Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: C r i s    17/08/2011    8 recensioni
Credere che il passato sia soltanto tale è una considerazione piuttosto riduttiva, per spiegare quanto in realtà esso influenzi le nostre decisioni.
La nostalgia sopraggiunge quando meno se lo si aspetta, e con essa, Nicole rispolvera vecchie lettere, rendendosi conto di avere ancora un punto in sospeso, lo stesso punto che rischia di bloccarle le ali per un nuovo volo.
D'impeto, tornerà liddove saprà d'essere a casa e con quella consapevolezza affronterà un fantasma fatto di carne ed ossa, che finalmente la libererà dalla prigione della nostalgia e le permetterà di realizzare il proprio futuro.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Il profumo delle stagioni.

 
 
 

21# Settembre, 1991.
 
Neppure il profumo delle viole persiste, senza te.
Sembra sfumare il loro colore, così come la luce del sole.
Sta andando via, portando con sé ciò che è divenuto ormai un dolce ricordo.
Lo sarai anche tu o combatterai per restare?
Al sole subentra la luna, ma nulla m’impedisce d’attendere l’alba, per riabbracciarti ancora.

 
Non avrebbe mai pensato di poterci tornare un giorno, quella realtà le sembrava essere frutto di un’ignobile fantasia.
Nonostante tutto, non poteva ignorare lo scalpitio di farfalle ingabbiate nello stomaco, non appena lo sguardo sfiorò leggiadro le fronde degli alberi.
Inchiodò il freno e spense il motore dell’automobile, ma, anziché catapultarsi verso il prato fiorito, poggiò le braccia sul volante e schiacciò la guancia sul rivestimento freddo.
Il sole colpiva con dolcezza sul suo volto, si sentì carezzare e si abbandonò a un sospiro colmo di resa.
E’ una follia, continuava a ripetersi nella testa, quelle insulse parole echeggiavano nella scatola cranica, rendendole il compito ancor più arduo.
Quella notte una pioggia devastante si era abbattuta su Charleston, le gocce avevano scalfito i vetri delle finestre così come i pensieri avevano assalito la mente di Nicole.
Il South Carolina era pronto ad aprire le porte all’Estate, gli alberi in fiore e l’afa costante avevano dato il via vai a una moltitudine di turisti che avevano assalito le spiagge già nei primi di Giugno; eppure, per Nicole, l’Estate tardava a sopraggiungere, come se il suo cervello avesse munito l’intero corpo di una barriera che la estraniasse dal mondo intero.
Soltanto quella notte aveva realizzato quale fosse il reale motivo.
Nessun fantasma, nessun rito scaramantico, nessuna candela per evocare alcun ricordo: semplicemente, Nicole sapeva di avere un conto in sospeso, con se stessa così come con lui.
Ripensò ai piedi nudi che avevano solcato il parquet rinfrescato dalla brezza umida della notte, alle dita tremanti che avevano sfiorato il nastro che legava quella carta ormai stropicciata e ingiallita, agli occhi lucidi quando ne avevano assaporato il contenuto e il brivido che le aveva scosso la schiena, leggendo quel nome.
Aveva diciannove anni quando aveva scritto l’ultima lettera, una lettera che non era mai giunta a destinazione, poiché mai inviata. Era rimasta in un cassetto ad accogliere polvere e nostalgia, aveva immagazzinato ricordi che con nessuna volontà sarebbero scomparsi, ma che, per necessità, erano stati accantonati, per permettere alla vita d’evolversi.
E Nicole aveva tentato con tutta se stessa di proseguire senza imbattersi nel passato, fino a quando non era stato qualcun altro a scuotere l’alone di polvere e riversaglielo completamente nelle narici, per permettere al malessere d’uscire nuovamente allo scoperto.
Il cellulare nella borsa irruppe la bolla di silenzio che l’aveva avvolta e, sbattendo le palpebre con ira, lo agguantò prima che scattasse la segreteria.
Lesse il nome sul display e s’incoraggiò prima di portare l’apparecchio all’altezza del timpano.
«Ehi».
«Un biglietto come quello e poi ‘Ehi’?», la voce roca e scossa dal sonno annunciò un dispiacere malcelato che le s’insediò nelle vene.
Nicole si massaggiò nervosamente una tempia, lo sguardo corse rapido per il lungo prato che s’ergeva dinanzi i suoi occhi, le margherite spiccavano tra il verde dell’erba e l’albero, in lontananza, veniva cullato dal vento di montagna.
«Sono partita prima che facesse giorno», lo informò, come se potesse bastare.
«Oh, me ne sono accorto», sbottò con disappunto, «Solo che non sei stata esauriente».
«Nick», gemette, presa in contropiede, «Non posso spiegarti adesso».
«E quando?», il suo tono tagliente le fece socchiudere gli occhi, «Il problema non è adesso, Nicole, il problema è sempre. E non c’è neppure bisogno di scappare, sai perfettamente che se quell’anello ti pesa tanto al dito, puoi rimetterlo dove l’hai preso».
L’occhio le scappò verso l’anulare, il brillante che troneggiava un anello in argento le fece stringere il cuore e la convinse di quell’avventura folle, tutto sommato non aveva sbagliavo, sapeva che se c’era un motivo ad averla spinta verso Florence quella notte stessa, era proprio Nick.
Doveva farlo per lui, ma, prima di tutto, doveva farlo per se stessa, per permettere a quel macigno di sciogliersi e liberare le farfalle che nel suo petto erano divenute elefanti.
«Ho intenzione di sposarti», proferì con tono deciso, «E se la tua intenzione è la stessa, lasciami il mio spazio».
Non aspettò la replica di Nick, agganciò sapendo che se avesse atteso, il rimpianto d’essere partita per quattro ore di macchina l’avrebbe logorata.
Scese con piedi malfermi, prima di sistemarsi gli short e stringersi le braccia al petto, aveva immaginato che l’aria di montagna sarebbe stata più sofferente, ma non per questo avrebbe patito il caldo, indossando un maglione in piena Estate.
Scavalcò il recinto in legno e  immerse le scarpe nel terreno, i fili d’erba le sfiorarono le caviglie provocandole un lieve solletico; le labbra s’inarcarono in un sorriso docile, non appena si chinò per carezzare i petali di una margherita.
Con la coda dell’occhio, focalizzò l’albero in lontananza e trattenne il respiro. Tornò in piedi e, con una margherita tra le dita, si avvicinò, inebriandosi del profumo dei fiori, l’odore dell’erba le avvolgeva l’olfatto e se ne sentì quasi assuefatta.
L’attenzione venne rubata dalla panchina in legno che giaceva tra i fiori; ipnotizzata, si avvicinò con passo leggero, fino a sedervi e lasciare ai ricordi di penetrare la barriera che per anni aveva innalzato per non permettere al passato di ferirla.
Socchiuse gli occhi e lasciò che il vento la riportasse indietro e, dopo anni, non faticò neppure una volta a concederselo.
 
