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Autore: _Aislinn_    12/08/2011    1 recensioni
"Alla soglia dei diciannove anni era la Cortigiana più desiderata di Francia, la sua presenza era richiesta nei maggiori salotti e spesso allietava lo stesso Re con la sua compagnia. [...] I Principi ed i nobiluomini le donavano case, gioielli, abiti. I poeti di Corte decantavano le sue lodi: occhi come preziose acquamarine, labbra come petali di rose, chiome folte e sensuali dalla morbidezza di seta. E la pelle, liscia come pesca e dolce come miele."
{Iscritta al contest: One shot per l'estate}
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il profumo dell'estate

Cosa vedi straniero?
Nivea pelle dai perlacei riflessi. Morbida...
Seta sotto le tue mani, se avessi la Fortuna di toccarla.
O la Sfortuna… Chi può dirlo?
Movenze Eleganti.
Sinuosa.
Studiato il passo e ogni aggraziato gesto… Inteso ad incantare? Oh si…
E ad ingannare.
Ottenere ciò che si desideri è l’unica cosa che veramente conta.
Questo la Vita Insegna.
 Miele colato assaggeresti dalle rugiadose labbra.
Petali di rosa invitanti.
E gli occhi suoi, acquemarine di pregiata beltà che all’argento van mescolandosi,
ogni cosa maliziosamente scrutano e ardenti promesse custodiscono.
In essi il Riflesso dei Tuoi desideri puoi vedere…
Ma non soffermarti troppo a lungo, poiché nelle loro gelide profondità
potresti essere inghiottito.
Fredda bambola che menzognero Sentimento dona.
Castani capelli che ondeggiano ad ogni passo.
Seducenti…
Su candide lenzuola sparsi…
Voluttuosa beltade.
La desideri?
Non puoi averla… Ella null’altro è che mera Illusione.





Il sole splendeva alto nel cielo di mezzodì, specchiandosi nelle acque stranamente calme e limpide dell'oceano.
Era la prima volta che vedeva il mare, i piedini nudi affondati nella sabbia bollente erano una sensazione sconosciuta e così piacevole da strappare un sorriso giocoso alla bambina. Corse fino alla riva, i morbidi e setosi boccoli castani agitati dalla lieve brezza marina danzavano sulle esili spalle creando un netto contrasto con l'abitino lavanda che la balia le aveva infilato quella mattina. Uno dei suoi abiti più belli, acquistatole da sua madre per l'occasione.
Le era stato raccomandato di comportarsi come una signorina per bene, ma alla vista dello spettacolo di quella spiaggia dorata non era riuscita a impedirsi di togliere le scarpette e prendere a correre sulla sabbia inseguita dalla balia.
Mademoiselle Ophèlie, vi prego fermatevi! Vostra Madre si arrabbierà se vi troverà in disordine” l'affanno della donna rendeva ancor più evidente il timore di essere rimproverata per quella mancanza.
“Marie! E' così bello... Vieni!” la risata argentina della bambina giunse, trasportata dal vento, alla donna che alcuni istanti dopo la raggiunse sulla riva, la mano al petto, il respiro ansante. Nella mano libera stringeva le scarpette, impedendo loro di andar perdute sulla sabbia.
Lo sguardo di rimprovero che posò sulla piccina scomparve lentamente, come l'alzarsi e l'abbassarsi della marea, e venne sostituito da un affetto profondo, quasi materno. La osservò giocare con la sabbia, bagnare i piedini nell'acqua gelida, scuotere il capo rischiando di sciogliere ancor più i nastri con cui lei stessa le aveva intrecciato i capelli quella mattina.
Ophèlie si voltò ed il sorriso su quel volto incantevole sembrò illuminarlo di una luce diversa, spensierata e felice, come mai l'aveva vista. Il cuore della balia danzò al ritmo d'un sentimento così forte da non poter essere spiegato, non avrebbe potuto volere più bene a quel piccolo angelo neppure se fosse nata dal suo stesso grembo. Vederla così felice la ripagò d'ogni attimo passato a dedicare le sue giornate interamente alla crescita della figlia che mai il Signore le aveva voluto concedere.
Mademoiselle Ophèlie, non bagnate l'abito” l'ammonì senza riuscire a mitigare la dolcezza nella voce venendo ripagata da un cenno di assenso dalla bambina, seguito da una risata deliziata.
“Mi piace qui!” esclamò la piccina facendo una giravolta, il viso candido rivolto al sole, gli occhi chiusi e le labbra piegate in un sorriso entusiasta.
“Chiederò alla mia signora Madre di tornare, è così bello...” lo sguardo si perse sull'orizzonte, le dita dei piccoli piedi contratte sulla sabbia, assaporando la sensazione dei sottili granelli sulla pelle, sotto la pianta.
L'odore salmastro, il calore dei raggi solari che le incollavano l'abito alla pelle, la brezza che trasportava il profumo dell'estate, il suono seducente e calmo delle onde avevano conquistato quel cuore di bambina reclamando ogni stilla di letizia.
Perché non siamo mai venute qui?” la piccola chiedeva senza riuscire a fermarsi, danzando sulla sabbia, perdendosi in giravolte, le stoffe dell'abitino che s'allargavano come la corolla d'un delicato fiore. “Non voglio più tornare a Parigi, pensa come sarebbe bello vivere qui Marie. In città piove sempre” il lieve broncio che accompagnò quelle parole scomparve nell'attimo d'un respiro, sostituito da un giocoso sorriso.
Mademoiselle Ophèlie, persino qui al mare d'inverno piove. E' l'estate che porta con sé il sole".
La bambina arrestò la sua danza, i capelli scomposti, i nastri pendenti di lato. Una piccola fata in disordine. Guardò la balia con attenzione, pensierosa, la boccuccia corrucciata. Negli grandi occhi grigi un sentimento combattuto, poi la soluzione giunse così semplicemente da illuminarle lo sguardo.
“Adoro l'estate!”
La balia sorrise, avvicinandosi per tentare di risistemare le chiome in disordine, raccomandandole di stare ferma.
“E adoro il mare. Quando sarò grande vivrò qui con il mio sposo, faremo lunghe passeggiate. E guarderemo i pesci. Anche mia figlia amerà l'estate ed il mare” annuì con decisione, rendendo faticoso il lavorio della balia che si preparò a ripetere il rimprovero, ma fu un'altra voce a interrompere quel sogno ad occhi aperti.
“Ophèlie non ti avevo forse raccomandato di comportarti come una giovane nobildonna?”
La bambina chinò il capo con timore al tono severo e freddo della madre, intrecciando le manine dietro la schiena.
“Perdonatemi Madre”
“Che non accada più... Non mi piace vederti sporca di sabbia e con i capelli simili ad un nido di rondine. E poi quell'abito era nuovo, santo cielo! Cosa devo fare con te?”
I piedini mossero due passi indietro, avvicinando la bambina alla balia, nella ricerca di un silenzioso conforto a quel rimprovero a cui avrebbe dovuto essere abituata. Le piccole dita sfiorarono la stoffa delle gonne della donna, che prese a carezzarle il capo tentando di lenire come poteva quel sottile dolore che, sapeva, il distacco della sua Signora provocava ogni giorno di più a quella piccina, la cui unica colpa era di essere figlia d'una donna che mai avrebbe desiderato una prole.
“In ogni caso” la madre mosse con un gesto aggraziato il ventaglio, sistemando meglio che poteva il parasole per non rischiare di esporre la lattea pelle al caldo sole “ho buone notizie per te, figlia mia” annunciò, sorridendole entusiasta.
La piccina alzò pian piano il capo, osservando la donna in volto. Era bellissima sua madre, occhi azzurri, capelli castani, labbra rosse e pelle pallida. Sembrava una di quelle Madonne dipinte nelle cappelle delle chiese. E quando sorrideva era così simile ad un angelo da desiderare ardentemente una carezza, che mai le aveva però dato. La vestiva come una bambola, le faceva portare doni ma mai un gesto d'affetto, non un bacio né un abbraccio. Eppure, ogni volta che le sorrideva come stava facendo ora sperava che quel gesto giungesse.
Si avvicinò alla madre, un sorriso incerto sulle piccole labbra.
“La tua vita d'ora in avanti cambierà” la donna si inginocchiò per ritrovarsi all'altezza della piccola figura che aveva innanzi. L'eleganza di quel gesto, come sempre, strappò un pensiero di ammirazione alla bambina che avrebbe voluto emulare quelle raffinatezze, così come la madre stessa le raccomandava. Si avvicinò d'un passo ancora, inclinando il capo di lato, pensierosa. Poi d'improvviso s'illuminò, sorrise sbattendo le manine tra loro per la gioia. Non poteva essere altrimenti, sua madre aveva udito ciò che aveva detto a Marie e avrebbe esaudito il suo desiderio stavolta.
“Torneremo qui Madre? Mi piace il mare” enfatizzò quelle parole con cenni affermativi del capo “Quando sarò grande voglio vivere qui con il mio sposo, sarà bellissimo”.
“Quando sarai grande potrai tornare tutte le volte che vorrai, ma non ci sarà alcuno sposo”.
Il sorriso della bambina si affievolì ad ogni parola della donna, fino a scomparire totalmente. L'assordante suono del silenzioso dubbio negli occhi chiari della piccina s'aggiunse alla tristezza  provocata dai frammenti d'un infranto sogno infantile.
“Ma io voglio sposarmi Madre” mormorò con occhi tristi.
“Non accadrà Ophèlie, nessuno ti prenderà mai in moglie. Non hai dote, né un nome nobile. Chi vorrebbe mai una donna che non apporta alcun contributo ad un contratto per la vita?” parole troppo complesse per la comprensione d'una bambina, ma non per quella della balia che vide i suoi più profondi timori realizzarsi pochi istanti dopo aver visto la piccina illuminarsi di autentica gioia per la prima volta dalla sua nascita.
“Neppure la bellezza ti aiuterà a trovare uno sposo” un'altra ferita inflitta all'innocenza, un altro dolore nello spensierato animo. “Ma ti aiuterà altresì a vivere, ci sarà sempre chi pagherà per godere della tua bellezza figlia mia.”
“Io... Io non capisco Madre” caldi lacrimoni scesero sulle gote lisce come pesche. L'istinto la portò a ricercare lo sguardo di Marie, lucido anch'esso; la donna le posò le mani sulle spalle carezzandola con affetto.
“Diverrai ciò che è tuo destino Ophèlie, come me prima di te. Diverrai la più bella Cortigiana di Francia.”
Il calore del sole non fu sufficiente ad asciugare le lacrime silenziose d'una balia che percepì l'infrangersi cristallino dell'innocenza d'una bambina.
 
