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Autore: BlackPearl    21/08/2011    13 recensioni
La domanda del giorno, da una settimana a questa parte è: "Ma Iz, non sei contenta?"
La mia risposta? No!
Ma siete stupidi o cosa? Cos'è tutta questa voglia di avere fratelli? A me essere figlia unica andava più che bene. E mio padre mica lo capisce che io un fratello non lo voglio!
Tantomeno quel decerebrato. Meno che mai quel decerebrato.
Che oltre ad essere decerebrato è cafone, testardo, odioso e anche bello. Il che è ancora peggio, perché non c'è giustizia divina!
Col caratteraccio che si ritrova, doveva avere il naso grosso e gli occhi storti, invece è dannatamente bello...
[Momentaneamente in stand-by]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Prologue
Blend





What if?


«No, papà, posso prendere l'autobus, davvero.» Ma cosa credeva, che Johnny mi avrebbe fatto da chauffeur a vita?
Che poi, figuriamoci, uno come lui avrebbe potuto fare da chauffeur solo sull'auto dei Flintstones.
«Ma cosa dici, Johnny è più che felice di accompagnarti! Tanto inizi a lavorare alle nove, vero Johnny? La scuola è di strada...» Dovevo avvertire papà di non essere così smielato e paterno con lui. Secondo me Johnny stava sviluppando con mio padre lo stesso tipo di simpatia che provavo io nei suoi confronti. Quindi, prima o poi l'avrebbe ucciso.
Mi passai una mano sugli occhi, stanca di dover iniziare la giornata combattendo con papà e le sue geniali idee. Betty incoraggiò il figlio con uno sguardo eloquente e un sorriso della serie "fallo subito e fallo anche volentieri altrimenti faccio brutta figura" e lui si decise ad alzarsi.
«Certo, Graham, certo.» Pronunciò il nome di papà come se avesse un palo nel culo. E come se quel palo fosse papà.
Mi avviai per prima verso la macchina, lasciando ciondolare la borsa contro le mie gambe. Johnny schiacciò il tasto dell'antifurto, si avvicinò alla sua portiera, assottigliò lo sguardo rivolto a un punto non precisato della carrozzeria e strofinò due volte col dito. Cos'era, un microscopico granello di polvere? L'auto brillava.
Entrò sbuffando nell'abitacolo, probabilmente afflitto dall'idea che la sua impronta digitale giacesse appiccicata alla carrozzeria.
«Cazzo, ho dimenticato le sigarette. Aspetta qui.» Johnny scese dall'auto e si diresse a passo svelto in casa.
«E dove posso mai aspettare, idiota?» Dissi, al sedile vuoto.
Quando uscì da casa sbattendo la porta - come al solito - fece due passi e si fermò per accenderne una, col tipico gesto di coprirla con la mano; poi riprese a camminare con disinvoltura. Prese posto in auto, lanciò il pacchetto sul cruscotto e mise in moto. Odiavo dover fare il grillo parlante, ma la sua non era una guida da definire sicura, e avrebbe almeno potuto mettere la cintura di sicurezza.
«La cintura non sta lì per bellezza, sai?» Certo, di tutti i modi in cui avrei potuto dirglielo... ma cosa potevo farci, le pensavo in un modo e mi uscivano in un altro!
Johnny sbuffò e mi rivolse uno sguardo che parlava da solo, e mi intimava di stare zitta.
«Scusa tanto, Jack.» Mi morsi la lingua dopo aver pronunciato quel nome, ma non avevo resistito.
Avevo scoperto che lavorava come venditore telefonico di inserzioni pubblicitarie, e usava il nome di uno dei protagonisti di Lost, Jack Shephard. L'avrei sfottuto a vita.
Per tutta risposta lui accelerò, esprimendo la sua voglia di avermi fuori dall'auto il più presto possibile.
«Scendi.» Disse, ancora prima di fermarsi nel parcheggio della scuola.
«Non è che possa fare altrimenti, né che voglia.» Risposi a tono.
Un gruppo di ragazze si fermò a guardare la scena, cincischiando. La Volvo C30 rosso fuoco non passava inosservata, né tantomeno il suo proprietario. Johnny era il tipo di ragazzo che piaceva a tutte. Certo, esteriormente non era da buttare, ma il suo carattere l'aveva reso odioso ai miei occhi. E lo conoscevo soltanto da un giorno. Fatevi un po' i conti.
Bianca mi si avvicinò da dietro, attentando alla mia già precaria salute mentale.
«Quello è il tuo fratellastro?» Mi voltai e sospirai amareggiata scoprendo sul suo viso la stessa espressione sognante delle altre ragazze.
«No, ti prego. Bianca, almeno tu salvati.» Non mi serviva un'amica di parte. Specialmente quando la parte non era la mia.
«Ma... ma... l'hai visto?» Sbattè gli occhioni luccicanti con un'espressione ebete.
«Certo che l'ho visto. L'ho visto perfino in mutande, se ti interessa. Il punto è un altro, ricordi?» Cercai di riportare la conversazione sul filo del giorno precedente.
«Sì, giusto.» Annuì, poco convinta. «Che hai detto? L'hai visto in mutande?!» Ecco, ci risiamo.

