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Autore: Aysha Marlen    20/08/2011    1 recensioni
La storia di una giovane donna rapita, venduta come schiava, che cerca di riconquistare la sua libertà usando tutti i mezzi a sua disposizione.
Avventura, azione, amore, amicizie ma soprattutta la forza di una donna...
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sedeva immobile sulla dura pietra del pavimento. La luce, sporca di sabbia, filtrava a malapena dalle strette sbarre della minuscola finestra della cella, che si trovava talmente in alto da non dare occasione di poter guardar fuori. Sapeva che era mattino da quando qualche timido raggio di sole aveva fatto luce sulla desolazione di quel posto.
Alzò lo sguardo e rapidamente esaminò la situazione. Ce n’erano altri sette: chi in piedi, chi steso, una giovane donna reggeva nella mano un rosario e bisbigliava appena, con gli occhi socchiusi e lo sguardo ormai rassegnato.  Per un attimo la invidiò. Le sarebbe piaciuto poter ancora credere in qualcosa. No, non poteva esistere veramente un Dio in quel mondo così crudele!
Il vociferare all’esterno della prigione si faceva via via più intenso e anche dall’altro lato della porta della cella sembrava esserci eccitazione. Quei giorni le sembravano infiniti, il tempo era talmente dilatato che i suoi pensieri vagavano nello spazio di anni ad ogni suo singolo respiro.
Qualcuno dalla stanza affianco tirò il catenaccio e la porta si aprì. Qualche metro più in là dai suoi piedi un uomo dall’imponente statura entrò con un ghigno in faccia e una frusta in mano. Non aveva la pelle nera. Uno dei coloni, quindi. La smorfia di soddisfazione che aveva dipinta in faccia ben si sposava con le numerose cicatrici visibili sulla sua pelle. Tra i prigionieri calò il silenzio e i respiri si fecero più pesanti.
“Forza! In piedi pezzenti! E’ arrivato il vostro momento!” e facendo oscillare leggermente la frusta fece un passo dentro la cella.
Lei con lo sguardo abbassato si tirò su con fatica, e si accomodò la rozza grezza tunica che le avevano assegnato. Così fecero i suoi compagni di cella, ma nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti.
L’uomo fece schioccare la frusta in aria e con un sonoro ringhio intimò ai prigionieri un silenzioso consiglio di avanzare. Si misero in fila e uno alla volta cominciarono a passare oltre la soglia. Per ultima, a testa bassa, lei chiudeva la fila.
Attraversarono un lungo corridoio illuminato ai lati da torce che emanavano un soffocante odore acre, che si mescolava al già fastidioso puzzo di escrementi degli abitanti della prigione. Nonostante non sapesse cosa le sarebbe potuto accadere una volta fuori, non vedeva l’ora di andarsene da quel posto.
Arrivarono in una stanza rotonda e piccola. Altri quattro uomini neri armati li osservavano con curiosità, insistendo sulla giovane bianca e graziosa donna che era giunta solo qualche giorno prima.
L’uomo con la frusta li esaminò uno ad uno rapidamente. Quando arrivò a lei, le alzo il mento con l’impugnatura della frusta e sorrise mostrando una fila di denti marci. La puzza di alcol che emanava era quasi insopportabile. Quella sì che era merce preziosa per lui. Sentiva che ci avrebbe fatto un bel gruzzoletto: era roba di prima qualità! Non capitava spesso di trovarsi tra le mani uno schiavo che valeva più di una cassa di whisky.  Lei lo fissò di rimando in modo così intenso che gli diede quasi fastidio.
Abbassò la frusta e, voltandole le spalle si diresse a passo sicuro verso la porta. La spalancò e la donna per qualche istante fu abbagliata dalla accecante luce del sole, che ormai si era fatto avanti nel cielo. Da giorni i suoi occhi si erano abituati alla tenue oscurità della sua cella. Sentì delle mani dietro alla schiena che la invitavano in modo scortese a raggiungere l’uscita. Non vedeva bene dove stava andando, si limitò quindi a seguire la schiena dell’uomo in fila davanti a lei. Mise a fuoco la prima immagine giusto in tempo per non inciampare nei gradini di una corta scala che conduceva ad un piccolo palco, poco alzato da terra. Quei pochi passi fuori dalla prigione le bastarono per riempirsi i sandali di sabbia. Sabbia, sabbia. Odiava la sabbia. Era ovunque intorno a lei: tra i capelli, tra le dita dei piedi, anche nel cibo che mangiava.
 Dietro di lei si sviluppava una fitta schiera di case basse e tozze, dall’aspetto povero e sporco. Riconobbe la stretta viuzza che si faceva largo tra le capanne: l’avevano condotta da lì nella prigione, caricata su una camionetta di militari. Dedusse di trovarsi sul lato nord della piazza del villaggio. Non poteva vedere oltre: innanzi a lei, sul palco, si ergeva una vecchia tenda rossa, impolverata e dal colore ormai sbiadito, che impediva la visuale sulla piazza.
Poteva però sentire il fitto brusio che veniva da dietro essa. Dal borbottio, qua e là, si levavano dei gridolini di impazienza e eccitazione.
Diede un’occhiata ai suoi compagni: alcuni avevano un espressione contratta di timore e paura, altri si mostravano ormai  rassegnati. La donna che prima pregava fissava con sguardo vuoto le assi del palco, in attesa.
L’uomo con la frusta passò oltre la tenda, e poco alla volta i rumori della piazza andarono attenuandosi: l’interesse di tutti era rivolto all’uomo, che da lì a poco avrebbe dato inizio alla consueta vendita di uomini. Era ormai un appuntamento quasi fisso. Una volta al mese gli uomini più ricchi ed importanti della regione abbandonavano le loro isolate dimore per recarsi al mercato del villaggio, per acquistare merci di vario genere e rimpiazzare qualche schiavo morto o in mal condizioni.
Quella era un’occasione particolare: girava voce che Sartech, il capo della prigione, avesse messo le mani su una giovane europea.
  
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