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Autore: Wendy_magic_forever    19/08/2011    2 recensioni
Questa one-shot, venutami d'improvviso in mente, parla di Kit, una ragazza mascolina amante di MJ e di come due tipi molto diversi e molto simili a lei, le fanno ricordare cosa Michael voleva da noi suoi fan: migliorare il mondo.
Il rating è arancione per il linguaggio un po' colorito.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cominciamo dalla spiaggia?

 

Quando passa una ragazza in abiti pesanti in piena estate, c'è sempre qualcuno che si chiede “ma non avrà caldo quella lì?!?”.

Infatti lei AVEVA caldo: come si può non avere caldo vestendo di pelle nera a quaranta gradi all'ombra?!?

Tuttavia, fingeva di nulla. Mai e poi mai si sarebbe messa un abito femminile, lei era un maschiaccio che andava in giro vestita come un biker con la giacca di pelle nera a mezzogiorno in pieno agosto. Si sudava solo a guardarla, ma, come ho già detto, lei era un maschiaccio e mai e poi mai avrebbe indossato qualcosa che mostrava al mondo le sue femminilità.

Indossava ogni abito maschile, perfino le mutande; le uniche cose che la distinguevano da un uomo erano il seno e qualcosa che stava più in basso.

Sapete, però, la cosa strana? Se fosse stata effettivamente un uomo, di sicuro sarebbe gay; perché solitamente le ragazze mascoline prediligono una compagnia femminile, ma lei no. Anzi, la sola idea la faceva vomitare.

 

Insomma: era un maschiaccio, ma aveva gli ormoni a posto, e la cosa era un problema; chi la vuole una donna che non si trucca, non si scopre e porta un marsupio al posto di una borsetta?

 

Tuttavia la cosa non le dava fastidio, anzi, le piaceva essere libera di guardare un ragazzo carino senza avere il retro-pensiero “Ma io sono fidanzata, non dovrei guardare gli altri!”.

Finché sei giovane, pensava, non cercare il modo di accasarti con qualcuno dell'altro sesso.

 

O, forse, era solo una scusa per il fatto che l'unico uomo che amava sul serio era morto e lei non riusciva più ad affezionarsi a nessuno.

 

Alcuni pensano che è stupido innamorarsi di una star, perché sono in tanti che s'innamorano di lui/lei; uomini e donne di tutte le orientazioni sessuali.

Tuttavia le non ci riusciva proprio. Si era accorta di essersi innamorata di lui un anno prima della sua morte, e, consapevole del pensiero esposto un paio di righe sopra, si era spaventata. Ogni mattina si alzava, si guardava allo specchio e cercava di auto-convincersi dicendo: “Tu non sei innamorata di lui, e dai, è solo un idolo musicale!”, ma questo non funzionava in alcun modo.

 

Dopo un mese passato con questa routine tutte le mattine, si era arresa e aveva continuato a guardarlo da lontano, finché non era morto.

Non ci voleva manco pensare a quel giorno. Due anni dalla sua morte e il pensiero le faceva ancora male. Che brutta la vita quando ti fa queste orribili sorprese.

 

Lungo il centro di Los Angeles, Kit camminava decisa e con il mento in alto, fiera di essere se stessa.

Dal suo marsupio posizionato sul fianco destro tirò fuori un mazzo di chiavi, per poi avvicinarsi a una super-motocicletta nera strapiena di tubi scoperti estremamente simile al motorino che Michael aveva guidato nelle vesti di Spike nel video di Speed Demon.

Quel “mostro” era parcheggiato al centro del posteggio per moto completamente libero, quasi gli altri motociclisti avessero paura al solo guardare quella belva di veicolo nera cromata bianco, oro, rosso e argento, portante, scritto con saette, il nome “Speed Demon”, nome che lo rispecchiava in tutto e per tutto. Infatti, appena lo vedevi, ti potevi chiedere: “Oh, mio Dio! Chissà quanto va veloce quel bestione!”