****
 
La notte era calata da ore ormai, avvolgendo ogni cosa, mutando le finestre delle dimore cittadine in enormi occhi di buio. A quell'ora, quando la luna iniziava la sua discesa verso l'orizzonte per accogliere l'alba ed il suo chiarore, nessuno girava per le strade parigine. Il silenzio pareva assordante, insopportabile. Le era persino più gradito il russare del grasso sconosciuto che le dormiva a fianco, nudo come un verme, esausto dopo quella che per lui doveva essere stata una delle più grandi fatiche mai compiute. Tratto il suo piacere, impacciato e senza alcun riguardo, si era voltato sul fianco dandole la schiena ed era crollato nel sonno lasciandola tremante e sola con sé stessa.
Il suo debutto come Cortigiana, poche sere prima, le era parso un sogno ricco di tinte accese, di ori e brillar di pietre preziose. Tutto era stato curato nei minimi dettagli da sua Madre in quei quattro anni di studio che l'avevano condotta, ormai matura, al Ricevimento dei Conti de Blanchard.
Quando, a soli dieci anni, le era stato annunciato cosa sarebbe stata la sua vita non ne aveva compreso appieno le potenzialità finché non si era ritrovata in quell'ambiente dall'apparente splendore, ammirata ed apprezzata da tutti. Soprattutto dagli uomini, di ogni età e dagli altisonanti titoli. Aveva sorriso, incantando l'intero Salone, aveva conversato argutamente come le era stato insegnato, aveva condito ogni parola d'una sottile malizia. Ed aveva creduto di poter scegliere a chi concedere la prima notte da Cortigiana della sua vita, accecata dalle infine possibilità che le si prospettavano.
Ancora una volta aveva errato. Sua madre aveva preteso tale decisione per sé ignorando l'aspetto degli offerenti, guardando solamente al borsello colmo di denari. E di certo non si poteva dire che non fosse astuta in quel campo: non s'era mai visto negli anni precedenti il pagamento d'una simile somma per una prima notte.
Non aveva potuto protestare in alcun modo, la scelta era ricaduta sul tracotante Barone Chevalier de la Fontaine. Ancora una volta sua Madre aveva mostrato di non prendere in alcuna considerazione il suo benessere; aveva dopotutto compreso con gli anni che la figlia altro non era che un mezzo per ottenere ciò che lei non avrebbe più potuto poiché lo sfiorire della bellezza, con l'avanzare degli anni, l'aveva infine toccata senza alcuna pietà.
Ophèlie si voltò nell'enorme letto sconosciuto, solo la luce d'una candela rischiarava la stanza. Si distese su un fianco, rannicchiandosi nell'angolo più lontano dal corpo che poche ore prima le era gravato addosso. Si strinse le braccia alla vita, ricercando un conforto sfuggente.
Il dolore che avvertiva tra le cosce era nulla se paragonato a quello che le opprimeva il petto, impedendole di respirare. Il ricordo delle carezze indelicate del Barone, del puzzo del suo fiato, dell'odore sgradevole della sua pelle la fecero rabbrividire.
Qualcosa le solleticò le guance, portò nervosamente una mano al viso, ritraendo dita salate da silenziose lacrime. Come quelle della sua balia che l'aveva stretta al petto come non volesse più lasciarla andare quando la Madre le aveva annunciato che la scelta era stata fatta.
La tenda candida alla finestra si gonfiò all'entrare della calda brezza estiva che portava con sé il profumo dei giardini bagnati di rugiada, producendo un frusciare delicato che s'insinuò nella coscienza richiamando alla mente il suono delle lenzuola di quel letto su cui le dava la nausea rimanere sdraiata. Eppure s'era rifiutata di alzarsi, non aveva alcun luogo ove tornare. Era stata pagata un'intera notte, ed ancora non era giunta al suo termine.
Si mosse ancora, lentamente, portandosi seduta. Lo sguardo le scivolò sulla macchia scura che insozzava le lenzuola chiare.
Aveva perso gli ultimi brandelli d'innocenza in un letto sconosciuto, con un uomo per il quale non provava neppure un minimo di rispetto, in uno dei mesi più caldi di quel lungo anno. Sentiva il desiderio infantile di piangere, di lasciarsi andare ai singhiozzi che tentava di trattenere con tutta se stessa, di annullarsi per non sentirsi più insudiciata nell'animo.
Non aveva mai disprezzato tanto l'estate, prima.
 
****

Gli anni erano trascorsi veloci, rendendola una donna bellissima e spregiudicata. Alla soglia dei diciannove anni era la Cortigiana più desiderata di Francia, la sua presenza era richiesta nei maggiori salotti e spesso allietava lo stesso Re con la sua compagnia. Ciò che la sua signora madre aveva sperato s'era realizzato, persino oltre ogni aspettativa della donna che ormai, ritirata a vita tranquilla, godeva dei proventi della giovane figlia.
I Principi ed i nobiluomini le donavano case, gioielli, abiti. I poeti di Corte decantavano le sue lodi: occhi come preziose acquamarine, labbra come petali di rose, chiome folte e sensuali dalla morbidezza di seta. E la pelle, liscia come pesca e dolce come miele.
Era la donna più ricca ed indipendente di Francia. E, forse, questo era l'unico pregio di quella vita che mai Ophèlie aveva desiderato. Con la libertà aveva imparato ad amare il suo status di Cortigiana, con la possibilità di scelta di cui ora godeva era infine giunta a concedersi con piacere agli uomini più affascinanti del Regno.
Il sogno di una bambina in una calda giornata d'estate ormai lontano nella memoria.
Quando lo vide per la prima volta era nella dimora cittadina del Marchese Rochefort Duperre, il suo ultimo amante. Il Nobiluomo, un giovane affascinante dalle chiome bionde e gli occhi verdi e maliziosi, come ogni anno aveva dato un Ballo in maschera che cadeva nella notte del Solstizio d'Estate.
Il Salone era addobbato da nastri e drappi colorati, fiori di stoffa e di carta pendevano dai candelabri di cristallo e oro. I musici suonavano e le note allegre s'alzavano invitando a danzare. Lo sfarzo degli abiti e delle maschere s'accompagnava a quello degli interni dell'enorme Sala da Ballo del padrone di casa, impegnato ad intrattenere gli ospiti con i suoi racconti di caccia.
Dai finestroni aperti una delicata brezza spirava all'interno, portando con sé il profumo dei fiori ed il calore dell'estate.
Ophèlie osservava silenziosa e sorridente l'impacciata corte d'un giovane nobiluomo ad una fanciulla dai capelli biondi quando una sensazione inspiegabile la spinse a distogliere da loro la sua attenzione, scrutando la Sala alla loro sinistra.
Incrociò uno sguardo cupo e distaccato su un volto giovane di uomo. La linea severa di quelle labbra piene non s'addiceva affatto al clima di festa del Salone. I suoi stessi abiti, dalle linee semplici seppur dalle stoffe pregiate, stonavano nell'opulenza che sfoggiavano gli ospiti del Marchese.
Celando la propria curiosità dietro il ventaglio di pizzo osservò lo sconosciuto privo di maschera, l'attenzione catturata dai capelli ramati che, al contrario di quanto si potesse pensare, rendevano il volto spigoloso ancora più virile. Un volto che indurì i tratti al suo esame, costringendola a distogliere lo sguardo. Eppure non passò che qualche istante che si trovò a ricercare nuovamente quella figura, scoprendo i suoi occhi severi scrutarla ancora con attenzione.
Fu l'arrivo del Marchese, reclamante un ballo, a distoglierla dal tentare di comprendere chi fosse quel giovane sconosciuto per il quale perse interesse ben presto al sorriso e alle promesse del suo amante.
 
