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Autore: lar185    24/08/2011    0 recensioni
L’assurdità dei nostri incontri e la sua enigmaticità mi mettevano tremendamente a disagio, considerando anche il fatto che io non sapevo nulla di Federico. Già, non sapevo nulla di lui. Che tipo di vita conduceva, che persone frequentava. E soprattutto, che cosa stesse cercando in me, dai nostri discorsi, dai nostri sguardi. Era solo un semplice passatempo? Non mi pareva vero che mi stessi chiedendo una cosa del genere. Cosa m’importava di Federico? Cos’era lui per me, se non un inutile aggancio al mio passato? Avevo paura di quello che era successo, di quello che sarebbe successo. Mi chiedevo perché si ostinava a volermi vedere, già, perché voleva vedermi? E soprattutto, perché non aveva mai fatto riferimento a lui? Questa era una domanda che fino a quel momento non m’era mai venuto in mente di farmi. In definitiva, io e Federico eravamo stati legati soltanto da lui. Ma adesso lui non c’era, e tutto si ribaltava. Tutto era cambiato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bussai il campanello fuori dalla porta dell’appartamento di Federico e attesi qualche momento. Osservai la porta in legno, un po’ vecchia, e cercai di tendere l’orecchio per ascoltare quello che accadeva all’interno della casa. Non sentivo niente. Il pianerottolo era modesto, c’erano altre due porte accanto a quella di Federico, e alla mia sinistra c’erano le scale. Avrei dovuto bussare fuori dal palazzo, ma il suo citofono era fuori uso, così la vecchia portiera mi aveva invitato a salire al quarto piano, là dove lui abitava. Ero un po’ imbarazzata davanti allo sguardo della vecchietta che mi scrutava da capo a piedi forse chiedendosi chi fossi. Sembrò quasi sorpresa quando le chiesi di indicarmi l’appartamento di Federico, il suo sorriso sdentato era ironico, ma non avrei saputo dire se fosse stato anche sarcastico. Ero salita velocemente le scale ignorando l’ascensore per sfuggire al più presto da quella vecchietta ambigua, ed ora mi trovavo lì, di fronte a quella porta. Mi passò accanto una ragazza che scendeva dal piano superiore, aveva degli shorts cortissimi e una canotta aderente, lunghi capelli neri sciolti sulle spalle e magnetici occhi azzurri. Mi squadrò anch’ella da capo a piedi, quasi come se volesse fulminarmi, ma non ebbi il tempo di rispondere allo sguardo che Federico aprì la porta. La ragazza lo fissò, lui nemmeno s’accorse che c’era e mi sorrise esclamando:
-          Ris!-
Abbozzai un sorrisetto, poi la ragazza si fece avanti e Federico spostò lo sguardo su do lei.
-          Ciao Irene – disse, con tono completamente diverso.
-          Ciao Federico, scusami!, - la ragazza che lui aveva chiamato Irene spostò lo sguardo su di me, uno sguardo che non mi piacque, - mi chiedevo se avessi da prestarmi una prolunga-
Federico alzò le spalle con fare un po’ annoiato, poi disse rivolto a me:
-          Entra pure in casa, aspettami, arrivo tra un attimo-
Mi spinse letteralmente dentro casa e poi cercò velocemente nello sgabuzzino dietro la porta d’ingresso fino a quando non trovò una vecchia e consumata prolunga, la porse ad Irene e senza darle il tempo di sfoderare di nuovo quel suo sorriso ammaliante, la salutò e chiuse la porta. Io ero ferma in mezzo al corridoio, osservavo il pavimento bianco a chiazze nere, le pareti sulle quali erano appesi strani quadri astratti. Sulla sinistra c’era una bassa libreria con sopra un delizioso vasetto di terracotta, mentre in fondo al corridoio vedevo aprirsi un modesto salotto.
-          Scusami Ris, - disse Federico arrossendo un po’, - ma questa ragazza è incorreggibile. Ogni giorno si presenta con le scuse più assurde, non so come farle capire che non sono interessato a lei!-
-          Non preoccuparti- mormorai io.
