Tutto ciò si configura all’interno di un mio
Ma potrebbe essere anche un - non tanto velato - invito affinché Ryan renda decisamente migliore la terza stagione.
Paura del buio,
coperte rubate.
Finn non voleva fare rumore.
Davvero. Finn era cosciente di quanto potesse risultare per niente credibile, alquanto arduo e completamente ridicolo, ma aveva cercato in tutti i modi di non fare rumore, forzando la propria visibilmente pessima, eternamente orribile e fin troppo vergognosa coordinazione a comportarsi degnamente.
Aveva percorso tutta la strada a piedi scalzi, per evitare di disturbare gli altri inquilini con quella sua fastidiosa abitudine di trascinare i piedi - invece di alzarli per camminare delicatamente - e aveva marciato a passo lento e misurato - invece di fiondarsi in avanti senza prestare attenzione agli ostacoli naturali o artificiali che una casa potesse mettergli di fronte - , malgrado e - soprattutto a causa del - buio delle tre del mattino.
Sul serio: Finn non voleva affatto fare rumore e rischiare di svegliare Kurt.
Ma quando si era reso conto di non riuscire a dormire - e aveva provato a farlo in qualsiasi modo conosciuto, dalla tradizionale conta delle pecore, al Puckeroso metodo di spararsi nelle orecchie la lezione di spagnolo di Mr. Shue, accuratamente e acutamente preregistrata per l’occasione - aveva deciso di interrompere la lotta tra le proprie gambe e le lenzuola, e intraprendere quella tra le proprie gambe e il pavimento.
Finn non voleva far rumore o svegliare Kurt: il suo intento era quello di limitarsi a sedersi silenziosamente sulla poltroncina vicino al letto del ragazzo - perché Kurt dormiva con la luce accesa e Finn non riusciva a dormire, per paura del buio - e a coprirsi i piedi con il plaid di cashmere che avvolgeva il neo fratellastro - perché Finn non riusciva a dormire, per colpa del freddo - e sarebbe rimasto là, immobile, in un gesto consolidato dal passare tutte le notti in quella stessa identica maniera, a fissarlo dormire.
Perciò quando vide il proprio piano sfaldarsi - come un muffin preparato da Brittany alle lezioni di ‘educazione domestica’ - per colpa di una maledetta scatola non vista - colpevole di un grosso livido sul suo stinco - si sentì morire.
Possedendo un sonno sfortunatamente lieve, Kurt si stropicciò gli occhi, riemergendo dai mille cuscini di seta nei quali aveva soffocato la testa, dopo la frazione di un secondo.
« C - c- cosa fai lì….lì….aww, lì in piedi, Finn? » domandò sbadigliando vistosamente.
“ Ho freddo. Ho paura del buio. Ho bisogno di te. Ho voglia di aver bisogno di te. ” avrebbe voluto rispondergli Finn, non necessariamente in quest’ordine.
« Non riesco a dormire… » disse invece, fissando ostinatamente il pavimento, come se questo potesse allungare le braccia e stringerlo fino a fargli sanguinare le ossa, per eliminare quel forte senso di smarrimento e solitudine che gli era piombato addosso.
« …così ho pensato…beh sì, di venire a vedere se anche te per caso non riuscivi a dormire. Perché…beh, sì, perché così magari avremmo potuto… »
Continuare quella frase era troppo difficile, per Finn.
Eppure, la facile terminazione, pulsava dolorosamente tra i suoi neuroni, e si concretizzava nei suoi occhi, soprattutto dopo essersi accorto di quanta pelle lasciasse scoperta la camicia del pigiama di Kurt.
Continuare quella frase implicava ammettere ad alta voce ciò che si era limitato a pensare dentro di sé nei mesi precedenti; significava riconoscere che qualcosa in lui fosse meno etero di quanto fosse pronto a riconoscere.
« …non riuscire a dormire insieme? » domandò Kurt, che sembrava aver improvvisamente perso ogni traccia e ogni intenzione di sonno.
Finn si ritrovò ad annuire ancòra prima di recepire l’intera frase dell’altro, anche se si era rilevata essere leggermente diversa dall'originale, che ancòra rotolava nella sua testa.
Kurt fece posto accanto a sè, prima di sussurrare: « Però non rubare la mia coperta ». Di nuovo.