riuscì ad arrivare alla porta, bella, in legno lucido, con sopra inciso uno stemma dall’aria stranamente familiare, ma non riusciva ad associarlo con nulla, e comunque, anche volendo, in quel momento il suo cervello era focalizzato solo sul raggiungimento di un luogo sicuro dove riposare, dove guarire, dove salvarsi, e non poteva sprecare energie preziose alla ricerca di stupidi stemmi nella memoria.

Si appese letteralmente al campanello, poggiando la fronte umida e infangata contro il muro in mattoni, e per la prima volta nel giro di quasi tre ore si ritrovò a respirare liberamente, alternando agli ansimi asmatici dei suoi polmoni qualche piccolo singhiozzo a stento trattenuto.

Le sue orecchie registrarono un rumore di passi avvicinarsi, e istintivamente alzò la testa nel momento esatto in cui la porta si era spalancata, mostrando un ingresso caldo e ben arredato, e fu a quel punto che Tsuna lasciò libero sfogo alle lacrime.

Era Romario quello che si trovava di fronte a lui, non poteva essere un’allucinazione dettata dalla stanchezza!

Flebilmente, cercò di mormorargli qualcosa, qualcosa che il sottoposto di Dino non riuscì del tutto ad afferrare, prima che la debolezza lo aggredisse nuovamente, facendolo crollare semiprivo di sensi tra le braccia dell’italiano; questi lo afferrò al volo, chiudendo al contempo la porta con un calcio piuttosto violento: "Gianni! Michele! Brutus!" gridò l’uomo, stringendo Tsuna per le spalle.

Si udì uno scalpiccio di piedi in corsa, poi i tre sottoposti che Romario aveva richiamato comparvero nel corridoio alle sue spalle, con le armi puntate sulla porta: "Mettetele via e aiutatemi a soccorrerlo." ordinò con urgenza, tirando fuori dalla tasca un fazzoletto per asciugargli almeno il viso.

"Che è successo? Come è arrivato qui il Decimo?" chiese Brutus con curiosità, e un poco d’ansia, nella voce.

"Non ne ho idea, e francamente non è importante. Andate a cercare il Boss e spiegategli che è qui." comandò lui, facendo cenno a due dei suoi di eseguire quell’ordine; Brutus restò con lui, aiutandolo a trasportare il quindicenne su per le scale, fino a una camera, dove venne disteso sul letto, "Vai a prendere bende e disinfettanti, e dì a Stefano di uscire a controllare che non ci sia nessuno nei paraggi, e di sparare a vista, anche se contro un coniglio o un cinghiale.".

La voce di Romario era secca e decisa, lontana da quella gentile che Tsuna ricordava: nel dormiveglia, il giapponese non aveva capito molto dei loro discorsi, e per una volta rimpianse di non essersi impegnato a sufficienza nelle lezioni di italiano di Reborn, ma la notizia che Dino era lì, che sarebbe venuto a vederlo, quella l’aveva afferrata eccome! E al solo pensiero, sentiva il cuore pieno di gioia, tanto che gli occhi gli pizzicavano fastidiosamente per le lacrime che minacciavano di scendere.

Il quindicenne gemette per un dolore improvviso alla spalla ferita, agitandosi un poco, ma subito venne bloccato dalla presa dell’italiano sulle braccia, non troppo forte, ma abbastanza perché non potesse muoversi: "Stia calmo, è al sicuro." gli disse in giapponese, cercando di tranquillizzarlo, "Il Boss sta arrivando.".

"TSUNA!"

Presto detto, e la porta della camera in cui si trovavano si spalancò nuovamente, mentre la sagoma familiare di Dino faceva la sua comparsa sulla soglia, ansante: a quella vista, Tsuna si sentiva decisamente meglio.

Il maggiore lo raggiunse con un paio di passi, chinandosi su di lui con aria preoccupata, gli prese la mano, stringendogliela con forza e puntando sul suo viso uno sguardo pieno d’ansia: "Non si preoccupi, Boss, è cosciente." lo rassicurò Romario mentre provvedeva a rimettergli la felpa addosso.

