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Autore: liviawood    06/04/2006    2 recensioni
I miei ricordi di lui erano come tutti i ricordi appartenenti ad un altro tempo: i colori erano vividi, le emozioni ancora pulsanti, ma erano come avvolti in una patina brillante di fantasie che avevo costruito intorno alla sua figura, rendendo i ricordi di fatti realmente avvenuti come immagini di un romanzo letto anni prima.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dieci anni.
Erano passati dieci lunghi anni dall’ultima volta che l’avevo visto.
I miei ricordi di lui erano come tutti i ricordi appartenenti ad un altro tempo: i colori erano vividi, le emozioni ancora pulsanti, ma erano come avvolti in una patina brillante di fantasie che avevo costruito intorno alla sua figura, rendendo i ricordi di fatti realmente avvenuti come immagini di un romanzo letto anni prima.
In quei dieci anni avevo vissuto la mia vita, e anche se nei primi tempi bastava il ricordo per farmi star male, alla fine mi ero abituata e avevo smesso di pensare a lui.
Fino a quel giorno.
Un giorno come tanti altri.
Piazza della Scala, Milano.
Era un giorno di sole, uno di quei bellissimi giorni di Aprile che rendono Milano una città meravigliosa: il vento fresco che porta via lo smog, gli alberi che buttano fuori le prime gemme, i petali delle magnolie che volteggiano nell’aria.
Uno di quei giorni in cui mi piace vagabondare da sola per il centro della mia città.
Ero lì, senza motivo, potrei dire spinta dal destino.
Il mio sguardo è subito calamitato da quel nome.
Il suo.
Per quanti mesi ho pianto sussurrando il suo nome nel buio della mia stanza, soffocando le lacrime col cuscino, cercando di cancellarlo dalla mia mente?
Tanti.
Troppi.
E il suo nome era lì, resuscitato prepotentemente dal baratro dei miei sogni infranti.
Il nome del pianista famoso che avrebbe suonato di lì a un mese.
Il primo ricordo che si affacciò alla mia mente dopo il turbine vorticante di emozioni fu il suo profumo.
Eccomi tornata in quarta ginnasio, eccomi tornata alle lezioni di piano.
Aprivo la porta, e anche a occhi chiusi avrei potuto dire se lui c’era. Il suo profumo pervadeva l’aria, una fragranza fresca e pulita, un profumo dolce e per me inebriante.
E poi aprivo gli occhi, e lui era lì, illuminato dal sole e dal suo stesso sorriso.
E le sue mani su quel pianoforte.
Lui quando suonava plasmava la musica e la rendeva qualcosa di magico, di divino, di sovrannaturale. Forse le mie erano le orecchie della ragazzina innamorata, ma non ho mai sentito tanta passione nel suonare come la sentivo nel suo suonare, lì, a fianco a me, in quella stanza illuminata dal sole e invasa dai pollini che entravano dalle finestre spalancate.
È stato il centro della mia vita di adolescente, la causa delle mie lacrime e dei miei sorrisi, dei miei sbalzi d’umore.
Io per lui non sono mai stata più di un’amica.
Mi ero illusa, avevo sperato che lui mi amasse.
Ma avevo dovuto affrontare la verità, ed è stato come scontrare conto un invisibile muro di cemento: non me l’aspettavo proprio, ho girato un angolo e l’ho visto, abbracciato ad un’altra.
Non ho reagito, ero svuotata, apatica.
Mentre ancora la baciava ha alzato gli occhi, e mi ha guardata.
Ho sorriso.
Falsa, falsa.
Sono arrivata a casa, ho preso la bottiglia di rum e ho bevuto tre lunghi sorsi, poi mi sono abbandonata alle lacrime.
Ho finto per un anno di essere una sua amica.
Poi è sparito dalla mia vita.
Non ci siamo più visti, e lentamente abbiamo smesso di sentirci.
L’ho eliminato dalla mia vita.
E ora lui era tornato.
Ho guardato quel nome con terrore.
Non ho saputo resistere.
Pochi minuti e stringevo nella mano sudata un biglietto.
Che paradosso.
Dover pagare per vedere il ragazzo che ho amato.
Un mese.
Mi è sembrato un’eternità.
Dopo dieci anni cosa sarà mai un mese?
Eppure, quei trenta giorni con la consapevolezza che l’avrei rivisto, e che inevitabilmente ci sarei cascata ancora…
Si, ci sarei cascata ancora, lo sapevo per certo, era successo già in passato.
Trenta giorni febbrili, trenta incubi ad occhi aperti intervallati da sogni notturni su ciò che sarebbe stato.
Trenta giorni, e un solo pensiero.
