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Autore: midorijpg    11/08/2011    6 recensioni
Eh, già, quelli erano proprio i giorni della nostra vita.
Di questi ultimi tempi, con i Queen stiamo registrando un sacco di cose dal carattere molto malinconico, Freddie è ridotto peggio del solito per via della sua malattia, le canzoni di Innuendo sembrano prendere le nostre sembianze, rappresentandoci a chi le ascolta, e questa malinconia, non so perché, mi fa investire da vagonate di ricordi, così ho deciso di metterli per iscritto, in modo da non potermeli più dimenticare.
Un ricordo in particolare mi è rimasto vivido in testa, quello del mio primo, vero amore.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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2. You Take My Breath Away

Alla mattina, Mel partì.
Lo capii perché mi svegliai più tardi del solito e mia madre fu costretta a scrollarmi per farmi venire giù dal letto.
Non mi ricordavo neanche da quanto tempo non avevo una sveglia così brusca.
La prima settimana a scuola la passai sottoforma di straccio, letteralmente: non sembravo nemmeno io, non mi mettevo in mostra, ero diventato quasi asociale.
Questo perché lei non c’era.
Se in precedenza facevo tutte quelle cose, era perché lei mi dava la forza per farle.
Cercavo di farmi notare il più possibile perché volevo attirare la sua attenzione, volevo che lei mi rimproverasse, volevo stuzzicarla facendola arrabbiare.
E adesso non c’era più nessuno come lei, nessuno che mi dicesse: “Non fare così!” in quel modo esasperato e divertito al tempo stesso che solo lei sapeva usare.
Mi sedevo sempre sotto il nostro albero e guardavo il disteso paesaggio della brughiera, chiedendomi se mai fosse tornata, dov’era in quel momento, se ogni tanto pensava a me.
Ogni pomeriggio speravo che la porta di casa sua si aprisse e che lei venisse da me a braccia aperte, ritornando a giocare, a correre, ad essere finalmente libera insieme a me.
Ma la porta rimaneva chiusa, impassibile, e tutto il verde intorno alla casa, prima così rigoglioso, adesso sembrava andare in depressione come me, perché mancava Mel, mancava l’unica cosa in grado di dare sostentamento a tutti e due.
Intanto gli anni passavano, la mia carriera musicale andava a gonfie vele (mi ero trovato un nuovo gruppo, i Reactions, e avevo iniziato a suonare la batteria), ma le mie speranze di rivedere quella bambina dalla voce d’angelo erano sempre minori.
A metà del quarto anno di liceo, però, accadde una cosa che cambiò la mia vita.
Andavo al liceo scientifico di Truro, vivevo ancora con i miei genitori, mi ero fatto crescere i capelli (portavo un caschetto), incominciavo ad ascoltare musica diversa e mi ero trovato una fidanzata, Jill, ma le cose tra noi due stavano precipitando.
Ma qui ci arriveremo con calma.
Sta di fatto che una notte fui svegliato da dei rumori confusi ma soffocati provenienti dalla casa accanto alla mia, quella che in precedenza era abitata da Mel e la sua famiglia.
Volevo andare a vedere che stava succedendo, ma non volevo svegliare tutti; inoltre, ero troppo pigro, non avevo voglia di alzarmi nel bel mezzo della notte.
Quei rumori, però, mi insospettirono da morire.
La mattina dopo fu tutto normale: sveglia, doccia, colazione, liceo.
Verso la fine della seconda ora, mi alzai e mi avvicinai alla cattedra per chiedere di andare in bagno.
In quel momento, accadde un miracolo.
Bussarono alla porta: era il preside, che annunciò che da quel giorno ci sarebbe stata una nuova alunna nella nostra classe.
Non ne fui molto entusiasmato, ma quando il dirigente presentò la nuova arrivata alla classe, rimasi sbigottito al massimo.
“Ciao a tutti.” disse la ragazza quando il preside se ne andò.
Quella voce.
Mi girai di scatto verso la novellina e, quando i nostri sguardi si incontrarono, un sorriso mi nacque in faccia, il primo dopo tanto tempo, e il mio cuore si mise freneticamente a battere, come se si fosse riacceso dopo tanto tempo in cui era rimasto privo di vita, privo di sentimenti.
Era proprio lei.