"D-Dino.." bisbigliò Sawada in risposta, cercando di combattere il sonno: "M-Mi stanno inseguendo…" balbettò con voce impastata, "Erano lì… Mi aspettavano…" biascicò nel delirio della febbre che si stava alzando; si aggrappò con tutte le sue energie al ragazzo più grande, lasciandosi infine andare a tutto il dolore che aveva represso in quella corsa folle e indiavolata.

Il biondo lo guardò con aria cupa e piena di rabbia, poi lo strinse piano a sé, incurante del fango che gli macchiava i vestiti, accarezzandogli la testa ancora bagnata: "Shhh…" gli sussurrò con affetto, "Chiunque sia il responsabile, avrà da vedersela con me, te lo assicuro." gli disse, sistemandogli i cuscini dietro la schiena per tenerlo dritto, "Romario, vai a chiamare Reborn, digli che è qui." decretò subito dopo, voltandosi verso il fidato assistente che stava rimettendo a posto le garze.

Lui annuì: "Ivan è qui fuori in caso di bisogno." annunciò l’uomo, prima di uscire dalla camera.

Dino lo seguì con lo sguardo, poi si sedette sulla sponda del letto, accanto al fratellino: "Che è successo?" gli chiese, tenendogli la mano, "Vuoi raccontarmi?".

Sawada annuì, cercando cautamente di muovere il braccio ferito per stare più comodo: "Gokudera e gli altri dovevano parlare col Nono," cominciò, cercando di richiamare alla mente i ricordi di quella giornata, "io mi annoiavo e quindi sono uscito a fare una passeggiata, non credevo di avere bisogno degli X-Gloves," precisò con voce tremula, "Ma mentre ero nel bosco, qualcuno ha cominciato a spararmi addosso… E-" ma non riuscì ad andare oltre perché le parole gli si spezzarono in gola, seguite da un singhiozzo e poi da un altro e un altro ancora, fino a che il ragazzino non fu scoppiato in lacrime tra le braccia di Dino.

Il biondo gli cinse i fianchi con le braccia, baciandogli i capelli e accarezzandogli la schiena: fremeva di rabbia, chiunque fosse stato il responsabile, l’avrebbe pagata cara, carissima.

Lo fece ridistendere tra le coperte: "Romario starà sicuramente cercando di contattare Reborn e gli altri, sistemeremo tutto, vedrai." lo rassicurò, alzandosi dal letto per avvicinarsi alla finestra con circospezione; il biondo scostò la tenda con la mano, ma fuori, sotto la pioggia battente, vide solo le sagome dei suoi uomini che montavano la guardia fuori dal cancello e tutto attorno al perimetro della villa.

Almeno per il momento, erano al sicuro.

Sollevato, Dino andò a risedersi accanto al più giovane, che non aveva tolto un attimo lo sguardo da lui: "Però un rimprovero devo fartelo," dichiarò l’italiano con aria velatamente irritata, "Avresti dovuto comunque portarti dietro i guanti e le pillole, non puoi mai sapere cosa si nasconda nei paraggi." gli disse, fissandolo dritto negli occhi.

Tsuna abbassò il capo, sentendosi infinitamente piccolo e arrabbiato con sé stesso: Dino aveva ragione, come sempre.

"Mi spiace di essere una tale seccatura…" borbottò a mezza voce il giapponese, affossandosi sotto il lenzuolo.

Una mano gli si poggiò sulla testa, accarezzandogliela piano e con affetto: "Non sei una seccatura, Tsuna. Ma mi sono spaventato quando Gianni e Michele sono piombati in camera mia, dicendo che eri giù all’ingresso, ferito e semisvenuto. Solo questo." gli disse il biondo.

Sawada annuì, sistemando meglio la schiena contro il cuscino e cercando di non lasciarsi sopraffare dal sonno.

Ma era tutto inutile, si sentiva esausto e senza forze, come se avesse corso per giorni e giorni.

"Dormi, ti sveglierò io quando arriveranno a prenderti."

La voce del ragazzo più grande fu l’ultima cosa che il giapponese sentì prima di crollare.