La giovane Kit aprì il sellino e tirò fuori il suo casco bianco decorato con saette nere, altro simbolo della sua fierezza tipicamente maschile.

Si sedette sul simbolo del suo orgoglio: la sua moto, o, come lo chiamava lei; il suo Demone Veloce.

 

Infilato il casco, accese il motore e partì, con un rombo assordante.

Si guardò intorno, sperando di scorgere qualcosa d'interessante o di nuovo, ma nulla, a quanto pareva.

 

Poi, d'improvviso, si dovette fermare e ri-posteggiare la moto: avevano aperto un mercato.

“Perfetto!” pensò Kit “Forse troverò un paio di stivaloni nuovi! I miei sono tutti usurati.”

 

Controllò il suo portafogli per vedere quanto poteva spendere, per poi entrare, tutta tranquilla.

 

Passando tra le bancarelle, elencava tutto ciò che vedeva, per individuare qualcosa d'interessante.

“Vestiti... vestiti... vestiti... trucchi... braccialetti... collane...” sbuffò “Mai una sola cosa interessante qui! Tutta roba da donne! E io la roba da donne la prendo solo se porta il nome o il volto del mio Michael!” represse i pensieri tristi allegati al suo nome.

Arrivò dall'altra parte del mercato, dove si trovava una spiaggia così sporca che nessuno ci andava, che ancora non aveva trovato nulla.

 

 

“Che palle!” pensò “Odio quando le giornate sono così monotone. Mi toccherà passare un altro pomeriggio di noia mortale!”

 

Appena finito di formulare il pensiero, sentì dei bidoni rovesciarsi sul terreno e alcuni ragazzi che ridevano; ma non erano risate di divertimento. O, meglio, lo erano, ma un divertimento diverso: un divertimento malvagio, un divertimento da vandali, da ragazzacci, da bulli.

 

Si avvicinò con cautela alla spiaggia, attraversando il viale, dove qualche pezzo di deficiente aveva messo un cartello fatto a mano con su scritto “Viale Cocaina”. Entrò in spiaggia, superò un cumulo di spazzatura e, quando si sporse, vide cinque ragazzi vestiti in pelle nera in stile “finto figo”, con gli occhiali da sole e i capelli fatti a cresta che facevano proprio del bullismo su due poveri malcapitati: due del gruppo ne tenevano uno, o meglio, una, visto che si trattava di una ragazza.

Vestita con colori sgargianti e fluorescenti, illuminati da gioielli di plastica e le scarpe che la alzavano da terra di almeno mezzo metro, pareva uscita da un manga giapponese degli anni '70.

Tra le braccia dei due che la bloccavano, gridava e strepitava, in difesa del suo amico che gli altri tre stavano maltrattando; un ragazzo di colore dai ricci neri e gli indumenti attillati dello stesso colore, con uno spesso strato di matita nera intorno agli occhi.

 

L'avevano appena scaraventato tra i bidoni e la sabbia sporca, e lui, senza fiato, tentava di rimettersi in piedi.

 

Un ragazzo con le borchie sui jeans, schiacciò con un piede la sua testa sulla sabbia: «Allora...» disse «Hai ancora intenzione di rispondere con quel tono?!?»

«O guardarci con quello sguardo?» intervenì un altro

 

L'altro, a terra, prese un respiro, staccò la testa dal suolo e rispose, con la voce spezzata dal dolore: «Mi fate solo pena.»

 

Questo li fece imbestialire: «Lurido nero frocio bastardo!» e giù con i calci sulla schiena «Così impari a rivolgerti in questo modo!»

La ragazza-manga si dimenò: «Lasciatelo! Gli spezzerete la schiena!»

In risposta, gli altri risero e le facevano il verso in falsetto.

 

Se c'era una cosa che Kit non sopportava, erano i grandissimi figli di puttana che se la prendevano con chiunque per qualsiasi cosa come quei cinque bastardi che aveva sotto gli occhi.