Il sole era già alto in cielo quando il canto dei passerotti la destò in un letto vuoto. Fu uno dei valletti ad informarla che il Signor Marchese sarebbe mancato l'intera giornata per affari. La giovane donna accolse la notizia con silenziosa felicità; un intero giorno solo per sé era raro e come tale andava goduto nel migliore dei modi.
Scese in giardino con un tomo di racconti tra le mani, lieta della bella giornata estiva che le permetteva di dedicarsi alla lettura. E fu proprio mentre era immersa nell'avventurosa fuga dei protagonisti, seduta sull'erba all'ombra di un possente albero, che una voce sconosciuta la fece sobbalzare con il suo cordiale saluto. Ophèlie alzò lo sguardo e la prima cosa che notò furono le chiome accese d'infuocati bagliori dal caldo sole. Lo riconobbe all'istante, lo sconosciuto della sera prima.
“Chiedo perdono, non volevo spaventarvi”
“Quando leggo tendo ad isolarmi dal mondo Monsieur, per cui non scusatevi”.
L'uomo accolse l'informazione con un lieve cenno del capo. Non sembrava intenzionato ad aggiungere altro, motivo per il quale Ophèlie tornò al suo libro. Un frusciar d'abiti e movimenti alla sua sinistra le annunciarono, prima ancora di poterlo vedere con i propri occhi, che l'uomo aveva preso posto accanto a lei, sul prato.
“Cosa state leggendo?” chiese con il suo accento straniero, osservandola con sincera curiosità. L'espressione del volto rilassata, non v'era più traccia della severità della sera precedente.
Lo guardò per alcuni istanti contrariata, poi con un sospiro si accinse a rispondere.
“Leggende nordiche”
“Ve ne potrei raccontare alcune della mia terra che non trovereste scritte in quel libro” propose con l'ombra di un sorriso a piegargli le labbra.
“Provenite dalle terre nordiche? Difatti il vostro accento non mi è conosciuto, sebbene parliate bene il francese” rispose la giovane, chiudendo il tomo. Probabilmente la sua giornata di svaghi era giunta al termine.
“Dalle fredde Terre del Nord-Est” annuì l'uomo, il sole che giocava tra le fronde, illuminando le chiome rosse di merletti dorati.
“E come mai siete in Francia?” domandò Ophèlie con una scintilla di curiosità nello sguardo.
“Accompagno mio fratello, il Principe Ivan, mi occupo della protezione e dell'organizzazione dei suoi viaggi”.
“Oh... Perdonate Vostra Altezza” si affrettò a scusarsi la giovane, accortasi di non essersi rivolta con i dovuti modi a chi aveva nelle vene sangue blu.
L'uomo l'interruppe con un deciso diniego del capo, spiegando con tranquillo candore che non poteva fregiarsi d'alcun titolo poiché, in verità, era solo un figlio bastardo.
“Ma siete, in ogni caso, un principe. Sebbene solo in parte” si mostrò gentile e condiscendente, così come era suo compito. Da lei d'altronde gli uomini desideravano elogi e compiacenza, l'aveva imparato negli anni.
“No, non lo sono... Un giglio può mimetizzarsi tra le rose, ma rimarrà per sempre un giglio con i suoi petali allungati e candidi. Come voi” lo disse mentre alzava lo sguardo per puntarlo nel suo. Fu allora che Ophèlie s'accorse che quell'uomo aveva gli occhi più azzurri che avesse mai visto, limpidi come il mare estivo. Ma ciò che la colpì fu la sincerità che vi vide riflessa. L'abitudine alle menzogne del suo ambiente l'aveva resa indifferente ad ogni altro che non fossero sottili bugie e raggiri, fu perciò proprio la sorpresa di scoprire un animo genuino e perciò tanto raro in un simile ambiente a renderla incapace di replicare.
Una scoperta dal lontano profumo d'un ricordo d'estate perso nel tempo.
 
