Saaaalve!Qui è Eleonora che
vi parla! ci sono anche io! Daniela non scassare!u.u
Allora,
siamo qui, per farvi leggere la nostra prima os!okay, non è la prima ma.. Eleonora incocci okay, scusate!u.u
dicevo, è la nostra prima os a quattro mani!(:
E’
ambientata nel lontano agosto del 1945 e ha come protagonista il bel Joseph. cane, vorresti dire!
Daniela, mostrati fan, almeno per un paio di minuti! u.u comunque
dicevo, è ambientato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale! Abbiamo
preso ispirazione dalla canzone di Katy perry, se avete voglia, mettetela da
youtube mentre leggete!u.u
Non c’è
molto da dire, se non che speriamo infinitamente che vi piaccia e ah! Le parti
in corsivo sono ricordi, mentre le altre sono situazioni dell’agosto del
1945!uù
“Smettila!” gridò
esausta Eleanor prima di sedersi sfinita sulla spiaggia. “Sai che sei troppo
lenta?” domandò Joe sedendosi accanto a lei. “ho le mie motivazioni” “correre
fa bene, e non volerlo fare solo per una semplice aritmia, credo che sia
idiota” “cosa sono queste parole, Jonas?” domandò sarcastica gettandosi su di
lui a peso morto. Il ragazzo si lasciò atterrare e finirono sulla sabbia, uno
sull’altro.
Joe alzò le braccia dalla sabbia e abbracciò sua moglie sorridendo. “Dovresti
correre un po’, con me.. qui sulla spiaggia..qualche mattina” la ragazza scosse
nuovamente il capo. “beh, allora ho un'altra idea per smaltire le calorie dei
tuoi pasti” esclamò lui alzandosi da terra e ribaltando al situazione. La
ragazza si trovò imprigionata dalle braccia muscolose del marito, finse di
divincolarsi ma poi si allungò quel tanto che bastava per baciargli le labbra.
“non intendo fare sesso con te qui fuori” biascicò staccandosi da lui cercando
di rialzarsi. “e perche no?”la ragazza si voltò, incenerendolo con lo sguardo.
Le pareva abbastanza ovvio il perché. Si trovavano su una spiaggia pubblica, il
fatto che fosse notte fonda non significava nulla. Si portò a sedere, mentre
Joe rimase sdraiato, portò le braccia dietro la testa e fisso le stelle
immobili nel cielo. “hai mai pensato ad avere dei bambini?” domandò la ragazza,
accasciandosi lentamente accanto a lui. “abbiamo quattro mesi di matrimonio
alle spalle..magari un giorno” biascicò lui portando un braccio intorno alle
spalle di lei. “se fosse maschio?” domandò lei incurante della risposta
precedente del marito.”come lo chiameresti?” “Joe jr” la ragazza sorrise. “se
invece fosse femmina, Joenne” “Joenne? E perché non Sarah? Non bisogna per forza
che la bambina abbia il tuo nome dentro il suo” biascicò la donna. Il ragazzo
in tutta risposta alzò le spalle. “avrà già il tuo cognome, non credi che
tocchi a me scegliere almeno il nome?” “non credo” si lasciò sfuggire lui, la
ragazza lo colpì con un buffetto. ”vada per sarah joenne” “Joe?” prese un
respiro profondo, prima di continuare. “sono incinta” dal ragazzo non provenne
nessuna parola, neanche un fiato.
Si alzò a sedere fissando l’oceano davanti a se. “sarà un bambino fortunato” sussurrò poi voltandosi. Sorrise
felice, prima di abbracciare sua moglie anche lei seduta sulla spiaggia e
cadere di nuovo a terra. Si scusò per essergli caduto sopra. La ragazza sorrise
dell’improvvisa ed eccessiva premura del suo uomo.
Sebbene fosse un
giorno d’agosto, della fine di una delle estati più calde di tutti i tempi, il
sole sembrava non voler comparire. Per tutta la giornata era stato abilmente
nascosto dietro le innumerevoli nuvole scure e con il passare delle ore era
calato sempre più arrivando all’orizzonte, cominciando a colorare il cielo
d’arancione.