 
«Cosa aspetti? Va pure», la miglior difesa è l’attacco.
Nicole ripeteva come un mantra quella frase colma di significato, anche se, in quel preciso frangente, non le sembrava per niente efficace.
«Ho ancora qualche minuto», lui le fu accanto con un balzo e le bloccò le mani che, nervosamente, si torturavano l’un l’altra.
Nicole le ritrasse, neppure le avesse immerse nel fuoco, ed evitò di guardarlo negli occhi.
«Non comportarti da bambina», sbottò nervoso.
«Se può consolarti, è una buona giustificazione per il mio comportamento», replicò, soffocando l’impulso di darsi a un pianto disperato.
Avrebbe voluto fermarlo, prosciugare l’auto di benzina ed evitargli di partire, le sarebbe bastato anche un solo altro giorno.
«Credi che io voglia tornarci lì?», lui alzò il tono della voce, le agguantò il mento tra le dita e riuscì finalmente a scrutare le iridi nocciola della ragazza, «Devo».
«Non sto contestando questo», sentenziò Nicole, cercando senza successo di ritrarsi.
«E allora cosa?»
«Tu lo sapevi, sin dall’inizio», biascicò, deglutendo a fatica.
Ritrasse le dita dal suo mento e la osservò senza parlare.
«Non posso restare qui per sempre, neppure tu lo farai. Andrai via, per diventare qualcuno. Lascerai queste montagne abbandonate dal mondo e cercherai chi possa affiancarti in un futuro concreto. Non sarò io a fermarti, come non sarai tu a fermare me. Non possiamo vivere in questa bolla».
Per quanto Nicole sapesse che avesse completamente ragione, non poteva negare a se stessa quanto male avessero fatto quelle parole, quanto odio avesse provato contro di lui e quanto contro se stessa per essere stata così ingenua.
Avrebbe dovuto saperlo, sin dal suo arrivo, avrebbe dovuto capire che sarebbe andato via presto, del resto la felicità non era stata creata per durare a lungo e aveva imparato presto quel concetto a sue spese.
Avrebbe dovuto evitare d’affezionarsi a quel ragazzo impertinente che sin da dieci anni prima aveva lasciato il segno sulla sua pelle, provocandole una cicatrice di ben sei punti al pronto soccorso, sulla coscia. Avrebbe dovuto evitare al suo cuore malato di provare emozioni verso un blocco di cemento, nonostante avesse poi capito che sotto le sue abilità si sarebbe sciolto presto.
«Dannazione, dì qualcosa», lo sentì imprecare e lo vide portarsi una mano dietro la nuca.
Nicole si ritrovò a osservare i suoi lineamenti mascolini, i suoi occhi scuri come il carbone avevano attentato molte volte al suo cuore. I capelli gli sfioravano le orecchie, di un castano marcato, e le labbra carnose erano sempre decorate da un sorriso sghembo, che in quel momento sembrava aver preso le ferie.
«Non dirò nulla», si lasciò sfuggire, alzandosi in piedi e notando lo sconcerto negli occhi di lui, «Sarai tu a dovermelo dire».
«Cosa?», la osservò scettico, mentre la osservava avanzare verso la quercia che si ergeva nel prato, a pochi metri dalla panchina che aveva assistito all’avvicinamento dei loro cuori.
«Quello che pensi», trillò la ragazza, battendo le dita sulla corteccia dell’albero, il tronco aveva una breve insenatura che permetteva agli scoiattoli di ripararsi dal mal tempo, o almeno era sempre ciò che Nicole aveva pensato, eppure, fin da quando aveva memoria, quello era divenuto il centro dei suoi ricordi, aveva permesso a quell’albero di custodire quanto di più caro avesse e, non appena sfiorò la scatolina color dell’oro, le si inumidirono gli occhi.
La estrasse e gliela mostrò: era piuttosto spaziosa, sebbene al suo interno ci fosse una catena in argento e una fotografia sbiadita che ritraeva una donna dal vestito bianco in tinta con un ombrellino da sole. Da sfondo, c’era un prato, lo stesso prato dove entrambi avevano avuto modo di trascorrere insieme il tempo.
«Non ti chiedo nulla di più difficile», soffiò la ragazza senza avere coraggio di guardarlo negli occhi, «Ho bisogno che tu mi faccia sapere i tuoi pensieri. Forse hai ragione, abbiamo bisogno di accantonarci per andare avanti, ma non potrò chiudere questa parentesi fino a quando non sarai tu stesso a darmi la soluzione delle nostre somme», probabilmente la matematica le aveva dato alla testa, in fondo sarebbe stata quella a portarla in una nuova città per frequentare studi e renderla un’insegnante affermata.
Alzò gli occhi sentendo i suoi passi raggiungerla, osservò un guizzo di disappunto negli occhi di lui, sapendo di aver centrato la sua debolezza.
«Fallo nel modo in cui meglio ti riesce», gli consigliò, l’esigenza di stringergli le mani nelle sue sempre più forte, «Cantando, urlando, abbattendo l’albero, prendendomi a parolacce, comprandomi una rosa o…», si morse la lingua, sapendo che non avrebbe mai fatto nulla di tutto ciò che aveva detto, forse avrebbe preso in considerazione l’idea di abbattere l’albero.
«Non lo farei mai», s’aprì in un sorriso teso e lei gli sorrise di rimando.
«Lo so».
«Voglio baciarti», le sussurrò, carezzandole il viso.
Nicole s’arrese alle condizioni dettate dal cuore, impresse la mano su quella di lui e la strinse appena, prima di sigillare il loro addio con un bacio.
 