Tre settimane erano trascorse da quel primo incontro nel giardino, tre settimane nelle quali Ophèlie aveva avuto varie occasioni di conversare e conoscere Aleksandr, questo il nome dello straniero che sembrava seguire ogni suo movimento. Scopriva il suo sguardo osservarla durante la giornata, sembrava trovarsi in giardino nel medesimo momento in cui vi si rifugiava anche lei alla ricerca di tranquillità e di nuove avventure da leggere o da ascoltare. Aveva per lei sempre una parola gentile e divertenti aneddoti e storie curiose da raccontare, ed una gentilezza disinteressata che la colpiva ogni giorno di più, alla quale non riusciva ad abituarsi.
Quando lui la guardava sembrava vedesse proprio lei, la donna celata dietro la maschera di perfezione che mostrava al mondo. Era come se lui potesse cogliere chiaramente ciò che nascondeva nel profondo d'un cuore inaridito dalla vita, ma nel quale v'era ancora una solitaria stilla di speranza. E questo la spaventava terribilmente, tanto da spingerla a mostrarsi incostante e di umore mutevole più di quanto già non fosse naturalmente. Ma al tempo stesso l'attirava come mai alcun bel sorriso o fascinoso volto - corredato di ingente patrimonio - avevano mai potuto sulla sua curiosità. Qualcosa la chiamava, più spesso di quanto avrebbe dovuto, a ricercare il suo sguardo gentile e sorridente anche nel mezzo di una sala gremita di gente, anche mentre il Marchese la lusingava con promesse sussurrate prima di congedarsi e ritirarsi per i suoi affari.
Era una serata stellata e fin troppo afosa quando il Marchese Rochefort Duperre le comunicò che a giorni sarebbe partito con il Principe Ivan ed il suo seguito per alcuni affari che l'avrebbero condotto a Calais ed oltre la manica.
Aleksandr sarebbe partito.
Il senso di abbandono che si accorse di provare a quella notizia fu insopportabile ed incredibilmente irritante. Il timore, incomprensibile, di perdere la sua compagnia la portò ad agire con impulsività per la prima volta dopo anni nei quali ogni sua mossa era stata calcolata per un determinato scopo.
“Portatemi con Voi, Vostra Grazia!” gli propose, un sorriso seducente ed una silenziosa e sensuale promessa nello sguardo. “Non ho mai visitato l'Inghilterra e potrei essere una silenziosa consigliera qualora abbiate necessità d'un parere prettamente femminile”.
Il Marchese la osservò per alcuni istanti, poi una strana luce gli si accese nello sguardo e con fare condiscendente accettò quella che gli sembrò, d'improvviso, un'ulteriore possibilità di convincere il Duca Wellington a siglare l'accordo.
“Perchè no, mia cara. Le vostri arti potrebbero esserci utili nell'impresa”.
Ophèlie si forzò ad un sorriso gioioso. Aveva sempre saputo di non essere nulla di più che un oggetto per gli uomini e di questo non si era mai posta alcun problema: lei li usava per ottenere libertà e ricchezza e loro l'usavano per il proprio piacere. C'era una sorta di equilibrio in tutto ciò. Eppure sentir pronunciare tali parole rese ciò che dapprima era solo evanescente ben più evidente di quanto non avrebbero potuto renderlo i fatti.
I preparativi per il viaggio tennero occupata Ophèlie nei giorni a venire, eppure mai si negava una passeggiata pomeridiana nei labirintici giardini del Marchese. L'appuntamento silenzioso era per ogni giorno alla stessa ora, nello stesso punto ove s'erano incontrati la prima volta. V'era qualcosa di dolcemente assuefante in quella semplice abitudine, nello scambio di convenevoli. Risate, racconti, confronti su vite completamente differenti.
E più la giovane tentava di comprendere cosa la spingesse a ricercare la compagnia di Aleksandr, più si ammoniva dell'incoscienza di quel desiderio che la invitava a godere della sua compagnia.
E dei suoi sorrisi.
E del suo sguardo che sembrava accarezzarla ardente e delicato al tempo stesso.
Il viaggio non fu troppo lungo, ma le diede la possibilità di riflettere su ciò che le stava accadendo. Sapeva di stare commettendo uno sbaglio, si sentiva fragile come cristallo e mai aveva permesso alla confusione di offuscarle la mente al punto tale da reagire d'istinto, senza riflettere.
Fato volle che si ritrovò su una spiaggia dalla sabbia dorata a poche ore di viaggio da Calais. Il Marchese aveva dovuto deviare per questioni di cui non aveva messo a parte neppure il suo seguito. Con la promessa che li avrebbe raggiunti in serata, si era allontanato lasciando che proseguissero.
Una sosta sembrava d'obbligo a quel punto della marcia ed Ophèlie ne aveva approfittato per passeggiare sulla spiaggia, allontanandosi dal gruppo e dallo sguardo intenso di Aleksandr.
A piedi nudi sulla sabbia, con il parasole a schermarle la pelle delicata, osservava il sole basso del pomeriggio. Un ricordo lontano tornò a visitarla, la prima volta che aveva visto il mare.
L'amarezza d'un sogno infranto le incupì lo sguardo, la consapevolezza della realtà la scosse, turbandola nel profondo.
L'odore del mare, il suono delle onde... Erano sensazioni che la riportavano troppo indietro nel tempo. Ma una novità ancor più fastidiosa s'insinuò tra pensieri confusi quando s'accorse di paragonare il colore del cielo agli occhi di Aleksandr.
“Cos'è che vi fa crucciare così all'osservare il mare?” domandò una voce dal forte accento nordico, prendendo forma dalle nebbie della sua mente.
Come faceva quell'uomo ad essere sempre ovunque lei si trovasse?
“Non sono cose che vi riguardino!” rispose ingiustamente irritata.
Aleksandr sorrise divertito, avvicinandosi di qualche passo. Si era allontanata molto dal gruppo, camminando fin oltre la parete rocciosa, in un'insenatura protetta da cui era impossibile vedere il numeroso seguito del Marchese, in attesa di quest'ultimo per poter ripartire.
“Ho sempre desiderato vivere vicino al mare, il suono delle onde, l'aria che si respira, il sole che scalda la pelle... E' qualcosa di cui al mio paese non è possibile godere” l'uomo si lasciò andare a quella confidenza.
“Cosa vi impedisce di farlo? Da quello che m'avete sempre detto non avete vincoli” gli rispose fingendosi indifferente.
“Avete mai desiderato qualcosa che credevate non fosse alla vostra portata?” chiese allora Aleksandr.
“Io ottengo sempre ciò che voglio” e lo disse con meno convinzione di quanta non ne avrebbe mostrata solo poche settimane prima. C'era stato fin da bambina qualcosa che aveva desiderato e che sapeva bene non avrebbe mai potuto avere.