D’improvviso, entrata nella sua casa, era stato come se tutta la mia carica negativa fosse scemata, svanita in un secondo. Federico mi condusse nel salotto, uno spazio moderatamente ampio con un divano rosso, altre due librerie, un computer sulla destra e una grande finestra  sulla parete opposta.
-          Accomodati, vuoi qualcosa da bere?-
-          No, grazie-
-          Sicura? Ho tante cose fresche-
-          No, davvero-
Federico alzò di nuovo le spalle, stavolta con fare divertito. Mi fece accomodare sul divano, poi mi accorsi che sul basso tavolino di legno che mi era davanti c’era poggiata la mia borsa. La presi con un gesto deciso, me la rigirai tra le mani.
-          Vedi, non l’ho manomessa!- scherzò lui, prima di sedersi accanto a me.
-          Beh, non si può mai sapere- risposi io.
Per qualche secondo regnò un imbarazzante silenzio, ma la parola evidentemente non rientrava nel vocabolario di Federico in quanto, con fare ironico, si avvicinò a me e sussurrò:
-          Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?-
Arricciai il naso con fare infastidito.
-          Non essere stupido-
-          E perché te ne stai in silenzio?-
-          Non so cosa dire-
-          Sei per caso in imbarazzo?-
-          No, per niente. È che ora dovrei andare. Ho preso la borsa, adesso posso andare via e finalmente sperare di liberarmi di te-
Federico scoppiò a ridere, io lo guardai con la massima serietà che il mio volto riusciva a fingere.
-          Ridi di me, Federico?-
Lui non rispose, continuò a ridere guardandomi fissa, allora mi alzai, pronta a dirigermi verso la porta. Attraversai veloce il corridoio, quasi ero fuori quando lui mi prese per la vita, un tocco leggero e possente insieme.
Mi voltai verso di lui, Federico sorrideva ancora, stavolta parve che i suoi occhi brillassero.
-          Ti prego, Ris, non andartene- disse, o meglio, mormorò, - vieni in cucina. Ti offro  un’aranciata-
Avrei dovuto rispondere, urlare, battere i piedi come sapevo fare bene, e invece mi lasciai trascinare da lui in cucina senza dire nemmeno una sillaba. Mi sedetti, sempre muta, e attesi che mi posasse davanti un bicchiere colmo di aranciata ghiacciata.
-          Grazie- mormorai. Federico si sedette di fronte a me e bevve un sorso.
-          Da quanto tempo vivi qui?- domandai di botto, senza neanche rendermi conto della domanda che stavo facendo.
-          Mmh, circa due anni. E’ un po’ piccola forse, ma per me va bene. Contrariamente a quanto sembri, sono un tipo tranquillo, non faccio molti casini. E poi non sto molto tempo a casa! A parte oggi, s’intende. Di solito vado a casa degli amici, a suonare la chitarra, all’Università. E mi piace studiare in biblioteca-
-          Cosa studi?-
-          Lettere moderne-
Federico aveva perso la sua aria da scialbo latin lover, adesso i suoi occhi s’erano fatti profondi e la sua voce era ben posata. Non gesticolava con quel suo fare davvero irritante.
-          Non ricordavi?- chiese poi lui.
Era la prima volta da quando c’eravamo incontrati che aveva fatto un riferimento al passato. Io scossi impercettibilmente la testa. Non ricordavo a quale facoltà fosse iscritto.
-          Cosa ti è successo in questo tempo, Ris?-
Federico ridusse gli occhi a due fessure, mi squadrò, stese la mano sul tavolo quasi a raggiungere la mia.
-          Niente. Cosa sarebbe dovuto succedermi?- ribattei, tra l’acido e l’infastidito.
Federico continuava a fissarmi curioso.
