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Autore: h e r o i n e    21/08/2011    3 recensioni
Citazione:
"Le nostre lingua scivolavano dolcemente una contro l’altra quanto i nostri corpi bagnati d’acqua salata. I vampiri non respirano, perciò dovetti bruscamente ricordarmi che gli umani lo facevano, e mi staccai per un nanosecondo da lei. Quando riprese aria, fu lei a prendere l’iniziativa, anche se nel nostro caldo gioco di lingue ero io ad avere in mano la situazione."
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Bleeding Ordinariness 



Maverick
«Mi portavi nel Sahara e forse faceva più fresco» dissi mettendo un braccio fuori dal finestrino, respirando quasi affannosamente.
«Mi hai chiesto tu di aiutarti» replicò Blake, tenendo solo una mano sul volante.
«Mi stai solo aiutando a morire per autocombustione» guardai il contatore dell’auto: 35 gradi, cristo santo.
«Non sono poi così tanti, per la California d’estate» rise.
Cercai di rimanere calmo. In duemila anni di vita la mia pelle, da umana e non, non era mai venuta a contatto con tanta calura e tanta afa. Forse era perché avevo sempre vissuto in paesi nordici, freddi e rigidi. Tuttavia non avrei mai definito quella temperaturanormale. La California penso di poterla definire il contrario della Norvegia: era uno Stato pieno di vita, piacevole, forse però troppo rumoroso e coaotico, ma molto solare (in ogni senso).
«Coronado Beach d’estate: un esplosivo cocktail di tutto ciò di umano »esclamò Blake, mentre parcheggiava la sua coupé rossa.
Alzai un sopracciglio «Pessima metafora»
«Relax assoluto, sistema ormonale a palle, voglia di divertimento… Non potevi scegliere luogo migliore per ritornare umano!»
Avrei voluto digli che non lo avevo scelto io, quella specie di braciere gigante, ma mi fidavo del suo giudizio di scelta (più o meno): aveva viaggiato molto, e anche se era un vampiro molto più giovane di me, forse ne sapeva meglio di me sui luoghi umani.
Mi imbarazzava leggermente sapere di avere due millenni di vita ma aver ancora qualcosa da imparare, qualcosa che ero stato capace di fare: l’umano. Per più di mille anni avevo vissuto segregato in una macabra villa norvegese, tagliando tutti i ponti con l’esterno e tagliando tutti i contatti sociali, nutrendomi di soli piccoli animali. E tutto ciò volontariamente. Inizialmente mi ero chiuso in casa per superare il trauma di essere diventato vampiro, probabilmente, e ci ero rimasto per forza dell’abitudine. La mia vita umana si era conclusa a ventun’anni, e non ne avevo mai sentito la mancanza … prima di qualche giorno fa. Mi ero svegliato con il desiderio di recuperare ciò che avevo spudoratamente perso, e con l’idea che non avevo mai fatto nulla per riprendermelo, o mantenerlo. Non avevo conosciuto molti vampiri, ma praticamente tutti, dopo la trasformazione, preservavano le loro vecchie abitudini: andavano a scuola, frequentavano persone, viaggiavano. Il concetto che avessi passato duemila anni a studiare e a chiudermi in mè stesso era pressante, quasi imbarazzante. Perciò, avevo chiesto al mio amico vampiro Blake, che aveva sembra vissuto umanamente, di aiutarmi a ‘’reintegrarmi’’ e come location aveva scelto una spiaggia di San Diego, che a detta sua faceva al caso nostro. Durante l’estate vengono fuori tutte le debolezze, gli eccessi e i pregi degli uomini, avevo letto. Avrei imparato da lì, se non altro il periodo dell’anno era azzeccato.
Quando scendemmo dall’auto, sentire il sole sulla pelle fu un vero trauma. Non perché facesse male a noi vampiri, quella era una credenza popolare, ma perché mi sembrava … strano, come se dopo un eternità senza sole mi avessero improvvisamente buttato sotto. In un certo senso era così.
Strizzai gli occhi e aiutai Blake a scaricare il baule. Notai che intorno a noi il novanta per cento delle persone stava facendo la stessa cosa.
Nel bagagliaio avevamo un ombrellone, una sedia sdraio, un paio di teli da spiaggia, una borsa frigo (dopo aver saccheggiato una banca del sangue) e un materassino. Non avevo mai fatto uso di quegli oggetti prima di quel momento.