A distanza di dieci anni, a Nicole parve d’avere diciannove anni di nuovo, come se la clessidra si fosse capovolta e fosse tornata indietro soltanto per riassaporare quell’attimo fuggiasco.
Aveva pensato spesso a quel loro saluto, era stata l’ultima volta che aveva permesso a dei sentimenti d’offuscarle la razionalità e, nonostante tutto, era grata a quel ragazzo che le aveva permesso di fuggire per realizzarsi.
Si alzò in piedi, trepidante, e si avvicinò alla quercia, sporse le dita nella fossa e con estremo piacere si accorse della scatolina, immutata nel corso degli anni.
L’afferrò e, portandola alla luce, emerse con essa un foglio ripiegato; le cadde ai piedi e si chinò per raccoglierlo. Ebbe un fremito, quando lesse il nome del destinatario.
Per te.
Si accucciò ai piedi dell’albero, portò la scatolina in grembo e, trattenendo il respiro, spiegazzò la carta e le narici furono investite dal profumo di una spezia decisamente più forte dell’erba.
Anice.
Deglutì a fatica e chiuse immediatamente il foglio, il terrore prese il sopravvento, come se fosse certa del fatto che, una volta letto il contenuto di quella lettera, tutta la barriera costruita sarebbe crollata.
Aprì la scatolina e la presenza di altre lettere al suo interno la portò a mordersi un labbro, come era solita fare nei momenti di nervosismo.
Era tornato, lui era tornato.
E il solo scopo era quello di gettarsi tutto alle spalle, così come si erano promessi di fare.
Spiegazzò la carta color ocra e fu invasa dal profumo di vaniglia che ancora persisteva, con occhi avari scrutò la propria calligrafia e sentì le guance bagnarsi, ricordando i tempi andati, dove la spensieratezza di una diciannovenne non era neppure paragonabile al fardello che si stava trascinando addosso da mesi.
Dalla propria borsa, estrasse le proprie lettere, coloro che conservava ancora intatte e portò la stessa identica fragranza alla vaniglia sotto il proprio naso. Si sentì invadere da una profonda tristezza, ricordando l’emozione nello scrivere la prima lettera del patto sancito in un attimo di completa follia.
 
«Solo quattro, quattro lettere al pari delle stagioni. Finiranno non appena sarà l’Estate a tornare e noi smetteremo di scriverci quando questo campo di margherite sarà ormai una distesa di fili monocolore da estirpare», aveva espresso Nicole, il cuore in tumulto per la sfida appena lanciatagli.
Nessun impegno, nessun amore, solo un tacito accordo per alimentare l’orgoglio di lui e la sofferenza di lei, il timore che anch’egli potesse scomparire dalla sua vita la spaventava più della fuga stessa.
«Ho anch’io delle condizioni da dettare», aveva espresso lui, le iridi scure a scrutare il cielo ricolmo di nubi, «Non ci spediremo la lettera d’addio, la porteremo di persona quando saremo davvero pronti a salutarci e andare ognuno avanti per la propria strada».
Nicole dilatò appena le pupille. «E’ una follia».
«La mia o la tua?», un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra.
«Potrebbero volerci anni», sussurrò la ragazza, in palese difficoltà.
«Sono così importante?», ironizzò l’altro, cingendole le spalle con un braccio, il cielo pronto a scatenare un temporale per sancire la fine dell’idillio.
«Sei disposto ad aspettare dieci anni per il mio addio?»
Naso contro naso, respiro avverso ad un altro respiro. Si osservarono in silenzio, lasciando che uno squarcio nel cielo li avvertisse del presagio, dopodiché le labbra di lui sfiorarono quelle di lei.
«Solo se tu se disposta ad aspettare altrettanto il mio».
 
