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Autore: SteppenWolf    18/08/2011    2 recensioni
Probabilmente non conoscete il libro di Max Brooks World Wae Z. Questa storia parla dell'ultima fase della battaglia di Long Island e dell'assalto nella villa super protetta dove si erano rintanati le celebrità da parte dei normali cittadini.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Battle of Long Island (World War Z) “... i morti stavano risalendo la Third Avenue, la gente li affrontava corpo a corpo, con martelli e tubi, il gestore di un Modell’s Sporting Goods stava dando via tutte le sue mazze da baseball e gridava: - Colpiteli in testa! -…” (T. Sean Collins) La storia riportata di seguito riguarda le memorie del poliziotto del New York Police Department (N.Y.P.D.) Damian “Fish” Finley. …Long Island era pesantemente infestata. Erano ovunque. Avevamo provato ad evacuarla – o meglio il 302° corazzato dei Marines aveva avuto questo compito e noi avevamo ricevuto l’ordine di affiancare i soldati stremati in mancanza della Militar Police. Non si capiva un cazzo in quei giorni. Ricordo che quel giorno afoso di agosto l’aria era piena di merda chimica. La puzza dei morti insieme ai loro gemiti si diffondeva per chilometri e chilometri. Eravamo stati tagliati fuori, senza via d’uscita da quella maledetta isola, l’unica cosa che potevamo fare era combattere. Il 90% dei militari era stata accerchiata dagli Zom in una piazza qualche ora prima e, dalle ultime trasmissioni radio, avevamo capito che erano stati totalmente massacrati. Le ultime parole del sergente rimasto al comando erano state: “Non preoccupatevi, andrà tutto bene, ragazzi!”. I sopravvissuti – sessanta o settanta soldati – insieme ai tre poliziotti rimasti in zona e a centinaia di civili cercavano di bloccare in qualsiasi modo gli Zom che risalivano la Third Avenue. Eravamo in tenuta antisommossa, suppongo per fare scena, e stavamo sudando le proverbiali sette camicie sotto quelle corazze. “Dove cazzo è la mia squadra!?”, pensavo questa frase in ogni istante. Ci stavamo cagando tutti sotto mentre ci ritiravamo sulla collina. Mi tolsi l’elmetto e guardai i militari: erano disperati, non c’era nessun ufficiale, erano tutti novellini. Guardai anche i miei colleghi: Donald March e Carlos Vasquez. Anche loro alle prime armi, come me d’altronde. Carlos mi guardo in maniera inquietante; aveva uno strano sguardo, rassegnato per cosi dire. Sparò col suo Mossberg verso la folla di morti. Due colpi e poi dal fucile non uscirono più pallettoni. Butto il fucile di lato, estrasse la 9mm, guardò me, poi i civili – molti dei quali con mazze e tubi in mano - e si girò gridando alla gente di correre più in alto. Vasquez – un ragazzino di 20 anni, stupido e negligente – era rimasto troppo indietro a sparare col suo fucile. Ricordo ancora la porta che si sfondava alle sue spalle e i 3 non-morti che uscivano barcollando dalla casa semi bruciata. Due lo tirarono giù tenendolo fermo mentre il terzo gli strappò il casco e gli diede il morso sul naso. Subito dopo però la scena del malcapitato poliziotto fu avvolta da una nube di polvere; mi girai e notai che un marine aveva gettato una granata verso i 4. si girò verso di me, mi prese per il giubbotto antiproiettile e mi gridò di andarmene o qualcosa del genere. Mi risvegliai dal torpore e corsi su insieme ai civili mentre i soldati si ritiravano lentamente coprendosi l’un l’altro coi fucili d’assalto. Il volume di fuoco dei soldati si andò affievolendo quando finirono le munizioni. Buttarono i fucili per terra e molti di loro – poco più che ragazzi – indietreggiarono senza sapere che fare. Molti protendevano le mani avanti, come per chiedere pietà. Quando i morti li raggiunsero i Marines caddero uno dopo l’altro, cercando di lottare con i coltelli, usando i fucili come mazze o sparando gli ultimi colpi. Mi girai e iniziai a correre. Ricordo che un ragazzo sfrecciò affianco di me su un paio pattini e una mazza cui aveva legato all’estremità una machete – o una mannaia – e tagliò al volo due teste. Frenò, tornò indietro dietro le linee amiche, fece inversione si lanciò per la seconda volta verso i morti