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Autore: Sacu    12/08/2011    1 recensioni
"Ogni anno era tornata, puntuale, e non l'aveva mai trovato. Avrebbe voluto dimenticare, ma sentiva dentro di sé che quella cosa era rimasta incompiuta. Aveva amato suo marito di un amore dolce, eppure non era riuscita a scordarsi quell'amore intenso e passionale che le faceva ribollire il sangue.
Era passata quasi un'ora e quando vide la fermata il cuore le prese a battere forte come se si fosse ricordato solo allora di esistere. La speranza, che aveva messo a tacere, si era tutta a un tratto risvegliata."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Porto di Piombino. 9:00 di mattina. Si stava imbarcando ancora una volta, come se ancora non fosse sazia di tutto il male provato. L'unica cosa che la spingeva a vivere quel dolore era la speranza, sentimento ormai consumato più di un vecchio straccio; ma dopo tutti quei anni ancora non era disposta a gettarlo via.
Stringendo forte il suo biglietto tra le sue belle mani piene di rughe si fece largo lentamente sul ponte. Un tempo faceva quel viaggio in piedi, ma ormai le gambe non la reggevano più come un tempo e si doveva accontentare di un posto vicino al finestrino.

Se ne era invaghito fin da quella sera quando le sentì suonare quell'assolo di violino in quel vecchio Teatro prossimo alla chiusura. Senza neanche rendersene conto, come se il suo corpo fosse posseduto da chissà quale entità superiore, era uscito di corsa senza aspettare la fine dello spettacolo per raggiungere un venditore di rose ambulante poco distante e ne acquistò una dozzina. Tornò in tutta fretta dentro il Teatro appena in tempo per gli applausi di chiusura e ancora col fiatone si catapultò nei camerini. Fu lì che la vide davvero per la prima volta. Sorrideva. Felice. Ma non per lui.

Portoferraio era sempre più vicino. In qualche modo quel viaggio riusciva a rilassarla; nessuna nuvola in cielo a minacciare quella che sarebbe stata una calda giornata di fine luglio, solo un fresco venticello che giocava dispettoso coi capelli dei passeggeri in piedi all'aperto.

Una madre si tolse il foulard e lo mise al figlio per riparargli la gola. Quanti anni avrà avuto quel bambino? Dall'aria imbronciata che fece gli ricordò suo nipote, quello più piccolo. Forse avevano la stessa età.
Lasciò scivolare lo sguardo verso il basso. La nave proseguiva sicura davanti a sé tagliando l'acqua in due parti e lasciando dietro di sé solo onde e schiuma bianca. Quanto tempo sarebbe passato prima che le due metà si ricongiungessero e il mare tornasse piatto? Minuti? Ore? Ma che importanza poteva avere? Prima o poi l'acqua sarebbe tornata al suo posto dimenticandosi della nave e facendo perdere ogni traccia del suo passaggio. Il tempo avrebbe riportato tutto al suo stato naturale e i prossimi viaggiatori non avrebbero visto niente, come se niente fosse mai avvenuto.

Si era risvegliato e lei era lì, il suo corpo caldo ancora nel suo letto. Nella sua casa a Pomonte.
Avendo paura di spezzare quella sorta di incantesimo non osava muoversi, nonostante la luce entrasse ormai prepotente dalla finestra. La sera prima si erano scordati di chiudere le tende per colpa della passione che li aveva invasi e di certo non se ne erano preoccupati. Non avevano pensieri in testa se non quel sentimento finalmente ricambiato che li aveva spinti a passare tutta la notte insieme.
Era felice, per la prima volta nella sua vita; mai aveva trovato una donna così affascinante. Era instancabile di quelle mani grandi ma affusolate e gentili che suonavano divinamente il violino. Ambiva contemplare i suoi occhi scuri, vivi di una luce magica. Adorava i suoi lunghi capelli riccioluti, neri e indomabili. Bramava quel meraviglioso corpo candido e morbido di cui lei era inconsapevole proprietaria. Amava la sua anima dolce e intensa.
Dopo lunghi mesi di corteggiamento era riuscito a portarla via da quel pittore fallito che non l'amava come meritava. L'aveva sostenuta, consigliata, protetta, difesa; le aveva dato la sua fiducia, le aveva dato la sua anima, le aveva dato il suo cuore. La amava. E finalmente lei ricambiava. Finalmente si sentiva completo.