Entrammo nella spiaggia vera e propria: la vicinanza con la sabbia fu meno traumatica di quella con il sole.
«Oh Dio, Mav, rilassati. Siamo qui per questo» mi strizzò un occhio Blake mentre ci avvicinavamo alla riva.
Odiavo fare di una situazione facile per gli altri una debolezza per me.
Mi passavano davanti ragazze in bikini con un gelato in mano, ragazze semi nude che prendevano il sole, ragazzi pompati con tavole da surf sotto braccio, bambini che facevano castelli di sabbia, iPod su teli mare, infradito sul bagnasciuga.
California here we come.
Piantammo l’ombrellone poco distante dalla riva, ci stendemmo i teli mare e posizionammo il resto.
Blake si spogliò e rimase in costume, e presi l’iniziativa di fare lo stesso. Rimasi a petto nudo con un costume a boxer nero.
Pochi secondi dopo notai un gruppo di ragazze poco più che adolescenti che mi, anzi ci, rivolgevano sguardi penetranti e ammaliati, e passandoci di fianco giocavano con i capelli e ridacchiavano tra di loro.
Una, biondina e esile, mi si avvicinò e le rivolsi un occhiata boriosa.Le ragazze di Coronado Beach sarebbero state tutte ragazzine troiette?
 
Elle
Odiavo l’estate. Il sole, il mare, il sale, il caldo, la sabbia. Il caldo è una brutta sensazione, no? Ti senti la pelle pizzicare e sudare, i capelli ti si attaccano alla nuca e i sensi ti si intorpidiscono. Nonostante ciò, ogni singolo essere umano su questo pianeta, passa la stagione più calda dell’anno nei posti più caldi del mondo. Io, invece, passerei volentieri le vacanze estive in montagna, al fresco, né caldo né freddo, o in qualche campeggio nel bosco. Sfortunatamente l’essere nata in California non mi aiuta. Tra lo smog e l’afa San Diego  diventava insopportabile, ma lo stesso non lo pensavano le mie amiche, che come tutte avrebbero passato la giornata in spiaggia.
Le stesse amiche, che quella mattina mi avevano trascinato a Coronado Beach. Il mio ‘’essere contro la massa’’ (altresì chiamato anti-conformismo) mi aveva procurato problemi sociali, nel senso che non avevo mai avuto tanti amici, e le mie relazioni si aggiravano attorno allo zero, anche se non ero un’asociale sfigata.
Jenny e Gwen erano invece ultra esaltate, avevano scelto il loro costume più bello, e più vedo-non-vedo, e ci eravamo sdraiate sui salviettoni di pancia, commentando ogni ragazzo balestrato che ci passava davanti.
«Lo sai che siamo in una delle dieci spiagge più belle degli Stati Uniti?» mi chiese Jenny.
«Mh? Ah si bè non è una brutta spiaggia» mugugnai io con il mento appoggiato al telo.
«Il tuo costume mi piace un sacco» disse dopo una breve pausa di silenzio.
Avevo indosso un bikini bianco a strisce rosa di Hollister.
«Grazie, anche il tuo è carino» in verità non lo avevo nemmeno guardato ma sapevo che stava cercando di rendermi quella giornata più serena, e lo apprezzavo.
«Potremmo andare a farci un bagno» proposi, cercando a mia volta di essere serena.
Gwen mi fissò. «Cosa? Siamo qui per abbronzarci»
Alzai gli occhi al cielo, e Jenny non disse nulla. Avevano davvero intenzione di passare così la mattinata? Mio malgrado, mi adattai, ma mi misi le cuffie dell’iPod nelle orecchie, nella modalità brani casuali, sparai il volume a palla.
Non so quanto tempo passai ad ascoltare musica, ma contando che avevo ascoltato un CD intero di Katy Perry, sarà stato circa una quarantina di minuti.
«Cazzo, mi devo girare. Per non avere una scollatura bianca» sentii lievemente dire Gwen.
Lei e Jenny si girarono di schiena, proprio come si fa con le frittelle nella padella, o con le bistecche sulla piastra da barbecue. Mi venne da ridere all’idea di aver pensato una sciocchezza simile in un momento come quello.