Di aspetto era cambiata molto, era bellissima.
Il visino tondo, con il mento a punta, era contornato da una stupenda cascata di enormi boccoli castano scuro, raccolti in una coda; sfuggiva solo un riccio ribelle, che le ricadeva sulla fronte e che lei non tardava a rimettere a posto, ma senza successo.
Gli stessi occhi da cucciolo, le stesse guance di porcellana, forse un po’ meno paffute di allora.
Era alta e snella, un vero fisico da modella.
Vestiva con una T-shirt nera, un paio di jeans a zampa e due Converse bianche immacolate.
“Melanie!” esclamai.
Lei mi guardò a fondo, poi i libri le caddero di mano e balbettò:
“R...R...Roger!”
Inutile dire che cacciai un urlo, mi fiondai verso di lei al colmo della gioia e la presi in braccio facendola ruotare, causando così lo stupore dei miei compagni di classe e l’indignazione della professoressa, che mi rimproverò:
“Signor Taylor, un po’ di contegno, per favore! Piuttosto, aiuti la signorina Evans con i suoi libri, si renda utile! Signorina Evans,” disse poi rivolta alla mia amica. “può prendere posto accanto al signor Taylor, visto che è l’unico rimasto senza compagno di banco.”
Io e Mel obbedimmo e, quando fummo ai nostri posti, ci mettemmo a parlare fitto fitto, con grande disappunto della professoressa che ci dovette richiamare più volte.
Ma a noi non importava.
Eravamo di nuovo insieme, e questo ci bastava.
Per tornare a casa, percorremmo la strada insieme: lei aveva ripreso ad abitare vicino a me, ecco spiegati i rumori della sera precedente!
Al pomeriggio ci vedemmo di nuovo, sotto il nostro albero.
“Ma lo sai che non ti avevo riconosciuto, stamattina? Sei cambiato tantissimo, dov’è finita la frangiona che mi piaceva tanto mettere a posto?” mi chiese prendendo tra le dita affusolate una mia ciocca di capelli.
“È cresciuta, insieme alla voglia di continuare a suonare. Anche tu sei cambiata tantissimo, sei più bella.” le risposi io accarezzandole il viso.
Mel arrossì, e questo mi fece venire voglia di darle un bacio, ma mi trattenni: volevo che lei mi considerasse solo un amico.
“A proposito, come va con i ragazzi?” mi domandò risvegliandomi dal sogno paradisiaco che mi aveva creato il rossore sulle sue guance morbide.
“Sai, adesso sto con una nuova band, i Reactions, ma mi sa che tra un po’ finiremo di fare concerti.”
“Come mai?”
“Beh, da quando Johnny Quale, il leader, se n’è andato, è toccato a me prendere le briglie del gruppo. Ai primi tempi ci riuscivo, ma adesso non riesco a tenere testa a quei bastardi. Mi fanno fare qualsiasi cosa! Io non ce la faccio più e credo che tra un po’ mi cercherò una nuova band.”
“Oh, mi dispiace. Se hai bisogno di aiuto, comunque, io sono sempre disponibile.”
Io le sorrisi.
Adoravo questo fatto di lei, era gentile e premurosa.
“E tu? Continui a cantare, spero...” dissi speranzoso.
“Certo, è una passione che non ho mai perso. I miei mi hanno iscritto ad una scuola di canto perché pensano che potrò guadagnarmi da vivere con la voce che ho, ma io ho un’altro sogno.”
“Quale?”
“Voglio studiare per diventare zoologa. I comportamenti degli animali mi affascinano in una maniera strabiliante e voglio imparare a comprenderli al meglio.”
Quando mi disse queste parole, una luce di ammirazione nei suoi confronti si accese dentro di me.
Anche da piccoli, l’avevo sempre stimata per la sua grinta e la sua forza di volontà.
“Sai, stamattina non mi sembrava vero di poterti vedere ancora.” ammisi.
“Neanche a me. Quando i miei mi hanno comunicato che saremmo ritornati a Truro, sono letteralmente esplosa dalla gioia!”
“Ma ti ricordi, quando eravamo piccoli?” chiesi con un pizzico di rimpianto nella voce.
“Sì, stavamo sempre sotto quest’albero a rivelarci le nostre cose. Qui seppi che tu avevi paura dei ragni, ma non lo volevi ammettere mai...”
