L’ULTIMA NOTA
- Beth sei pronta? Guarda che tocca a
te! -
La ragazza che mi sta chiamando è
Joanne, la mia migliore amica; lei è il secondo clarinetto dell’orchestra
sinfonica, io invece sono una violoncellista e stasera suonerò il mio primo
assolo davanti ad un teatro ghermito di gente. Dovrò entrare alla fine del
primo tempo, perciò comincio ad accordare lo strumento da dietro le quinte,
mentre sento la familiare cacofonia dei miei colleghi intenti ad intonarsi con
il La dell’oboe.
Sono piuttosto agitata, so che è la
mia occasione per far sentire quanto valgo; già perché se stasera suono la
parte principale è solo perché il vero primo violoncello – un uomo borioso
pieno di sé e con la puzza sotto il naso – dopo avermi soffiato il posto, ha
deciso di ammalarsi a distanza di due settimane dal debutto, così il direttore
mi ha affidato la parte, che per fortuna avevo tenuto sott’occhio.
Era il momento che aspettavo da quando avevo
capito che la musica sarebbe stata la mia ragione di vita, perciò avevo intenzione
di dare il massimo.
Si aprono le tende color porpora ed
ecco che si innalza lo scroscio degli applausi.
Il direttore sale sui gradini da cui
ci sovrasta, si inchina e lentamente si gira verso gli orchestrali.
Gli applausi gradatamente si spengono,
l’espressione del direttore si fa attenta e io, dal punto buio in cui mi trovo,
presa dall’adrenalina non posso fare a meno di prendere un respiro rapido come
se dovessi spiccare il volo, nel momento stesso in cui la bacchetta si innalza
per dare l’attacco.
Ed è subito musica.
Le note si alternano e si sovrastano
in un crescendo continuo e melodioso per poi calare improvvisamente in uno
staccato secco e ritmico. Io ascolto attentamente mentre cammino scandendo il
tempo con ogni passo, mentre alla musica si aggiunge un tamburo frettoloso: è
il mio cuore che batte all’impazzata.
Passano poco più di dieci minuti ed
ecco che la melodia muta nuovamente; è l’ultima variazione che dopo un
passaggio dal mezzo piano ad un fortissimo rimane improvvisamente
in sospeso prima del mio ingresso in scena.
Mi posiziono davanti all’entrata, mi
schiarisco la gola e dopo aver ravvivato nervosamente i capelli aggiusto per
l’ultima volta il mio lungo vestito blu.
Manca pochissimo, questione di alcuni
minuti prima del mio ingresso, così stringo un po’ di più l’archetto, come se
fosse la mano di una persona amica a farmi forza, ma ecco che accade tutto in
pochi istanti.
Nel buio l’uomo mi sembra senza volto
e, come nel peggiore degli incubi vengo scaraventata alla parete dietro di me.
Non faccio in tempo a realizzare il dolore che provo alla schiena che subito
una fitta acuta mi colpisce al collo. L’urlo viene coperto dall’orchestra,
ormai sul forte come il mio cuore che pulsa così rapido da farmi male.
Ma mentre sento la musica continuare
il suo crescendo sento il sangue venir risucchiato dalle mie vene e le forze
che mi stanno lasciando. Sembra passata un’eternità ma sono passati solo pochi
secondi quando finalmente il mio aggressore allontana la testa dall’incavo del
mio collo.
La mia razionalità mi impedisce di
comprendere che quello che credevo essere un uomo è in realtà un vampiro che
ora mi sta abbandonando in queste condizioni.
Vorrei alzarmi e chiedere aiuto, ma
non posso, la debolezza mi impedisce di urlare e dalla mia bocca escono solo
rantoli sommessi.
Nonostante la paura non posso fare
altro che pensare: “tocca a me, devo suonare!”
Il volume degli strumenti in sala
continua a crescere, e con esso il mio cuore rimbomba nelle mie orecchie ma
sempre più lento e discontinuo.
Mi trascino cercando di raggiungere il
mio violoncello rimasto a terra; non riesco ad accettare ciò che mi sta
accadendo.
Penso: “ No! Non adesso, manca
pochissimo alla mia entrata” mentre dai miei occhi che ormai vedono solo il
buio scendono lacrime inconsapevolmente.
Ci siamo, è il momento in cui il
brano, giunto al culmine della sua potenza stupisce tutti per l’ultima nota che
rimane in sospeso.
Tocca a me concludere: l’ultima nota è
un battito del mio cuore. Il mio primo, ultimo assolo.
***
- Beth! Sei pronta? Guarda che tocca a
te! -
È così che mi trovò la mia amica
Joanne: riversa a terra con il vestito macchiato dal crimine di un essere
dannato e il mio violoncello, per cui avevo sacrificato senza rimpianto molto
del tempo della mia infanzia e adolescenza stretto nella mia mano destra.
Il suo urlo d’orrore squarciò l’attesa
delle persone in sala.
E per me rimase solo il silenzio.