Lo guardò di sottecchi, il parasole che creava una specie di protettiva barriera contro quello sguardo così diretto da leggerle dentro.
“Io voglio una bella moglie, bambine con i suoi stessi occhi, una casa vicino al mare e il suono delle risate di una famiglia felice” lo disse con una sorta di ardente promessa nello sguardo condita d'una malinconia lontana, specchio di un passato difficile.
Ophèlie sentì il peso di quello sguardo su di sé e percepì con evidente chiarezza il desiderio di realizzazione di quel sogno. Un sogno ch'era stato anche suo, molti anni prima. Un sogno che tornò a tormentarla pian piano, sfuggendo alla prigione e ai lucchetti con i quali l'aveva relegato nell'angolo più remoto della memoria. Abbassò lo sguardo, le labbra una linea tesa, combattendo contro quell'infantile ed inutile ricordo, contro la più irritante sensazione di soffocamento che le donò la consapevolezza che l'addio sarebbe dovuto essere prossimo. E sarebbe stata la cosa migliore, lui avrebbe vissuto la sua semplice vita, avrebbe avuto ciò che desiderava e così anche lei sarebbe tornata alla sua vita di vuoto e bugie, di ricchezza e finzione. Era tutto ciò che aveva sempre conosciuto, ciò che desiderava. Che doveva desiderare.
La compagnia e le attenzioni disinteressate di quell'uomo erano state un diversivo ai tediosi giorni estivi. Non vi sarebbe stato altro.
“Vi auguro di ottenere tutto ciò che desiderate” lo disse senza guardarlo negli occhi, la voce tesa come ogni sua terminazione nervosa. Fece per passargli affianco e tornare indietro verso il gruppo ma Aleksandr la fermò, bloccandole il passo con il braccio e costringendola ad alzare lo sguardo e ad incontrare il suo. L'irritazione si mescolò al timore di ciò che vide in quegli occhi azzurri, di ciò che udì poi.
“Voglio voi”.
La gioia ed il terrore la confusero, spingendola ad una risata nervosa.
“Non siate ridicolo, non potete avermi” tentò nuovamente di allontanarsi ma fu fermata dalla mano che lui le posò sul fianco, costringendola ad indietreggiare. Aleksandr non aveva però alcuna intenzione di lasciarla andare, non stavolta. Non attese alcun permesso per catturarle finalmente le labbra in un bacio che aveva desiderato dalla prima volta che l'aveva vista in quel salone addobbato a festa.
Il parasole cadde a terra quando Ophèlie tentò di respingerlo, così debolmente ed in maniera talmente poco convincente che quando l'uomo la strinse a sé approfondendo il contatto la giovane donna gli strinse le braccia al collo attirandolo a sé.
Il suo sapore, la dolcezza delle sue labbra, il modo in cui le sue mani la stringevano e le carezzavano in cerchi concentrici la schiena le scatenarono un piacevolissimo dolore al petto che non riuscì a negarsi di desiderare, ancora ed ancora.
L'aveva immaginato, l'aveva sognato. E quanto l'aveva persino odiato per quelle fantasie così inopportune.
“Voglio te Ophèlie, ti voglio nella mia vita” le sussurrò nell'attimo in cui lasciò le sue labbra, solo per permettere ad entrambi di riprendere fiato.
Lei scosse il capo più volte, tentando una risposta che lui seppe non gli sarebbe affatto piaciuta e che impedì con un altro bacio. Più dolce e passionale degli altri, più profondo ed esigente. La desiderava da tempo, il suo profumo di violette, la sua pelle di pesca; il sapore di miele delle sue labbra era persino più dolce di quanto avesse immaginato. Voleva perdersi nei suoi occhi grigi, nel calore del suo corpo, in un abbraccio che lei non riuscì a negargli. Perché il cuore sembrava batterle nel petto ad un ritmo mai conosciuto e la pressione allo stomaco, quel dolore sottile, quello struggente desiderio di averlo era più forte della ragione che le suggeriva di scappare. Subito.
Non lo fece, neppure quando si sentì adagiare sulla sabbia, la brezza che le solleticava la pelle delle cosce esposte alla carezza di mani desiderose e al bacio del sole che illuminò di fuoco le chiome dell'uomo, che la guardava come se avesse tra le braccia un inestimabile tesoro. Calde lacrime le bruciarono gli occhi, ma non permise ad Aleksandr di notarle catturando le sue labbra in un nuovo bacio.
Il sospiro del vento tra i sospiri d'un amore che si consumava in carezze ardenti e pressanti, in baci senza mai fine, nell'unione di corpi accaldati e affamati l'uno dell'altro.
Quando Ophèlie tornò al gruppo il sole era ormai prossimo al tramonto. Aveva atteso che Aleksandr si avviasse per primo; l'aveva guardato allontanarsi con un dolce sorriso ed una promessa nello sguardo che l'aveva fatta arrossire, lei, una Cortigiana.
Il Marchese era tornato ed il gruppo era ripartito per Calais, ove si era poi deciso di passare la notte in una ricca locanda per ospiti d'un certo lignaggio.
Ophèlie aveva preteso una stanza per sé ed il Marchese non aveva in alcun modo obiettato a quella decisione, troppo preso da pensieri cui non aveva reso partecipe alcuno per poi sorridere e invitare il Principe Ivan ad una bevuta ed una giocata a carte nella sala comune. Mai indifferenza da parte di un uomo le era sembrata più gradita: quella sera non sarebbe riuscita a mostrarsi pronta a scaldar il letto al suo ufficiale amante, non quando il ricordo dei baci di Aleksandr le infiammava il corpo d'un desiderio ingiusto e meravigliosamente dolce. E lui, l'aveva visto illuminarsi d'una felicità quasi fanciullesca a quella sua richiesta.
Davanti al tavolino da toeletta Ophèlie osservava il suo riflesso. V'era qualcosa di diverso in quella giovane donna che si spazzolava le lunghe chiome castane. Aveva congedato le cameriere; la solitudine aveva preteso spazio, per riflettere. Ed era giunta alla conclusione di aver sbagliato; ma perché quel solo pensiero le toglieva il respiro, soffocandola in sensazioni spiacevoli?
Un lieve bussare la fece sobbalzare. S'avvicinò alla porta con l'intenzione di inventare una fastidiosa emicrania nel qual caso il Marchese avesse deciso di richiedere la sua compagnia. In veste da camera e vestaglia aprì la porta senza neppure chiedere chi fosse.
Fece appena in tempo a incrociare lo sguardo di due occhi azzurri prima di perdersi nuovamente in un bacio che le fece dimenticare ogni buon proposito di troncare qualsiasi tipo di rapporto con l'uomo che ora la teneva tra le braccia.
“Che ci fai qui?” riuscì a chiedere tra un bacio e l'altro. La risposta di Aleksandr si perse nel silenzio spezzato da ansanti sospiri e sussurri d'amanti.
 
