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Autore: AgnesDayle    16/08/2011    4 recensioni
Tra i quartieri alternativi di Brixton, Shoreditch e Camden Town la vita di Agnes Dayle è destinata a legarsi ad un gruppo rock emergente, e in particolare a due dei suoi componenti: Ian e Colin. Due giovani londinesi molto diversi tra loro che in comune hanno solo una passione, quella per la musica, e un certo interesse per Agnes.
Accompagnata dalle migliori canzoni rock di sempre, Agnes sarà catapultata in un mondo senza tempo fatto di concerti, feste sfrenate e personaggi eccentrici.
DAL PROLOGO:
"Quando verranno a chiederti del nostro amore, un amore così lungo tu non darglielo in fretta." Un ingorgo di parole premeva sulle labbra serrate ma quella promessa, almeno quella, l'avrebbe mantenuta. Non avrebbe omesso nulla. Avrebbe parlato della grande passione che li aveva uniti, dell'abisso nero e profondo in cui era stato facile perdersi e di un legame, d'affetto e d'amore, l'unica luce che non sarebbe mai andata via.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sutcliffe' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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DIAH 1



London Calling




La vita non poteva essere tutta lì. Agnes voleva di più, molto di più. Quel pensiero la assillava da quando si era diplomata e aveva deciso di interrompere gli studi. Nonostante i suoi genitori avessero tentato di dissuaderla, lei era stata irremovibile: lo studio non era la sua strada. Non perché fosse stupida o svogliata, ma semplicemente perché in quel campo non aveva mai primeggiato e Agnes aveva un'unica certezza: qualsiasi cosa avrebbe fatto della sua vita, lei sarebbe stata la migliore.
L'ultimo anno era volato e non era affatto soddisfatta di sé: mentre le sue ex compagne erano tutte impegnate a sperimentare la vita fuori casa, ad assaporare le grandi città dell'Inghilterra e a programmare il loro futuro, lei era rimasta bloccata nel paesino a fare da semplice assistente al padre. Non poteva crederci nemmeno lei: la popolare Agnes, la ragazza più carina dell'ultimo anno era ancora lì, in quell'angolino di mondo così angusto da non poter contenere nemmeno uno dei suoi tanti sogni.
In quella tiepida sera di settembre, Agnes si sedette su una panchina del giardino di casa, quello stesso giardino, rigoglioso e verdeggiante, che la faceva sentire protetta tanto da superare le sue insicurezze e riuscire a strimpellare la chitarra e a intonare qualche ballata rock dai toni delicati.
Agnes amava la musica. Si può dire che fosse l'unica cosa a coinvolgerla fino in fondo. Sapeva anche di avere una voce particolare che poteva risultare piacevole se controllata, ma le rare volte in cui aveva tentato di cantare davanti a qualcuno che non fossero i suoi genitori o suo fratello, si era sempre bloccata, beccando delle stonature che l'avevano fatta sprofondare dall'imbarazzo. Si accontentava di cantare per sé, tra i roseti del suo giardino.
