12/08/2011
3 recensioniSpirit Warmth
Il buio è monotono.
Non che il resto della sua esistenza sia meno monotono. Semplicemente, per lui che ha perduto il dono dell'incoscienza, la notte è ancora più opprimente di tutto il resto. Ogni dodici ore, Yomiel non ha altra scelta che attendere la fine del buio.
Dall'alto della finestra, nel suo sguardo vitreo, la luna è uguale da dieci anni, così come il letto sfatto – da dieci anni, d'altronde, quelle lenzuola non conoscono il riposo di un essere umano. Il materasso non è che un'altra posizione, una variante tra molte forme di identica stabilità. Dopotutto, mutare forma è privilegio dei vivi.
La sagoma nera è viva. Il suo guscio vuoto, lento, si riscuote dal suo stato d'inerzia – una nota d'ombra e di suono è cambiata nella stanza, ad avvertire il suo tatto spento di un moto sottile. Il muso scuro che gli accarezza il collo lo chiama con un leggero miagolio e un paio di leccate ruvide.
Yomiel fissa gli occhi lucenti, i sovrani del buio che tanto lo tedia, e meccanicamente leva una mano fredda a raggiungere il corpicino. Che sia una sensazione reale o no – non ne è mai certo – quel pelo lo crede morbido come la seta, degno di avvolgere la pelle augusta e dorata di qualche re delle fiabe. È nelle fiabe, in effetti, che il mondo racconta le sue realtà più preziose.
“Ehi, Sissel,” mormora. “Non dormi?”
I baffi e il naso ancora indagano in qualche punto sotto il suo mento, totalmente indipendenti dalle parole che ha appena pronunciato. L'uomo tace, rassegnato.
Sissel è proprio un gatto. Un gatto obbedisce soltanto a ciò che ritiene giusto, in ogni singolo momento. È certamente per questo se, solo qualche attimo dopo, i grandi occhi abbandonano l'operazione di investigare il suo collo, per sollevarsi e puntarsi vigili sul muso dell'uomo.
“Vuoi che io dorma?”
Le gemme ambrate non si spostano di un soffio. Rimangono lì, aperte, scritte per Yomiel nella nobile lingua dei felini. Le zampette sono ancora al loro posto, sulla sua gola, perché l'uomo avverta il sangue scorrere in loro.
Il sangue, la vita. Il calore.
Da quando la morte l'ha raggiunto, Yomiel sa di non avere bisogno di nulla. Il desiderio del calore, però, è rimasto – c'è qualcosa, in quel quotidiano sole di ghiaccio, che inquieta persino lui, uomo freddo ed immobile.
Ebbene, a dispetto di ogni circostanza – della sorte, dell'ingiustizia, della strana fisica di un mondo troppo lontano per essere comprensibile – ci sono giorni e notti in cui una pallida impressione di tepore sorge, divenendo potente ricordo; e allora, sprigionandosi dal tenue fascio di muscoli che si acciambella al suo fianco, il calore lo sommerge a onde, in tutta la sua pienezza.
Il piccolo peso sul suo petto insiste, tenendogli ben ferme le coperte sopra le scarpe e i vestiti. Un caso, sorride Yomiel dal guanciale. O forse no.
“Non posso. Ma tu dormi,” bisbiglia alle grandi orecchie rosee. “E io ci proverò lo stesso. Se ci tieni.”
Le due morbide luci si spengono nel buio, dolcemente accucciate sulla spalla dell'uomo. Il gatto respira piano, sollevando con un suo pacifico ritmo la mano sinistra ancora appoggiata alla sua spina dorsale.
Arrendevole, Yomiel chiude gli occhi e attende fino all'alba.
Le sue dita restano dove sono, quiete. Come nel sonno.
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Fluuuff. Fluff, per chi così poco ne ha avuto.
Dedicato a chiunque abbia conosciuto il calore di un animale e amico.
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