Sospirando e abbassando il volume della musica, mi girai anche io come avevano fatto loro. Quando però la mia schiena venne a contatto con il tessuto del telo, mi sentii veramente come su una piastra da barbecue. Lanciai un gemito.
«Ti sei messa la protezione solare, vero?» mormorò Jenny.                                                           
Ops. Ero nuova del mestiere, dovevano portare pazienza.
Mi misi a sedere, con la parte superiore della schiena scottata, e arrotolai le cuffie intorno all’iPod.
Dopo che sbadigliai dissi «Vi dispiace se vado un attimo al bar?»
Gwen e Jenny assentirono, e mi chiesero di portare loro qualcosa da bere.
Mi alzai e, dopo essermi messa le infradito, mi sciolsi i capelli, che, essendo abbastanza lunghi, avrebbero coperto il danno che avevo fatto.
Allontanandomi dalla nostra postazione, dovevo far attenzione a non pestare le persone che prendevano il sole pancia  terra, i castelli di sabbia dei bambini. Superai parecchi ombrelloni, parecchi frisbee volanti e tavole da surf piantate per terra, prima di giungere al piccolo chiosco di legno rialzato dalla sabbia. Salii le scalette e mi diressi verso il balcone.
Era un tipico bar da spiaggia, piccoli tavolini con tante sedia, fotografie della spiaggia appese al muro, qualche coppa di surf e gadget pendenti vari.
Forse perché ero stordita o forse perché l’ambiente era molto angusto, camminando non riuscii a evitare di sbattere la gamba contro lo spigolo di una sedia di uno dei tavolini. Gemetti, e prima di andarmene riuscii a vedere che su quella sedia c’era seduto un ragazzo, con a fianco un altro ragazzo e poi tre ragazze.
Mi appoggiai al bancone con un livido sopra il ginocchio e alzai lo sguardo, volgendolo verso il tavolo.
Le tre ragazze erano due bionde e una mora, saranno state poco più che maggiorenni, e avevano l’aria da scopami ora e subito! Insomma erano lo stereotipo delle tipiche ochette da spiaggia (e non).
Il primo ragazzo aveva i capelli neri, i lineamenti duri e gli occhi marroni chiari: era lui che animava il tavolo con le sue battute e aveva l’aria da ti scopo ora e subito! Non potevo capire molto del suo fisico, siccome era seduto, ma intuivo che fosse abbastanza muscoloso. L’altro ragazzo, quello della sedia, ero più un ‘viso d’angelo’. Aveva i capelli biondi scuro e gli occhi azzurro ghiaccio, e anche se il suo profilo era più morbido di quello dell’amico, con il suo sguardo penetrante e freddo ti metteva quasi a disagio. Anche se la cosa che veramente metteva a disagio (gli altri ragazzi presenti nel bar) era la sua incredibile bellezza. Quando mi accorsi che mi stava scrutando, mi voltai di scatto, arrossendo, verso il barista.
 
Maverick
Verso metà mattinata, Blake era riuscito ad abbordare facilmente tre ragazze, e anche se mi ero mostrato restio ad avvicinarmici, mi aveva convinto chei ragazzi umani fanno così. Le umane invece, così giovani innocenti (più o meno) e indifese, non avevano opposto resistenza e ci facevano moine languidamente.
Quindi ci trovavamo seduti intorno a un piccolo tavolo rotondo di legno, non avevamo ancora ordinato, quando sentii un cuore umano battere più velocemente, un gemito e la mia sedia che si spostava. Sul momento sbuffai: era tutta la mattina che subivo cose del genere e assistevo a momenti simili, e ne avevo già abbastanza dall’umanità, del suo essere così sbadato e apparentemente insulso. Gente che inciampava, andava a sbattere, cadeva goffamente. Mi stavo annoiando. Blake persisteva nel dirmi che, anche se non sarei dovuto diventare anche io così, dovevo accettarlo e farlo diventare normale ai miei occhi, perché gli umani erano così. Alzavo gli occhi al cielo, ma non volevo perdere di vista l’obiettivo della giornata. Poi però non riuscii a resistere all’impulso di osservare meglio la ragazza che mi era venuta quasi addosso.