Lui.
E poi arrivò il momento.
Un vestito blu, semplice ed elegante.
I capelli castani, cascata di boccoli sistemati ad arte che scendeva sulle spalle.
Un collier di perle, e gli orecchini abbinati, e un leggero trucco.
Come in un film.
E in effetti mi sembrava di vivere in un film, vivere quella spasmodica tensione prima del finale, dell’incognita.
Prima di lui.
Lui.
Avevo scelto un posto avanzato.
Volevo vederlo bene.
Dieci minuti prima dell’inizio ho quasi ceduto.
Non ce la farò, mi dicevo, non posso sopportare di vederlo ancora, e perderlo.
Mi feci forza.
Le luci si spensero.
Entrò l’orchestra.
Entrò il direttore.
Entrò lui.
L’immagine del ragazzo diciannovenne fu violentemente cancellata dall’uomo di trent’anni che avanzava su quel palco, tra gli applausi del pubblico.
Tra quegli applausi non c’era il mio, soffocato sul nascere dall’emozione.
Non ero in prima fila, ma ero abbastanza vicina da riconoscere il suo viso, da vederlo fin nei minimi dettagli, da vedere i suoi occhi lucenti per l’emozione, il suo sorriso smagliante mentre si inchinava al pubblico accorso per lui.
Sussurrai il suo nome.
La donna accanto a me mi guardò.
Poi mi ricordo solo la musica.
Concerto no3 per pianoforte e orchestra di Rachmaninoff.
Lui ha sempre suonato bene i russi.
Quella sera è stato divino.
Ho detto che ricordo solo la musica.
Beh, lui era musica.
La musica che lui plasmava sovrastava con passione l’orchestra, insinuandosi tra le melodie degli archi, dei fiati, delle percussioni, riempiendo i vuoti che queste lasciavano, riempiendo la sala di quella magia che altro non è che la musica nella sua più alta espressione.
Queste parole non potranno mai far capire cosa voglio dire a uno che non ha mai vissuto un’esperienza del genere, e quelli che l’hanno vissuta capiranno quanto la mia descrizione è incompleta.
Ma vi giuro, neanche il più grande maestro della parola di tutti i tempi potrebbe descrivere cos’è stata quella serata.
Le lacrime mi rigavano il fondotinta, mentre ammiravo il re della scena, il dominatore dell’armonia.
Lui.
Il padrone del mio cuore, anche se sembra stupido da dire.
Il tutto finì tra scroscianti applausi.
Più che meritati, ovviamente.
Ma io avrei osservato un minuto di silenzio, quegli applausi così fragorosi sono una scossa troppo violenta dopo un’estasi come quella che lui ci aveva fatto sentire.
E lì feci la pazzia.
Dopo il bis non mi avviai verso l’uscita.
Andai verso i camerini.
L’addetto alla sorveglianza mi fermò, dicendomi che non potevo accedere ai camerini.
Io aprii la borsetta e estrassi l’ultima cosa che il mio interlocutore poteva aspettarsi: una foto di me e lui, insieme a degli amici, scattata quando io avevo quindici anni.
“Eravamo amici al liceo. Abbiamo perso i contatti, ma vorrei fargli una sorpresa… la prego, mi faccia passare”
L’uomo mi guardò, titubante.
“Non so se posso”
“La prego. Entri con me, e se lui non mi vuole vedere giro che uscirò subito e non tornerò mai più”
L’uomo non disse una parola, ma mi fece cenno di seguirlo e mi scortò verso il camerino.
Mi sentivo fredda, calma. In realtà ero così tesa che non me ne rendevo neanche più conto.
La mia scorta bussò.
“Maestro, c’è una visita per lei. Posso entrare?”
La porta si aprì.
Lui era lì, in piedi davanti a me, la camicia sbottonata e fuori dai pantaloni, i capelli bagnati di sudore e il viso ancora rosso, gli occhi brillanti per l’emozione del concerto.
Sussurrò il mio nome.
La prima parola che sentivo pronunciata dalla sua voce calda, dopo quei dieci lunghi anni, era il mio nome.
Fece cenno all’addetto di lasciarci soli, e mi fece entrare.
La porta si chiuse dietro di me.
Pronunciò di nuovo il mio nome.
Un brivido mi percorse la spina dorsale.
Lui mi sorrise.
“Mi sei mancata”


-------------------------------------- Tutto questo è solo un sogno.
Tutto tranne lui.
E a lui la dedico, al mio pianista, al mio amore.
Qualunque cosa succeda, non ti dimenticherò mai.
Ti ho amato troppo per dimenticarti.
Anche se io sono stata solo un'ombra nella tua vita.
  
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