«Okay. Hai ragione. La bella faccia non compensa il carattere di merda.» Concluse Bianca, dopo aver ascoltato gli aggiornamenti relativi alla notte appena trascorsa.
«Deo Gratias.» Era tornata in sé.
«Però è carino. Cioè, non puoi non ammetterlo.» No, niente, non poteva non pensarci. Beh, da un lato potevo capire.
«E chi l'ha mai negato?» Johnny era bello, fin troppo bello...
«E che ne so, da come lo descrivevi me l'ero immaginato brutto, grasso e peloso, oltre che antipatico.» Mamma mia, un abominio! E chi ci avrebbe mai dormito nella stessa stanza?
«Perché non te l'ho mai descritto fisicamente. Mi soffermo a guardare il carattere, io.» Puntualizzai, fiera della mia razionalità. Mica come le altre, con un neurone in testa e tre miliardi di ormoni scorazzanti.
«E sbagli. Anche l'occhio vuole la sua parte.» Insisteva.
«Purtroppo ho anche un cervello oltre agli occhi. Mi spiace per voi che non ce l'avete.» 
«Io ce l'ho il cervello. Solo che a volte si scollega. È il cavo che è difettoso.»
Alzai gli occhi al cielo con un sorriso. Menomale che c'era lei.
«Non mi uccidere, okay? Però, mi domandavo...» Assunse l'espressione da cucciolo smarrito che funzionava con tutti.
«No.» Risposi, a priori.
«Ma non sai nemmeno cosa voglio dirti!»
«La vita è ingiusta, vero?»
«Dai, fai poco la bastarda. E promettimi che una mattina mi date un passaggio a scuola. Dai, dai, dai.»
Mi portai le mani in viso, scuotendo la testa. «Gesù.»
«Non sento ragioni. O questo o mi fai dormire a casa tua.»
«COSA?! Aspetta, ti aggiusto il cavo.» Le diedi una botta in testa e lei rise.
Ma insomma. Possibile che le persone fossero così superficiali? E possibile che proprio a me dovesse capitare il fratellastro bastardo e rompiballe, antipatico e irritante?
«Oh, oh, c'è Kevin!» Bianca mi infilò un gomito nello sterno per attirare la mia attenzione, e io mi voltai nella direzione in cui stava guardando. Kevin Stultz, in tutta la sua bellezza e magnificenza, fece la sua apparizione in corridoio, camminando come un divo del cinema. Il solito corteo di ammiratrici lo seguiva da vicino, sculettando due passi dopo i suoi migliori amici che non lo mollavano un secondo. Sospirai, quando mi passò accanto. Mi piaceva da tempi immemori. Ecco, lui era l'unico per cui i miei ormoni avessero mai ballato la rumba, ignorando i neuroni che si impiccavano per quanto fosse cerebralmente insignificante. Purtroppo la carne è carne, e insomma, mi faceva sempre un certo effetto.
«Quando passa lui il tuo cavo brucia per autocombustione.» Mi prese in giro Bianca, e a ragione.
Cosa potevo farci, l'ho già detto che la carne è carne?
«Andiamo, dai. Ti ricordo che devi essere interrogata, stamattina.»
«E' il professor Smith. Il nove è assicurato...» Dissi, tranquilla. Edward e io avevamo un rapporto bellissimo. Ci sentivamo qualche volta via e-mail, dove potevo dargli del tu, lontano da occhi indiscreti e malpensanti quali erano quelli dei miei compagni di classe. Non ero sempre andata bene nella sua materia, ma era riuscito a farmela amare dopo diversi tentativi, e da tre anni a quella parte i miei voti spiccavano il volo. Poi, a metà del quinto anno, gli mandai una mail per chiedergli una cosa su un'attività extrascolastica, e così iniziò la nostra "corrispondenza". Nulla di clandestino, di illecito, nessun favoritismo, ma solo tanto rispetto reciproco e voglia di migliorare, da entrambe le parti.
«Perché, a proposito, non metti una buona parola per il mio compito della settimana scorsa? Mi sa che è andato malino... e tu dovevi per forza assentarti, vero? Ciclo di merda.»
Tra queste ed altre congetture e varie disquisizioni sull'apparato genitale femminile, entriamo in classe, pronte ad afffrontare una nuova giornata. 