Eleanor fissava quella linea orizzontale alla fine dell’oceano. Con i piedi
nella sabbia umida, non smetteva di togliere gli occhi da quella grande distesa
d’acqua. Al confine tra cielo e mare, vide un gabbiano svolazzare leggero,
toccare l’acqua e risalire su nel cielo.
Era inevitabile che Eleanor pensasse a Joe in quel
luogo. Lì era dove lo sentiva più vicino: quella spiaggia assolata aveva
condiviso con loro le tappe più importanti della loro storia.
Proprio lì Eleanor l'aveva visto per la prima
volta, con i capelli neri bagnati che gli gocciolavano sulla fronte e la pelle
abbronzata, l'aveva trovato bellissimo. Su quella stessa spiaggia, due anni
dopo, Joseph le aveva chiesto di sposarla
e successivamente, lei gli aveva detto di essere incinta.
Per Eleanor era stato naturale tornare su quella
spiaggia anche ora, senza di lui. Sentiva che in quel momento solo quel luogo
potesse confortarla, solo lì poteva sentire la presenza di Joe, poteva tornare
con la mente indietro all'ultima volta in cui erano stati insieme, poteva
fingere che lui fosse accanto a lei, almeno per qualche istante.
“Dovresti andare!l'aereo non aspetterà” disse lei abbassando
il volto,con il tono di voce spezzato. Sospirò guardando le scarpe scure del
ragazzo. “Dovresti andare” sussurrò di nuovo,passando una mano sul viso per
carezzargli una guancia. La tenne ferma sul collo di lui, come a sperare di
trattenerlo li con se. “Sappi che per te ci sarò sempre,chiamami ed io..” La
ragazza lo interruppe scuotendo la testa.
Il moretto la guardò mentre scuoteva la testa e
una lacrima solitaria scendeva sulla sua guancia.
“Avremo un oceano di distanza,tu..tu..dovresti
rifarti una vita. –blaterò pentendosene subito dopo- Siamo giovani e tutto andrà
per il meglio” sembrava quasi che volesse convincere se stessa e non il ragazzo
che strinse più forte la mano intorno alla valigia. “sei mia moglie e sei
incinta! La guerra sta per finire! Non credere che ti libererai di me cosi
facilmente!”
L'altoparlante chiamò nuovamente il suo volo, sapeva cosa
doveva fare.
Doveva andare. Eppure non ce la faceva, sentiva i
piedi incollati a terra.
Come se fosse attratto a lei proprio come lo erano
due calamite. Voleva stringerla a se, stringerla e non lasciarla più, ma non lo
fece.
Era un uomo devoto al suo paese, un uomo che stava
per andare nuovamente in guerra a difendere le persone come lui, andava per il
bene della nazione.
Si voltò e comincio a camminare verso gli altri
militari, che in gruppo si salutavano dopo le settimane di licenza.
"Joe" urlò la ragazza prima di correre
tra le sue braccia.
Continuò a versare lacrime, una dopo l’altra
continuavano a scendere imperterrite. Joe le accarezzò dolcemente la schiena
“solo qualche mese, tornerò e chiederò il congedo” biascicò lui, dopo qualche
secondo la ragazza alzò la testa e le bacio la fronte, poi dovette allontanarsi
sentendo chiamare per l’ennesima volta il suo volo.
Eleanor, seduta alla
sua toeletta in mogano, abbottonò gli ultimi bottoni della camicia nera di
cotone con movimenti lenti e privi di vita.
Con altrettanta
lentezza alzò la testa verso lo specchio di fronte a lei e quello che vide le
fece tremendamente paura.
Sembravano passati
pochi giorni dall’ultima volta che aveva riso così forte da piangere, pochi
giorni da quando il suo cuore pareva scoppiare incapace di contenere tanta
felicità, e invece erano passati mesi. Sette per l’esattezza.
Il viso della
giovane donna riflesso allo specchio, ora sembrava un viso che non aveva mai
conosciuto un sorriso, un viso vuoto, inespressivo. Gli occhi gonfi e rossi
guardavano inermi i capelli arruffati e la pelle pallida, il velo lucido che li
copriva mostrava una preoccupante apatia.
Si sentiva come se
fosse spettatrice della sua vita. Guardava, sentiva, respirava, si muoveva, ma
non era più in grado di vedere, di ascoltare, di assaporare l’aria che
respirava, non era in grado di provare gioia, felicità, stupore. Era come se
tutti i sentimenti che una persona potesse sentire, in lei si fossero
raggruppati trasformandosi in un unico ed immenso sentimento. Il dolore.
