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Autore: _Ales    15/08/2011    1 recensioni
E' convinzione unanime -perlomeno tra le inguaribili romantiche- che il Principe Azzurro, il Grande Amore, l'Anima Gemella -o qualsivoglia altro nomignolo zuccheroso da appioppare alla persona con cui passerai il resto della vita- sia il ragazzo perfetto.
Per intenderci, quello con cui è tutto rosa e fiori fin dall'inizio. Quello bello, bello, bellissimo, e educato, e gentile, e premuroso...
Ma se il Principe Azzurro - Charming Prince o chicchessia- fosse proprio il tipo davanti a te che, tra un sorso e l'altro, vanta di poter pronunciare l'alfabeto ruttando?
Una storia volta a narrare le (dis)avventure in cui s'incappa per scovare l'Amore e che salta dalla teoria degli Spiriti Affini a quella, molto meno poetica, del "Carneade! Chi era costui?" .
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ebbene sì, dopo un anno- o forse più- di silenzio sono tornata con una nuova storia.

Ringrazio anticipatamente le anime pie e coraggiose- se ci saranno- che leggeranno questa storia. Chiunque voglia, è libero di lasciare un commento, sia esso una nota positiva che negativa: le critiche fanno sempre bene e, inoltre, sarei lieta di sapere cosa ne pensate.

Inutile dire -ma doveroso farlo- che i Tokio Hotel non mi appartengono e quanto di seguito riportato è frutto solo e soltanto della mia fantasia. Ergo, non intendo rappresentare situazioni veritiere o prossime alla realtà, né offendere la sensibilità di qualcuno . Dulcis in fundo,  il mio scopo non è altro che intrattenere chiunque voglia leggere-  il che non ha niente a che vedere con il lucro, come si può ben capire.

Assodato questo, vi auguro una buona lettura.






*


Quando si vive in un paesino dimenticato da tutti- persino o quasi da Dio- la  più grande aspirazione è quella di evadere. Fare i bagagli e svignarsela nella città più vicina -magari distante chilometri e chilometri e chilometri.

Si inizia a covare quella disperata voglia di andare via quando, accendendo la televisione  -o "quel maledetto aggeggio che plagia la mente umana", stando alle parole di tuo padre- ci si accorge che, oltre al  minuscolo mondo in cui si vive fatto di ruscelli gorgheggianti, laghi argentei e prati fioriti e popolato in gran parte da deliziosi animaletti (senza omettere pecore belanti e mucche ruminanti ) -praticamente un luogo uscito dal cartone di Heidi- c'è un intero universo da scoprire. E chissenefrega se quella nanerottola dalle scocche rosse aveva rinunciato a Francoforte per tornare in quei posti incantevoli- che, volgarmente parlando, avrebbero letteralmente fatto un baffo al locus amenus di Petrarca.

In altre parole, tutto ha inizio quando si capisce che il fiabesco Principe Azzurro dagli occhi cristallini e la chioma aurea di certo non verrà a prendere la sua Biancaneve alla baita dei nani in sella al suo candido stallone, ma la suddetta  dovrà accontentarsi -se non addirittura essere lieta- di far colpo su un Peter spettinato e dai vestiti rattoppati.

Insomma, quando passano davanti agli occhi anni e anni di esistenza -quattordici o giù di lì- e vedi che non si è fatto  altro che congetturare  sul fatidico momento in cui Biancaneve sarebbe montata in sella a quel magnifico destriero, un po' di domande almeno qualcuno inizia a porsele. Soprattutto quando ci si rende conto della concorrenza- e, diamine, che concorrenza se sono tutte come quelle che appaiono in televisione!

Più si guardano quelle ragazze truccate, belle, alte, magre e piene di sé, più risulta evidente che per sbaragliare quella concorrenza si dovrà penare tanto, ma proprio tanto.

E forse nemmeno lì, nella grande città tanto agognata, salterà fuori l'Amore, quello con la A maiuscola, per milleuno e più motivi -in primis l' umile provenienza e quell'aria da sognatrice stralunata, in secundis - e non meno importante-  perché l'Amore , molto probabilmente, si è nascosto, offeso dall'impudicizia mondana.

Quando si fanno i conti con la realtà, quindi, si intuisce che sì, si è i protagonisti della propria storia, ma non sempre ci si può calare nel ruolo di regista perché il Fato ha sempre l'ultima parola su tutto, un po' come una primadonna.

Dunque, alla soglia dei diciannove anni, non si è più l'innocente-perlomeno in teoria dovrebbe essere così, ma la pratica è tutto un altro paio di maniche-  sempliciotta estraniata dal mondo e pronta a credere a qualsiasi cosa; allorché, checché ne dica la tua insegnante di geografia, qualcosa alla globalizzazione lo devi -oltre che al sale che hai nella zucca.