Portoferraio. 9:30. Dopo aver dato la precedenza ai passeggeri più giovani e frettolosi, si era decisa a scendere dalla nave. Pomonte si trovava dall'altra parte dell'Isola, così acquistò il biglietto e si avviò alla fermata dell'autobus. Mentre aspettava vide in lontananza la spiaggia; c'era un gruppo di persone che si muovevano in modo strano, probabilmente qualche animatore aveva acceso lo stereo per dar vita alle ultime canzoni del momento. Lei quei balli non li capiva. Da piccola sua mamma aveva insistito per insegnarle la danza classica ed era piuttosto brava; le piaceva come il suo corpo si piegava alle note come la spiga di grano al vento. Ma non aveva mai ballato altro. Mai, tranne una volta. E non l'aveva mai confessato a nessuno. Aveva scacciato quel ricordo nell'angolo più remoto del suo cuore e lì lo aveva seppellito sotto la lastra pesante del tempo.

Le aveva chiesto di sposarlo da un mese. E lei aveva accettato. Erano fidanzati.
Due settimane prima avevano fatto una piccola festa, una cosa intima, con solo gli amici più cari. Il suo migliore amico era preoccupato che non trovasse la sua compagna per la vita e fu sorpreso e felice di brindare dopo aver pronunciato un discorso così carico di emozioni che aveva fatto commuovere persino il futuro sposo. Lacrime di commozione, quelle. Piccole gocce di felicità.
Mai più pianse per gioia.
Una calda sera di giugno. E quella luna piena era così maledettamente romantica. Come quella banda sulla spiaggia che suonava a tutto volume entrandoti nel sangue e costringendoti a ballare. La serata era perfetta. Peccato fosse l'ultima.
Avrebbe dovuto urlare, picchiarlo, piangere. No. Lei lo guardava dritto negli occhi con quello sguardo dolce e complice che solo lei aveva. Lo capiva. Non pianse; il suo orgoglio non glielo concedeva. Ma quella luce magica negli occhi si spense.
Lui raccontò come suo padre li avesse lasciati nei debiti e di come lui dovesse prendersi cura di sua madre e delle sue due sorelle. Avrebbe dovuto sposare un'altra. Una fanciulla bella, ricca, dai modi fini e aristocratici. Una fanciulla che non era lei.
Nonostante tutto gli sorrideva. Non gli chiedeva di lasciar perdere tutto e di scappare via con lei. Non era il suo modo d'essere. L'amava anche per questo.
Solo una cosa si spinse a chiedere. Un ballo. Un ballo per ricordarsi di quanto fosse meraviglioso perdersi in quell'abbraccio, di quanto fosse unico sentirsi cingere da quelle braccia dove trovava sempre un rassicurante rifugio. Un'ultima volta. Lui glielo concesse.
Il loro primo e ultimo ballo.
Quando la musica terminò la vide sparire tra la folla. Senza il bacio d'addio. Non voleva macchiare i loro ricordi con più sofferenza di quanto fosse necessario.
Rimase solo. Solo col profumo di lei ancora addosso e le braccia fredde senza il suo calore.

Era seduta in cima all'autobus, ma forse avrebbe fatto meglio a mettersi in fondo. L'autista sembrava ubriaco e dalla sua posizione poteva vedere perfettamente come prendesse le curve, ma soprattutto lo sentiva: sembrava che dovesse sbandare da un momento all'altro. Cercò di non pensarci guardando il panorama del mare alla sua destra. Erano le 10:00 passate e l'aria cominciava a farsi più calda.
Le piaceva quell'isola, era piena di ricordi belli. Da quando si era sposata, l'ultima settimana di luglio e la prima di agosto prendeva una casa in affitto a Schiopparello. Certo, suo marito avrebbe voluto portarla in vacanza anche da altre parti, ma lei si impuntava molto su questa cosa e lui cedeva sempre. Dopotutto tra lui che era direttore d'orchestra e lei che era violinista viaggiavano molto per lavoro, per questo non gli costava poi così tanto accontentare la moglie.
Ci avevano portato i loro figli, fino a vederli grandi. Poi loro si erano sposati a loro volta e le avevano regalato dei nipotini adorabili. Avevano continuato ad andare lì fin quando suo marito non era morto dopo aver superato la soglia degli ottant'anni. Infarto. Non si era ripreso.
Adesso ci tornava da sola. L'ultimo giorno di luglio prendeva la nave, poi l'autobus fino a Pomonte e lì prendeva una camera per la notte. Poi il primo di agosto tornava tristemente a Portoferraio dove l'attendeva la nave che l'avrebbe portata via dall'Isola, ogni volta sempre più lontano dai suoi sogni.