Nicole sapeva che, per quanto orgoglioso e testardo fosse, non avrebbe lasciato che una sciocca e infantile sfida condizionasse le sue giornate. Non aveva avuto neppure il coraggio di chiedere a suo padre informazioni sulla famiglia di lui, da quando avevano venduto la casa e avevano cercato fortuna in Florida, Nicole non aveva minimamente pensato di ricollegare i fili tra loro, cercando il numero di telefono o semplicemente il suo indirizzo e-mail.
Inconsciamente, aveva tenuto fede ai patti, fino alla fine.
Sorrise nel rileggere una frase di lui, su quel foglio al sapor di vaniglia.
 
Mi hai chiesto di esprimermi nel modo che più mi sembrasse mio, ebbene sto per farlo.
E mi auguro che tu non abbia alcuna aspettativa, né da me né da altro, se non da te stessa. Perché, se c’è qualcuno su cui puoi e devi contare costantemente per ottenere qualcosa da questo schifo di mondo, quella sei tu, Nicole, e so che hai abbastanza fegato da arrivare in alto senza neppure imbrogliare. E poi non dire che non sei importante per me, guarda come ti lodo. Mi faccio ribrezzo.
 
Una lacrima solcò la guancia di Nicole, il vento le scalfì il volto e le diede lo stimolo adatto per proseguire nella lettura. Aprì un altro foglio, dalle sfumature marroncine e riconobbe nel suo profumo la cannella.
Le si strinse il cuore, pensando che persino quella spezia fosse stata in comune, non avevano mai parlato di quali carte utilizzare, ma avevano trovato un accordo anche in quella scelta.
Rilesse con attenzione quelle righe immutate dal tempo e ricordò i tempi andati, dove, aggomitolata in una coperta di lana, versava lacrime mute per non dare soddisfazione alcuna, ancora non sapeva spiegare chi avrebbe gioito di quelle azioni, il problema sarebbe stato sempre e solo il suo.
Non poteva negare a se stessa di aver preso a cuore quel ragazzo, forse essendo stata figlia unica non aveva potuto godere della presenza di un’altra persona al suo fianco e suo padre non era mai stato il massimo della compagnia. Eppure, era certa che la motivazione non fosse stata quella, avrebbe dovuto affezionarsi a ogni compagno di scuola, altrimenti.
 
Oggi ho pattinato, sai? Credevo d’essere abile, avevo una coda di pavone che s’intravedeva persino da casa tua, e sono caduto come un pesce appena ho poggiato piede. Ho guardato il mio riflesso per terra e mi sono chiamato coglione, pensando che dalla tua bocca quella parola avrebbe avuto un significato più amplificato. Ti avrei voluta con me, Nicole.
 
Sospirò e chiuse gli occhi, esaminando una terza lettera, color lavanda.
Immaginò come fosse stato quel posto, in primavera. Da ragazza le piaceva immergersi nel prato e gettarsi come se avesse appena portato il corpo negli abissi dell’oceano e avrebbe voluto poterlo fare di nuovo, soltanto che a una certa età qualcuno avrebbe potuto storcere il naso.
Rabbrividì quando lesse quell’unica frase.
 
Lavanda. L’ho scelta, perché sa di te.
 