Un'altra cosa? Non poteva sopportare i razzisti. Chiunque si rivolgeva a un uomo di colore con l'aggettivo “negro” la faceva mandare in bestia.

Il fuoco dentro di lei, però, divampò dopo i versi che facevano alla manga.

 

«Ehi, voi, pezzi di merda!» gridò, uscendo allo scoperto «Perché non ve la prendete con chi è alla vostra altezza?!»

«Cazzo vuoi te, puttana lesbica?»

«Aprirvi il culo in due per quello che state facendo!»

 

I cinque si bloccarono a guardarla, indecisi sul da farsi; poi lasciarono il nero e la manga per andare da Kit.

«L'hai voluto te, troietta!» il ragazzo con le borchie sui jeans fece per tirarle un pugno, ma Kit, esperta in combattimento e difesa personale, glielo bloccò e lo deviò da un altra parte.

Preso alla sprovvista, il “borchiato” rimase sorpreso, dando il tempo a Kit di tirare fuori lo spray al peperoncino dal marsupio già aperto e spruzzarglielo dritto negli occhi.

Accecato, il “borchiato” gridò e si piegò in due vicino al muro, gli altri quattro cercarono di contrattaccare, ma Kit schivò tutti i loro colpi, usandoli contro di loro.

Quando si furono pestati a vicenda, i cinque, uno accecato e gli altri pieni di lividi, fuggirono, sperando che nessuno li avesse visti battuti da una donna.

 

«“Troietta” a chi???» disse quando se ne furono andati.

 

Si girò verso le vittime.

La manga aveva fatto sedere il nero e aveva appoggiato la sua testa sul suo petto. Gli accarezzava i capelli, in modo consolatorio, come una madre con il proprio figlio.

Per la prima volta in tutta la sua vita, Kit guardò un ragazzo senza pensare a Michael, ed era QUEL ragazzo.

In un certo senso, glielo ricordava: la pelle scura e i riccioli neri come la notte; esattamente come lui ai tempi di “Thriller”.

E poi, la matita nera; come quella che Michael metteva sempre prima di apparire in pubblico... c'era qualcosa di strano.

 

Kit, lentamente, si avvicinò ai due ragazzi, si inginocchiò davanti a lui e chiese al nero come stava.

Lui rispose che stava bene, aveva solo qualche livido.

«Ho ricevuto botte più forti.» disse, alla fine.

«Non c'è bisogno che tu faccia l'eroe.» disse Kit «Non c'è vergogna nel provare dolore.»

 

«I vostri nomi?» chiese di nuovo Kit, dopo aver messo in piedi entrambi i ragazzi

Il nero rimase confuso per un attimo, poi si porgendo la mano: «Io sono Jim. Jim Peterson.» Kit, più che stringerla, batté i due palmi insieme, e poi la strinse: tipico gesto maschile.

 

La manga le saltò letteralmente addosso, abbracciandola e anche circondandole il bacino con le gambe, gridando: «NON TI RINGRAZIERÒ MAI ABBASTANZA PER AVERCI SALVATOOOOOOO!!!!!!» con un altro salto ritornò al suo posto e disse: «Comunque io sono Shikiro!» e la salutò con un sorriso ebete e gli occhi spalancati alla London Tipton.

 

Kit rimase un po' spiazzata da quel atteggiamento, ma riuscì a scambiare un sorriso leggero con la ragazza: «Piacere, io sono Kit.»

«Kit???» chiese Shikiro con una luce brillante negli occhi «Come l'auto di Supercar!!! Che bel nome, che bel nome, CHE BEL NOME!!!»

 

Shikiro sbatté gli occhi un paio di volte a cinque centimetri dalla faccia di Kit, quest'ultima si allontanò dalla manga e chiese a Jim: «Ma è sempre così?»

«Prega di non vederla mai durante la sindrome premestruale. È anche peggio.»

«Ah-ah...» disse Kit, poi chiese di nuovo: «Perché quegli idioti vi hanno preso di mira?»

