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Autore: roxy92    16/08/2011    3 recensioni
Dal prologo "Un oggetto pesante cadde in acqua. Lo udì sbattere con un tonfo sordo ai piedi del fiume. Un mugolare sommesso gli permise di identificare qualcosa di vivo. Ne avvertì l’aura e non era umana. Sospirò seccato volando nella giusta direzione. Era sicuro solo di una cosa a quel punto: rogne."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si era limitato a raccontare lo stretto necessario a Balzar, per poi fuggire via dall’obelisco. Non sopportava la vista di quel gatto, ne la sua voce squillante. Ancora di più, voleva liberarsi della straniera che aveva portato lassù. La mollò senza troppe cerimonie a un curioso Jirobai.

“L’hai ridotta tu in questo stato?”

Piccolo lanciò un’occhiata talmente scura che il terrestre si morse letteralmente la lingua.

“Non ti scaldare. Era per chiedere. Si sa che sei forte… magari l’hai colpita per sbaglio.”

Il namecciano stava per colpire lui, invece, ma il richiamo accorato del gatto lo trattenne.

“Lo sai che parla a vanvera. Lascialo stare… Piuttosto…”

Si portò direttamente davanti a Jirobai, in modo da occultarlo completamente, e posò il bastone sulla spalla di Piccolo, dato che con la zampa non ci arrivava.

“…avrei bisogno di qualche dettaglio in più. E’ piovuta dal nulla, hai detto. Sicuro che provenga da tanto lontano?”

“Quando si sveglia può rispondere benissimo lei alle tue domande.”

Il guerriero aveva già liberato la propria spalla e si era diretto a passo sicuro verso il parapetto dell’obelisco. Deciso, spiccò il volo.

Udì chiaramente quando Balzar gli borbottava dietro di essere uno zoticone. Non l’avrebbe mai e poi mai dato a vedere ma, chissà perché, ogni volta che quel gatto lo insultava, sotto sotto, un pò gli veniva da ridere.

Era ritornato alla calma dei suoi allenamenti nei pressi della cascata. Udì dei passì e una voce che lo chiamava. Ignorò apertamente la seccatura e si trovò a schivare un’onda di luce di scarsa potenza che l’avrebbe centrato in pieno.

“Adesso che mi ha degnato della tua preziosa attenzione, puoi rispondere alla mia domanda?”

Scese a terra contrariato. In realtà, non appena aveva riconosciuto la voce della straniera aveva iniziato a salire più in alto. Purtroppo Leara, oltre ad essere una esperta seccatrice, aveva dimostrato di avere anche buona mira.

Quando atterrò, Piccolo si ritrovò di fronte una ragazza che appuntava le mani ai fianchi e gonfiava le gote come una bambina imbronciata. Senza lividi e impiedi, potè apprezzare una bellezza delicata, volutamente mantenuta a tratti selvaggia e un po’ acerba.

I capelli, sciolti e mossi, le arrivavano alle spalle ed erano trattenuti lontani dal viso da tre cerchi dorati che abbracciavano la nuca. Spiccavano chiaramente, con quel verde smeraldo, sulla pelle chiara, di una lieve tonalità azzurrina. Erano messe in bella mostra le orecchie, piccole come quelle degli uomini, ma che terminavano a punta. Gli occhi nero pece, dal taglio allungato e sottile, apparivano come due pozzi profondi, privi di pupilla.

Riflettevano in modo particolare la luce, come un onice scurissimo dalla superfice levigata. La tuta leggera, di un verde poco più tenue dei capelli, lasciava scoperte le braccia e le numerose cicatrici.

Il namecciano ne osservò una che partiva dal braccio e aveva tutta l’aria di nascondersi sotto la spalla e continuare vicino al collo. Accortasi del suo gesto, la ragazza, infastidita, si era nascosta il collo con l’altra mano.

“Mamma a papà non te l’hanno insegnato proprio il valore della discrezione?”

Se prima era solo infastidita, ora era particolarmente a disagio, mentre l’altro restava del tutto impassibile.

“Concorderai che non è certo il segno di un graffietto.”

“Non hai mai visto uno con una cicatrice? ”

“Ho visto solo validi guerrieri coperti di cicatrici.”

Lei rimase zitta qualche istante.