-          Non saprei dire, guardandoti. Però ho la strana sensazione di non averti mai conosciuta prima. Sei come un’altra persona. Dov’eri, Ris?-
Non smetteva di fissarmi, mi metteva a disagio. Lo guardai per un attimo negli occhi, ma riabbassai subito la vista, imbarazzata e intimorita, con il cuore che mi batteva a mille. Avrei voluto fargli la stessa domanda, chiedergli dov’era stato, perché adesso mi trovavo a casa sua, perché stava succedendo tutto quello. Avrei voluto chiedergli se il passato che ricordavamo entrambi era davvero passato o era un’altra vita.
-          Non m’è successo niente, Federico. Io sono sempre la stessa- sibilai, provando vergogna persino della mia stessa voce. Federico sorrise sotto i baffi, allontanò la sua mano dalla mia, d’improvviso fu come se tutta l’atmosfera fosse svanita, come se ci stessimo riappropriando di tutto il nostro tempo. Sospirai, non so se di sollievo o cos’altro.
-          Vuoi vedere la mia chitarra?- chiese, con la stessa espressione di un bambino che vuole mostrarti i suoi giocattoli nuovi.
-          Si, certo- risposi. La mia voce si era addolcita. Federico lasciò il bicchiere vuoto sul tavolo e si alzò. Io lo imitai, e dopo aver attraversato nuovamente il corridoio svoltammo a destra, là dove c’era un’altra camera, rivestita in rosso e con un tappeto in velluto per terra. C’era un divano sulla parete molto grande di fronte a noi, accanto al balcone sulla sinistra c’era un grande impianto stereo, e poi, accanto a questo, c’era la famosa chitarra. Anzi, ce n’erano due. Una era elettrica e un’altra era classica. Entrambe erano lucide e perfette.
-          La mia preferita è questa, - disse, indicandomi la classica, - è sempre con questa che si comincia. Sai, adesso che non la suono quasi mai mi sembra di aver persino dimenticato come si prende in mano, quali sono le sensazioni che mi trasmetteva-
Le sue parole erano intense, guardava la chitarra estasiato. Notai che c’era un tondo adesivo rosa su di essa.
-          Cos’è quell’adesivo?- chiesi. Federico mi sorrise, afferrò la chitarra e si sedette sul divano dietro di noi.
-          Non ricordo, era uscito forse dalle patatine. Lo attaccai qui sperando potesse essere un segno di riconoscimento. Una sorta di legame tra me e lei!-
Guardò nuovamente la chitarra con occhi quasi lucidi, io mi sedetti accanto a lui.
-          Ti piace molto la musica, non è vero?-
-          Non è solo questo. La musica è una parte essenziale di me che non può essere trascurata. Non posso lasciare che l’università e la vita tutta non mi lascino spazio per suonare. Certo, probabilmente non diventerò mai un cantante famoso acclamato da folle urlanti, ma questo non è molto importante per me. Basta che io abbia del tempo per lei. Sai, la musica va curata come se fosse una bambina. Devi prestarle attenzione, dedicarti a lei. Se si sente trascurata ti volterà le spalle, e ci vorrà molto tempo affinché tu possa riconquistarla-
Rimasi in silenzio a riflettere sulle sue parole, Federico restò come in apnea per qualche momento, poi si ridestò.
-          Che ne dici di venire ad ascoltarmi domani sera? Io e i ragazzi abbiamo una serata-
Mi guardò sorridendo, ma io divenni cupa.
-          Beh, non so, in realtà io…-
-          Hai qualcos’altro da fare?-
-          No, cioè, si, però…-
Ero estremamente confusa. Avrei voluto con tutto il cuore andare a vedere Federico, ma continuavo a dirmi che stavo facendo una cosa sbagliata. Federico apparteneva alla mia vita passata, e dunque io non dovevo lasciarlo entrare con prepotenza nella mia nuova vita. Non so bene cosa intendessi per “nuova vita” dato che non erano intervenuti speciali cambiamenti dalla dipartita di lui, ma sentimentalmente era così, io ero in una nuova vita, una nuova consapevolezza. Tutto era diventato nuovo per me.
Federico si alzò dal divano, posò la chitarra e alzò le spalle.