§§§

Ma invece del familiare tocco del piede del suo tutore sulla fronte e delle sue sgridate, ciò che svegliò Tsuna fu una scarica di mitra.

Sawada spalancò di scatto gli occhi, respirando affannosamente, e si ritrovò immerso nell’oscurità, mentre attorno a lui, fuori dalla stanza, sembrava si stesse scatenando l’inferno.

"Tsuna, sta giù!" gli urlò la voce di Dino, proveniva da qualche punto dinanzi a sé, ma non riusciva a capire dove fosse, era spaventato e gli girava la testa.

"Dino, ma cosa…?" provò a dire il ragazzo, coprendosi la testa col cuscino: sentiva grida, ordini impartiti in italiano, udì Romario nel cortile coordinare quella che doveva essere la difesa della casa dove si trovavano ma non riusciva a mettere in fila due pensieri coerenti tra loro.

Una mano forte lo afferrò per il polso e lo sollevò in piedi: "Shh, dobbiamo andarcene di qui." gli sussurrò Cavallone all’orecchio, aprendo la porta della camera col piede.

Tsuna notò solo in quel momento la sofferenza sul viso del ragazzo più grande, sembrava triste e spaventato a sua volta, ed era strano per il Decimo Vongola vedere il biondo così cupo e impaurito; i due ragazzi mossero qualche passo nel corridoio, tendendo al massimo l’orecchio per percepire eventuali arrivi indesiderati: Tsuna rifletté che, in caso di attacco, sarebbe stato difficile per Dino difendere sé stesso e lui, che non riusciva quasi a camminare decentemente, figurarsi se era in grado di tenere in mano una pistola o qualunque altra arma!

"Lasciami qui." disse improvvisamente il bruno, puntando i piedi nel bel mezzo del corridoio; cercò di divincolarsi, ma tutto quello che ottenne fu una maggior presa dell’italiano sulle sue spalle.

"Dino, lasciami qui." lo supplicò con voce quasi lacrimevole, era ancora febbricitante e il mondo attorno sembrava girare: "Devi andare ad aiutare i tuoi uomini, ti rallento solamente!" esclamò con tutta la convinzione che era capace di dimostrare; provò nuovamente a sciogliere la stretta del biondo su di sé, ma le forze gli mancavano anche solo per fare un tentativo.

"Sawada Tsunayoshi, smettila immediatamente.".

Il tono duro di Cavallone lo azzittì all’istante mentre sentiva le spalle sbattere contro la parete più vicina con discreta violenza.

"Romario e gli altri copriranno la nostra fuga, sanno quello che fanno. Noi dobbiamo solo riuscire a raggiungere un luogo sicuro e portarti in salvo, l’importante è questo, otooto.".

Tsuna non capiva, perché Dino si comportava in quel modo? Un Boss non può abbandonare la sua Famiglia in quel modo...

"Fidati di me, appena mi sarò assicurato delle tue condizioni, tornerò ad aiutare Romario e gli altri, se la caveranno fino ad allora. Sono in gamba." lo tranquillizzò, senza per questo mollare la presa su di lui.

I due ripresero a camminare.

Da parte sua, Tsuna cercava il più possibile di non appesantirlo e tentava in ogni modo di alleggerirne il peso sulle spalle, ma era particolarmente debole e non era facile; e poi, non era del tutto tranquillo, sapendo che la Famiglia Cavallone stava facendo loro scudo per scappare.

Non voleva che qualcuno si facesse male, o peggio, per causa sua.

Sentì le Fiamme crepitare, come se fossero vive, dentro di sé; con fermezza, puntò i piedi, rischiando di far cadere Dino: "Io non scappo." decretò subito dopo il bruno, con voce insolitamente ferma. Tsuna puntò i suoi occhi color caramello in quelli del "fratello maggiore": "Dino-san, posso combattere anche io con voi. Benchè non abbia gli X-Gloves, posso comunque fare qualcosa, Reborn mi ha insegnato a sparare. Non ho intenzione di abbandonare i tuoi uomini col rischio che vengano spazzati via.".

Il biondo lo guardò con estremo stupore, non si aspettava minimamente una reazione del genere da parte del più giovane.