-Agnes.
La ragazza fermò le mani sulla chitarra e si girò verso la figura slanciata che stava camminando nella sua direzione: Teodore Dayle, stimato medico della piccola comunità di cui facevano parte, si sedette accanto alla figlia e rimase un po' in silenzio.
Paternale in arrivo, pensò scocciata la ragazza.
-Diventi sempre più brava.
Quel commento finì con il sorprenderla: suo padre non aveva mai commentato la sua passione per la musica, nonostante l'avesse ereditata proprio da lui.
Da quello che aveva capito Agnes, ai tempi del college, il suo mite e dolce papà non era esattamente quello che si direbbe uno studente modello. Lungi dall'essere interessato ai suoi studi, Teo Dayle, con la sua fedele Strato, aveva suonato nelle band dai nomi più improbabili; i componenti di queste finivano quasi sempre con il prendersi a scazzottate davanti a quelli che solo qualcuno un po' troppo di parte, o troppo ubriaco, avrebbe chiamato fans. Non sapeva come né perché, ma a un certo punto Teo aveva smesso di crederci; accantonato l'amore per la sua chitarra, ne aveva scoperto uno tutto nuovo per una donna: la ragazza più studiosa del suo anno, Andy. Per lei, e per lei soltanto, aveva desiderato qualcosa di diverso, di migliore: Teo voleva essere all'altezza di quella donna e ancora ora, dopo anni di matrimonio, non provava alcuna vergogna nel riconoscere che non aveva smesso di provare a meritarsela davvero.
Agnes non seppe come rispondere a quel complimento inaspettato.
-Non guardarmi così: dico davvero,- le rivolse un'occhiata intenerita,- dovresti prendere coraggio, però.
Puntuale come sempre, suo padre era andato dritto a colpire il solito tasto dolente. Non gliene faceva una colpa, in fondo. Ma quell’argomento sembrava diventato il preferito dei suoi genitori, insieme all’aumento vertiginoso delle imposte negli ultimi anni e alle discutibili doti culinarie della zia Molly. Agnes abbassò lo sguardo e cominciò a pizzicare le corde della sua chitarra.
-A quanto pare questo è il tema della mia vita,- replicò con una piccola smorfia.
Il padre sospirò, passandole un braccio intorno alla spalla.
-Cosa vuoi, Agnes? Vuoi continuare a farmi da segretaria? Sai che per me non c'è problema, ma ti conosco e so che non vuoi questo. Vuoi passare la vita a sognare senza mai provare a realizzare i tuoi sogni? Vuoi stare qui a chiederti come sarebbe vivere davvero?
Nonostante il tono dolce erano parole dure, pesanti come solo la verità può essere. Qualcosa si mosse dentro Agnes.
-Io vorrei...
-Io voglio, Agnes. Tu vuoi qualcosa e te lo vai a prendere.
-Voglio Londra, papà.
Lui sorrise, soddisfatto. -E ci hai messo un anno prima di capirlo?- replicò fingendosi burbero, prima di alzarsi. -Sai che non sarà facile convincerla, vero?
Lei non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo, prima di annuire.
-E sai anche che non devi dirle che ti ho spinto io a prendere questa decisione, vero?
-Lo chiamavano Cuor di leone,- commentò con un sorriso ironico.