Era l'ultimo giorno di luglio. Aveva scelto un posto nell'ultima fila a sinistra, quasi nascosto. Giocava nervosamente col cerchietto d'oro giallo che aveva all'anulare sinistro. Ancora non si era abituato alla sua presenza.
Poi la musica partì e lei entrò. Com'era bella in quel vestito che avrebbe fatto invidia ad una principessa! Abito da favola, scarpette nuove, trucco leggero, capelli perfetti e il lungo velo a coprire il volto. Com'era bella. Ma non per lui.
Suo padre fece per farla camminare ma lei si fermò un attimo. Lo aveva visto. Era la prima volta da quella sera. E gli sorrise. Poi riprese a camminare fino all'altare, dove suo padre la lasciò nelle mani dello sposo.
Il ricevimento fu molto lungo e lui non l'avvicinò mai. Solo verso sera trovò il coraggio e la prese da parte per dargli il suo regalo. Una piccola scatolina azzurra chiusa da un nastrino d'argento.
Dentro c'era una chiave. Quella che apriva la casa a Pomonte. Dove avevano aperto i loro cuori.
Le aveva dato appuntamento per l'anno successivo, nel giorno del suo matrimonio. L'avrebbe riavuta tra le sue braccia, l'avrebbe portata via e l'avrebbe amata ancora. Per sempre. Solo loro due.

Ogni anno era tornata, puntuale, e non l'aveva mai trovato. Avrebbe voluto dimenticare, ma sentiva dentro di sé che quella cosa era rimasta incompiuta. Aveva amato suo marito di un amore dolce, eppure non era riuscita a scordarsi quell'amore intenso e passionale che le faceva ribollire il sangue.
Era passata quasi un'ora e quando vide la fermata il cuore le prese a battere forte come se si fosse ricordato solo allora di esistere. La speranza, che aveva messo a tacere, si era tutta a un tratto risvegliata.
Scese finalmente dall'autobus sperando di non incontrare più quell'autista che aveva messo a repentaglio la sua vita e si avviò verso via Martini mentre la testa cercava di dire al suo cuore di non farsi illusioni. Parole al vento, via via che si avvicinava alla perpendicolare che portava alla casa il suo cuore batteva sempre più forte incurante della delusione prossima che avrebbe subito.
Con le chiavi in mano si avvicinò alla casetta. Era una villettina con un piano superiore e una soffitta, dai colori chiari e il tetto di tegole.
Ogni volta girava la chiave, entrava, vedeva la polvere sul mobilio e aspettava leggendo un libro fino a sera. Poi tornava indietro e passava la notte nell'albergo del paesino a cercare di riattaccare i pezzi del suo cuore.
Entrò. Era tutto polveroso come sempre. E come sempre era delusa.
Stava per chiudere la porta, quando un piede si mise in mezzo e glielo impedì. Aprì meglio la porta non osando sperare, quando lo vide. Era invecchiato, il viso solcato dalle rughe e i capelli un tempo castani adesso erano bianchi. Ma gli occhi blu erano sempre gli stessi.

Si guardarono a lungo, sorpresi, felici, increduli, rassicurati. Non c'era bisogno di parlare, i loro occhi pieni di lacrime esprimevano tutto ciò che avevano bisogno di sapere.
Le scuse di lui. Il perdono di lei. L'amore di entrambi.
La prese per la mano e la condusse fino alla spiaggia.
Raggiunse una ragazza di circa vent'anni che era seduta al bar e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Lei allora si alzò e andò ad accendere lo stereo, facendo partire una canzone lenta e romantica.
“Vuoi riprendere da dove abbiamo lasciato?”

   
 
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