Al suono dell'ultima campanella tirai un sospiro di sollievo. Salutai Bianca, promettendole che sarei passata a prenderla con Johnny, un giorno o l'altro.
«Fai la brava. E se ti tratta male digli che se la dovrà vedere con me.» Gonfiò il petto e alzò la testa, spavalda.
Le diedi una spinta sul braccio. «Seh, lo so io come gliela fai vedere...»
«I tuoi doppi sensi sono unici.»
«Ciao, Bianca.»
«Ciao, Bernie.»
Mi incamminai come un altro centinaio di ragazzi sulla fermata dell'autobus, pronta ad affrontare i soliti venticinque minuti di solitudine, in attesa della linea delle due e un quarto.
Ma papà mi voleva male, molto male.
Due colpi di clacson attirarono la mia attenzione. Mi ci volle qualche secondo per realizzare che una Volvo si era accostata una decina di metri dopo la fermata e l'aveva fatto per me.
«Perfetto, ci manca solo che me lo fanno portare anche a scuola e stiamo a posto.» Commentai tra me e me, scuotendo la testa. L'abitudine di parlare da sola risaliva a... beh, praticamente sempre. Salii in macchina e ripartimmo a tutta velocità. Misi la cintura e mi aggrappai al sedile.
«Vai di fretta?» Gli chiesi, un po' terrorizzata dalla lancetta del contachilometri che impennava vistosamente.
«Ho fame.»
Il solito buzzurro cavernicolo. Donne, cibo, birra. Donne, cibo, birra. Monotono e inevitabile come il ciclo dell'acqua.
Ma almeno il ciclo dell'acqua serve a qualcosa; lui che senso aveva sulla faccia della terra? Quelli erano i veri misteri della vita, altro che alieni e dinosauri.

***

Johnny divenne davvero il mio chauffeur. Non fu più necessario che mio padre o sua madre gli chiedessero di accompagnarmi. Avevamo più o meno gli stessi orari - o al massimo io aspettavo lui quando dopo le nottate di sesso, droga e rock 'n roll si svegliava più tardi - e uscivamo insieme.
A vedermi tutti i giorni con Johnny, le ragazze si fecero un'idea sbagliata di noi. Ovviamente, se c'è da scegliere tra due ipotesi, si sceglie sempre quella peggiore. Dovetti spiegare alle più insistenti che era semplicemente mio fratello e in breve la voce che non ero la ragazza di Johnny si diffuse di classe in classe, così iniziai improvvisamente a piacere a tutte le ochette della scuola che mi chiedevano di lui in continuazione. Come se non bastasse l'averlo accanto tutti i giorni. Nell'unico posto in cui non dovevo convivere con le sue maniere da rinoceronte ero costretta anche a parlare di lui.
La cosa peggiore era che quelle deficienti senza un briciolo di cervello si appostavano nel parcheggio per vederlo, quando mi accompagnava. A volte gli chiedevano di restare un po' e lui non se lo faceva dire due volte.
«Puah.» Commentai, un giorno, prima di scendere dall'auto, mentre lui esibiva la posa da strafigo col gomito appoggiato allo sportello.
«Vattene, mi rovini la piazza.» Disse a denti stretti, senza smettere di sorridere alle ragazze.
«È il contrario, semmai, orco.»
Lui era troppo preso dalle cheerleader che gli si erano avvicinate in gruppo per rispondere. Me ne andai sbattendo la portiera. Prima o poi se ne dovrà cadere.
Mentre meditavo sulla grande figura di merda che prima o poi gli avrei fatto fare con quelle ragazze, Bianca mi raggiunse dalla panchina su cui stava aspettando e ci dirigemmo insieme in classe.
«Vi aspettavo, stamattina.» Incalzò, cauta.
«Domani.» Replicai, automaticamente.
«Sono due settimane che dici 'domani'.» In effetti. È che non sapevo davvero come chiederlo a Johnny! Già quello mi odiava a morte, poi io infierivo chiedendogli di dare un passaggio a una mia amica... avrebbe inventato un pulsante per l'espulsione del sedile del passeggero e mi avrebbe spedito su Marte. Come minimo.
«Okay. Allora, domai
«Izzieee...» Piagnucolò, come una bambina di tre anni. Datemi uno spigolo. Uno spigolo, non chiedo altro.
«Ma scusa, hai tuo padre così carino e così gentile, perché vuoi rovinarti la giornata con Fred Flintstone?»
«Perché voglio vedere come si comporta, cosa fate, di cosa parlate...»
«Non facciamo niente, si comporta come l'uomo di Neanderthal e se per parlare intendi insultarci, allora sì, qualcosa da dire ce l'abbiamo...»
«Posso difenderti!» Provò ad arrampicarsi sugli specchi, ma ai miei occhi era già scivolata a terra da un bel po'.
«Non puoi difendermi se lui mi scuoierà viva solo per aver lontanamente pensato che mi avrebbe fatto un favore, capisci?»
«Dai, non ci credo che ti vuole così male. Secondo me ti impressioni.»
«Sì, hai ragione. Oh mio Dio, un asino che vola!» Indicai il cielo con espressione ebete e lei rise. Riuscii a deviare la conversazione parlando del compito d'inglese che avremmo affrontato quel giorno. Non avevo mai amato la scuola quanto in quel periodo.
Beh, insomma. Almeno così credevo.
Johnny divenne la mia croce, in tutti i sensi. A causa sua ero diventata semi-popolare, sicuramente più di quanto non fossi prima; soprattutto dopo la rissa di quel sabato mattina, che forse cambiò un po' le cose.