***


Il cambiamento iniziava con un viaggio in treno. Agnes avrebbe dovuto essere soddisfatta, forse addirittura compiaciuta di un taglio così netto rispetto alla sua vita precedente. Ma qualcosa le impediva di gustare a pieno quel particolare momento, distraendola dal libro che aveva portato con sé e persino dalla musica che, attraverso le cuffie, filtrava nelle orecchie. Un sottile senso irrequietezza la portava a girarsi nervosamente sullo scomodo sedile e a guardare l’ora sul cellulare stretto tra le mani.
La verità era che non riusciva a provare neanche una goccia dell’entusiasmo che tante volte aveva immaginato che l’avrebbe colta in una situazione del genere.
"Un conto è sognare, un altro è vivere...", constatò con gli occhi fissi sul finestrino.
Sì, perché nel sogno lei era sorridente, allegra e finiva con il fare amicizia con qualcuno seduto sul sedile accanto, fino a scoprire che anche lei o lui si recava a Londra per realizzare i propri sogni. La realtà, invece, era terribilmente noiosa. Tra uno sbadiglio e l'altro, si rendeva conto che non aveva molto per cui sorridere e che nessuno sul sedile accanto avrebbe ricambiato il sorriso. Né i marmocchi che bisticciavano sui sedili di fronte né l'uomo di mezza età, impegnato a leggere il Financial Times.
Un messaggio in arrivo giunse a distrarla dal torpore del viaggio.
"Sei stata grande sorellina.
Non pensare troppo alla mamma. Nonostante tutto, sono sicuro che la farai ricredere.
Papà ti ricorda di non dare confidenza ai clienti di Gheorghe…Né a Gheorghe, soprattutto!
Rey."
Agnes sorrise davanti a tanta dolcezza. Nata solo dopo undici mesi dalla nascita di Rey, non aveva mai avuto un rapporto idilliaco con il fratello: dopo un'infanzia passata a bisticciare e un'adolescenza trascorsa ad ignorarsi amabilmente, avevano finalmente capito che nella continua lotta con i genitori l'altro poteva essere un alleato e non un nemico.
Le sue labbra si strinsero in una smorfia infastidita, quando ricordò a se stessa che più che lotta con i genitori il tutto si risolveva in un perenne scontro tra ciò che volevano i figli e quelle che erano le aspettative di sua madre.
Quei pensieri riportarono alla mente di Agnes la discussione che era esplosa in casa alcuni giorni prima, quando si era decisa a parlare dei suoi progetti futuri. Poteva ancora sentire il tono con cui la madre aveva pronunciato le parole "irresponsabile", "come tuo padre" e "piedi per terra". Fortunatamente per lei, Teo, sentitosi chiamare in causa, era intervenuto nella discussione. E da lì il compromesso era arrivato presto.
La madre aveva contattato una sua compagna del college, chiedendole se per i primi tempi potesse accogliere la scapestrata figlia facendole da guida.
Il padre le aveva trovato un lavoro di cameriera presso un suo vecchio amico, sotto gli occhi inviperiti della moglie che tremava al pensiero di che razza di amico potesse mai trattarsi.
E Agnes... Agnes si sentiva un bel pacco postale formato gigante.




