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La Villa
Lampi.
A Twilight
Town non pioveva mai, prima. Tutti la
conoscevano come una cittadina tranquilla e sonnacchiosa; mai un sentore di
novità, mai un accenno di bizzarria – c’erano, sì,
quelle che Pence amava definire «le sette
meraviglie», ma nessuno di loro era rimasto sorpreso quando avevano
scoperto che erano tutte frottole assecondate dalla soggezione e
dall’ottusità di certi personaggi del luogo.
Però la Vecchia
Villa era tutta un’altra storia; e poi
era cominciata la faccenda del cimitero.
Sora frenò
bruscamente e piantò i piedi nell’erba umida, sollevando schizzi
di fango. Nove biciclette si fermarono al di qua dei cancelli finemente
lavorati in ferro battuto, e nove paia di occhi si sollevarono sulla nuova
‘meraviglia’, l’ottava.
Quella che nessuno, finora, era riuscito a spiegare.
Sopra la Villa il cielo
era di un nero puro. Anche questa era una cosa mai vista, proprio come quei
lampi che di tanto in tanto illuminavano il mondo di una luce dura e spettrale.
Sora deglutì. Non era più così sicuro del proprio
coraggio, e odiava soprattutto l’idea di aver trascinato anche gli altri
in questa faccenda – non se lo sarebbe mai perdonato, se fosse accaduto
loro qualcosa per via della sua cocciutaggine.
«Ci siamo.»
Si voltò a guardare i suoi amici, i volti pallidi, le labbra tese.
«Se qualcuno vuole tirarsi indietro, questa è l’ultima
occasione per farlo. Da qui in avanti può succedere qualunque
cosa.»
Si udì lo sbuffo
derisorio di Axel, come un anticipo del suo tipico
ghigno. «Ci credi dei conigli?»
Sora si morse la lingua.
Aveva voglia di rispondere che semplicemente
si preoccupava per loro – cosa che Axel era
evidentemente incapace di fare – com’era giusto che fosse,
dopotutto. Ma si sentì addosso lo sguardo impassibile di Riku e non ebbe il coraggio di mettere così allo
sbaraglio le sue debolezze.
Si limitò a
passare in rassegna le loro espressioni: gli sguardi impauriti ma decisi di Kairi e Olette,
l’impazienza di Hayner, la fermezza composta di
Naminè. Erano tutti così diversi, ma
tutti erano intenzionati a seguirlo là dentro. Tutti avevano la forza di farlo... e una ragione che li accomunava.
Sora si voltò e
prese un respiro profondo. Dall’altra parte dell’inferriata, la
Villa si ergeva silenziosa e minacciosa, le finestre spalancate su quei
bagliori luminescenti che avevano messo in allarme Twilight
Town, la città del sonno, il paese senza storie.
«Allora
andiamo.»
Lasciò andare la
bici e iniziò la scalata del cancello. La pioggia cominciò a
cadere in quello stesso momento, come un monito. Contemporaneamente
l’uscio della Villa si aprì, con un cigolio che sovrastò il
tuono.
Un rapido sguardo al di
là delle sbarre, e Sora ebbe la sgradevole sensazione che li stesse aspettando.
Note dell’autrice
Voi non potete e non
potrete avere mai la benché minima idea della lunga e travagliata genesi
di questa storia. Davvero, se penso al tempo che ci ho messo per scriverla mi
faccio paura da sola. Ma andiamo per ordine.
È un’AU,
eppure non è totalmente AU. Voleva
essere una horror, eppure non è esattamente
horror. L’unica cosa che posso dare per certa è che è
ispirata, soprattutto nella parte iniziale, al mediometraggio
di Michael Jackson Ghosts
del 1997 (una pellicola che, tra l’altro, vi consiglio sia che siate suoi
fan sia che no, perché è geniale a dir poco).
I capitoli sono
soltanto sei e tutti sono più o meno completi... Per quanto la rilegga,
io non riesco a trovarci un senso, ma
magari voi sì.
Spero apprezziate.
Davvero.
Aya ~