 

Shikiro abbassò la testa, tirò leggermente fuori le labbra e disse, con uno sguardo da bambina triste: «Noi due stavamo tranquillamente giocando in questa spiaggia, è il nostro passatempo preferito...» le sue labbra uscirono di più: «Poi gli ho tirato la maglietta e quegli stronzi hanno visto il suo tatuaggio; hanno approfittato per cominciare a rompere. All'inizio lo insultavano soltanto...» alcune lacrime cominciarono a bagnarle gli occhi «...poi hanno iniziato anche a spintonarlo, e quando lui ha risposto per le rime, l'hanno picchiato. Ho provato a fare qualcosa, ma mi hanno bloccato subito... e poi che potevo fare con questi tacchi?» indicò con le mani aperte le sue scarpe dalla suola rialzata a mezzo metro da terra, più il tacco che aggiungeva almeno altri dieci centimetri.

 

Shikiro abbassò la testa: «Sono un essere inutile...» disse in un tono misto tra il triste e il depresso.

 

Ignorandola completamente, Kit rivolse un ultima domanda a Jim: «Che tatuaggio era?»

 

Jim, dopo un attimo di esitazione, si girò e alzò la maglietta attillata.

Dietro la schiena portava un tatuaggio meraviglioso.

 

"Questo è il tatuaggio che aveva anche Jim"

 

Incredula e sbalordita, Kit provò a dire qualcosa: «Ma... quello è...»

«Michael Jackson, sì.» disse, scocciato, rimettendosi la maglia «So che ora ti sarai pentita di avermi salvato, ma sappi che io sono fiero di essere un suo fan.» Jim si stava difendendo da qualsiasi probabile insulto con la rabbia, cosa che fece sorridere Kit «Puoi insultarlo quanto vuoi, dire che è morto, che è gay, che è sbiancato, che è un pedofilo, non m'interessa niente; tanto io SO cosa è vero e cosa è falso, perché, al contrario di te, io mi sono informato e so che quegli schifo di giornali e tabloid sono dei venditori di fumo che s'inventano le cose...» la sua rabbia era così sciocca che Kit si mise a ridere.

«Si può sapere perché ridi?!?» chiese Jim, ancora più furioso.

Kit non se la prese; si limitò a sorridergli, alzò una mano dritta al suo fianco e formò un due con l'indice e il medio, simbolo di vittoria che Michael usava di solito.

Jim all'inizio non capì, poi si ricordò del gesto classico di Michael, e da quello capì che la ragazza mascolina che si ritrovava davanti, non era nient'altro che una fan di Michael anche lei.

La prima cosa che disse, fu: «Oddio... mi dispiace... non volevo arrabbiarmi così...non avrei immaginato che...»

«SEI UNA FAN ANCHE TUUUUUUUU!!!» chi aveva gridato era Shikiro, che era saltata di nuovo addosso a Kit «OH, CHE BELLOOOOOOOOOOO!!! ORA SIAMO IN TREEEEEEE! CHEBELLOCHEBELLOCHEBELLOCHEBELLOCHEBELLOCHEBELLOCHEBELLOOOO!»

 

Esasperata, Kit chiese a Jim: «Ma come fai a sopportarla?!? T_T»

«Conoscendola l'apprezzerai.»

«E chi l'ha detto che la voglio conoscere?!?»

«Ma tu mi DEVI conoscere!» disse Shikiro «Noi fan dobbiamo restare uniti!»

 

Noi fan dobbiamo restare uniti...

 

Questa frase rimbombò nella testa di Kit, come se qualcosa dentro di lei si fosse acceso, come se avesse colto un messaggio che non aveva del tutto compreso. Un messaggio mandato da Michael...

Finalmente, Kit ricambiò l'abbraccio di Shikiro: «Hai proprio ragione, mia cara piccola cosplay. Noi fan dobbiamo rimanere uniti per creare un mondo come lo desiderava il nostro Michael.»

Con un braccio semilibero, invitò Jim a unirsi a loro in un abbraccio di gruppo.