Ed Eleanor non
voleva sfuggire a quel dolore.
Quel sentimento così
grande e devastante era l’unica prova che aveva che lui fosse esistito
realmente. Certo aveva poche foto che col tempo sarebbero sbiadite e qualche
oggetto che lui le aveva regalato, ma quelle erano cose materiali. Il dolore
invece era dentro di lei, nel suo cuore, non sentirlo più avrebbe significato
non sentire più lui.
Lui era il suo
dolore.
La guerra si era conclusa da qualche giorno ormai, agosto era
iniziato e per il Giappone non molto bene. Gli stati uniti avevano messo fine
al massacro,con uno ancora più grande. La bomba atomica aveva raso al suolo due
intere città. Mutando la vita di migliaia di persone e mettendo la parola fine
su altre migliaia. I soldati cominciavano a tornare dalle proprie famiglie,
cinque anni al fronte, senza tempo per le licenze, impegnati nelle piccole
battaglie che creavano la grande guerra. Molti tornavano feriti,mutilati o
spezzati nell'anima dalle atrocità viste.
A molti altri spettava il compito di avvertire le famiglie
dei caduti, dei valorosi soldati che avevano dato la vita per il paese. Uno fra
i tanti il tenente Connor Mcghy che si incamminò per le stradine della
piccola cittadina di Pasadena dove un centinaio di abitanti vivevano sulla riva
dell'oceano in piccole villette antiche. Mentre percorreva la grande strada
principale,si imbatté in un gruppetto di bambini impegnati a giocare a campana.
Probabilmente per loro era un giorno come un altro,e lo sarebbe stato anche per
lui se solo non avesse dovuto avvertire una famiglia della morte di un
commilitone.
Il sole era alto nel cielo, il caldo era afoso
tanto che avrebbe voluto sbottonarsi
qualche centimetro la camicia verde scuro,ma non poté.
La divisa e l'arma imponevano una certa postura, specialmente in situazioni del
genere. Prese un gran respiro prima di bussare alla porta. Due colpi secchi,
poi portò le braccia lungo i fianchi e attese.
Tenne il capo chino per qualche secondo,lo rialzo
giusto in tempo per guardare la persona davanti a se.
Quella stessa mattina Eleanor aveva ripulito la
villetta da cima a fondo. Ogni uomo nelle vicinanze stava tornando a casa, si
commosse quando mentre ritirava il giornale, un marine aveva abbracciato i
propri bambini in giardino e aveva baciato sua moglie per ore, o forse solo qualche
minuto, sempre li in giardino. Sotto gli occhi di tutti.
Eleanor ricordò le grandi mani con cui lui,
stringeva la sua donna, i baci posati sulle sue labbra e gli abbracci ai due
bambini. Quello fu il primo segno che la fece rinsavire. La guerra era
finita,Joseph era di ritorno. Dopo l’ultima licenza erano passati sette mesi,
setti intensi mesi dove lei aveva visto crescere la sua pancia, dove sentiva
crescere giorno dopo giorno il loro bambino dentro di se. Poche ore o pochi
giorni erano rimasti dal suo rientro, e poi sarebbero stati insieme per una
vita.
Non appena fu rincasata, si diede da fare per
rassettare tutto e in meno di un paio d'ore, con una vecchia salopette e una
bandana in testa ritinteggiò lo steccato che separava l'abitazione dalla
spiaggia.
Sentì suonare il campanello della villetta. Proprio mentre era intenta a
fissare i cibi nel frigorifero per preparare qualcosa per cena.
Era scesa da poco in cucina, aveva fatto la doccia
e indossato vestiti puliti infine aveva raccolto i capelli in una coda in cima
alla testa e si era bloccata davanti all’anta aperta del frigo, senza sapere
cosa mangiare. Quando a passo lento, si diresse verso la porta d’ingresso e per
un secondo le venne in mente la possibilità che si trattasse di Joe, di ritorno
a casa. Ma si sbagliava, non solo perche Joe era stato per mesi fermo in una
base americana in Europa, ma soprattutto perche era il tenente Mcghy.