Gemette frustrata; quella fu la lettera più breve che le fosse mai giunta, ricordò il dolore che le si era diffuso nel cuore, consapevole che sarebbe stata l’ultima. Avrebbe dovuto dargli ascolto, non avrebbe dovuto porvi nessun’aspettativa e, del resto, non poteva neppure fargliene una colpa, l’aveva avvertita sin dall’inizio.
Nessun ti amo, nessuna dichiarazione. Eppure, quelle parole l’avevano colpita più di quanto queste avrebbero potuto fare, era certa che non si sarebbe mai lasciato andare, benché meno con lei, che ormai aveva imparato a conoscerlo abbastanza da capire quando era arrivato il momento di dire basta.
Si alzò che ormai il cielo era divenuto plumbeo, il vento sferzava incontrastato e le gambe le dolevano così come la gola. Aveva rievocato i ricordi e con essi la tristezza che li avvolgevano, portò le sue lettere in compagnia delle altre, ma, prima di chiudere la scatolina, si soffermò su colei che doveva ancora leggere e si decise a farlo.
Trattenne il fiato, aspettandosi di leggere quante più sciocchezze possibili, ma rimase completamente senza fiato rendendosi conto che della lunghezza poteva farne benissimo a meno, se il significato era così intenso.
 
Ti auguro la felicità, Nicole. Spero tu l’abbia trovata e, se così non fosse, non demordere e ricorda che può trovarsi sempre alle tue spalle.
 