«Johnny sta spopolando.» Ormai la scuola era una tappa fissa, per lui. Scendevamo prima apposta, così che lui potesse restare qualche minuto in più a flirtare con qualunque ragazza gli capitasse a tiro. La cosa non andava a genio a chi, dall'altro lato, aveva sempre considerato la scuola come il proprio territorio personale di caccia. Kevin, per l'appunto. Quasi quasi ci aveva pure pisciato intorno, si può dire. Quel bellissimo cerebroleso - purtroppo ne esistono - mi si avvicinò tutto d'un tratto, lasciando per un momento gli amici e il codazzo papale. 
«Di' a tuo fratello che stesse alla larga da questo posto. Se vuole qualche ragazza adatta a lui la può trovare nel bordello in fondo alla strada.»
Mancava poco perché la mia mascella rotolasse a terra con un tonfo. «Se ti senti minacciato parla con lui, non sono mica la sua segretaria.» Cercai di rispondere gentilmente, per quanto l'orgoglio me lo permettesse.
«Non fare la scorbutica, lo so che mi muori dietro dal primo anno.» Tipico.
«Sì, fino a quando non ho scoperto che hai un quoziente intellettivo pari a quello di una sedia a sdraio chiusa.»
«Beh, sicuramente non arriverò mai al livello del tuo caro fratellino.» Alzò la voce per farsi sentire dal diretto interessato.
«Ci puoi scommettere, stronzo!» Urlai in risposta.
Quando lui provò a strattonarmi mi sentii quasi prendere di peso ed essere messa da parte.
«Che cazzo vuoi, Big Foot?» La voce di Johnny arrivò forte e chiara alle mie orecchie, così come il rumore della ghiaia sotto le scarpe dei due che si spintonavano a vicenda.
«Porta il tuo amichetto a fare un giro altrove, qui non ce n'è per tutti e due.»
«Hai ragione, ormai ce n'è solo per me.» Rise beffardo Johnny.
«Vai a lavorare, frocetto, queste sono le mie donne.»
«Se non te le sai tenere non è colpa mia.» Il pugno colse tutti di sorpresa. Kevin non era mai stato coinvolto in una rissa, né si diceva fosse un tipo violento. Per Johnny invece era il contrario.
E se ne accorsero tutti.
«Oddiosanto, oddiosanto...» Dopo il pugno di Kevin e il gancio destro nello stomaco di Johnny, mi buttai in mezzo a loro, e improvvisamente tutti sembrarono rinsavire. Gli amici di Kevin lo afferrarono per le spalle e lo trascinarono in cortile. Io presi Johnny in disparte e gli controllai il viso. Aveva un graffio accanto al naso e il labbro gonfio.
«Ma con chi te la fai, ragazzina?» Chiese mentre stendeva la mano indolenzita e arrossata.  
«Stai zitto e seguimi.» Stavo facendo una cosa azzardatissima e per cui mi avrebbero potuto richiamare, ma decisi di farla ugualmente. Facemmo il giro dell'edificio e feci entrare Johnny dall'ingresso secondario che portava direttamente in palestra.
«Se mi vuoi uccidere almeno fallo in un posto decente...» Mormorò osservando le pareti grigie e invecchiate.
«Aspetta qui, vado a prendere il necessario.» Entrai nel bagno delle ragazze e presi la valigetta del pronto soccorso, che tenevamo stipata lì per ogni evenienza. Quando tornai lo vidi seduto sul banco che i ragazzi utilizzavano a mo' di porta da calcio, che dondolava una gamba avanti e indietro.
«Hai intenzione di affogarmi con una garza sterile?» Domandò con un sorriso. Il primo, vero sorriso che mi avesse mai rivolto.
«Taci, zotico.» Presi il ghiaccio spray e glielo spruzzai sul labbro. Lui emise un gemito e si allontanò di qualche centimetro.
Misi dell'acqua ossigenata sul taglietto accanto al naso e sulla mano. «Il cerotto non te lo metto. L'aria è il miglior cicatrizzante.» L'avevo letto da qualche parte e mi era rimasto impresso. Lui mi lasciava fare. Se ne stava con le mani posate sulle ginocchia, un accenno di sorriso che gli increspava le labbra e gli occhi fissi nei miei.
«Per poco quel gorilla non mi rovinava il naso.» Berciò, fingendosi imbronciato.
In effetti... Johnny aveva un naso che era tutto un programma. Perfettamente dritto, perfettamente squadrato, perfettamente adatto al suo viso. 
«Non sia mai, avrebbe potuto mettere fine alla tua carriera di Don Giovanni.» Replicai con tono vagamente canzonatorio. Per una volta stavamo battibeccando allegramente, con leggerezza, in quel modo che mi piaceva tanto.
«Non esageriamo. Ho il naso più bello del mondo ma è solo una delle innumerevoli doti che possiedo.» Disse, puntando il suddetto naso per aria, in una smorfia altezzosa. Simulai un pernacchio con le labbra, e richiusi la valigetta del pronto soccorso.
«E la dote più grande che hai è sicuramente la modestia, vero?» Lui si limitò a sorridere, e scese dal banco. Il suono della campanella ruppe quella specie di incantesimo che si era creato; suggerii a Johnny di sgattaiolare via il più velocemente possibile e per un momento restammo a guardarci esitanti.    
«Stai lontana da quel vichingo...» Ero sveglia? Johnny mi aveva fatto una raccomandazione per il mio bene? L'aver preso le sue difese con Kevin aveva portato i suoi buoni frutti! «...non voglio sentire le tue lagne, se poi ti fa del male.» Va bene, come non detto.
Se ne andò senza aspettare la mia risposta, con un sorrisetto stampato in faccia.