Vedere un uomo in uniforme per Eleanor in quel momento, fu come
un pugno al cuore e proprio come la mattina precedente si sentì mancare.
Eleanor lo fece entrare e a stento riuscì a sedersi sul
divano. Le gambe le tremavano, il fiato smorzato e il cuore batteva troppo
forte per rimane nel petto.
“Signora Jonas” quella parola la fece sussultare.
“non ho ancora preparato nulla per la cena, ma se vuole un bicchiere di the
freddo” biascicò la donna cercando di rimanere calma. L’uomo scosse il capo in
risposta nello stesso istante portò una mano nella tasca interna della giacca e
ne estrasse due oggetti con estrema lentezza. Eleanor si sedette cercando di
regolarizzare il respiro. “signora, ecco..io..” ne porse uno alla donna, la
quale riuscì a stento ad allungare il braccio per poi riempire le chiare iridi
azzurre di inondanti lacrime.
Sapeva cosa l’uomo gli stava restituendo. Sapeva
che quelli erano oggetti di Joe. Lo sentì anche al solo tocco. Il metallo della
targhetta identificativa non era più lucida, le lettere si distinguevano a
stento, quasi arrugginita e impolverata. La donna passò un pollice sopra di
essa, non appena una lacrima cadde sopra le letterine impresse nel metallo.
Lesse il nome del marito ma si auto convinse che al mondo
milioni di persone si chiamassero come lui, pochi di loro avevano però una
moglie di nome Eleanor. Sicuramente ancora meno ne avevano segnato il nome
dietro la targhetta. La donna fece un respiro profondo prima di voltarla a
guardare. Le lettere, una accanto all’altra erano impresse sul metallo.
Sentì dentro di se, quelle lettere penetrarle il cuore. Una lettera dopo
l’altra scalfire un taglio profondo; Si sentì mancare l’aria e girare la testa.
Ma trattenne il malore e tra i singhiozzi guardò l’uomo davanti a se.
“credo che debba sapere” cominciò avvicinandosi di un passo alla donna. Il
tenente Connor Mcghy aveva anni di carriera alle spalle, anni di esperienza su
bombe e proiettili. Ma neanche una moglie, un figlio o un fratello. Nessuno che
avrebbe pianto come Eleanor stava facendo per suo marito se lui non fosse
tornato a casa dopo la guerra.
La sensazione che provò fu quasi di sollievo.
Sentiva il dolore che stava provando la donna in quel momento. Prese un respiro
profondo e continuò a parlare, nello stesso istante in cui la donna strinse la
medaglietta in una mano. Il pugno divenne subito rosso, lui distolse lo sguardo
e passò agli occhi della donna. Incredibilmente blu, ma anche incredibilmente
arrossati. “voglio che sappia che suo marito è morto da eroe” la donna annuì
tra un singhiozzo e l’altro. “è stato colpito da un proiettile vagante, mentre
portava alla base un compagno ferito.” “E’ stato colpito” ripeté la donna quasi
in trance. Si accarezzò il pancione, cercando di non versare altre lacrime.
Guardò un punto impreciso del tappeto sul quale era posato il tavolinetto
davanti a se. “ha trascurato la faccenda, credendo che fosse solo un proiettile
facile da estrarre..” alzò lo sguardo sull’uomo con gli occhi socchiusi “ha
continuato a pensare ai suoi compagni, ma il proiettile era un esperimento dei
nemici, capace di diffondere un veleno nel corpo in meno di un paio d’ore”
biascicò infilando un'altra mano in tasca estraendo questa volta un foglietto,
ingiallito e ripiegato più volte.
Glielo porse “sapeva che la sua vita stava per
finire, ma prima di andarsene per sempre mi ha chiesto di darle questo” esclamò
indicando il foglietto. Con mani tramanti, ma con estrema cura – quasi
impaurita dal romperlo- lo tenne stretto tra le dita.
Lo immaginò a letto, stretto nelle fasciature, rinchiuso in un ospedale da
campo.
La testa le pesava,sentiva lo strano bisogno di
sdraiarsi e dormire. Magari per riuscire a vedere in sogno l’uomo che amava,
per l’ultima volta.
