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Autore: cane_bastardo    14/08/2011    0 recensioni
Uno spezzone di un testo più ampio, che racconta la favola di Medea, un Alice nel paese delle Meraviglie in chiave perfida, una demone.
La sua incapacità nel comprendere i sentimenti viene messa a prova, e nuovamente lei perde.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Voglio raccontarvi una favola..


Continuai ad aspettare, sbattendo i piedi per terra e gonfiando le guance per poi emettere aria, anche questo un gesto fatto per pura noia. Di certo, quando avevo saputo di avere dei fratelli, non mi aspettavo un qualcosa di caloroso, ma più affettuoso di questo, quello sì. Si erano da subito rivolti a me con ostilità, ma erano demoni, di quelli che non facevano finta di essere altro e quindi, per il solo fatto che lo fossero, dovevo giustificarli. Eravamo mostri, non ci si poteva descrivere con aggettivi positivi.
Mi sedetti per terra, noncurante del fatto che mi sarei sporcata o meno. Incrociai le gambe e richiamai di nuovo a me Zunfetto, portando due dita sotto alla sua gola e accarezzandolo in quel modo, stendendolo tra le gambe.
Voglio raccontarti una favola. Tu mi ascolti, non è vero? Lui sembrava che stesse annuendo, inclinò il capo da un lato e mi guardò curiosamente.
C'era una volta una principessa, e come quasi tutte le principesse era bionda, bellissima, ma questa a differenza di altre, non aveva poco seno. Non era colpa mia se le costruivano a modello Barbie, ovvero per nulla gonfie, con un sedere inesistente e piatto e un seno appena accennato. Io di forme ne avevo.
Lei era la più bella di tutte, e persino la Disney arrivò ad odiarla per poi successivamente ispirarsi a lei. Li avevo visti i loro cartoni, e in alcune avevo notato qualche tratto a me famigliare.
Si sentiva molto sola, passava le sue giornate rinchiusa nella sua gabbia, sfogandosi con le poche cose che aveva. No, non sognava il principe azzurro, sarebbe stata prevedibile e lei non voleva esserlo. Si ostinava ad accettarsi per quello che è, così come accettò la sua vita. Il mio sguardo si incupì, le mie ciglia smisero di sbattere per qualche secondo, e le mie labbra si storsero appena per dar luogo ad una smorfia di amarezza.
Lei non aveva ambizioni, era vuota, era in una favola e in quelle non c'è tempo per lavoro o per sogni che non siano sull'amore, poiché in quelle, conta una cosa sola: sistemare la principessa con un prode cavaliere, e arricchirla facendola sposare in un castello. A quel punto mi alzai, prendendo Zunfetto in mano, i piedi erano tesi, resero il passo lento e simile a quello di un automa, mi portarono al pozzo. Abbassai la testa per guardarci dentro. Sapevo il significato che potevo trovarci lì dentro, e quindi non persi tempo a guardarci ulteriormente, rialzando la testa.
Un giorno, conosce un bambino. Un bambino umano. Voleva liberarsene, poiché questo si era perso, ma quando le ammise che i genitori erano stati uccisi, non le riuscì di staccarsene così facilmente. Anche perché lo sapeva che era stato un suo simile a compiere quella tragedia, e sapeva com'era rimanere senza un creatore. Non che Dio mi fosse in qualche modo mancato, precisiamo, ma non avendo trovato la famiglia che speravo nemmeno negli inferi, sola mi ci sentivo eccome, abbandonata.
Lo prese sotto la sua custodia. Il bambino risultò essere molto simile alla ragazza, giocavano insieme, si rincorrevano per le strade, si ingozzavano di schifezze.. si facevano venire anche la nausea insieme. La ragazza non era mai stata in compagnia di qualcuno per così tanto tempo, di solito si stufava in fretta, ma l'ingenuità del bambino nei suoi riguardi, la faceva sentire bene, poiché esso credeva fermamente che ella fosse buona. I miei piedi non reggevano più, ma non per lo sforzo, ma poiché era una storia triste, mi rendeva malinconica, ecco. Mi accasciai a terra, appoggiando la schiena su ciò che rimaneva di quel pozzo. Alzai Zunfetto e lo guardai negli occhi, tentando di capire. Era l'unico che sapeva davvero tutto di me.
Avrebbero dato la vita l'uno per l'altro, o peggio ancora, tutte le loro caramelle. Ed era un fatto molto simbolico, per due bambini, più di qualsiasi altra dimostrazione d'affetto. Quel pensiero mi fece sorridere, i ricordi belli non erano da denigrare anche se non c'erano più, anzi, si doveva godere di ciò che si era avuto e di ciò che si era stato.
Il bambino però, crebbe in fretta, fu un fatto di qualche anno, mentre la principessa non sentiva scorrere tutto quel tempo, rimaneva immutata, sia dentro che fuori. Ed era stata come una maledizione per me, era stato un periodo nel quale avevo odiato la mia natura.
Il bambino aveva sempre meno voglia di giocare. Ora ti racconto una delle loro liti.