-          Mi piacerebbe se venissi. Ti divertiresti un sacco! Di’ un po’, quand’è stata l’ultima volta che ti sei sbellicata dal ridere? Che ti sei divertita un mondo? Che hai bevuto un aperitivo in un esotico bar?-
Lo guardai di sbieco.
-          Che razza di domande sono queste?-
-          Lo sapevo. Non sei neanche in grado di divertirti-
-          Come osi dire una cosa del genere? Certo che so divertirmi!-
-          Cosa fai di solito il sabato sera?-
Arricciai il naso con fare altezzoso.
-          Esco con i miei amici-
-          Oh, davvero? E dove andate? Al cinema, a mangiare una pizza? Non andate mai in qualche locale dove fanno musica dal vivo, ad ascoltare l’emozione delle chitarre vere? Scommetto di no-
-          Beh, in realtà noi…-
-          Andate a ballare?-
-          Non mi piacciono le discoteche-
-          Non intendevo quelle. Intendevo qualcosa come la salsa, il tango, non lo so. Balli caraibici?-
-          Cosa? Perché, tu sai ballare?-
-          Non sono un esperto, ma me la cavo-
-          Non ti crederò mai-
-          Perché non mi hai mai visto ballare-
-          E mai ti vedrò-
-          Sfaterò anche questo mito. Ma intanto, domani sera verrai? Passo a prenderti io. Ti presenterò tutta la mia band-
Sorrisi abbassando lo sguardo, quasi come se volessi concedermi un momento di dubbio.
-          Ascolta Federico, io…-
-          Okay, allora siamo d’accordo. Non importa come ti vestirai, nessuno ci bada. È un localino non troppo distante dal mare, non eccessivamente piccolo ma neanche enorme. Ti riserverò un tavolo, farai conoscenza con le mie amiche-
La parola “amiche” mi fece quasi rabbrividire. Oh certo, adesso voleva mettermi a sedere al tavolo delle amiche, come dei trofei che raccattava qua e là e che poi finivano tutte alle stesso tavolo, come se fossero delle fans o che so io.
Storsi il naso.
-          Non conosco le tue amiche- dissi con fare acido.
-          Lo so. Le conoscerai domani-
-          Ma io non voglio conoscerle, cioè, io non verrò ad ascoltarti suonare!-
Federico zittì per un momento.
-          Non ti va neanche un po’?-
Il suo sguardo era diventato quasi malinconico, fece per avvicinarsi a me, io mi alzai dal divano.
Mi sentii tremendamente in colpa.
-          I miei genitori hanno un impegno e devo badare a mia sorella-
-          Questa è una bugia-
-          Come? E che ne sai tu?-
-          Lo si sente nella voce. Vuoi farmi un dispetto?-
-          Non sono la tipa da dispetti-
-          Secondo me si. Avanti Ris, ti prometto che ti divertirai. In caso contrario, prometto di fare qualcosa per farmi perdonare-
-          Oh no ti prego, non inventarti più niente-
Federico sorrise, sapeva che ormai  stavo cedendo.
-          Okay okay, non inventerò niente, te lo prometto, tutto quello che vuoi. Allora? Verrai?-
Sospirai, evitai di guardarlo negli occhi per non assumere un’espressione inebetita.
-          Okay, verrò. Ma se non mi diverto, scendi dal palco e mi riporti a casa, d’accordo?-
-          Va bene Ris, i tuoi desideri saranno ordini per me!-
Federico scoppiò a ridere, stava quasi per abbracciarmi ma qualcosa lo trattenne. Si limitò a sfiorarmi le braccia ed i gomiti mentre si dimenava ridendo a crepapelle.
Il suono della sua risata continuò a ruotare nel mio cervello fino a quando non giunsi a casa e mi chiusi nella mia stanza. Non riuscivo a credere di avergli detto di si. Era riuscito a strapparmi quel si dopo una delle nostre chiacchierate inutili e senza senso, era riuscito di nuovo a sopraffarmi. Lo odiavo, o almeno credevo di odiarlo. Mi era ancora ignoto il motivo per il quale si stava comportando così, mi era ignoto anche il perché io stessi avendo un certo comportamento, perché non risultassi decisa nell’odiarlo, nel ripudiarlo dal mio cervello.