più avanti. Ricordo che provai un senso di ammirazione sempre crescente…. Ricordo anche la sua fine… il braccio putrefatto che usciva dal canale di scolo e che lo faceva volare in aria, poi i morti su di lui che lo trascinavano per i capelli nella folla gemente e affamata… Molti civili urlarono, un gruppo di loro – forse più montati degli altri, o forse disperati – si fecero avanti brandendo asce, accette e uno addirittura un arco e cominciarono a spaccare la testa a ogni cazzo di Zom. Uno spettacolo, Cristo! “Avanti, tutti verso la spiaggia! Tutti via da qui! Svelti, svelti, svelti!” gridavamo io e March. Non ci siamo fermati un solo attimo, ormai non avevamo più voce. Non so perchè continuammo a farlo, se devo essere sincero non me ne fregava più niente di quelle persone… le parrò un bastardo, un pezzo di merda, ma lei parla con il senno di poi. Li c’eravamo solo io e Zom. E per qualche motivo quel giorno c’erano anche quelle persone…. si fidavano di noi, capisce? Si era attivato qualcosa nella mia testa e in quella del mio compagno più forte dell’istinto di conservazione. Noi DOVEVAMO salvare quelle persone. Ricordo che vidi un uomo, un padre, sommerso dagli Zombie che cercava ancora di lottare per tornare dalla figlia piccolina. Le sue ultime parole – oh Dio, le sue ultime parole – furono: “Scappa, tesoro. Corri da mamma!”. Cambiai completamente direzione, scartai a destra di 10 metri, presi la Beretta dalla fondina e mentre mi avvicinavo di corsa alla bambina in lacrime, immobile, sparai un colpo in testa al padre rantolante a terra mentre assisteva alla sua fine impotente. Presi la bambina in braccio e mi misi a correre verso la folla di persone. Donald si mise dietro di me: era coperto di sangue dalla testa ai piedi, aveva i denti digrignati come se stesse sopportando un dolore inimmaginabile, si teneva il braccio destro penzolante lungo il fianco con una mano. Stringeva ancora la pistola scarica. In fondo alla strada c’era un’enorme casa barricata. Non so come ma vidi il cancello sparato indietro: in qualche modo avevano fatto saltare i cardini. Vidi alcuni cameraman ai lati dell’assembramento di civili. Dalla casa iniziò a piovere una pioggia di proiettili che si affievolì subito dopo. Non ci capivo un cazzo; esplosioni, sangue, cartucce e bossoli. Cercai di proteggere la bimba il più possibile stringendola a me. Non so perché non entrai in casa, non so quale santo mi risparmiò quella fine: circa due minuti dopo che la folla inferocita fece irruzione in quella casa super… - beh semplicemente “super”, se afferra il concetto – arrivarono i mostri e quella dimora da fortezza diventò un mattatoio… Mi diressi di corsa verso la spiaggia, vidi di sfuggita un uomo vestito di nero salire su una tavola da surf e nuotare verso il largo. Una paio di uomini stavano spingendo in acqua una piccola barca, quando mi videro mi gridarono si sbrigarmi: non ce la facevo più, ero stremato. Inciampai e rotolai a terra insieme alla bambina. Poco dietro di me sentivo i lamenti dei morti che si avvicinavano. Chiusi gli occhi e provai semplicemente…. serenità. La bimba urlava e piangeva e a quel punto successe l’impossibile. Il sole era così luminoso che riuscivo ad avvertirlo anche con le palpebre chiuse. All’improvviso però la mia visione si oscurò, sentì due spari e l’odore intenso della polvere da sparo nelle narici. Aprì gli occhi proprio mentre una mano forzuta mi prese per il corpetto in Kevlar e mi tirò su. La faccia barbuta di un uomo sui 45 anni mi gridò di andarmene. Mi spinse verso la barca su cui altre due persone stavano sparando con delle Glock e tornò a caricare la doppietta. Zoppicando raggiunsi la barca in acqua e mi issai a bordo, subito dopo l’uomo che mi aveva salvato la vita fece lo stesso e si sedette accanto a me; mi guardò sorridendo e mi disse “Tutto bene, agente? E’ finita.”. Giuro, mi disse proprio così. Io scoppiai a ridere piangendo. Il mio sorriso però morì nell’istante in cui guardai oltre la sponda, verso la spiaggia… New York bruciava… Un uomo mi guardava immobile dalla riva, era vestito di nero. Portava una tuta antisommossa…
  
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