Principessa: << Dai giochiamo, voglio vedere chi arriva per primo. >> Mormora con tutta l'esaltazione del mondo la ragazza, stringendo il braccio del suo compagno, e tirandolo per attirarlo a se.
Bambino: << Non voglio, è infantile. >> Lo sguardo di lui rimane impassibile, mentre continua a fissare il libro che sta leggendo senza dare nemmeno un'occhiata a lei.
Principessa: << Ma l'hai sempre fatto, lo abbiamo sempre fatto. Uff. >> Tenta di fargli venire il senso di colpa, di fargli ricordare quanto si fossero sempre divertiti.
Bambino: << Ma sono cresciuto, sono grande ora! >> Urla di scatto, alzandosi da quella sedia e puntando l'indice contro alla principessa, e prima che lei avesse tempo di replicare..
<< Vedi anche tu di crescere prima o poi! Non voglio mai più giocare con te. >> E così la fa scappare, scappa perché ha bisogno di piangere, e non vuol farlo lì davanti ad esso.
 I miei poteri, con le lacrime, si attivavano sempre senza il mio controllo, e io al mondo avrei potuto far male, rendendolo spopolato, ma non a lui. L'unico compagno di giochi, e il migliore, che avessi mai avuto.
Si sentiva di nuovo sola, dopo tanto tempo che non lo era stata. E il sentimento la consuma, la rende più fredda, glaciale, ma non per questo riesce a svuotare le sue emozioni, anzi, queste diventano sempre più intense e la fanno andare fuori di testa. Mi ero sentita letteralmente impazzire, la mia pazienza non era mai stata tanto provata quanto in quel periodo ma nonostante tutto, sopportavo. Abbassai le braccia che tenevano ancora Zunfetto in mano, non avevo idea se capisse o no e un po' stupida mi ci sentivo a comunicargli tutti i miei segreti.
Un giorno non lo trova più, nella sua dimora, e va a cercarlo perché nonostante tutto, ci spera ancora. Lo trova in compagnia di una ragazza, o meglio, di una donna, una donna che sembra molto più grande.
<< Lei non è una principessa. >> Mormora, mentre i dubbi iniziano ad assalirla, mentre cerca di convincersi di non sapere che cosa volesse dire tutto quello.
<< Non c'è mai stata nessuna principessa, questa è la vita Medea, questa è la realtà e la donna che tu vedi qui, io la amo. >>

Non saprei descrivere in dettaglio come mi ero sentita, sicuramente privata di un qualcosa, di un qualcosa di cui io sentivo bisogno e del quale non potevo fare a meno. La sua sola presenza, vicino a me, ormai mi bastava, anche se era cambiato, anche se mi urlava sempre addosso, per questo, accadde l'inevitabile.
<< Vattene dalla mia vita, ti ringrazio per quello che hai fatto per me ma voglio continuare da solo, con lei. >> E a quel punto, vide le labbra di loro unirsi, e non riuscì più a trattenersi. Non scoppiò solamente in un pianto, isterico e strillante, bensì decise anche di tentare di riportare la situazione com'era agli inizi, togliendo alla giovane la sua vita, incolpandola di tutto quello che era successo, considerandola una strega, cattiva e senza scrupoli. Ero fermamente convinta di stare dalla parte della ragione, nulla mi avrebbe impedito di compiere quel gesto.
Fra urla, lacrime.. la principessa lo rassicura che andrà tutto bene, e lo costringe a tornare insieme a lei a casa. Passano i giorni, i due non si parlano, sebbene condividessero gli stessi spazi. Passano i giorni e lei è contenta di averlo con se, tanto che è pronta a chiedergli di giocare ancora, non appena stabilisce che la situazione si sia placata. Entra in camera sua, saltellando con un pallone in mano, lui non giace sui libri come era solito fare, ma per terra, con una grossa chiazza di sangue attorno al petto.
<< Che succede piccolo? Perché ti sei fatto del male? >> Si imbroncia, andandogli vicino e portandolo fra le sue braccia. Il cuore di lui, batte ancora, mentre gli occhi fissano il soffitto, facendo sbattere di tanto in tanto le palpebre.
Ricordo alla perfezione le ultime parole che mi disse, come anche il suo ultimo sguardo, che era disgustato da me.
<< Medea, io ti odio, non ho mai odiato tanto nessuno, ma ti capisco. Ti ho anche amato, quando ero piccolo. Ma non è così la vita, non è un gioco, una favola." E il suo ultimo sospiro fu un "capirai". 
Ecco qual era stato il mio cavaliere, il mio principe azzurro, che avevo ucciso indirettamente.
Sospirai, riprendendo Zunfetto fra le braccia, cullandolo, come se fosse un bambino.
Si chiamava Festo.. Fetto... Zun...fetto. I miei occhi si illuminarono, e forse anche i suoi poiché vi scorsi una luce strana, ma magari ero io che volevo convincermi che capisse. L'avevo trasformato in demone, mi era stato facile dato che era morto con odio, con rancore, e per lui avevo scelto il corpo di un animale, in modo che non potesse perdersi in altre chiacchiere inutili se mai si fosse tenuto il suo corpo, non volevo più stare male. Per qualche strano motivo, rimase sempre con me, persino ora continuava ad affiancarmi, non capivo se la sua fosse paura o un qualcosa che non mi aveva mai fatto vedere, forse mi voleva bene, o forse mi accompagnava per soddisfazione personale, per vedermi un giorno capire quello che lui aveva tentato di farmi comprendere.
Fatto sta che, dopo l'accaduto, avevo perso molta della mia ingenuità, come anche ciò che mi aveva fatto risparmiargli la vita, poiché non era mai successo un'altra volta. Non mi fermavo più a scavare nelle menti delle mie vittime, avevo anche imparato a non sentire più la mancanza di una famiglia, di un punto stabile di supporto. Avevo realmente accettato la mia condizione e me la stavo facendo piacere ancor oggi. Mi divertivo a torturare la gente, era una vendetta perenne per quello che mi era accaduto. Della principessa non avevo altro che l'aspetto, anche se mi piaceva giocare in quel ruolo, ma non permettevo che la mente venisse offuscata da sentimenti che non capivo, non mi sarei mai più azzardata ad entrare in un gioco molto più grande di me.
  
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