«Potresti almeno ringraziarmi, eh!» Gridai, irritata. Quel ragazzo aveva la capacità di cambiare e farmi cambiare umore a una velocità spaventosa.
«Ti ho salvato la vita, dovresti ringraziarmi tu.» Rispose tranquillo lui.
«Cosa? Come? Ci dev'essere qualche interferenza, non ho sentito bene.» Lui rise e aprì la porta, pronto ad andarsene.
«Grazie, ragazzina.»






Lo so, non aggiorno dai secoli dei secoli (amen).
Purtroppo sono stata presa dalla scuola, l'esame, e tutto il resto. E' andato tutto bene, ho preso il mio 100 (permettetemi di vantarmi un pochino) e ho chiuso questo capitolo. Ora mi aspetta la vita vera!
Comunque, direte voi, la scuola è finita da un pezzo. E' vero, putroppo l'ispirazione è una brutta stronza, mi passa a trovare molto raramente e insomma... l'importante è essere tornata, no?
Spero di tornare a pubblicare in modo più regolare.
Ah, dunque. Avrei creato un gruppo su Facebook, Daydreamer, what are you dreaming of?, per tenermi in contatto con voi, per gli spoiler, per quando sparisco e non pubblico per mesi (così potrete insultarmi XD), e tutte le novità sulle storie che ho in mente, originali e non (ecco che l'esercito di fan dello zio Joh mi investe con un boato).
Il gruppo è chiuso, basta chiedere l'iscrizione e presentarvi col nick di Efp appena dentro.
Insomma, quasi tutte dovreste avere Facebook, no? Chi non ce l'ha alzi la mano, così magari troviamo un altro modo.
Ah.
GRAZIE. Le vostre recensioni (18, ora piango *__*) mi hanno dato una carica pazzesca.

Un abbraccione,
Sara.
   
 
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