Jim si unì volentieri.

Dopo molto tempo passato così, i tre amici si divisero.

Kit si girò vero il mare sporco e nero e disse: «Allora... cominciamo da questa spiaggia?»

«Questa spiaggia?» chiese Jim

«Certo. Non vedi quanto fa schifo? Potremmo riunirci qui per pulirla. Così giocherete nella sabbia pulita e non nell'immondizia come i figli dei barboni.»

«Sai che ti dico, mia nuova amica dal nome di una super-macchina?» disse Shikiro «Hai proprio ragione! Vado a casa a recuperare dei sacchetti per la spazzatura!»

 

Detto questo, la manga corse via, mentre gli altri due cominciavano a radunare i primi pezzi.

 

A fine giornata, erano riusciti a riempire 45 sacchi di spazzatura, divisi per la raccolta differenziata.

 

«Kit! Ce la fai a trasportare l'ultimo?» chiese Jim dal viale

«Sì, senza problemi!» rispose l'altra.

 

Ad un certo punto, una bottiglia rotta riuscì a spaccare il sacco che Kit stava portando sulle spalle.

 

La bottiglia in questione cadde sulla sabbia, tra i rifiuti che i tre non erano riusciti a raccogliere e rotolò lontano.

Kit abbandonò il suo sacco e rincorse quel dannato pezzo di vetro che continuava a rotolare, quasi fosse un dispetto. Inciampò, cadde e si mise a rincorrerlo a gattoni.

 

Ad un certo punto, qualcuno la fermò con un piede. Qualcuno che indossava un paio di mocassini neri con calzini bianchi luccicanti e pantaloni scuri.

Una combinazione familiare...

Molto familiare...

 

Kit stava per prendere la bottiglia da sotto il piede dell'uomo, quando notò lo strano completo che portava.

Un completo che, però, conosceva bene.

Alzò lentamente lo sguardo, cominciando a sudare più di prima, temendo e desiderando allo stesso tempo che l'idea sull'identità dell'uomo davanti a lei fosse giusta.

E quando, finalmente, i suoi occhi incrociarono quelli dell'altro, lo riconobbe.

 

Era proprio lì, davanti a lei, con il suo classico sorriso sciogli-cuore e gli occhi angelici.

Michael si inchinò fino a raggiungere la sua altezza, prese con mano la bottiglia rotta e gliela porse, dicendo, dolcemente: «Hai perso qualcosa?»

Kit non riuscì a rispondere.

Michael continuò a guardarla negli occhi, la ragazza notò un leggero velo di orgoglio nei suoi; l'orgoglio che si poteva paragonare a quello di un padre nei confronti di un figlio che aveva raggiunto il migliore dei risultati.

E poi, d'un tratto, le posò un bacio sulla fronte, che la fece immobilizzare sul posto, solida come una pietra, rossa come il tramonto in quel momento e bollente come la lava.

«Kit!» Shikiro e Jim la chiamarono, lei si girò; vide che le stavano venendo incontro.

Quando la raggiunsero, Jim le chiese: «Stai bene? Ti sei immobilizzata qui e non hai più dato segni di vita!»

 

Kit si rigirò: davanti a lei c'era solo il mare, e la bottiglia perduta ce l'aveva in mano.

«Che strano...» sussurrò Kit. Mai in tutta la sua vita si era sentita così... piacevolmente vulnerabile. Poi si arrabbiò: l'uomo che amava ce l'aveva davanti pochi secondi prima e non era nemmeno riuscita a dirgli “ehi, come va? Tutto bene in paradiso?”.

 

«Kit, qualcosa non va?» chiese Jim

«È vero! Sembra che hai visto un fantasma!Di sicuro è colpa degli abiti pesanti che hai addosso!» continuò Shikiro

«Vi sbagliate, invece.» disse Kit, di nuovo serena «Non ho visto un fantasma. Ho visto un angelo.»

 

Fine



KitKit

JimJim

ShikiroShikiro
   
 
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