“E ce l’ho ancora adesso!” risi. “Io qui seppi che tu odiavi le gonne e i tuoi genitori te le facevano mettere a forza, anche se tu non volevi!”
“E lo fanno tuttora. In fondo, non siamo molto cambiati da quando eravamo piccoli.”
“Già. È bello restare bambini, anche se si cresce.” sospirai appoggiandomi al tronco di quell’albero dietro di noi.
Mel, a quel punto, mi abbracciò e posò la testa sul mio petto, poi mi disse:
“Roger, ti voglio bene. Promettiamo di rimanere sempre amici e di non lasciarci mai, qualunque cosa succeda?”
“Certo, non voglio più perderti, adesso che sei ritornata.”
“Allora, amici per l’eternità?”
“Per l’eternità e anche di più, se necessario!” risi io accarezzandole la schiena.
Riuscivo a sentire il profumo dei suoi capelli, che non era cambiato, e ne ero completamente rapito.
“Oh, vieni!” mi disse ad un certo punto. “Ti voglio mostrare la mia seconda passione.”
Mi prese per mano e mi trascinò in casa sua, che era deserta perché i suoi genitori erano fuori per lavoro.
Mi portò in camera sua, mi fece sdraiare sul suo letto a due piazze e mi disse di chiudere gli occhi e rilassarmi.
Poco dopo il suono di una voce, accompagnata da un pianoforte e un basso elettrico, riempì tutta la stanza.
La canzone era molto melodiosa, proprio il genere che piaceva a Mel, solo che non l’avevo mai sentita prima d’ora.
E nei suoi occhi non vedi nulla, niente segni d’amore dietro le lacrime piante per nessuno...” diceva la canzone.
Ero completamente ammaliato da quella melodia, era una delle più dolci che avessi mai udito, ma dovevo saperne di più, così a metà della canzone aprii gli occhi, mi girai e vidi Mel sdraiata accanto a me, che mi fissava mentre mi perdevo in quell’incanto musicale.
“Che ne dici?” mi chiese.
“Fantastico.” risposi.
“Questa si chiamava For No One, è dei Beatles.”
“Oh, no, anche tu?” esclamai esasperato.
“Perché, cosa c’è di male nell’ascoltare i Beatles? Sono il mio gruppo preferito!”
“Nella nostra scuola ci sono più ragazzine urlanti per i Beatles che automobili per strada.” spiegai io sorridendo. “Anche tu ne sei caduta vittima?”
“Già, e me ne vanto, caro mio! Poi, io non sono come quelle stupide ragazzine urlanti! Guarda che sono loro il motivo per cui i Beatles hanno finito di fare concerti! Io amo solo la loro musica...”
“Ah, sì? Io avrei di meglio da farti ascoltare...” mi vantai.
“Dimostramelo, signor sapientone!”
Così la presi per mano e la portai in camera mia, la feci sedere sul letto con gli occhi chiusi e misi sul giradischi Let’s Twist Again, di Chubby Checker, un vecchio classico che però io adoravo.
“Ma questo è Let’s Twist Again! È vecchia, pensavo avessi di meglio da farmi ascoltare...” mi disse con un pizzico di delusione aprendo gli occhi marroni.
“Beh, per ora...” mormorai prendendole una mano “...che ne dice di concedermi questo twist, signorina?”
“E come potrei rifiutare?” disse lei alzandosi dal letto e mettendosi a ballare.
Io facevo dei passi a caso, ma lei sembrava un’esperta in quel ballo, aveva fatto progressi.
Quando eravamo piccoli, ero sempre io che facevo finta di farle da maestro e mi divertivo ad insegnarle passi che mi inventavo sul momento; adesso, invece, era il contrario, cercavo in tutti i modi di stare al suo passo e muovere le gambe come faceva lei.
Mel, dal canto suo, vide come mi muovevo io, impacciato da morire, e scoppiò in una fragorosa risata, quella risata così cristallina che mi mancava da troppo tempo, ormai.
Ad un certo punto, lei mi prese le mani e mi fece vedere come si ballava, un po’ più lentamente rispetto alla musica.