Mi sedetti sul letto e nel momento stesso nel quale lo feci mi assalì un pensiero angosciante e iniziai a sudare freddo.
E se ci fosse stato anche lui?
Come avrei reagito nel rivederlo? Il cuore iniziò a battermi all’impazzata, mi asciugai il sudore dalla fronte, mi imposi di calmarmi. Come avevo potuto non pensarci prima? Se c’avessi pensato, allora si che sarei stata determinata, nessuno sarebbe stato più determinato di me! Diamine. Dimenticavo proprio ogni cosa quando ero con Federico, anche le più semplici e scontate. Iniziai a calmarmi quando pensai che Federico non aveva potuto essere così stupido. Se lui ci fosse stato, di sicuro non mi avrebbe invitato. Non avrebbe potuto farlo, avrebbe di sicuro capito. Ma adesso, che fare? Come potevo sapere se lui ci sarebbe stato o meno? Era il suo migliore amico o che so io, non sarebbe mai mancato ad una sua serata. Ero spacciata. Non avrei mai potuto chiedere a Federico di lui, era una questione di principio. Il problema era che tipo di principio. Una parte di me si convinceva che non dovevo pronunciare parola su di lui perché neanche Federico l’aveva mai fatto, e quindi la questione era completamente dimenticata da entrambe le parti. Un’altra parte di me sapeva con certezza che mettere sul tavolo questo argomento avrebbe significato mettere un ostacolo tra me e Federico. Ostacolo? Ostacolo a cosa? Beh, ovviamente a quello che stava succedendo tra di noi. Mi sentivo tremendamente stupida a pensare una cosa del genere, dunque smisi di farlo. Il fatto che ci stessimo incontrando non significava niente, non doveva significare niente. Sebbene l’opzione secondo la quale l’incontro con Federico faceva riemergere il mio passato e l’ambiguo rapporto che avessi con esso era stata scalzata dal fatto che dopo il suo invito non avevo minimamente pensato a lui, e che in presenza di Federico ogni pensiero mi era precluso, dovevo auto convincermi che fosse così.
Adesso dovevo trovare un modo per uscire da questo guaio.
 
 
 

 
 
Non trovai un modo per uscire da quel guaio. Quando avevo sentito Federico non avevo avuto ovviamente il coraggio di chiedergli niente, e neanche potevo farlo, così mi ero ripromessa. Dissi a mia madre che andavo alla festa di una compagna di classe e che Candida sarebbe passata a prendermi con la macchina. Io non mentivo mai ai miei genitori, e lei non sospettò che stessi mentendo. Giada invece si.
Mentre ero dinanzi allo specchio a decidere cosa mettere, entrò spedita nella nostra camera e chiuse la porta.
-          Cosa c’è?- le chiesi, osservando i suoi occhi infuocati.
-          Perché non me l’hai detto?- sentenziò, quasi adirata.
-          Dirti cosa?- domandai, prendendo altri vestiti dall’armadio e tentando di darmi un tono.
-          Non fingere con me. Chi è lui?-
Alzai le spalle fingendo indifferenza, guardai i vestiti che poggiavo con delicatezza sulla sedia dinanzi a me.
-          Allora? Vuoi rispondermi?-
-          Non parlarmi con quel tono- dissi infastidita, continuando a non guardarla negli occhi.
-          Credevo che noi fossimo amiche. Tutte le mie compagne di classe sono gelose del nostro rapporto, e tu cosa fai? Lo rovini così!-
Mi girai verso Giada. Aveva le guance rosse e gli occhi quasi lucidi. Mi prese una stretta al cuore a vederla così, e mi dispiacqui sinceramente di non averle detto niente. Il fatto era che io non sapevo davvero cosa dirle.
-          Giada, stai esagerando. Sto soltanto andando ad una festa-
-          Beh, io invece credo ci sia di più. Ho notato che in questi giorni sei diversa, ma ho voluto aspettare che fossi tu a parlarmene. E invece stasera stai uscendo con un nuovo ragazzo e io non ne so niente. O forse è sempre lui… oh santo cielo è lui! È ritornato?-
Giada mi corse accanto, quasi speranzosa. Le rivolsi un’occhiata un po’ divertita.