Non era come le altre di quella spiaggia, probabilmente loro mi si sarebbero strusciate addosso: lei non aveva esitato ad allontanarsi velocemente e timidamente mi guardava da lontano. Avevo ancora problemi a riconoscere l’età degli umani, ma avrà avuto si e no diciassette anni. Non era altissima, ma era molto magra e aveva un bel fisico, agile e snello. Non era nemmeno abbronzata, ma aveva la pelle rosea e i lineamenti dolci, incorniciati da capelli marroni mossi e lunghi fino a metà busto. Aveva dei bellissimi occhi verdi, che si socchiusero quando si accorse che la fissavo. Mi dispiaceva averla messa a disagio … Oh andiamo Maverick, non farti sti problemi!
«Tu?»
Una voce riportò me alla realtà e il mio sguardo al tavolo. La voce apparteneva alla ragazza bionda alla mia destra (Olivia?) e mi guardava raggiante.
«Mh?» mugugnai ancora distratto.
«Cosa prendi?» civettò l’altra bionda.
Smisi di respirare.
«Prende anche lui un Sex On The Beach» intervenne Blake, sostenendendomi con lo sguardo.
La mora aprì la mano davanti a sé «Quindi, due Sex On The Beach, duePina Colada e unBloody Mary».
Non avevo la più pallida idea di che tipo di bevande fossero, in particolare l’ultima, ma non volevo sforzarmi di capire.
«Okay, chi va a ordinare?» chiese qualcuno.
«Vado io» dissi senza pensarci e mi alzai.
Quasi ansioso mi avvicinai al bancone, con la ragazza ancora appoggiataci sopra, di spalle. In un primo momento restai a distanza, respirando lentamente. Poi misi in moto il cervello: un vampiro non poteva aver paura di fare qualcosa che nemmeno un umano temeva. Eh no.
Appoggiai una mia mano sulla sua spalla sinistra. Era calda, bollente, troppo. Lei sobbalzò e si girò, guardandomi intimorita, ma anche confusa. Aveva in mano un vassoio con tre bicchieri.
Se fossi stato fisicamente umano, sarei avvampato.
«Ehm, volevo chiederti se … se stavi bene, dopo la botta » dissi accennando al mio tavolo.
Lei sembrò capire al volo e volse lo sguardo verso il basso, facendomi implicitamente notare il suo livido.
«Oh no, non ti preoccupare …non è niente» balbettò lei con le guance rosse.
«Hai bisogno di ghiaccio?» Ehi, rallenta rallenta, l’iper-protettività incondizionata non è umana!
« No no, sto bene.» si portò una mano sulla nuca ma gemette subito dopo.
Decisi che era meglio non farle altre domande e aspettare che mi dicesse lei qualcosa.
«Mi ci vorrebbe sulla schiena, il ghiaccio» disse. Dopo una mia occhiata confusa aggiunse «Mi sono scottata al sole» sorrise annuendo.
La assecondai con un sorriso.
«Bè, ora dovrei ritornare sotto quel cazzo di sole scottante …» sussurrò scocciata.
«Come ti chiami?» le chiesi.
«Elle» mormorò.
Elle. Era un nome che non avevo mai sentito.
Mi guardò, lasciandomi intendere che voleva sapere il mio.
«Io mi chiamo Maverick»
«Maverick. Che nome strano… Sei per caso islandese o svedese?» mi chiese corrugando la fronte.
«Norvegese» le strizzai un occhio. Wow, stavo facendo grandi progressi!
 
Elle
Cristo Santo, da vicino era più figo di quanto potessi immaginare. Era alto almeno venti centimetri più di me, e anche se non era una montagna di muscoli, aveva gli addominali e i bicipiti scolpiti. E poi aveva quello sguardo, non mi metteva più a disagio ma era oltremodo magnetico. Non volevo credere che si fosse realmente preoccupato per il mio ginocchio, ma non sembrava fingere, quindi sostenevo la conversazione senza troppi indugi.
Aveva qualcosa di … strano. Era aggraziato, e aveva la pelle inspiegabilmente perfetta e anche leggermente pallida.
«Non sembri molto entusiasta di essere qui» esclamò lui.
Era riuscito ad intuirlo e non avevo motivo di mentigli «è così evidente? Comunque mi hanno trascinato qui quindi … »
«Hanno trascinato qui anche me. Più o meno.» borbottò lui.
«Infatti non sempre un tipo da sole e mare» ridacchiai.
«Sai una cosa? Nemmeno tu» mi si avvicinò e io alzai il mento leggermente.
«Fantastico, quindi siamo, come dire, fuori luogo, entrambi.» dissi io, arrossendo un po’.