Non so cosa mi prese, ma quando lei intrecciò le sue dita con le mie, una vampata mi travolse e contemporaneamente il mio istinto di naughty boy si risvegliò, facendo sì che io potessi tirarla con le braccia verso di me, avendo così il suo viso incredibilmente vicino al mio.
Avvertivo il desiderio frenetico di baciarla sulle labbra, su quelle labbra così sottili, eppure rosse come ciliegie.
Mel abbassò lo sguardo; non potevo sapere che cosa stava pensando in quel momento, ma sono sicuro che, se avesse parlato, avrebbe detto qualcosa come “Ti amo, Roger” oppure “Baciami, cretino”.
Ma, in quel momento così romantico, capitò l’unica persona che non avevo intenzione di incontrare.
“Bene bene...salve, signorini! Vi ho disturbato, per caso?”
Ma con tutte le persone che potevano interromperci, proprio lei doveva capitare?!
“Jill. Che ci fai qui?” mormorai, più freddo di sempre.
“Ti aspetto perché tu oggi mi avevi promesso di uscire, ricordi?” disse lei ironica.
“Ah, già.”
Cazzo, l’appuntamento con Jill!
Me ne ero completamente dimenticato, grazie a Mel, la sua bellezza e la sua simpatia contagiosa.
“Adesso arrivo, scusa Mel.” dissi con grande dispiacere, rivolto alla mia amica scendendo le scale.
“Non preoccuparti, ti capisco. Quando ci vediamo?”
“Anche stasera, se vuoi.”
“Perfetto! Buon giro, allora, ragazzi!” disse salutandoci. “Oh, quasi dimenticavo.” si ricordò poi. “Io sono Melanie, ma puoi chiamarmi Mel. Piacere!” e porse una mano a Jill.
Lei, però, non la strinse e le disse solo:
“Sì, comunque io sono Jill. Ci vediamo, ok?”
Poi mi prese a braccetto e mi trascinò quasi con violenza lontano dalla mia amica, lontano dall’unica persona con cui mi sarei trovato bene in quel momento.
Come al solito, durante tutto il tempo dell’appuntamento litigammo, anche furiosamente, per il fatto che la mia Mel fosse tornata, e alla fine riuscii a dileguarmi con un bel “Vaffanculo, Jill” dritto in faccia a quella ragazza con cui non volevo avere niente più a che fare.
Ritornai a casa e la prima cosa che vidi, in controluce all’arancione del tramonto, fu la figura seduta di Mel, che stava leggendo un libro sotto il nostro albero.
Era molto concentrata, perciò quando le arrivai alle spalle la feci sobbalzare.
“Ciao.” le dissi.
“Oh, ciao, Rog! Scusa, non ti avevo sentito. Come è andato l’appuntamento con Jill?”
“Uno schifo.”
“Perché? Avete litigato?” chiese lei allarmata.
“Sì, ma ormai lo facciamo sempre. Quella ragazza mi sta veramente stancando! Prima o poi la lascio.”
“Ma no, povera Jill, perché vuoi lasciarla?”
“Povera Jill?! Oh, si vede che non la conosci, Mel. È assillante in una maniera stratosferica, mi parla continuamente di fedeltà reciproca nelle coppie. Se vede solo che parlo con un’altra ragazza, mi strattona e mi trascina via, come oggi con te. Eh, però io non le devo dire niente quando flirta con quelli dell’Università! Chissà quante volte mi ha tradito, quella stronza.”
Dopo questo sfogo, Mel rimase sbigottita.
“Uao.” mormorò. “Se ce l’avessi io, un fidanzato così, gli spaccherei la testa.”
“Appunto! Perché io non posso strattonarla quando vedo che fa il filo a quelli più grandi di me? È assolutamente ingiusto, cazzo.”
“Hai perfettamente ragione.”
“Poi, ho sempre odiato quei suoi capelli, hanno un colore sovrannaturale, secondo me se li tinge.” dissi facendo scappare una risatina a Mel. “Io preferisco un altro colore di capelli...” sussurrai poi attorcigliandomi il suo riccio ribelle tra le dita.
Lei rimase in silenzio e abbassò lo sguardo, arrossendo lievemente.
“Cosa stavi leggendo, comunque?”
Piccole Donne.”
“Uao, che titolo...guerriero. Spero che tu non aderisca mai ad un movimento femminista. È tempo di lotte e guerre, sai?”
