Erano le ore 16:15 circa ed era un venerdì di Gennaio. Venerdì. Sinonimo di sfiga. Non per loro. Lei, di ritorno da un antipatico corso di matematica. Lui, lì per puro caso. Nel frastuono della piccola stazione si distinse soltanto il calpestio dei suoi tacchi, quasi a formare un suono armonioso. Lui si voltò e lei si sedette su una delle due panchine presenti, accavallando le gambe. Lui ne fu attratto. Lei lo notò: alto, smilzo, capelli scuri e carnagione chiara. Giubbotto, jeans, convers e Ipod. E gli occhi? Non erano comuni tanto che, a prima vista, non era semplice identificarne l’azzurro, il verde e le pagliuzze d’orate. Altro dettaglio. Cordino verde della Heineken agganciato ai pantaloni. Un altro suono: il fischio del treno. Lei salì e lui pure. Non si sa dire con certezza se Dio giochi a dadi oppure. Eppure lui si sedette in modo tale che i loro occhi si potessero incrociare. Lui la guardò bene: jeans, giacca nera e tacchi alti, impossibile non notarli. Ugualmente non passò inosservata la sua borsa, marchiata Harrods. Lei lo osservò alla ricerca di qualcosa che credette di vedere, ma che, in realtà, non c’era affatto. Lui, quasi infastidito, mantenne lo sguardo fisso contro il suo. Lei continuò a sorridere maliziosa. Seconda fermata del treno. Lui si alzò e le passò davanti. La corsa era finita, lei lo guardò un’ultima volta. Non l’avrebbe più rivisto. E no, si sbagliava.