I suoi occhi azzurri si accesero e un angolo della sua bocca si sollevò.
Distolsi lo sguardo, e lo posai sulla spiaggia: intravedevo Jenny e Gwen ancora stese come sardine a prendere il sole. Quella visione mi convinse a voltarmi verso il ragazzo e fare uno degli atti di coraggio più grandi della mia vita.
«Ti andrebbe di fare un bagno?» gli chiesi cercando di apparire disinvolta, appoggiando il vassoio su un tavolino.
Sembrò sorpreso e mi guardò stranito, forse anche troppo, e per un attimo temetti un rifiuto.
Invece fece una cosa che non mi sarei mai aspettata e a dirla tutta anche lui, secondo me, non si sarebbe mai aspettato di farlo.
Mi prese una mano e mi accompagnò giù dalle scalette di legno.
 
Maverick
Il mio comportamento aveva raggiunto l’umanità e ne aveva superato il limite, mi era stato chiesto di osare e avevo fatto molto di più. Diciamo che non conoscevo mezze misure, ero pur sempre un vampiro, un vampiro in costume da bagno che aveva incentrato tutto il suo coraggio sovrannaturale per parlare ad un’umana.
Elle era l’umana più adorabile che avessi visto quelle mattina: arrossiva deliziosamente, non aveva uno sguardo famelico, ed era così discreta da sembrare timida.
Rimasi stupito dal fatto che nemmeno lei fosse felice di essere in quella spiaggia, ma d’altronde l’eccezione doveva pur esserci, l’umano a cui non piace l’estate.
Comunque, elettrizzato e deciso a far le cose per bene, le avevo preso la mano – una così calda mano – e tutte le preoccupazioni, idee, pregiudizi, pensieri che quella mattina mi avevano pressato sparirono.
Lei sembrò rigida mentre la portavo verso la riva del mare, e nessuno dei due badò alle proprie compagnie. Probabilmente Blake sorrideva compiaciuto.
Ci fermammo sul bagnasciuga.
« È gelata» squittì lei stringendomi la mano, con un piede nell’acqua. La mia pelle era sicuramente più fredda, ma non aveva fatto commenti.
Feci un passo avanti.
«Perderò dieci chili solo tuffandomi in quest’acqua» Elle si allontanò da me, verso il mare.
Sollevai la mano che fino a poco prima stringeva la sua e l’accarezzai: era ancora tiepida.
« Diventerai anoressica» dissi.
Guardai la spiaggia e poi il mare, accorgendomi che c’era tanta gente ovunque, poi guardai Elle con un aria di sfida, presi un respiro profondo e mi tuffai di testa. Per me non era minimamente fredda.
Quando riemersi scossi la testa per togliermi i capelli dagli occhi e vidi la ragazza ancora nella posizione di prima, che tirava la pancia in dentro.
«Non costringermi a schizzarti o a buttarti dentro» le dissi dolcemente.
Strinse i denti. «Non ne avresti il coraggio… »
Coraggio? Mi parlava di coraggio?
Abbassai la testa, ma non lo sguardo, sorridendo e subito dopo le saltai addosso trascinandola già con me.
Il mio buon umore sparì quando vidi la sua espressione, dopo che era riemersa: respirava affannosamente e mi guardava male. Increspai la fronte, ma lei si mise a ridere e si ributtò in acqua.
 
 
Elle
O era un maniaco, o era un pedofilo, o uno con dei problemi alla vista.
Un figo nordico uscito dal nulla aveva accettato di fare il bagno in mare, con me. Dico, con me. E mi aveva presa per mano. Quando era successo mi ci erano voluti ben cinque minuti per realizzare completamente il fatto che la sua mano – stranamente fredda – stringesse la mia – prevedibilmente calda, e che mi stesse accompagnando a fare un bagno insieme. Ci conoscevamo da .. dieci minuti? Lui sembrava un po’ strano, come se avesse fretta di fare le cose, io invece avvampavo ogni volta che mi guardava, il mio cuore batteva più in fretta, tanto che lo sentivo pesante, quasi. E lui se accorgeva, lo capivo.
Quando poi mi si buttò addosso per farmi cadere in acqua  … La mia intenzione era quella di riemergere incazzata, ma quando vidi i suoi occhi e realizzai che mi si era buttato addosso mi esaltai e gli sorrisi, assecondandolo.
