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Autore: Tuccin    13/08/2011    8 recensioni
Futurefic (dopo l’episodio 4x22 - The Wrong Goodbye) divisa capitoli. Il punto di vista è alternato Blair/Chuck.
Part I. “Per questo spesso mi addormentavo sulla sua pancia, con la mano sopra quel segno, come per coprirlo: pensavo che non vedendo più quella cicatrice forse avrei dimenticato; avrei dimenticato Parigi, i suoi occhi pretenziosi, un po’ lucidi, e quella scatolina nera”.
Part II."Quando le chiedevo se non aveva paura ad attendermi così nell’oscurità, mi rispondeva viziosa: “E perché dovrei? E poi… non mi vedi forse meglio al buio?”.
Part III. Chuck stenta a riconoscermi, la mia vista lo paralizza e vedo la penna dorata scivolargli via dalle dita. Vorrei dire qualcosa, che sono io, sono Blair… ma non ho voce. Sono muta. Un’insostenibile leggerezza mi abita dentro e una marea di spilli mi pungono la gola.
Part IV. Non meritavo un sorriso neanche quando rincasavo, ma non per questo la sua accoglienza era fredda, anzi la vedevo venirmi incontro ad annusarmi il collo.
Part V. Non vedo neanche la luce del mio anello, Louis l’ha coperto con la mano.
Part VI. Faccio un passo e il sorriso mi si scioglie: Humphrey è seduto sulla sponda opposta. Con la mano a ventaglio sorregge un libro, la copertina recita “Too Much Happiness”.
Epilogo Mi ci vollero tutte le mie forze per prendere la sua mano nella mia, tenerla solo per un istante, farla scivolare via e rimanere impassibile.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Dan Humphrey
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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The Beauty Mark

 

Part. VI

 

 

Quando arrivo all'attico degli Waldorf è passato qualche giorno, sento la barba del giorno prima sfregare tagliente sul palmo della mano, mentre aspetto che l'ascensore mi porti al piano. Sono certo che Louis ha lasciato NYC e, ora che so tutto, voglio parlarle ancora. Fosse anche l’ultima volta.

Tra le ortensie dell'atrio scorgo il viso di Blair assopito dal sonno. Il capo è appoggiato a uno dei cuscini argentati del divano e le braccia sono conserte sotto il seno. Sembra così bella e indifesa che un'espressione beata si dipinge sul mio viso per riflesso. Faccio un passo e il sorriso mi si scioglie: Humphrey è seduto sulla sponda opposta. Con la mano a ventaglio sorregge un libro, la copertina recita “Too Much Happiness1, mentre l'altra è posata sul collo di uno dei piedi di Blair. Con sgomento mi accorgo di come sono appoggiati casualmente sulle ginocchia di lui e deglutisco sentendomi inutilmente geloso. Non riesco a trattenere né la sensazione di possessività che provo nei confronti di Blair né lo sdegno per Dan. Faccio un altro minaccioso passo e Humphrey avverte la mia presenza.

Apro la bocca per sibilare uno sprezzante “Vattene”, ma lui mi zittisce prima che possa dirlo. Con mio grande disappunto si porta un dito alla bocca: “Ssssh”, chiude il libro con un solo colpo e, il rumore delle pagine che si scontrano, fa eco nel salone silenzioso. Poi sposta i piedi di Blair, coperti da una sottile calza traforata, accoccolandoli da un lato. Lo fa con dedizione, il suo è un gesto delicato che, ai miei occhi, risulta fin troppo premuroso. Si alza dal divano, con lo sguardo colpevole e le mani incrociate dietro la schiena. Balbetta delle scuse che faccio finta di ascoltare: da quando Serena è a LA la loro bizzarra liaison è sulla bocca di tutti e frulla anche nella mia mente sospettosa, ma non ho il tempo di occuparmi concretamente di un così insignificante avversario.

“Ci sono io con lei, puoi andare” lo liquido fingendo diplomazia. Me lo lascio alle spalle facendo qualche passo verso Blair ancora addormentata, pensando che Dan capisca l’antifona e che se ne vada subito. Humphrey, invece, si trattiene ancora: “Le stavo leggendo un libro…” mi informa. Poi, non sentendo risposta, aggiunge “… ma poi si è addormentata”. Sorride leggermente tra se e sé, compiaciuto, ma da me riceve solo uno sguardo arrogante e uno sbuffo di disinteresse.