Tornò a mordersi il labbro, richiuse la scatola, trattenendo con sé quell’ultima lettera, al sapore dell’anice. Riportò la scatolina al suo posto e si voltò raccogliendo dentro la borsa la sua ultima lettera, sapendo che probabilmente non avrebbe avuto il coraggio di lasciarla, la sentì improvvisamente troppo personale e troppo vera per far sì che capitasse nelle sue mani.
Eppure, nel momento esatto in cui si voltò, sentì le ruote di un Pick Up fermarsi dietro la sua Ford Fiesta, inarcò un sopracciglio sorpresa e inaspettatamente il cuore prese a batterle più forte.
Si convinse del fatto che fosse leggermente paranoica, attese che il proprietario del furgone uscisse fuori, ma, quando accadde, ebbe qualche difficoltà a mettere a fuoco la realtà.
Quel viso, lo conosceva.
Conosceva quelle labbra, quegli occhi, quei lineamenti divenuti più marcati nel corso degli anni.
E riscontrò un cambiamento: davanti a sé, aveva un uomo.
Un uomo che non avrebbe voluto rivedere, ragionando con la mente appannata di qualche secondo prima, ma che, inaspettatamente, il destino aveva fatto in modo di portarlo nella sua stessa direzione.
S’avvicinò dapprima sorpreso, in seguito sempre più deciso ad annientare la distanza tra loro, quasi si catapultò nella direzione di lei e quest’ultima trattenne il fiato quando lui le fu abbastanza vicino da sentirne il profumo intenso.
Si aprì in un sorriso ammaliato, in fondo avrebbero dovuto ripresentarsi, da uomo a donna.
«William», esalò Nicole, un nome dimenticato in un cassetto che per anni aveva evitato come la peste.
L’occhio di lei scorse sul suo corpo, si soffermò sulle braccia robuste, carezzò con gli occhi le mani che tempo addietro avevano retto le sue e una stretta allo stomaco la fece sobbalzare, quando si accorse di un elemento indesiderato: una fede.
William sembrò esaminarla nello stesso identico modo, soffermandosi esattamente laddove Nicole aveva permesso alla tristezza di svolazzare via.
«Non c’è che dire, siamo persone di parola», ironizzò, la voce marcata, il timbro virile di un uomo dal grande carico sulle spalle.
Nicole si ritrovò a sorridergli con spontaneità, non avrebbe mai creduto possibile che un giorno avrebbe potuto guardare quelle pupille scure e ritrovare al posto del ragazzino testardo e cocciuto un uomo dagli stessi lineamenti, ma dagli atteggiamenti ben diversi.
Le si fece vicino con delicatezza e la guardò negli occhi stando ben attento a non commettere alcun passo falso, in quel momento entrambi avevano una sola esigenza e l’accontentarono non appena fu lui a prenderla tra le braccia.
Casa.
Entrambi si sentirono avvolti da un calore che mai prima d’allora li aveva colti, sospirarono in sincrono e sorrisero senza neppure capirne il reale motivo. Le narici di lui furono invase dal profumo docile della donna che stringeva tra le braccia e lei poté appurare che a distanza di anni, il suo odore fosse sempre uguale: intenso e devastante.
«Perché sei qui?», le sussurrò tra i capelli, un macigno che aveva creduto dissolto ormai da anni.
«E tu?», gli fece eco Nicole, scansandosi a fatica dalle sue braccia, certa che se non l’avesse fatto in quel preciso istante, non sarebbe stata più capace di farlo.
«Credo tu non sia informata», le sorrise appena e si grattò la nuca, «Abito qui, adesso».
Nicole si aprì in un’espressione sorpresa, se fosse stata più ingenua, avrebbe potuto rischiare d’imbattersi in lui semplicemente passando dinanzi quella che in precedenza era stata la sua dimora.
«Solo?», gli chiese scioccamente, di fatto William sorrise e scosse la testa, agitando la mano con la fede luccicante.
«No, siamo in attesa del terzo coinquilino».
Nicole aspettò il pugno, aspettò i graffi e le urla, ma non sopraggiunsero. Aveva spesso temuto d’imbattersi in lui e rendersi conto che, a differenza sua, era andato avanti. Eppure, in quel momento, non riuscì a fare a meno di pensare che fosse felice per lui, per la piega che la sua vita aveva preso.
«In realtà sarebbe una terza, ero convinto che fosse una femmina e, come al solito, non sbaglio mai», nei suoi occhi, Nicole riscontrò la felicità pura e si trattenne dal mordersi nuovamente il labbro.
«Quanto manca?», le chiese, osservando il suo anello.
Nicole tentennò.