Nuotai verso il largo, e mi accorsi che mi stava seguendo, allora mi fermai.
Nemmeno il tempo di voltarmi verso di lui, che iniziò a schizzarmi e io ovviamente non ci pensai due volte a ricambiare, spietatamente allegra e esaltata.
«Sbagli a metterti contro di me » rise lui, mentre ridevo anche io.
«Cattive decisioni portano belle storie» mormorai io, con una finta voce svenevole.
Lui annuii corrugando il mento «Quindi avremo una storia?»
Arrossii e distolsi lo sguardo.
Immediatamente smettemmo di giocare con l’acqua e Maverick si mosse fino davanti a me e mi sorrise incoraggiante, portandomi istintivamente a sollevare il mento per guardarlo.
«Guarda che scherzavo, non avvampare così spudoratamente.» disse «anche se la cosa mi piace» appoggiò la sua guancia fredda contro la mia e il mio cuore perse un battito.
Immediatamente mi allontanai, camminando all’indietro e cercando di non guardarlo. In quel momento non ero più sicura di voler stare vicino a lui, forse perché i miei contatti con individui di sesso maschile erano stati scarsi, forse ero imbarazzata, ma più probabilmente … intimorita. Era uno sconosciuto, e stava affrettando le cose.
«Stai bene?» mi chiese incerto.
«Si, credo. Devo stare un po’ da sola …» disegnai col dito dei cerchi nell’acqua.
«Hai già bisogno di una pausa di riflessione?»
Risi alla sua battuta, più che altro per fargli piacere, avevo capito che ci era rimasto male.
Sentii l’acqua muoversi e ne vidi le pieghe passarmi davanti «Che c’è, non ti piaccio?»
Oddio, mi aveva veramente fatto quella domanda? Se avevo pensato che era un ragazzo timido mi ero sbagliata, ed ora volevo scappare.
Ma sì, mi piaceva (credo), quindi non riuscivo a capire dove fosse il problema.
Non risposi alla sua domanda e mi immersi in acqua fino al collo, muovendomi lontano da lui. Mi sentii per un’istante, un po’ una troia: gli avevo fatto capire che ci stavo (era così, giusto?) e ora mi tiravo indietro, facevo la preziosa.
«Quale è il problema, Elle?» non si era mosso, forse ci aveva rinunciato.
«Scusa, ma … stai correndo troppo, forse. Cioè, non ti conosco, non mi fido.»
«Incredibile»
Ero rigida come un pezzo di legno. «Cosa?»
«Il mio problema è sempre stato quello di non osare mai» mi guardò «non capisco …avrei dovuto avere più difficoltà nell’approccio con una femmina»
Cos’era, un malato?
«Anche io ho difficoltà di questo genere. Sono troppo diffidente»
«Ma tu stai mantenendo fede alle tue attitudini» sentenziò.
Inspirai. «Bè, ma non stai facendo niente di male, tu»
«Non è quello che mi hai fatto capire» mormorò.
Okay, ci era rimasto male, molto male, e mi sentivo terribilmente in colpa.
«Bè, mi dispiace, non lo faccio apposta. Sono fatta così» poi mi alzai e mi sistemai i capelli bagnati «Senti, mandami affanculo e finiamola qua»
Si alzò e si mise davanti a me. Era molto più alto di me, quindi aveva la testa piegata verso il basso, tanto che potevo vedere l’acqua colargli dai capelli.
«Ma io non voglio mandarti affanculo»
Si stava avvicinando, anche troppo, ma era un gran figo e io gli piacevo, forse. Allora, qual era il problema? Tu, Elle, tu sei il problema. Tu, tu, tu, tu. Ecco perché sei una single cronica. Ora smettila di fare la frigida e infilagli la lingua in gola. Se ci fosse stata Jenny lì con me, mi avrebbe detto quelle cose in faccia, senza aspettare che lo facesse la mia coscienza.
Mi avvicinai pericolosamente anche io.
 
Maverick
Non morderla, non morderla, non morderla. Il richiamo del suo sangue era qualcosa di talmente potente, da farmi quasi male. Ma il mio autocontrollo sarebbe stato la prova del nove, se fossi riuscito a non affondare i denti in quel collo morbido, bianco, caldo e bagnato, sarei riuscito a mimetizzarmi tra gli umani per il resto della mia vita, e cioè avrei raggiunto il mio obiettivo. E poi no, non volevo succhiarle il sangue, non volevo farle del male.