Lo vedo andare via, poi esita e si volta di nuovo: “Blair in questi giorni è stata bene”.

Rimango qualche secondo a pensare quanto la sua pedante, e assolutamente non richiesta, preoccupazione per la felicità di Blair mi dia allo stomaco. Odio il modo in cui Dan riesce sempre a insinuare che io abbia una cattiva influenza su di lei, che sia io - in qualche modo - la fonte del suo dolore.

Il mio sguardo va solo per un attimo a Blair addormentata, poi mi rivolto verso di lui deciso a troncare qualsiasi sua illusione: “Ha sorriso?” gli chiedo in tono di sfida, sicuro di me. Il buio di Blair era troppo pesto questa volta, ne ero convinto.

“Quasi” tenta, dopo qualche secondo di esitazione.

“Come pensavo…” rispondo in tono presuntuoso “E ora se non ti dispiace…” lo congedo definitivamente, slacciandomi il blazer e sedendomi sul divano. Sento le porte dell’ascensore chiudersi e mi sento libero di sporgermi verso di lei.

Blair è fredda e priva di sensi. Mi fa quasi paura e mi sembra ancora più lontana, come se non fosse con me. Non voglio che dorma ancora: mi sembra solo un inutile trucco che la sottrae alla luce e alla vita. Al suo risveglio il dolore sarà ancora lì. Le accarezzo una guancia delicatamente con il dorso della mano, chiamando il suo nome, ma non resisto alla tentazione di massaggiarle il collo, di far scorrere le dita sul suo petto e sul suo ventre. Mentre l’accarezzo sento un senso di imbarazzo e di tenerezza, misto a tristezza e a malinconia per quella pancia così piatta in cui prima si nascondeva qualcosa, o meglio qualcuno. Poi si sveglia: i suoi occhi sono semi aperti e opachi. Alza un braccio per sfiorarmi il viso con la mano, le sue dita accarezzano dolcemente il mio profilo. Forse sente la barba pungerle i polpastrelli e sembra felice di vedermi.

“So tutto”  le dico brevemente continuando a guardare imbambolato il suo bel viso.

Blair apre gli occhi per davvero, le sue pupille si stringono e sembra mettermi più a fuoco. Devo averla turbata a morte perché si tira su con la schiena velocemente e allontana le dita dal mio mento come se l’avessi ustionata.

“Che cosa sai…?” mi chiede senza guardami.

“Il vostro segreto, tuo e di Louis” dico pacato.

Blair mi guarda aprendo un po’ la bocca come se fosse sorpresa, sbatte le ciglia piano e, con un esitante movimento della mano, si ravviva i capelli. Tira un lungo sospiro prima di esprimersi e le parole le escono a fatica: “Louis l’ha saputo il giorno dell’incidente, non gliel’ho detto io” fa una pausa e poi mi chiarisce: “E’ un nostro segreto, mio e tuo” concedendomi anche un sorriso spezzato, mentre i suoi occhi perdono vivacità. Sembra sciogliersi in quella confessione.

“Non capisco” sussurro trasalendo. Non mi ero dato il permesso di riflettere troppo. Per proteggermi non mi ero lasciato andare a congetture fantasiose, avevo preso in mano le indagini di Andrew Tyler per ciò che erano. Fatti e certezze.

Blair attende senza dire altro, sa che avrei capito, mi sarebbe bastato solo un altro secondo.

“Come puoi essere sicura che fosse mio?” sbotto nel silenzio, distogliendo subito gli occhi dal suo viso.

Blair comincia a raccontare debolmente: “Ho fatto il test all’inizio dell’estate, prima di partire per Monaco, solo qualche ora prima che Louis venisse a prendermi…

“Questo non prova nulla…!” la interrompo a denti stretti e con voce tagliente.