I giorni di viaggio passavano veloci, troppo veloci tra le scuse sempre nuove di Ophèlie per tenere lontano dal suo letto il Marchese e gli incontri clandestini tra i due amanti.
Nonostante più volte la giovane si ripetesse di stare commettendo un errore che avrebbe pagato caro, ogni volta che Aleksandr le si avvicinava si perdeva nelle profondità dei suoi occhi limpidi, nella sensazione delle proprie mani tra quei capelli ramati, nel piacevole tepore del suo corpo contro il proprio. Dentro il proprio.
Ogni bacio, ogni carezza rendevano sempre più difficile il momento dell'addio che giunse però troppo presto.
Erano a destinazione solo da un paio di giorni, ospiti del Duca di Wellington, quando accadde ciò che Ophèlie aveva temuto ed al tempo stesso saputo fin da principio, nonostante avesse cercato di ignorare la realtà dei fatti.
Fu quella sera a cena che il Marchese Rochefort Duperre, dopo aver tentato la semplice diplomazia, offrì al Duca qualcosa che avrebbe potuto convincerlo ben più del sonante denaro: la sua amante.
Ophèlie accolse la notizia con stoica compostezza, dissimulando con abilità consumata dalla lunga pratica lo sgomento che le strinse lo stomaco in una morsa dolorosa e che peggiorò nell'istante in cui incontrò il tormentato sguardo di Aleksandr.
Ignorò la sofferenza, ogni desiderio di fuga, persino la sgradevole sensazione di essere in trappola e si preparò a quella notte, una delle tante. Come accadeva da anni.
Non avrebbe permesso ad alcuna sensazione, ad alcuna emozione di intromettersi con ciò che era sempre stata. Si osservò allo specchio; il riflesso che questo le rimandò le parve quello di una sconosciuta nella sua più bella camicia da notte di candida seta. Quando era cambiata così tanto da non riuscire a riconoscersi? La donna che vedeva riflessa era confusa e lo sguardo sembrava perso nelle più buie e tenebrose foreste, lì dove l'oscurità catturava nelle sue spire, tormentando l'animo e soffocandolo.
Non era nulla più che una singola notte, ne aveva vissute tante. Allora perchè sentiva gli occhi bruciare di lacrime trattenute?
Pensò alle ricchezze che le avrebbe portato quell'unica notte, ai gioielli con cui l'avrebbe ricoperta il Marchese qualora fosse riuscita a fargli concludere l'affare. Pensò al prestigio, ai begli abiti, alla libertà. A cose che solo pochi mesi prima l'avrebbero resa spudoratamente pronta ad ingannare un uomo per i propri scopi. Ora... Ora sembravano avere solo il potere di stringere ancora di più quel tremendo nodo allo stomaco.
Una delle cameriere giunse a chiamarla, l'ora era giunta. S'alzò con il cuore stretto in una morsa dolorosa, decisa a scacciare ogni altro pensiero. Sprofondò in quell'angolo della propria mente che le permise di calarsi nel suo ruolo. Lì ove v'era solo il denso vuoto.
Annuì, affrettandosi ad uscire dalla stanza. Lo sguardo deciso, ogni contraddittoria volontà imbrigliata in una sola. Ma bastò incrociare il suo sguardo ad attenderla dinnanzi alla sua stanza, fuori della porta, per sentire la fragile maschera che aveva indossato sgretolarsi pian piano.
“Non andare” le disse Aleksandr, trattenendola per un braccio, affondando il volto tra i suoi capelli profumati…per un altro.
“Devo”.
“Non sei obbligata a farlo” l'uomo scosse il capo, il palmo della mano si posò sulla sua guancia in una carezza delicata. Il dolore che gli vide negli occhi le affondò nell'anima, lo scrigno nel quale aveva racchiuso il suo cuore sembrò incrinarsi come fragile cristallo. Era stato un errore. Non avrebbe mai dovuto permettere a quell'uomo così gentile e genuino di avvicinarsi a lei. Non avrebbe mai dovuto permettersi di cedere, la sua incoscienza stava recando ad entrambi un'inutile agonia.
“Devo Aleksandr, lasciami andare” si costrinse a dire, tentando gentilmente di liberarsi dalla sua stretta.
“Non è vero, tu puoi fare ciò che più desideri Ophèlie. E non è questo che vuoi... Non è questo che voglio. Vieni via con me. Non puoi davvero fare ciò che ti chiede il Marchese!”
L'amore che gli lesse negli occhi, la sofferenza, quella disperazione silenziosa le fecero sanguinare il cuore. Come aveva potuto lasciare che la situazione le sfuggisse così dalle mani... Fece appello all'ultimo residuo di forza che le rimaneva per allontanarlo da sé, nel modo più crudele eppure, al tempo stesso, l'unico che avrebbe potuto funzionare.
“Sono una Cortigiana, è ciò che sono sempre stata Aleksandr, questo non si può cambiare”.
“Io ti amo dannazione!”
Sentì il cuore fiorire e rompersi in mille e più pezzi solo pochi istanti dopo.
“Io non so amare” abbassò lo sguardo, temendo ciò che avrebbe potuto leggerle nello sguardo, strattonando per liberarsi.
“Non è vero, lo so che non è vero”
“Lasciami andare, Aleksandr. Lasciami...” quelle parole ebbero il suono di un addio che si perse nel rumore di passi che s'allontanavano. Quelli di Ophèlie, che scappava da se stessa.
 