Dopo l’indugio iniziale, che non avevo compreso e gradito, sembrò convincersi che non l’avrei stuprata (non era quella parte di me che doveva temere) e mi si stava incautamente avvicinando. Non che non apprezzassi, anzi.
Spremetti le meningi. In duemila anni avevo mai baciato una donna? Si, ma non sapevo se dovevo farlo con lei, lì, e come dovevo farlo. Inutile dire che non avrei aspettato una sua prima mossa, avendo compreso la sua timidezza e diffidenza.
Bè, quello era uno dei rari momenti in cui riflettere non avrebbe portato a niente.
Aspettai che inspirasse ed appoggiai le mie labbra sulle sue, mentre intorno a noi, quel luogo che mi era sembrato uno dei più caotici e rumorosi al mondo, si fermava.
Le sue labbra erano bollenti, ma erano ferma, probabilmente Elle era rimasta scioccata o era il suo primo bacio e non sapeva cosa fare. Così, dolcemente, cercai di farle schiudere le labbra con la mia lingua, lei sembrò accogliere la cosa di buon grado perché mi circondò il collo con le sue braccia. Se avessi avuto un cuore battente, avrebbe fatto le giravolte.
Per assecondarla mi abbassai al suo livello e l’abbracciai, con le braccia sotto le sue ascelle.
Le nostre lingua scivolavano dolcemente una contro l’altra quanto i nostri corpi bagnati d’acqua salata. I vampiri non respirano, perciò dovetti bruscamente ricordarmi che gli umani lo facevano, e mi staccai per un nanosecondo da lei. Quando riprese aria, fu lei a prendere l’iniziativa, anche se nel nostro caldo gioco di lingue ero io ad avere in mano la situazione.
Eravamo ancora avvinghiati quando spostai le mani alla base della sua schiena e contemporaneamente piegai le mie ginocchia, fino quasi a sedermi sul fondo, già basso. Lei capì al volo, e incrociò le gambe dietro la mia schiena. Con la forza da vampiro, reggerla in braccio era un gioco da ragazzi, e il mio sforzo era reso meno faticoso dall’acqua.
Lei, così calda, approfittava dei momenti di distacco per prendere brevi e secchi respiri, quando le mie labbra non catturavano le sue e ci giocavano teneramente.
Fremeva, quasi tremava, e sapevo che non era solo per il freddo. Ci strusciavamo, io la stringevo, dosando la forza per non farle male, mentre la sentivo così piccola e indifesa tra le mie braccia, preda del mondo e tesoro della mia persona.
Si era lasciata andare in una maniera incredibile – come me d'altronde – e lo capivo da come gemeva e sospirava mentre la baciavo, leccavo. Mi eccitava disumanamente il modo in cui respirava, e il vampiro dentro di me si fece sentire, e il mio petto vibrò a causa di un ringhio voluto dal mio lato sovrannaturale.
Aveva le mani tra i miei capelli, quando posai le labbra sulla sua giugulare e leccai la pelle del suo collo, e lei gemette evidentemente eccitata.
Avere una ragazza delicata tra le braccia, in balia di baci e sospiri, era la cosa più bella che avessi mai provato.
Dopo aver lasciato una scia di baci sul collo, appoggiai le labbra sotto il suo mento, che lei alzò disponibile, e sentii il suo cuore battere frenetico, e il sangue caldo che scorreva sotto quella pelle umida e calda, mentre la sua mano premeva contro la mia nuca.
Non resistetti più. Le mie unghie affondarono nella sua pelle morbida della schiena, e le mie braccia la strinsero fameliche, mentre i canini mi spuntavano fuori ribelli. Lei gemette.
Non realizzai subito di essere troppo violento, di stringerla eccessivamente, e così mi attaccai subito di nuovo alle sue labbra, e anche se lei non era più convinta come prima, io non mi staccai. In quel vortice di baci caldi e sospiri di piacere, capii che lei cercava di allontanarsi, probabilmente per prendere aria, ma il vampiro dentro di me che era stato trattenuto per millenni non ne voleva sapere, così appoggiai i denti sul suo labbro inferiore. Approfittò del mio momento di svago per staccarsi.