“Louis era a Manhattan solo da sei settimane, non avevamo ancora…” lascia la frase lievitare nel vuoto. In quel breve attimo, che mi serve per realizzare il tutto, ricordo la sera in cui Blair era venuta verso di me e spinto in una stanza del Plaza. La porta, solo accostata, mi aveva fatto provare un brivido di eccitazione e l’avevo vista avvicinarsi con lo sguardo basso. Indossava un abito scuro e sinuoso, con un’esplosione di luce sul petto e uno spruzzo di boccioli e petali rosa. Ignaro di tutto mi ero lasciato afferrare per la giacca: il diamante torbido che indossava non le aveva impedito di baciarmi, boccheggiando come se le mancasse ossigeno. Impossibile allontanarla, o cercare di impedire alle mie mani di toccarla o di slacciarla il vestito sulla schiena. Il suo profumo mi aveva stordito facendomi quasi uscire di senno.

“Sei partita sapendo che aspettavi nostro figlio?” la accuso, urlando quell’assurdità che mi fa stringere il bordo del blazer. Le vene della mano si gonfiano e il tessuto pregiato si stropiccia all’istante.

“Ho pensato fosse un falso positivo, volevo che lo fosse, lo volevo così disperatamente…” ammette senza nessuna vergogna.

“Cosa pensavi? Che sarebbe sparito?” continuo a gridare “Complimenti ci sei riuscita, hai ottenuto ciò che volevi” così dicendo, mi alzo e vado verso l’ascensore senza voltarmi indietro e senza sapere più chi sono.  Non ho una famiglia, non l’avrò mai. Quelle stesse mie parole tuonano nella mente come un infausto destino al quale non mi posso sottrarre. Blair aveva detto che sarebbe stata per sempre la mia famiglia, un ricordo dolce, una promessa a cui avevo creduto e alla quale mi ero affidato, come un bambino ingenuo.

Lei mi insegue subito mettendosi davanti a me e impedendomi di passare. Si porta la mano sinistra, sprovvista del mio anello, sopra la bocca spalancata per l’agitazione: “Ero sola! Non sapevo cosa fare! La principessa Sophie mi stava con il fiato sul collo, avevo in mente di andare in una clinica privata per accertarmene, ma avevo paura di scoprire la verità, di finire sulla bocca dell’intera corte… non volevo mettere nessuno in imbarazzo, sarebbe stato uno scandalo… e poi l’ho perso prima che potessi essere sicura…” dice tutto ad un fiato gesticolando appena. Poi si ferma e, in quel silenzio tombale, sembra capire che sono solo inutili scuse e che non ho intenzione di accettarle.

“Non saresti mai dovuta partire” soffio categorico, enfatizzando la parola “mai” con un gesto secco.

Vedo Blair al limite della disperazione: “Appena sarei stata sicura di essere incinta sarei tornata…” dice tra i singhiozzi “Sono tornata” conferma in tono fermo, per dare valore a ciò che aveva fatto.

Io non riesco ad ascoltare una parola di più: Blair è tornata, ma è come se non lo fosse. Sarebbe tornata da me solo per mio figlio, era questo che stava dicendo. Non la vedo più, né lei né il suo amore per me. Il suo corpo esile, fasciato di un tessuto color fumo, sparisce dalla mia vista e sento un immediato senso di benessere. E’ così liberatorio guardare altrove e non mi è difficile superarla di nuovo, avviandomi a grandi passi verso l’ascensore. Lei però non riesce a lasciarmi andare, mi prende per la manica della giacca e la sua voce flebile, ma accusatoria - che le viene dal profondo - mi arriva alle orecchie: “Tu mi avevi mandata via”.

Mi volto ferito da quell’affronto, la bocca mi si piega in un’espressione di cocente delusione: “Ho solo scambiato la mia felicità per la tua, non potevo immaginare che sarebbe costata la vita di mio figlio”.

Rimango fermo qualche istante, stordito quanto lei dalle mie parole. Blair sbatte le ciglia velocemente e le lacrime scendono copiose. Si zittisce e la pressione del suo pugno sulla mia manica si allenta sconsolato. Sono libero di andarmene, così mi volto di nuovo e le porte scorrevoli dell’ascensore si chiudono alle mie spalle.

 

Note:

1 . “Too Much Happiness” è un libro di Alice Munro che ho trovato nella lista dei preferiti da Dan sul sito della CW.

 

*

 

Grazie a tutti i lettori, anche a quelli silenziosi. Il prossimo capitolo sarà quello conclusivo, spero davvero di non deludervi. Mi raccomando di farmi sapere cosa ne pensate dell’aggiornamento, mi fa sempre piacere ricevere un commento, anche critico, non siate timidi (:

 

 

 

  
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