Con attenzione, lo poggiò a terra, guardandolo fisso negli occhi: "Sei sicuro?" gli chiese, dopo parecchi minuti di silenzio, "Non è uno scherzo." aggiunse, tendendo l’orecchio per sentire meglio, il clamore della battaglia arrivava fin lì.

Ma Sawada fu irremovibile: "Sono stato io a farvi finire in questo pasticcio, ed è giusto che sia io a cercare di metterci una pezza." replicò, rialzandosi; l’italiano sospirò, con l’ombra di un sorriso orgoglioso sul viso, "Allora seguimi, e prendi questa." gli disse, dandogli in mano una pistola, "Spara solo per difenderti, però. Siamo intesi?".

Vongola annuì e seguì a passo rapido Dino lungo il corridoio che avevano già per larga parte percorso e scivolarono poi giù per le scale, fino a raggiungere le finestre: "Stanno sparando dal bosco," notò Cavallone pensieroso, tenendo la testa del fratello minore il più possibile abbassata.

"Dobbiamo prenderli alle spalle." propose Tsuna, strisciando verso la porta.

"Ma sei impazzito?!" sbottò il biondo, afferrandolo per la manica della felpa, secca per il sangue rappreso: "Come pensi di riuscirci?" esclamò lui, "Però siamo gli unici che possono almeno provarci." ribattè subito il giapponese.

Era vero.

Romario e i suoi erano impegnati a tenere a bada gli avversari: una sortita del genere, se riuscita, avrebbe potuto certamente ribaltare le sorti dello scontro.

"Come pensi di fare?" domandò Dino, sbirciando fuori, a giudicare dalla selva di colpi che stavano cadendo a pioggia sul cortile della casa dovevano essere parecchi, "Se uscissimo dal cancello principale, ci crivellerebbero di colpi in un istante."; Tsuna sorrise appena, anche se era spaventato, cercava il più possibile di non darlo a vedere: "Pensavo di uscire prima di tutto in cortile e verificare da lì la situazione." dichiarò lui.

"E se uscissimo dalle finestre sul retro? Danno direttamente sul bosco. Saremmo al coperto degli alberi e potremmo muoverci più liberamente." saltò su il biondo: "Avremmo il vantaggio della sorpresa.".

Le parole di Dino stupirono non poco il Decimo Vongola: se era veramente così, perché non c’era nessuno degli avversari da quella parte? Sarebbero riusciti a penetrare in casa senza problemi da lì.

La faccenda era strana.

Pur se pieno di dubbi, Tsuna si fece guidare dal compagno fino al retro della casa, uscendo all’esterno, sotto la pioggia battente; il vento sferzava loro il viso ma tra il muro d’acqua generato dalla pioggia, riuscirono a distinguere l’intrico degli alberi: la via era libera.

Con parecchie difficoltà, i due riuscirono ad arrampicarsi sulla cancellata, con le armi in pugno e a scendere dall’altra parte, trovando rifugio nel bosco.

Si fermarono un attimo a prendere fiato, erano graffiati un po’ dovunque, erano caduti parecchie volte, ma almeno erano riusciti a farcela.

"E ora?" bisbigliò Dino, sporgendosi verso Tsuna, che respirava affannosamente: "C’è qualcosa che non va, Dino-san…" mormorò il ragazzino, reclinando la testa sulla spalla, "E’ strano che non ci fosse stato qualcuno di guardia sul retro, stanno concentrando gli spari sul davanti, come se…"

"Come se volessero semplicemente tenere impegnati i miei uomini." completò il biondo, capendo al volo quello che Tsuna voleva dirgli: "Stanno architettando qualcosa, dobbiamo scoprire quello che stanno combinando." esclamò, tendendo una mano al bruno per aiutarlo a rialzarsi.

"Esattamente, e sono sicuro che, se andassimo un po’ più avanti, potremmo scoprirlo facilmente.".

Tsuna seguì l’italiano tra gli alberi, in silenzio, coi nervi tesi allo spasmo e le orecchie pronte a recepire qualunque rumore, anche il passo saltellante di qualche coniglio o lepre, tutto; camminarono per qualche minuto, senza incontrare nessuno, neppure un uccellino o un animale, mentre il rumore degli spari si faceva sempre più vicino e intenso, sembrava che il numero degli avversari fosse anche aumentato.