Ironia della sorte, però, ci si ritrova persino a dover ringraziare di essere stati cresciuti in quel buco, lì dove i sentimenti sono puri e intatti come la natura intorno che abbraccia quei posti come a proteggerli da un'imminente depravazione.

 

Alla soglia dei diciannove anni, quindi, si decide che potrebbe essere arrivato il momento di prendere in mano la propria  vita e decidere cosa farne. Il liceo è ormai storia chiusa (perché sì, incredibile ma vero, anche nei dintorni di quel microbo che è il  paese in cui si è stati tirati su c'è il liceo) e si ritiene che l'università sia un ottimo pretesto per chiedere ai propri genitori di lasciare il nido  per poter  spiccare il volo perché, benché il verdetto spetti alla succitata Primadonna , non la si può sempre scomodare.

A volte le circostanze vanno anche create.

D'altra parte, quando si è giovani le sfide non spaventano, al contrario, spesso, sono proprio queste a rendere ancor più incontrollabilmente desiderabile quello che si vuole.

In altre parole, a diciannove anni l'oggetto delle proprie brame cela tutta quella serie di inconvenienti e problemi con cui ci si potrebbe scontrare durante il percorso. Di fatti, checché si voglia dire in propria difesa, in realtà si è consapevoli di sbattersene delle buche e dei dossi -un po' perché si è forti della propria giovinezza, un po' perché a certe cose non ci si pensa e basta.

Quando, poi, si è cresciuti in un paesino di circa quattrocento anime - che tra l'altro si conoscono dalla prima all'ultima- ,  risulta difficile creder che il signor Schmidt, che abita tre casette più in là, possa essere accusato di aver violentato una ragazzina o che il furgoncino sgangherato e fumante dei coniugi Koch possa investire qualcuno.

Per carità, sono cose che succedono -le si sente al telegiornale un giorno sì e uno no- ma... Perché dovrebbero capitare proprio a te? Perché dovrebbero decidere di ferire proprio te?

Insomma, quando non si sogna altro che evadere, si è decisi a non farsi abbattere da nulla: né dalle pressioni della signora Fitch -l'adorabile vecchietta perennemente seguita dal suo cagnolone bavoso e scodinzolante Schatten, tanto da non sorprendersi che si chiami, per l'appunto, Schatten - tantomeno dagli occhioni lucidi e acquosi della piccola Hannah- la dolce nipotina di quella gran pettegola della signorina Füg.

 

 

Così, quella fresca giornata di mezza estate del duemilanove era arrivata e aveva portato con sé quell'immancabile valanga di speranze, sogni e aspettative che l'avevano presa in pieno e travolta -non che  avesse fatto realmente qualcosa per evitarlo, ma non si poteva di certo asserire di essere in grado di mancare una valanga come quella che si era abbattuta su di lei con una precisione chirurgica, se non micidiale. Stava lì, ferma sulla soglia della porta, con le mani che si contorcevano febbrilmente e la gioia dipinta sul volto  ad aspettare  con quello stato d'animo e quell'espressione che si addicono più ad un cucciolo desideroso di  una lunga passeggiata che non ad una diciannovenne cresciuta e -più o meno- vaccinata.

 

Quella mattina era talmente euforica che persino il beep ripetitivo e assillante della sua sveglietta le era sembrato meno fastidioso del solito- tanto che quando aveva attaccato il primo il beep alle sei spaccate era già balzata in piedi e si guardava attorno come ad essere sicura che tutto quello che la sera prima aveva meticolosamente sistemato fosse ancora lì al proprio posto. Superfluo constatare che, a parte il lenzuolo del suo letto- che aveva creato una rete di grovigli tanto fitta che, messo a confronto, il nodo gordiano sembrava un miserrimo cappio- ogni cosa era rimasta così come l'aveva lasciata prima di chiudere gli occhi: le due valige -stracariche dei vestiti che avrebbe portato con sé e che sembravano implorare di essere svuotate- erano ancora accanto al letto, mentre i vestiti che avrebbe indossato per il viaggio erano diligentemente appoggiati sulla sedia, piegati di tutto punto- segno che la sera prima erano stati accuratamente stirati con le mani più e più volte e che durante la fase del "controlla che lo spazio ai lati del buco sia lo stesso"  le misure sembravano essere state prese con la riga. L'operazione, come si può capire, era quindi riuscita con un tale successo che qualsiasi commessa si sarebbe mangiata le mani pur di equiparare il risultato.