Strinsi i pugni e dopo aver fatto mente locale, alzai lo sguardo.
Elle era davanti a me, con il collo verso il basso, respirava affannosamente e mi guardava impaurita, leggevo nei suoi occhi che stava pensando a come scappare. A parte per i tremori del suo petto, era pietrificata, e perdeva sangue dal labbro.
«Oh Dio Mio… Non so cosa …» sussurrai, mentre mi alzavo in piedi. Lei indietreggiò.
«Elle ti prego…» gemetti, non sopportavo l’idea di vederla così.
Fu in quel momento che mi accorsi che avevo ancora i canini di fuori e che lei guardava quelli, intimorita. Oh no.
Continuava a tremare, si portò la mano destra sul labbro sanguinante, e quando guardò il sangue che aveva sulle dita, mi guardò come se dovesse urlare da un momento all’altro.
Per un momento, ebbi paura che lo facesse veramente e mi ricordai di essere in una delle spiagge più affollate delle California.
«Ti posso spiegare»
«A-avrei dovuto scappare già prima» disse.
Quando mi passò affianco e si incamminò verso la spiaggia, notai che aveva dei tagli sanguinanti alla base della schiena, dove le mie unghie erano affondate.
Mi odiai.
Mi odiai per aver fatto del male ad una ragazza indifesa e innocente, che contro i suoi principi mi aveva dato fiducia.
Rimasi a guardare il mio riflesso nell’acqua.
Entrambi avevamo trascurato ciò che veramente eravamo: una ragazza diffidente si concedeva ad uno sconosciuto e un freddo vampiro millenario pomiciava come un adolescente.
La domanda quindi era, sarei mai riuscito a mimetizzarmi con un umano?
Per mimetizzarmi non sarei dovuto cambiare, ma fare finta di cambiare. Più o meno. D’altronde è quello che fanno tutti e tutto, cambiare. Ai serpenti risulta facile mutare la pelle e i fiori non azzannano nessuno quando sbocciano. Eppure a me risultava difficile con Elle, anche se era facile all’inizio.
Un serpente cambia la pelle più volte e un fiore sboccia ogni primavera. Qual è la morale allora? I cambiamenti sono a breve termine?
Il serpente rimane sempre un rettile strisciante, con qualunque pelle. E un fiore appassito è sempre un fiore.
Visto da questo punto sembra che niente cambi, allora.  
Smettendo di divagare in questa mia esagerata metafora mentale, continuavo a rimproverarmi per quello che avevo fatto: non per averle fatto male in se -ovviamente non mi sarei perdonato anche questo- ma per aver accettato i consigli di Blake, ed essere venuto in questa stupida spiaggia. Avevo messo a rischio la mia specie e la vita di una povera ragazza.
Deglutii e mi diressi fuori dall'acqua, a testa bassa. In quel momento, nessuno avrebbe mai detto che fossi un vampiro.

Ciao a tutti! O meglio, a quelle anime che hanno pazientemente letto la mia storia.
Ho scritto questa One-Shot unicamente per il concorso, l'ho postata oggi, l'ultimo giorno xD L'idea mi è venuta considerando che nessuno aveva mai scritto di un vampiro in spiaggia (credo), e ho mischiato le due cose che preferisco, cioè i vampiri e le storie d'amore, con l'argomento maestro: l'estate.
Ed ecco qua cosa ne è venuto fuori xD (uno schifo di storia)... Più che altro il suo sviluppo è stato strano. L'inizio è stato piuttsto incerto, la parte centrale mi sono divertita a scriverla, quando ad un certo punto ho iniziato a vivere io stessa la storia di Elle, qua in Sardegna (dove sono in vacanza!) xD Sembra strano ma vi giuro, io avevo intenzione di fare una cosa tranquilla e romantica ...
I problemi di Elle con i ragazzi sono i miei stessi che ho avuto io in questi ultimi giorni.
Poi il finale, boh, mi è venuto così. Non avevo subito pensato a come sarebbe finita la one-shot, mi sarei lasciata trascinare dalla storia, come faccio quasi sempre (cosa che NON dovrei fare), ma sicuramente non avrei mai pensato di farla finire così! xD
Vabbè, finiamola con queste formalità.
Io spero vivamente che la storia vi sia piacuta (anche se penso di no xD).
Accette critiche (molteeee) e commenti vari! ^^

  
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