"Sbrighiamoci." disse Dino con urgenza, tirando Sawada per la manica, "Tutto questo non mi piace affatto.".

i due ragazzi presero a correre, facendosi faticosamente strada tra rami e radici, zuppi di pioggia e tremanti, ma non per questo si fermarono, anzi, tutt’altro.

Aumentarono il ritmo della corsa.

E se anche fossero caduti, faccia a terra, nel fango, si sarebbero comunque rialzati.

Era troppo importante.

Finalmente, nascosti dietro un vecchio albero secolare, che con la sua chioma copriva gran parte della radura dove, qualche ora prima, Tsuna si era fermato, vedendo la casa in lontananza, scorsero i loro avversari: "Che diavolo è quell’affare?!" mugolò il Decimo, stringendo il polso il Cavallone con forza.

Circodato da un gran numero di uomini vestiti con eleganti completi neri che sparavano verso l’abitazione con alcuni fucili, c’era infatti uno strano aggeggio, che ricordava incredibilmente un cannone.

Ciò che Tsuna riconobbe sul pannello di controllo, riusciva a vederlo piuttosto bene dalla sua posizione, era un dispositivo che non sarebbe dovuto esistere, non nel loro tempo almeno!

Ne era certo, somigliava incredibilmente al Sistema C.A.I di Gokudera!

Le stesse Box, solo di un colore diverso, gli stessi anelli sulle dita dei tipacci che sembravano proteggerlo…

Tutto corrispondeva.

"Se hai un’idea, otooto, questo è il momento di tirarla fuori." borbottò in quel momento l’italiano, voltandosi verso Sawada; ma quando lo vide tremare, coi pugni stretti al petto e il viso basso, Cavallone si spaventò: "Tutto bene?" gli chiese con un sussurro preoccupato.

Tsuna scosse la testa: "Questi bastardi stanno usando la tecnologia dei Vongola…" era arrabbiato, il Decimo, nessuno poteva permettersi di utilizzare un qualcosa del genere così a cuor leggero: apparteneva a un suo Guardiano ed era un’arma sviluppata per la difesa della Famiglia, non per ferire degli amici!

Dino non seppe mai spiegare cosa accadde dopo.

Vide solo un’immensa fiammata avvolgere tutto e tutti di una luce intensa e di un calore fortissimo, tra le lingue di fuoco poteva giurare di aver visto Tsuna in Hyper Mode, e un attimo dopo tutti i loro avversari erano a terra agonizzanti.

E Tsuna era accanto al dispositivo, che armeggiava coi controlli mentre imprecava a bassa voce.

Pur se ancora sotto shock per la rapidità dell’attacco del fratellino, Dino lo raggiunse nel momento in cui il più giovane lo aveva chiamato, spaventato per qualcosa.

"Non riesco a disattivarlo!" gridò il bruno, dando un pugno alla struttura metallica, che tremò sotto quel colpo.

Dovevano sbrigarsi, oppure Romario e gli altri sarebbero morti nell’esplosione: quella strana arma era puntata dritta contro di loro.

Dino alzò la testa, se possibile, aveva cominciato a piovere con ancora maggior intensità: "Ragazzi, allontanatevi da qui!" gridò, sperando che lo sentissero, "Scappate!".

Ma il vento fischiava troppo forte, era impossibile che la sua voce fosse riuscita a raggiungerli.

E il piccolo schermo continuava inesorabile il suo conto alla rovescia.

Ormai mancavano meno di tre minuti.

"Che facciamo?!" esclamò Tsuna, terrorizzato: "Non so come fare!".

All’improvviso, un gran clamore proveniente dal fondo del bosco li distrasse, grida, urla ed esplosioni si udivano in ogni dove.

Che fossero altri nemici?

I due ragazzi si guardarono negli occhi, poi il loro sguardo si posò sullo schermo.

Poco più di un minuto e mezzo.

Se dovevano morire in quel luogo, almeno avrebbero portato con loro altri avversari.