Iniziò a muoversi per la stanza semibuia, illuminata flebilmente da quei primi timidi raggi di sole,  con una consapevolezza tutta nuova che aveva il sapore di un'imminente indipendenza che  era stata conquistata con pazienza e tanta, tantissima buona volontà. La tattica del "resisti fino al liceo e cerca di apprendere lo scibile- per quanto sia possibile" era proseguita a gonfie vele e adesso, ad un passo dal traguardo, si sentiva leggera come un piuma, pronta a procedere sospinta dal Fato. Di lì a poche ore - alle nove e zero cinque in punto- sarebbe partita per raggiungere Amburgo, un vero e proprio richiamo per quelli come lei che credevano di poter realizzare lì i propri sogni (o almeno in parte) -oltre ai giovani che nella stessa vedevano la Paradise city cantata da Axl Rose & co.

Continuò imperterrita la perlustrazione di quella camera- la tana piccola e accogliente  dove aveva fomentato sogni e ambizioni che adesso la portavano a lasciare quello stesso riparo che per  tanto tempo era stato simbolo di protezione e calore- per i dieci minuti seguenti, sicché quando la porta si aprì sussultò, portandosi una mano al patto.

<< Tesoro, la colazione è pronta: te l'ho lasciata sul tavolo, giù in cucina. Mi raccomando, sbrigati a scendere, altrimenti si fredda tutto. >> la voce pacata di sua madre l'aveva raggiunta come un eco lontano, mentre quel fiotto di pensieri continuava a fluttuare lento e, all'apparenza, inarrestabile.

Non mancando di notare lo sguardo interrogativo della donna di fronte a lei, si affrettò a farfugliare un poco convinto.

Quando Jutte si richiuse la porta alle spalle, la ragazza iniziò a lavarsi e vestirsi concitatamente, sicché una mezz'oretta dopo era già in piedi sullo stipite della porta, affiancata da quelle due valige obese e una borsa - non di certo messa meglio.

Guardò in direzione della cucina, da cui provenivano una serie di rumori sospetti - segno che sua madre stava cercando di raccogliere quanti più viveri possibili attanagliata dal pensiero che la sua piccola avesse potuto dimenticare qualcosa. Di fatti, dopo un minuto buono quell'esile figurina dai capelli biondi che era sua madre si fiondò nell'ingresso cercando di caricare la figlia con quella che sembrava un'infinitesima scorta di cibo, che avrebbe fatto invidia alla cucina più rifornita. In realtà, sapeva che Jutte le stava rifilando tutte quelle cianfrusaglie - e lei aveva capito che non si trattava solo di cibo quando si era ritrovata in mano l'ennesimo rotolo di carta igienica con la scusa che "E' utile in qualsiasi momento, Liebe. ", volendo citare sua madre-  per protrarre quell'addio più a lungo che poteva.

<< Mamma.. >> sebbene fosse stato poco più che un sussurro, la donna smise di armeggiare con tutta quella roba utile per guardare dritto negli occhi la figlia. Mai si sarebbe aspettata che quel momento sarebbe arrivato tanto in fretta. Il momento in cui la sua piccola Heidi sarebbe diventata un'adulta, per così dire. Osservando la ragazza si accorse di quanto fosse cresciuta: non era più la bambina dai capelli biondi che si rifugiava tra le sue braccia perché cadendo si era sbucciata le ginocchia, tantomeno il bocciolo da cui sarebbe germogliato il fiore più bello -e non era solo orgoglio di mamma. No, adesso si trovava di fronte al fiore meraviglioso che era (s)fortunatamente bocciato, ad una giovane donna -anche se di strada avrebbe dovuto farne ancora tanta.

Ti prego non farmi piangere adesso. Tipregononfarmipiangereadesso! si disse prima di continuare.

<< Non devo partire per la guerra, mamma. Sta' tranquilla:me la caverò. >>

<< Ma se.... >> tentò Jutte con gli occhi che le si riempivano di lacrime.

Fa' che non pianga nemmeno lei. Ti prego, ti prego, ti prego.

Sfoderò il sorriso più rassicurante che poteva regalarle in quel momento e l'abbracciò. Un abbraccio veloce, senza pretese e senza lacrime- che avrebbero, altrimenti, reso il tutto ancor più mogio.

<< Ti chiamo presto.  >> concluse specchiandosi in quegli occhi azzurri come il cielo così lucidi che l'acquazzone che si sarebbe riversato selle guance di Jutte sembrava -se non prevedibile- quantomeno incombente.

La donna sorrise di rimando  -per quanto poco convincente fosse stato il tentativo- aprendo la porta e aiutandola a caricare i bagagli.

 

 

Ok, è fatta.


   
 
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