«Non so, potrebbero mancare giorni quanto mesi. Non ne abbiamo parlato», rispose evasiva, non voleva di certo riempirgli la testa di stupide supposizioni e paranoie.
Era certa che Nick l’amasse, altrimenti non gliel’avrebbe mai proposto e aveva vissuto abbastanza al suo fianco da capire come fosse e cosa meritasse.
«E a te, quanto manca?», William ribadì il concetto e le osservò la carta verdastra tra le mani.
«Per cosa?», titubante, Nicole nascose il foglio quanto più possibile tra le dita, ma William le si fece vicino, curioso, e la fissò con intensità.
«Per essere felice».
Rimasero immersi negli abissi rispettivi l’un dell’altro, fino a quando Nicole non gli sorrise e gli carezzò una guancia.
«Poco, molto poco».
Si avvicinò leggiadra e posò le labbra sulla sua guancia morbida e leggermente incolta, quel pizzico di mascolinità la riportò in un passato nel quale tempo addietro avrebbe voluto rifugiarsi, ma che, al momento, riusciva a vederlo soltanto tale: passato.
Le mani di lui le carezzarono la schiena e in quella fortezza ritrovò il coraggio di riappropriarsi della propria vita, armarsi di scudo e spada per spazzar via le turbolenze che avrebbero scombussolato il suo percorso.
Si allontanò con lentezza disarmante, prima di lasciargli la lettera tra le mani.
Gli sorrise appena, gli occhi lucidi sintomo di un’emozione devastante.
«Grazie», fu l’unica parola che le uscì e William la osservò in silenzio, mentre lei gli sfiorava il braccio con il suo e si allontanava tra i fiori.
«Vengo qui ogni giorno», esclamò lui di punto in bianco.
Nicole, con il cuore rilassato, si voltò nella sua direzione. «Tu che puoi».
«Aspetto una tua risposta, ogni anno».
Quell’ammissione le tirò gli zigomi verso l’alto e fu tentata di tornare indietro, ma si ammonì e gli riservò uno dei sorrisi più teneri che le fossero mai usciti.
«E’ arrivata», lo rassicurò.
«Che ne sarà di queste lettere?», le chiese, avvicinandosi a grandi falcate, «E’ davvero finito tutto?»
Con una stretta al cuore, Nicole dovette essere realista, lo doveva a lui quanto a se stessa.
«Non è mai iniziato, William», lo guardò con serietà, aveva permesso alla tristezza di abbandonarla, ormai vinta dalla realtà. «Sei un padre di famiglia, un marito e prima di tutti un uomo, sei diventato tutto questo senza di me ed io sono diventata questa, senza di te», cercò d’addolcire i toni per quanto possibile, sapeva di dovergli dire addio, ma avrebbe trovato uno spazio nel suo cuore da dedicargli sempre ed era certa che non ci sarebbe stato angolo se avesse deciso d’intraprendere un’amicizia, quando in passato era stato molto di più.
«Avrei dovuto amarti quando era il momento», le sussurrò, rammaricato.
«Avresti», si accodò lei, sospirando, «Non è più tempo per noi, Will».
Le si avvicinò rapido e le agguantò il viso tra le mani, rimasero con il respiro sospeso per qualche secondo, quando William chinò le labbra verso le sue e soltanto all’ultimo varò verso la guancia, le impresse un bacio disperato che le fece inumidire gli occhi.
Fu Nicole a separarsi per prima, gli lasciò una carezza sulla guancia e appurò da quella vicinanza quanto uomo fosse divenuto e quanto  fortunata fosse stata la moglie.
«Grazie», stavolta fu William a ringraziarla, non ci fu bisogno di spiegare a cosa fosse dovuto, entrambi ne erano già a conoscenza.
E, mentre Nicole porgeva le spalle al proprio passato, avanzando con passo fermo verso il proprio presente, pronta a conquistare il proprio futuro, William osservava i suoi capelli color del miele che le carezzavano le spalle, i portamenti di una donna che avrebbe sempre portato nel cuore, per quanto importante era stata la sua semplice vicinanza, cartacea o meno.
Si rigirò l’involucro cartaceo tra le dita e lo aprì, venne investito dal profumo della menta e si rese conto per la prima volta che i loro binari non si fossero incrociati: per la prima volta, entrambi avevano utilizzato un aroma differente, come se fosse il simbolo dimostrante il fatto che quel capitolo era stato definitivamente chiuso.
Come se in comune non ci fosse nient’altro, se non un grande e intenso ricordo.
L’aprì con un sorriso lieve sulle labbra, un senso di pace e calma lo avvolsero non appena poggiò gli occhi su quelle parole, certo che Nicole sarebbe stata sempre una parte di lui, probabilmente la migliore.
 