Ancora una cosa il tenente le porse un altro oggetto. Questa terz’ultima cosa
era chiusa in una scatolina blu di velluto. La strinse tra le dita tremanti,
cercando di aprirla con calma. Quella che le si parò davanti, fu una visione di
Joe che ritirava orgoglioso quella medaglia d’oro. Ma pensandoci bene lui non
l’avrebbe mai fatto, lui era morto. E quella era una medaglia all’onore.
Eleanor teneva gli occhi puntati sul prato verde sotto i suoi
piedi, senza riuscire ad alzare lo sguardo.
Era strano, quel colore di solito le metteva
addosso una strana allegria e gioia di vivere. Il verde le ricordava quando da
piccola organizzava picnic con i genitori sul lago dietro casa, poggiavano il
grande telo a quadri rosso e bianco sull’erba verde, e restavano lì a ridere
fino al tardo pomeriggio, quando il sole calava dietro le montagne e la
temperatura si abbassava facendoli rientrare in casa.
Quello stesso verde gioioso che l’aveva
accompagnata nella sua crescita, ora le sembrava così triste e cupo, come se
anche lui, in qualche strano modo, percepisse il suo dolore.
Nonostante questo però, Eleanor non riusciva ad
alzare gli occhi, forse perché non voleva mostrare il rosso che c’era in essi,
o forse perché sapeva che se avesse alzato lo sguardo, avrebbe trovato qualcosa
di molto più triste che il pravo verde sotto di lei.
Il sole stava per tramontare ormai, le sedie in
pelle nera dietro di lei prima tutte occupate, ora erano vuote e desolate,
anche il sacerdote che aveva detto quelle belle parole, che ad Eleanor erano
sembrate del tutto inutili, se ne era andato, ed era meglio così.
Per Eleanor quella era stata l’esperienza più
devastante della sua vita. Tutta quella gente che piangeva, si portava le mani
al volto disperandosi, tutti avevano perso un pezzo della loro vita quel
giorno, ma Eleanor proprio non riusciva a provare compassione per tutti i cari
avvenuti per piangere il marito.
Avrebbe voluto zittirli tutti, fare un passo
avanti e gridare che lei era quella che aveva perso l’uomo con cui aveva
progettato la sua vita assieme, lei aveva perso il suo primo ed unico amore,
lei e solo lei aveva perso il padre di sua figlia.
Ma non l’aveva fatto, era rimasta lì, al suo bel
posto in prima fila, con lo sguardo basso ed il cuore a pezzi.
Alla sua sinistra Denise, la madre di Joe,
continuava a singhiozzare da tempo indeterminato ormai. La sentiva tremare accanto
a lei e quel tremore le arrivava fino al cuore, rendendolo tremendamente
pesante. Alla sua destra Catherine, sua madre, le teneva un braccio attorno
alle spalle, cercando di trasmetterle tutto il calore di cui disponeva.
Catherine non sapeva che era tutto inutile, non
sapeva che Eleanor si era chiusa dentro il suo guscio, per non crollare. Oh,
non lo faceva per lei di certo, in quel momento l’idea di chiudersi in una
stanza e non uscire mai più era molto allettante, ma non poteva permetterselo
ora, ora doveva essere forte, lo doveva essere per la sua bambina, per la loro
bambina.
-Eleanor, tesoro, ti lasciamo un attimo da sola-
le sussurrò la madre all’orecchio stringendola più forte per un istante –ti
aspettiamo a casa- aggiunse togliendo definitivamente il braccio dalle spalle
della figlia.
Denise le sfiorò delicatamente un braccio, e solo
allora Eleanor ebbe la forza di alzare gli occhi per guardarla.
Decisione della quale si pentì all'istante:di fronte agli
occhi gonfi ed arrossati della donna, si sentì mancare.
Sin dalla prima volta in cui aveva visto Denise
aveva avuto l'impressione, e poi col tempo la conferma, che fosse una donna
forte ed indipendente, ma al contempo anche dolce e premurosa. Una perfetta
madre di famiglia. Quella stessa donna che le era sembrata tanto forte, ora era
devastata dal dolore.
Denise non disse nulla, si limitò a stringerla per
qualche istante prima di avviarsi con Catherine, lasciandola da sola.
Eleanor le seguì con lo sguardo finché non
sparirono dietro un enorme pino dall'aria triste. rimase immobile, non aveva il
coraggio di affrontare la realtà.