***


La prima volta fu rapida e - quasi - indolore, senza uno scambio di parole.
Erano trascorse due settimane dal suo trasferimento a Londra e non aveva avuto un attimo per riflettere sulla portata di questo avvenimento. Per lei, da sempre portata ad analizzare tutto ciò che le accadeva, era un’autentica novità.
Ogni risveglio era accompagnato dalla voce petulante di Kayla Bishop, l’amica cui sua madre aveva voluto affidarla. Kayla, una divorzista di successo con due matrimoni alle spalle, aveva la fastidiosa tendenza a controllare ogni suo movimento e a criticare tutto ciò che la riguardava. Ormai Agnes si era convinta che sua madre l’avesse mandata di proposito da quella donna, dal momento che era così odiosa, petulante e ligia al dovere da poter scoraggiare chiunque in brevissimo tempo. Ma si sbagliava, perché non solo Agnes non si sarebbe arresa, ma anzi era più motivata che mai a cercare una diversa sistemazione.
Il lavoro, invece, le aveva riservato delle sorprese, alcune delle quali non molto piacevoli. Più che una cameriera, Gheorghe cercava una barista che fosse disposta a pulire e rassettare il locale. Così, quando aveva scoperto che Agnes non sapeva nulla di cocktail e soprattutto di whiskey, aveva iniziato a maledire Teo Dayle e tutta la sua discendenza. Poi, passata l’incazzatura per la bugia che gli aveva rifilato il vecchio amico, aveva iniziato a spiegarle pazientemente le differenze tra i vari alcolici, i marchi migliori e come servire i diversi drink, avvisandola che se non avesse imparato in fretta l’avrebbe rispedita indietro.
A quanto pareva, però, oltre all’altezza e all’interesse per la musica, sembrava che Agnes avesse ereditato dal padre anche una certa predisposizione per i drink. Così, sotto la rigida supervisione di Gheorghe e quella fastidiosa di Kirk, l’altro barista che lavorava solo occasionalmente al Kirchherr’s, Agnes aveva imparato a destreggiarsi dietro al bancone del locale, tra Guinness e Scotch.
Erano le quattro del pomeriggio, il pub era pressoché deserto e Agnes era in pausa. Seduta sulla panchina, si stava gustando qualche pagina del suo nuovo romanzo, quando li vide. Sapeva di essere un'attenta osservatrice, ma era chiaro che per chissà quale motivo quei due ragazzi li avrebbe notati chiunque. Stupidamente, per prima cosa provò un moto di invidia, perché il suo sogno inconfessato era proprio quello: non passare mai inosservata. Tuttavia le bastò una semplice occhiata per capire che a quei due non fregava proprio niente dell'effetto che facevano sul mondo intorno a loro.
Erano belli, in due modi molto diversi l'uno dall'altro, e in quel momento Agnes non era in grado di stabilire chi dei due lo fosse di più.
Forse il ragazzo appena un po' più alto, magro ma  più largo di spalle. Bello anche con i capelli castani malamente coperti da un berretto da baseball, così come gli occhi erano nascosti dietro un bel paio di Rayban neri; Agnes si sentì attratta dalla forma particolare del viso e quel filo di barba incolta che gli conferiva un'aria decisamente virile.
Ma poi il suo sguardo si soffermò sull'altro ragazzo e capì che non era affatto da meno: i capelli scuri, quasi neri, gli ricadevano appena sulla fronte liscia; anche i suoi occhi si nascondevano beffardi dietro delle lenti scure. Agnes si soffermò su quelle labbra carnose che rosse spiccavano rispetto al viso chiaro e imberbe.
Camminavano lungo la strada con un'espressione poco rilassata sul viso e ogni tanto uno dei due si girava verso l'altro rivolgendogli qualche parola: erano nervosi, scocciati per qualcosa.
Agnes fu sorpresa nel vederli fermarsi proprio vicino a lei. Colse l'occasione per osservarli con la precisione che solo lei sapeva dedicare ai dettagli più insignificanti: quello con il berretto si era attaccato al cellulare e si guardava nervoso intorno; indossava una di quelle camicie a quadrettoni, larga, lasciata aperta a scoprire una semplice t-shirt bianca, sopra un paio di jeans scuri.
L'altro, dalla figura più sottile, le dava le spalle con una mano sul fianco, intento anche lui a guardarsi intorno. Indossava una t-shirt con una stampa particolare e dei jeans chiari. Mentre l'altro era impegnato nella telefonata, lui si accese una sigaretta e si girò verso Agnes.
Non abbassò lo sguardo. Non era timida, Agnes ma neanche sfacciata: rimase nell'esatta posizione e con la stessa espressione in cui il ragazzo l'aveva beccata a fissarlo, pregando che non l'avesse notata e sperando segretamente di non essere talmente anonima da non poter essere notata neanche a una distanza così ravvicinata.
Lui, per tutta risposta, sollevo un po' il capo, portò la sigaretta alle labbra e infine le rivolse un sorriso obliquo.
Agnes quasi sgranò gli occhi per la sorpresa. Se l'era immaginato o le aveva sorriso davvero?  
-Alla buon'ora, ragazzi!
L'inconfondibile vocione di Gheorghe la distrasse da quella muta domanda. Si era affacciato da una finestra del piano superiore e, sventolando la mano con cui teneva il cellulare, stava richiamando l'attenzione dei due giovani.
Come se ne avesse bisogno, con quella voce!
-Che fate lì imbambolati? Su entrate.
I due stavano entrando nel pub, quando il vocione tornò a tuonare inesorabile.
-Agnes sei ancora lì? Benedetta ragazza...Ti avevo detto di andare a comprare qualcosa per il cesso intasato!
I due, come il resto dei passanti, si girarono ghignando nella sua direzione. Stavolta non poté fare a meno di sgranare davvero gli occhi e dileguarsi quanto più veloce possibile. Quei due, talmente perfetti da farla star male, l'avrebbero associata a un cesso intasato.





Ringrazio Trigger per la splendida immagine che fa da copertina
e un grazie a chi passa da qui e regala un po' del suo tempo alla mia storia.
   
 
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