Si misero, uno di fianco all’altro, dinanzi all’arma, con le pistole in pugno, pronti ad attaccare chiunque gli si fosse messo contro, i loro cuori battevano forsennatamente nel petto, rimbombandogli nel cervello; ma ciò che temevano, non era destinato ad accadere.

Perché dagli alberi uscirono, veloci come frecce, i Guardiani dei Vongola al completo, Decima e Nona Generazione assieme: si fissarono negli occhi, sbalorditi, per parecchi secondi, prima che il pensiero del dispositivo ancora in funzione tornasse prepotentemente a martellare i due Boss; "G-Gokudera-kun…" mormorò Tsuna, con le lacrime agli occhi, "Ferma quell’affare, ti prego…" bisbigliò, esausto.

Un attimo dopo, il Guardiano della Tempesta era accanto al pannello di controllo: con una rapida occhiata, il quindicenne aveva capito come fare.

E a dieci secondi dallo scoppio, l’incubo era finito.

La tensione aggredì i due ragazzi con violenza, facendoli collassare sulle proprie ginocchia: in un attimo, furono soccorsi in un tripudio di familiari strilli, con Hayato che non la finiva più di chiamare il proprio Boss, con Takeshi che, accompagnato da alcuni dei Guardiani del Nono, si era offerto di andare ad avvertire gli uomini di Dino…

Ryohei prese in consegna entrambi i capifamiglia, facendo del suo meglio per curarne le ferite: "Sei stato estremamente incosciente Sawada." lo rimproverò il Sole, mentre provvedeva a trattare i graffi sul viso dell’italiano, "Ti abbiamo cercato dovunque, quando abbiamo ricevuto la chiamata siamo corsi qui il più velocemente possibile.".

Con un sorriso esausto, Tsuna annuì: "Grazie, niisan, ci avete salvato." sospirò stancamente, mentre cercava di muovere il braccio appena curato, "Davvero, non so cosa avremmo fatto senza di voi.".

Sasagawa sorrise, dandogli una pacca sulla spalla: "Dovere, Sawada. Ehi, Testa-Di-Polpo!" gridò poi, rivolgendosi a un Gokudera esagitato che stava in piedi a pochi passi da loro, "JUUDAIME!" urlò l’argenteo, inginocchiandosi dinanzi ai due Boss senza aspettare un attimo di più, "Fa male?" s’informò con preoccupazione, sfiorando il tessuto della felpa, rosso di sangue secco.

Tsuna scosse la testa, poggiando entrambe le mani sulle spalle del suo Guardiano: "No, non più. Grazie, Gokudera-kun." e sorrise allegramente.

Un braccio di Yamamoto gli scivolò dietro il collo, abbracciandolo: "Avete proprio fatto un bel po’ di confusione, Tsuna." ridacchiò la Pioggia, "Ci avete tolto tutto il divertimento.".

"Taci, yakyuu-baka! Il Decimo ha rischiato la vita!" esclamò con rabbia la Tempesta, alzando un pugno verso di lui mentre anche Romario e gli altri li raggiungevano.

"Boss, sono felice di vederla!" esordì Romario, inginocchiandosi dinanzi a Dino: "Ma sareste dovuti scappare.".

Cavallone sbuffò: "Vi abbiamo salvato la pelle e hai ancora da ridire?" salvo poi scoppiare a ridere all’unisono con il "fratellino".

Avrebbero scoperto poi che quegli uomini facevano parte di una Famiglia avversaria di entrambi, sia Vongola che Cavallone, che era entrata in possesso, non si seppe mai come, di quelle informazioni sul Sistema C.A.I e che avevano spinto apposta il Decimo a trovare rifugio in quella casa per eliminare entrambi i Boss in un colpo solo.

Ma avevano fatto male i loro conti, senza tenere in considerazione la forza d’animo dei due giovanissimi.

Una volta tornati tutti al Quartier Generale della Famiglia, Tsuna sarebbe stato sgridato dal suo mefistofelico tutore, che attendeva notizie da parte loro, ma non importava.

Era bello essere riusciti a sopravvivere.

   
 
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