“Di un po’: ti ci impegni o ti viene naturale essere così odioso con le persone? Sfido io che sei sempre solo, se tratti in modo così barbaro chiunque s’avvicini a te.”

Del tutto impermeabile a quel commento, il namecciano si era alzato in volo, ma fu bloccato all’istante per il braccio.

“Mollami subito o ti disintegro.”

La faccia di quella ragazza era ancora più tosta della sua. “Devo sapere una cosa da te. Una sola poi non mi vedrai più. Lo giuro.”

Lei lo vide alzare gli occhi al cielo e restare in attesa. Sospirò e pose la domanda.

“Avevo un medaglione al collo ieri notte. Un medaglione rotondo, inciso, di un metallo scuro. Non lo trovo più. E’ della massima importanza, per me…”

Con le mani, ne indicava la grandezza.

“Non visto nulla del genere qua attorno.”

La tremenda delusione alle sue parole, palpabile sul viso di Leara, per un attimo convinse Piccolo a restare.

“Strano che l’hai perso. Di solito le donne tengono in gran conto i loro gioielli.”

Il potente guerriero si trovò fulminato da uno sguardo assassino. “Quell’oggetto mi serve per sopravvivere! E se non ce l’ho più addosso è perché hanno voluto essere sicuri di farmi fuori!”

La osservò battere il piede in terra con stizza e alzare un po’ di polvere.

“Il mio medaglione è qui attorno, dannazione! Lo sento!”

Era strano vedere qualcuno passare così in fretta dalla disperazione alla rabbia. Forse, però, non era neppure così arrabbiata.

“Come va la mano?”

Ancora confuso dalle troppe emozioni che si susseguivano in lei tanto in fretta, si stupì che potesse addirittura preoccuparsi per lui.

“Non hai morso abbastanza forte.”

Rispose roteando il polso sotto al suo naso.

“Meglio così. Significa che su di te il veleno dei miei denti non ha effetto.”

Se per la mente gli era passato di aver pietà di lei, ora il primo pensiero fu nuovamente quello di farla a pezzi. Il pugno che le aveva risparmiato la prima volta la mancò di netto.

“Ti avrei solo paralizzato per qualche istante, mica ucciso!”

Il cratere che aveva aperto per terra era esattamente ai piedi della fanciulla, che camminava scalza. Di nuovo, si stupì di quanto fosse rapida nei movimenti.

“Non vado in giro ad ammazzare la gente. Ti ho scambiato per un nemico e ho attaccato solo per difesa.”

Confuso dal suono caldo di quella voce, lasciò che si avvicinasse e arrivasse a sussurrargli all’orecchio.

“Non ho mai voluto farti del male. Io volevo solo sopravvivere.”

Si girò verso di lei e trovò il suo viso a pochi centimetri dal proprio. Lo scoprì bello, perché era piacevole tenere gli occhi su di esso. Ciò che non si aspettava, era che lei abbassasse lo sguardo per poi allontanarsi.

“E’ un peccato così grande voler sopravvivere?”

Istintivamente le sollevò il viso, ponendole due dita sotto al mento. Fu come se il nero profondo di quegli occhi lo attirasse in un pozzo senza fine, senza possibilità di scampo. Appena possibile, si allontanò deciso. Respirò un attimo con affanno.

La voce di Leara era cambiata. Era diventata più femminile, suadente.

“Mi compiaccio. Sei straordinario, guerriero. Nessuno, finora, ha mai resistito al potere dei miei occhi. Né vi si è sottoposto di sua volontà.”

La udì sorridere di lui, ma senza scherno.

“Senza il mio medaglione, può darsi che sarò morta domani. Ebbene, voglio andarmene senza rimpianti. La legge della mia gente è chiara. Mi hai salvato la vita. Posso e devo esaudire un tuo desiderio. Bada bene, uno solo. E sempre compatibile coi miei poteri.”

Come stordito dalla folle piega degli eventi, il namecciano cercò di porsi di nuovo in una posizione salda. Ragionò sul senso assurdo di quell’ultima frase. Guardò di nuovo Leara. Per fortuna, però, non era più sottoposto a quella sua strana forza.

Se state ancora leggendo senza meditare di uccidermi, ci vediamo al prossimo capitolo…Ciao! ;)

  
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