Tormentarsi non sarebbe servito a nulla, eppure non riusciva proprio ad accettare ciò che era accaduto. Vederla scappare così da lui era stato quanto di più ingiusto la vita gli avesse propinato. E di difficoltà la sua strada era stata colma, fin da quando era bambino. Figlio bastardo, madre considerata una strega, aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per un'istruzione e per farsi largo nel mondo. Il padre l'aveva riconosciuto solo ormai divenuto adolescente, più spinto dal timore della malattia che aveva costretto il figlio legittimo a letto per quasi un intero anno che per senso paterno. Poi il principe era guarito ed al figlio bastardo era stata assegnata la sua difesa. Non era forse più sacrificabile lui di un erede di stirpe reale?
Riconosceva che quella vita gli aveva offerto però la possibilità di viaggiare molto più di quanto avrebbe potuto altrimenti. Ed infine gli aveva concesso di conoscere Ophèlie, che l'aveva incantato dalla prima volta che aveva posato lo sguardo su di lei. Quella sua aria sprezzante e altera, quella lieve insicurezza che trapelava da alcuni piccoli gesti, il suono della sua risata l'avevano reso schiavo.
Ed aveva iniziato a desiderarla, a volerla per sé. E non per una notte o per un'estate, ma per l'intera vita. Perché lei gli era entrata dentro, come un veleno. Il sapore di miele delle sue labbra, la morbidezza setosa della sua pelle, il profumo di violette dei suoi capelli, lo sguardo di adorazione che non si accorgeva neppure di rivolgergli ogni qualvolta le raccontava nuove leggende...
Un veleno che ora lentamente lo stava uccidendo. Lo sguardo che gli aveva rivolto, la freddezza con il quale l'aveva allontanato... Non era riuscita a guardarlo negli occhi in quei terribili momenti, questo l'aveva notato. Ed a ciò si aggrappava come un naufrago s'appiglia ad un'asse che galleggia in mezzo al mare. A quel piccolo attimo di cedimento. Sarebbe tornata da lui: questo continuava a ripetersi da quasi un'ora, da quando l'aveva vista allontanarsi lungo il corridoio, bella come il peccato, fragile come vetro.
Avrebbe voluto rincorrerla, caricarsela in spalla e chiuderla a chiave in quella stanza lussuosa in cui s'era rinchiuso, camminando avanti e indietro come un leone in gabbia. Ma il suo orgoglio gliel'aveva impedito, ed ora? Ora si stava tormentando a saperla tra le braccia d'un altro uomo, ad immaginare le mani d'un altro sul suo corpo, denudarlo lentamente...
Preso dalla rabbia afferrò il primo oggetto che trovò e lo scagliò nel fuoco del camino. Il vaso andò in pezzi, il rumore che produsse gli ricordò quello del suo cuore andato in frantumi.
Posò le mani sulla mensola sopra l'ampio caminetto, le spalle oppresse da un peso invisibile.
Lei non sarebbe tornata, aveva fatto la sua scelta. Questa era la realtà dei fatti.
Un bussare deciso ed insistente lo scosse da quel crogiolarsi nel dolore. Se fosse stato nuovamente il suo fratellastro, per l'ennesima volta nella serata con qualche altro ordine, gli avrebbe fatto capire in maniera ben poco fraintendibile – un bel pugno era sempre convincente – che non voleva essere disturbato fino all'indomani.
Fu perciò con rabbia che aprì la porta, ma le parole soffocarono in gola al vedere quel volto umido di lacrime. La manica della camicia era strappata, il labbro ferito, i capelli scompigliati e incollati in umide ciocche al volto. Quando ne incrociò lo sguardo la giovane donna si sciolse in singhiozzi e senza bisogno di parole si tuffò tra le sue braccia.
Era lì, era con lui. Era nuovamente nell'unico luogo dove avrebbe voluto che lei fosse. Dove lei stessa si accorse di voler stare.
Chiuse la porta e la strinse più forte a sé, mentre il corpo morbido, ben poco coperto, veniva scosso da singhiozzi sempre più violenti. Il timore fu sostituito da una rabbia cieca; avrebbe ucciso chiunque le avesse fatto del male.
“Cos'è accaduto?”
Pensò al peggio, ad ogni sorta di orribile comportamento a cui l'uomo a volte cede, in quegli attimi di silenzio che si prolungarono in un'estenuante attesa. Ophèlie non rispondeva, continuava a singhiozzare disperata, contribuendo solamente a preoccuparlo ancora di più.
Ormai allo stremo le chiese con voce tormentata “Ma cosa è successo amore mio? Cosa ti ha fatto?”.
La giovane alzò il volto, il naso arrossato, sulle labbra l'ombra di un lieve sorriso, nello sguardo l'inaspettato calore provocato da quelle due semplici parole.
“Mi dispiace tanto Aleksandr, mi dispiace così tanto” singhiozzò ancora più forte Ophèlie, rischiando di farlo impazzire.
“Non ce l'ho fatta... Ho tentato di rimandare il momento il più a lungo possibile. Quando il Duca si è avvicinato e ha provato a toccarmi, io... Avevo solo voglia di scappare. Non ce l'ho fatta...”
“Che stai cercando di dirmi?” le chiese prendendole il volto tra i palmi, guardandola dritta negli occhi alla ricerca d'una risposta.
“Non ce l'ho fatta a concedermi, ho lottato. E sono scappata, sono venuta qui” un altro singhiozzo, più disperato dei precedenti.
“Perché?” non aveva il cuore di lasciare che quella sottile scintilla di speranza desse origine ad un caldo fuoco.
“Perché...”
“Perché...?”
“Perchè Je t'aime! Portami via di qui Aleksandr”.
 