“Lo so...ma potrei sempre aderirci, per combattere le bestie come te!” esclamò con un pizzico di malizia nella voce.
Una malizia che mi eccitava da morire.
“Davvero lo faresti? Sono veramente così troglodita come mi consideri tu?” le chiesi guardandola intensamente.
“Beh, se tu non fossi in grado ancora di correre con me nella brughiera a piedi nudi, allora lo farei...” disse lei alzandosi.
Poi si diresse verso l’aperta campagna.
Una volta lì, si tolse le scarpe, mi fece una linguaccia e partì come una saetta, urlandomi:
“Corri, dimostrami che non sei vecchio come credo io!”
Non avevo molta voglia di affaticarmi, ma quella ragazza mi intrigava troppo, non riuscivo a resistere ai suoi richiami, ognuno dei quali sembrava fatto apposta per provocarmi in un modo diverso.
Così mi tolsi le scarpe e le corsi dietro.
Da tempo immemore non provavo quella infinita sensazione di libertà, il vento tra i capelli, i piedi nudi nell’erba, la voce squillante dell’unica ragazza che sentivo di amare veramente.
Ad un certo punto non la vidi più, così mi fermai e diedi un’occhiata in giro per capire dove fosse finita.
Non feci neanche in tempo a dire: “Ehi!” che lei mi saltò addosso da dietro, prendendomi alla vita e facendomi cadere nell’erba alta.
Scoppiammo a ridere, ci sentivamo ancora piccoli nel profondo.
Quando aprii gli occhi, Mel era sopra di me, i suoi lunghi boccoli castano scuro mi facevano il solletico al collo e i suoi occhi marroni mi stavano fissando sorridenti.
Io piegai la testa da un lato, speravo fosse lei, stavolta, a prendere l’iniziativa di darmi un bacio, ma rimasi deluso perché lei si era già dileguata, dopo avermi buttato alcuni ciuffi d’erba in piena faccia.
“Prendimi se ci riesci, mezza età!” mi sfidò.
“Ah, sì?” risposi io sputacchiando erba da tutte le parti.
Poi le corsi dietro, le arrivai alle spalle di soppiatto e le feci il solletico, facendola ridere come una matta.
“Ah, ah, oddio, basta! Basta, mi arrendo!” urlò lei tra le lacrime.
“Come? Non ho sentito, ripeti, per favore!” dissi io facendo il finto tonto.
“MI ARRENDO! Hai vinto!” ripeté lei.
“Perfetto, è proprio quello che volevo sentirti dire...”
Così la lasciai sedere a terra e riprendemmo fiato tutti e due.
Poi ritornammo al nostro albero, dove trovammo la madre di Mel che ci aspettava.
“Ciao, mamma!” la salutò Mel.
“Salve, signora Evans.” dissi io molto educatamente.
“Ciao, Mel. Roger, che piacere rivederti!” esclamò baciandomi su tutte e due le guance.
“Anche per me.” risposi io.
“Mel, dov’eri? Io e tuo padre eravamo preoccupati...”
“Ma’, stai tranquilla, ero nella brughiera con Rog.”
“Uff, menomale.”
“Senti, Rog può fermarsi a cena da noi?”
Io rimasi spiazzato da quella proposta.
Era da tanto che non cenavo a casa sua, mi ricordo che da bambini utilizzavamo il metodo “Una sera a casa tua, una sera a casa mia”, e a volte mi fermavo persino a dormire da lei, o viceversa.
“Certo, perché no? Se sua madre è d’accordo, per me va bene...”
“Allora voliamo a chiederglielo! Grazie, ma’.”
Poi andammo a casa mia: mia madre stava lavorando all’uncinetto, come al solito.
“Ciao, mamma.”
“Oh, ciao, Rog, non ti avevo sentito entrare. Oh, Melanie, sei proprio tu? Vieni qui, fatti abbracciare!” disse poi strizzando la mia amica con uno dei suoi famosi abbracci.
“Buonasera, signora Taylor. La trovo bene...”
“Oh, grazie, cara. Ma come sei cresciuta, ti sei fatta bellissima!”
“Grazie mille, signora.”
“Ehm...senti, mamma...” interruppi io.
“Dimmi, Rog.”
“Posso fermarmi a cena da Mel, questa sera?”