21# Settembre 2001.

Oggi è un nuovo giorno, sia per me che per te.
Dunque, buona giornata, William. Per adesso, per sempre.



You say goodbye and I say hello!
 
Quest’idea mi ronzava nella testa già da qualche tempo, ma l’ho buttata giù in una serata. L’Estate sta andando via, me ne sono resa conto questa mattina, ma non per questo dobbiamo raccapricciarci, in fondo tornerà, è soltanto una questione di tempo.
Per altro, personalmente sono patita del freddo, delle sciarpe, cappelli, guanti e quant’altro, per cui, tutto sommato, non sono così dispiaciuta!
Credo che sia raro per me affezionarmi così drasticamente a dei personaggi: con questa storia, seppur breve, ho provato tristezza al tempo stesso dei protagonisti, ho patito con loro ad ogni parola scritta e credo che in fondo qualche rotella mi manchi davvero.
Spero soltanto che ciò che ho scritto arrivi a voi nello stesso identico modo in cui è giunto a me, solitamente adoro altri generi e mi cimento in quelli, ma posso essere umana anch’io per una volta e concedermelo. Infatti c’è decisamente un rischio di carie, troppo zucchero, che dite?
Ringrazio tutti coloro che passeranno ad osservare Nicole e William, sperando che li osserverete come li ho osservati io :)
                                  

   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: C r i s