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Autore: Neko no Yume    15/08/2011    1 recensioni
-Va tutto bene, vero?-.
-Certo scemo. È solo un incubo…-.
{Accenni di ElliotxLeo}
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Elliot Nightray
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’imponente villa dei Nightray, la stessa magione che di giorno faceva impallidire i nobili più boriosi al cospetto dei suoi bastioni marmorei, scuri, ricoperti di fitta edera, era avvolta nella fitta oscurità di una notte senza luna.
Nessun suono osava incrinare quel silenzio tombale, nessuna civetta faceva risuonare il suo cupo richiamo tra le fronde immobili dei faggi e le querce secolari, nessun grillo cantava oziosamente, il vento accarezzava quasi con rispetto l’aria circostante.
Poi, improvviso, l’urlo.
Un grido disperato, angosciato, fuggito dal petto ansante e terrorizzato di Elliot Nightray.
Il busto eretto del ragazzo si stagliava nell’ombra della stanza, nitido contro il pallore smorto e palpitante delle stelle, il luccichio degli occhi spalancati fisso senza una meta precisa.
Anzi, una meta c’era: scappare.
Scappare dall’odore nauseabondo e metallico del sangue, dalla vista di corpi esangui, annegati in laghi cremisi e vischiosi che si spandevano sotto di loro, sino a lambire i suoi piedi.
Quell’incubo ricorrente lo perseguitava da mesi, ormai.
Aspettò come sempre che il respiro si calmasse, che il cuore smettesse di battergli così furiosamente, sino a rimbombargli nelle orecchie, che le dita affusolate smettessero di stringere convulsamente le lenzuola, poi si voltò verso il letto accanto al suo.
In quel periodo le lezioni alla Latowidge erano sospese per un breve periodo di vacanza, quindi sia lui che Leo si trovavano nella casa ancestrale.
Aveva avuto un aspro diverbio con suo padre per riuscire a ottenere che un “misero servetto” dormisse nella sua stessa camera, oltretutto in un comodo e ampio letto a una piazza e mezzo, ma le sue grida e lo sguardo di ghiaccio, irremovibile e freddo nella sua determinazione, l’avevano spuntata.
Le sottili iridi cerulee, ancora sgranate per la paura, incontrarono quelle grandi, liquide e assonate dell’amico, velate dagli scarmigliati capelli castani.
I due si scrutarono per un istante, senza parlare, poi Leo sbuffò spazientito.
-Di nuovo gli incubi, eh?-, chiese in un sussurro, intimorito dal silenzio notturno.
L’altro annuì appena, a disagio, gli occhi fissi nei suoi, ricolmi di angoscia.
-E, ovviamente, un nobile grande e grosso come te non riesce a riprendere sonno-.
Un’ombra di dispetto attraversò fulminea il viso del Nightray, mentre la sua mano afferrava il cuscino e lo lanciava contro la faccia dell’altro.
-Non è divertente, Leo!-, berciò risentito, mentre il servo non riusciva a contenere un’irrefrenabile ridarella, le mani strette attorno ai fianchi sottili.
-Oh, invece lo è eccome!-, gli rispose lui tra una risata e l’altra, poi si calmò e incurvò le labbra in un mezzo sorriso, quasi una smorfia dolcemente rassegnata.
-Su, vieni qui-, concesse, scostando le avvolgenti coperte di lana con un braccio.
L’altro ricacciò indietro l’orgoglio ferito che lo spingeva a tirare un pugno in testa a un servo così impertinente e scivolò giù dal suo letto, intrufolandosi poi in quello dell’amico.
-Hai i piedi freddi-, commentò, non senza una punta di divertito sarcasmo, mentre sentiva gli artigli insanguinati degli incubi allentare gradualmente la presa su di lui, scacciati dal piacevole tepore di quel giaciglio.
Leo non rispose alla provocazione, ormai avvezzo alle piccole, innocue e soprattutto divertenti ripicche del padroncino, e strusciò una gamba contro la sua, scherzosamente in cerca di calore.
Sentì le braccia di Elliot cingergli la vita, attirarlo dolcemente a sé, quasi come un peluche, poi le loro fronti si sfiorarono, cozzarono appena l’una contro l’altra.
Da quella distanza così insignificante poteva distinguere i tratti finalmente distesi del nobile, che gli sorridevano nel buio.
Si sforzò di abbozzare un sorriso di rimando, ma una nausea sempre crescente, altalenante, si stava impadronendo delle sue viscere.
Il capo di Elliot scivolò sonnolento fino a poggiarsi sul suo petto, in placido ascolto del battere ritmico e cullante del suo cuore.
Il giovane erede amava restarsene così, senza pensare a niente, pervaso dal profumo caldo e piacevole della lana e dell’esile torace di Leo, che respirava sotto di lui.
-Va tutto bene, vero?-, biascicò, la voce impastata dal sonno.
-Certo, scemo. È solo un incubo…-.
Le palpebre pesanti si richiusero sulle offuscate iridi azzurre, mentre dalle labbra usciva un ultimo mugolio d’assenso e le gentili dita dell’amico gli arruffavano la chioma bionda.
Ma Leo non poteva dormire.
La mente si popolò inesorabilmente di voci, volti sconosciuti, senza espressione, che ripetevano instancabilmente, come una cantilena maledetta “Tu hai fatto questo”.
Lui, solo lui, era responsabile delle visioni che turbavano il Nightray, nessun altro.
Era colpa sua.
No, solo un incubo… Solo e soltanto un incubo.

La villa dei Baskerville era fredda e austera quasi come quella dei Nightray, ma era ugualmente avvolta dallo stesso, macabro silenzio.
Solo una cosa era cambiata nelle notti senza luna: era Leo a svegliarsi di soprassalto, col cuore in gola, perseguitato dalle ultime immagini nella tragedia accaduta per colpa di Isla Yura, un urlo smorzato dall’angoscia, soffocato a fior di labbra.
Ma per quanto si voltasse, non avrebbe più incontrato il bagliore degli occhi di Elliot.
Era solo un incubo…
Un incubo.
L’incubo che aveva ingoiato la realtà.
E per quanto soffocasse i violenti scossoni che lo pervadevano, non si sarebbe più svegliato.
  
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