“Ma certo, tesoro! Se vuoi, puoi fermarti anche a dormire...”
“Davvero me lo permetteresti?” chiesi con uno sguardo pieno di gratitudine ed ammirazione verso la donna che mi aveva messo al mondo.
“Certo, basta che domani mattina vi alziate presto, tutti e due, e che tu ti porti dietro lo spazzolino e un paio di mutande di ricambio!”
A questa affermazione profondamente materna, Mel si fece scappare una risatina intenerita.
“Mamma, non davanti a Mel, ti prego! Comunque stai tranquilla e grazie mille. Sei la migliore.” sussurrai abbracciando mia madre.
Poi condussi la mia amica in camera mia, presi quel di cui avevo bisogno, salutai Claire che pisolava nella sua stanza e andammo da Mel, dove una cena gustosa ci attendeva.
Ci mettemmo al tavolino sulla terrazza, quello dove di solito cenavamo quando io andavo a casa sua, da piccolo.
Mangiammo, e io chiesi anche il bis.
“Ne vuoi ancora, Roger?”
“No, grazie, signora, adesso sono pieno. Le sue lasagne sono formidabili!”
Era vero: la mamma di Mel era di origine italiana e nessuno sapeva cucinare le lasagne alla bolognese meglio di lei.
“Grazie mille...se volete qualcos’altro, non aspettate a chiederlo!”
“Grazie, ma’. Oh, aspetta!” disse la mia amica entrando in casa.
Un secondo dopo ritornò con un mazzo di carte da gioco in mano.
“Guarda qua, ho voglia di batterti un po’ a poker!” mi disse sventolandomi il mazzo davanti al naso.
“Non sperarci tanto, signorina!”
Giocammo per un’oretta e mezza, poi ci dileguammo in camera sua, visto che si stava faceva buio.
Se c’era una cosa che adoravo di casa sua, era la sua camera.
Non solo perché in quel luogo potevamo stare soli soletti senza che nessuno ci rompesse le scatole, ma anche perché era arredata in una maniera straordinaria.
Mi piaceva soprattutto il letto: grande, a due piazze, perfettamente incastrato in un angolo della stanza, con una finestra direttamente sopra, su un lato.
“Che bella serata, non trovi?” mi disse appoggiandosi al piccolo davanzale di quella finestra.
“Già.”
Non sapevo cosa dire, non riuscivo a trovare nessun argomento di conversazione.
La luce della luna appena sorta aveva illuminato il dolce viso della mia Mel, rendendola ancora più affascinante e delicata ai miei occhi.
Avrei voluto dirle che era bella come non mai, ma lei interruppe i miei pensieri.
“Dai, mettiamoci il pigiama, così poi possiamo andare a dormire!” disse rompendo quell’incanto.
Io quasi mi strozzai con la mia stessa saliva.
“Come, scusa?” annaspai.
Io ero solito dormire in mutande, perciò, per essere sincero, mi vergognavo un pochino.
Ma quello che mi emozionava era vedere lei in pigiama.
“Ma sì, non ti sconvolgerai mica se mi vedrai in tenuta da notte, no?”
“No, certo... D’altronde, ti ho vista tante volte in pigiama, quando eravamo piccoli...” dissi incominciando a togliermi la T-shirt.
“Giusto!” esclamò lei sfilandosi i jeans.
In un lampo mi ritrovai solo con i boxer addosso, e lei si mise un paio di pantaloncini meravigliosamente corti, dai quali spuntavano due gambe lisce e magre, così perfette da sembrare finte.
Mel, poi, si sfilò la maglietta con una femminilità da far venire i brividi, rimanendo così solo in reggiseno e pantaloncini.
Ogni suo gesto sembrava programmato per provocarmi e io fissavo quella ragazza come se si muovesse al rallentatore.
Lei, ad un certo punto, si girò verso di me e mi venne vicino.
Fece pochi passi e più si avvicinava a me, più il mio battito cardiaco aumentava.
Mel mise le mani sulle mie spalle e le fece scendere, accarezzandomi prima i bicipiti e poi i pettorali e gli addominali.
“E da quando in qua abbiamo questi muscoli, Rog?” mi sussurrò provocante.
“Ehm...da...da quando...da quando ho iniziato a suonare la batteria, ovvio. Ho...ho...ho sviluppato un po’ di forza nelle braccia, sai...” farfugliai io.