Già, perché infondo dentro di lei sperava ancora
che Joe sarebbe arrivato una mattina, bussando alla sua finestra, col suo
solito sorriso allegro, dicendole che c'era stato uno sbaglio, che lui era lì e
ci sarebbe stato per sempre. Ma Eleanor doveva capire che non era così: era
sola ormai. Istintivamente portò una mano al ventre cresciuto vistosamente;
c'erano solo loro due adesso.
Sentendo una strana forza dentro di se riuscì a
voltarsi verso quella che al momento era la sua più grande paura. La bara in
mogano scuro era stata ricoperta da un'enorme bandiera americana. Per quello
era morto Joe: per difendere la sua patria.
"La nostra bambina vivrà in un mondo
migliore", le aveva detto prima di partire per l'ennesima missione,
baciandole la pancia leggermente rigonfia, con passo incerto raggiunse la bara
e non appena posò la mano tremante su di essa, si sentì crollare. Le gambe
cedettero sotto di lei e in pochi secondi si ritrovò con le ginocchia
sull'erba. Se n'era andato, per sempre. Suo marito era morto.
Non avrebbe mai più visto Joe, non avrebbe mai più
visto il suo sorriso o i suoi occhi che brillavano nel buio, non avrebbe mai
più sentito le sue mani che le percorrevano il corpo, riscaldandolo e
scuotendolo di brividi; non le avrebbe mai più sussurrato "ti amo"
all'orecchio prima di addormentarsi abbracciati, dopo aver fatto l'amore. Ma la
cosa che più la feriva era il fatto che Joe non avrebbe mai visto la loro bambina.
Non sarebbe stato altro che un volto in una cornice per la loro bambina.
Eleanor poggiò la fronte alla bara fredda mentre le lacrime cominciavano a
scorrere copiosamente sul suo viso e i singhiozzi le scuotevano il petto. Con
le dita si aggrappò al pezzo di stoffa bianco e rosso, quasi a volerlo
strappare, come quella stupida le aveva strappato il cuore e la vita.
Una vita costruita con la convinzione che lui ci
sarebbe sempre stato, che qualsiasi problema la vita avrebbe posto sul loro
cammino, l'avrebbero affrontata insieme. Progetti, sogni di una vita sfumati
via come il vento.
Un alito di vento caldo tipico del mese di agosto
la avvolse improvvisamente e Eleanor si portò le mani al viso, asciugandolo
frettolosamente, come se fosse stata colta in flagrante, come se quel vento
caldo le stesse dicendo di non piangere, di essere forte.
Aprì la sua borsetta in tessuto nero dove, sul
fondo, giaceva un foglio mal ridotto; lo afferrò, ed era talmente sottile che
per un istante ebbe paura di romperlo. Lo estrasse dalla borsa ma, come le era
capitato qualche giorno prima, non ebbe il coraggio di aprirlo. Gli occhi le si
inumidirono, di nuovo, quando pensò che quelle erano le ultime parole di Joe.
Solo allora capì perché non aveva il coraggio di leggere quelle parole: quelle
erano le ultime parole che Joe aveva rivolto a lei, quando avrebbe letto quelle
parole, non le sarebbe rimasto più niente.
Improvvisamente Eleanor sentì un qualcosa muoversi
dentro di lei, un qualcosa di fin troppo reale, si era mosso nel suo basso
ventre. Era la loro bambina. La loro bambina aveva scalciato per la prima
volta. Eleanor si portò automaticamente la mano libera alla bocca, sorpresa.
Era un caso che la bambina avesse deciso di farsi sentire proprio in quel
momento? No, si disse, non era stato un caso. Nello stesso istante il vento
caldo di poco prima le accarezzò dolcemente la nuca, rassicurandola. Di colpo
Eleanor non era più sola. Era come se qualcuno dietro di lei la stesse
stringendo diffondendole calore luogo le braccia e la schiena. Con una strana
determinazione aprì il foglio che stringeva in mano.
Vada per Sarah Joenne.
Ti amo, Joe.
Mentre leggeva quelle parole, le sue ultime parole, le
lacrime ricominciarono a cadere incontrollate e si rese conto che si era
sbagliata: finché aveva il suo ricordo, finché aveva la loro bambina, non
sarebbe mai stata sola.