****
 
Il sole splendeva alto nel cielo di mezzodì, specchiandosi nelle acque cristalline del mare. La brezza leggera portava con sé l'odore degli oleandri.
Ophèlie accarezzò la sabbia bianca, perdendosi nelle volute che le sue stesse dita disegnavano su di questa. L'abito leggero che le lasciava scoperte le spalle si allargava intorno a lei, come la corolla d'un gentile fiore color lavanda. I capelli, sciolti sulle spalle, ondeggiavano nel vento danzando leggeri.
Lo sguardo sembrava perso in pensieri lontani, oltre l'orizzonte di quella calda giornata d'estate. Quante cose erano cambiate, la sua vita non era più stata la stessa dopo quell'improvvisa fuga dall'Inghilterra. V'erano stati momenti difficili, pianti, abbandoni. Ma mai si era pentita della sua scelta. Una scelta che l'aveva avvicinata sempre più a quel sogno di bambina che era rimasto sepolto nel profondo del suo cuore per anni ed anni, finché non aveva incontrato un uomo che l'aveva condiviso con paziente attesa.
In una giornata d'estate.
Maman! Maman!” chiamò una vocina acuta, pretendendo attenzione. Si voltò ad osservare la fretta con cui Irina Amèlie le correva incontro, l'abitino sporco di sabbia ed umido d'acqua di mare. Il sole le illuminava i capelli ramati accendendoli di fuoco, un piccolo angelo di appena tre anni che trotterellava a piedi nudi sulla sabbia, seguita da Aleksandr che la guardava con un sorriso divertito sulle labbra.
La bambina allungò le manine mostrando orgogliosa il suo bottino: conchiglie.
Papa dice che possiamo fare una collana” le annunciò con un sorriso luminoso, gli occhi grigi splendenti di felicità, alternando la lingua francese della madre a quella ben più complessa delle terre nordiche del padre con una naturalezza incredibile.
Ophèlie senti il cuore colmarsi d'un sentimento così grande da non poter esser contenuto. Era qualcosa di incomprensibile, di meraviglioso e doloroso al tempo stesso. Era la pace e la tempesta. Era l'Amore.
“Sarà una collana bellissima, ma petite cerise” rispose scostandole una ciocca dei rossi capelli dalla fronte.
“Vieni Irishka, cerchiamo altre conchiglie per fare una collana anche alla mamma” la invitò Aleksandr. Ophèlie si incantò ad osservarlo, nella sua semplice camicia slacciata per metà, piedi nudi e calzoni al ginocchio. Aveva i capelli più lunghi, qualche ruga intorno agli occhi, ma era bello ancora come la prima volta che l'aveva visto.
L'entusiasmo della bambina si espresse in strilla estatiche e una corsa allegra verso la riva che Ophèlie seguì con amorevole sguardo. Distolse l'attenzione dalla figlia solo nell'istante in cui un'ombra le oscurò il sole.
Moya Lyubov'”.{1}
Suo marito, che si chinò con un sorriso malizioso a rubarle un bacio, colmo di promesse, prima di raggiungere la bambina sulla battigia.
Ophèlie li osservò per qualche istante, per poi alzarsi e raggiungerli. Il cuore leggero, un sorriso spensierato sulle labbra. Il ricordo malinconico di bambina sostituito da un presente luminoso.
Sogni di cristallo e collane di conchiglie.
Adorava il profumo dell'estate.
 
 

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{1} Mio amore


Note:
Quando ho scritto questa storia non ero certa che l'avrei pubblicata, nè che l'avrei inserita tra le partecipanti al Concorso dell'Estate per il quale in verità avevo in mente tutt'altro genere di narrazione. Poi, da una foto di una bimba dai capelli rossi è nato tutto ciò: l'ispirazione è arrivata d'improvviso. La Francia, la figura della Cortigiana, il periodo storico sono scelte influenzate dalla mia passione per la Storia e per la lingua francese. Ho tentato di rendere tutto il più verosimile possibile, senza peraltro dare connotazioni storiche precise, spero di esserci riuscita almeno un poco.
Un ringraziamento a Veronica per la foto che ha scatenato l'ispirazione e per i consulti a riguardo dei nomi russi.
Grazie a Simona per la pazienza e per la sua passione per la punteggiatura.
Grazie a Consu che crede in ciò che scrivo.
Un grazie di cuore a mia sorella che quando ha aperto il documento word per una prima lettura ha strabuzzato gli occhi ed esclamato: "E' troppo lungo! Un riassunto?". Pretendo sempre il suo parere prima di pubblicare.
Non tedio oltre, un ulteriore grazie a chiunque leggerà silenziosamente o darà il suo parere pubblicamente.





 



 
 
 
 
   
 
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