“Capisco...” disse lei.
Solo in quel momento mi accorsi di avere un gran caldo e che le mani mi tremavano.
Lei lo notò, così mi mise le mani sulle spalle e mi fece sedere sul letto, poi si allontanò per prendere una canottiera dall’armadio.
Io rimasi come un baccalà a fissarla con la bocca semiaperta, mentre le sue braccia frugavano nella cassettiera alta dentro l’armadio.
Il suo corpo, perfettamente slanciato, possedeva delle curve pazzesche e simmetriche allo stesso tempo, io ne ero completamente stregato e le contemplavo in silenzio senza neanche accorgermi di piegare lentamente la testa da un lato.
Il suo reggiseno color crema era tremendamente grazioso e, fosse stato per me, avrei rosicchiato fino alla morte tutti quei cioccolatini che aveva disegnati sopra.
Avevo una voglia matta di prenderla alle spalle, baciarla dappertutto, buttarla sul letto e farle qualsiasi cosa, ma dovevo assolutamente resistere, neanche tanto per il fatto che ero fidanzato (di Jill non mi importava più, ormai), ma per il fatto che avevo paura che lei non mi amasse, avevo paura che lei mi considerasse solo un amico, avevo paura di spaventarla, rischiando così di perderla.
Mi affrettai a cacciare via dalla mia mente tutti questi pensieri osceni, anche perché lei aveva finalmente trovato la canottiera e si era messa sotto le lenzuola del suo grande letto.
“Vieni?” mi chiese appiattendosi contro la parete per farmi spazio.
“Certo!” dissi deciso e sorridente, dopo essermi svegliato da quella eccitante catalessi.
La raggiunsi e, quando fui sotto le lenzuola con lei, i nostri piedi si toccarono e si accarezzarono per tutta la notte.
I suoi piedi erano piccoli e delicati in confronto ai miei.
“Da quanto non dormivamo insieme, eh?” disse lei.
“Già, da un sacco di tempo. Mi sei mancata in questi anni, sai?”
“Anche tu. Pensa che quando sono partita, ho pianto per tutto il viaggio. Nella scuola a Plymouth dove sono andata non mi sono trovata bene, gli altri non erano come te.”
“Anche per me è stato difficile. Tu non c’eri per rimproverare le mie bravate e io mi sentivo malissimo, non ero nessuno.” mormorai prendendo le sue mani tra le mie.
Mel, allora, si intenerì e mi abbracciò.
“Oh, Roger!” esclamò.
Poi si staccò da me e mi rivelò:
“Nella scuola dove stavo io era tutto maledettamente formale, tutti indossavamo una divisa grigia, non si poteva ascoltare musica e le uniche lezioni di storia dell’arte erano su i graffiti paleolitici! Io mi sentivo persa perché non c’eri tu che mi facevi andare avanti con la tua musica e la tua vitalità.”
“Adesso non pensiamoci più, ok? Ormai siamo di nuovo insieme e nessuno potrà dividerci mai.”
“Giusto. Buonanotte, Rog.”
“Buonanotte, Mel.”
Ci addormentammo abbracciati e sereni, una volta per tutte.


Here I am, my friends!
Uff, ce l'ho fatta finalmente a pubblicare!
Vorrei inanzitutto ringraziare le mie recensitrici (si dice così? O.o): thanks, girls, mi hanno fatta tanto felice le vostre recensioni!!! *si inchina umilmente fino a sfriorare terra con il naso*
Vorrei ringraziare in particolare KatyAniFrancy, che, grazie alle sue storie, mi ha permesso di conoscere Jill e me l'ha fatta inserire qua!
Ah, tenevo a precisare un'ultima cosa: i titoli dei capitoli sono tutti dei titoli di canzoni, più o meno famose.
Scusate se nel capitolo precedente non l'ho detto, ma me ne sono accorta DOPO averlo pubblicato. xPP
Comunque, la scorsa volta la canzone da cui è tratto il titolo è di Michael Jackson; questa volta, neanche a farlo apposta, sono venuti fuori i nostri adorati Queen!
Grazie ancora a tutti, a chi legge, a chi recensisce e a chi riesce a fare tutte e due le cose xD
See you,
Midori

   
 
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