-          No, non è tornato- dissi, con un tono che non m’apparteneva.
Giada alzò le spalle, si sedette sul divano dietro di me.
-          Allora, chi è? Lo conosco?-
Scoppiai a ridere.
-          Ma perché non mi credi?-
-          Perché ti conosco meglio di chiunque altro. So che sta succedendo qualcosa e che vuoi tenermela nascosta-
Mi voltai verso di lei mostrandole alcuni vestiti.
-          Secondo te quale dovrei indossare?- le domandai.
-          Non cambiare argomento. E comunque quello blu-
Giada indicò un abitino di seta blu, stile impero, lungo fino alle ginocchia. Era elegante ma allo stesso tempo molto semplice. Forse era l’ideale per una serata che non voleva essere impegnativa.
-          Grazie del consiglio- risposi, iniziando a riporre nell’armadio gli altri vestiti.
-          Allora, vuoi dirmi chi è?-
-          Non ci crederesti mai-
Giada sorrise, un sorriso a trentadue denti, si alzò saltellando dal divano e mi venne accanto.
-          Ti ricordi di Federico?- mormorai, tra l’imbarazzato e il misterioso.
Giada aggrottò le sopracciglia, si portò una mano al mento.
-          Federico… mmh… oh mio Dio, non sarà quel Federico?- esclamò lei enfatizzando.
Sospirai.
-          Non gridare, se ti sente la mamma…-
-          Dici sul serio? È Federico, il suo amico? Credevo ci fosse stato solo un salutino per la serie, beh, buongiorno e buonasera! Ma com’è possibile, cioè, dico, uscite insieme?-
-          No-
-          E ti piace?-
-          No-
-          Ti ha baciata?-
-          No!-
Giada sorrise beffarda, io mi sedetti sconsolata sul divano.
-          E cosa sta succedendo allora?- mi stuzzicò, sedendosi accanto a me.
-          Nulla-
-          Non dire bugie. Dove vai stasera?-
-          Ad ascoltarlo suonare con la sua band. Mi ha invitata-
-          Dunque questa storia va avanti da un bel po’ -
-          Giada, mi stai riempiendo di domande e non mi aiuti. Tutto questo è semplicemente un…gioco, si, una cosa del genere. Non sta succedendo niente. Tra di noi non è successo niente-
-          Certo che è strano-
-          Cosa?-
-          Questa situazione, tu, Federico, la band…-
Giada scoppiò a ridere, io la guardai storcendo il naso.
-          Cosa ridi?-
Lei non smetteva, io mi alzai spazientita.
-          Stai uscendo con il migliore amico del tuo ex fidanzato!- disse, continuando a sbellicarsi.
-          Per prima cosa, non mi piace che si faccia continuo riferimento al mio ex fidanzato. Seconda cosa, non stiamo uscendo insieme. Terza cosa, non dirlo a nessuno-
Giada smise di ridere, si alzò dal divano.
-          Mi terrai aggiornata, non è vero?-
-          Non accadrà mai niente tra di noi-
-          Ah, davvero? E perché t’ha invitata stasera?-
-          Ma dai, davvero credi che l’abbia fatto perché ci vuole provare? Ha persino detto che mi farà sedere al tavolo con le sue amiche!-
-          Secondo me ci vuole provare-
-          Stai sbagliando. Quando un gruppo suona in un locale ha l’obbligo di portare quante più persone possibili, e lui sta semplicemente cercando di farlo-
-          Dunque, ti sta usando-
-          Esattamente-
-          E tu perché ci vai?-
-          Perché ha insistito tanto, e non riesco a sopportarlo-
Giada annuì, sembrava stesse analizzando le prove come un detective deciso a risolvere uno scabroso caso.
-          Tutto ciò è divertente e curioso. Mi piace-
Giada alzò le spalle e uscì dalla stanza, ridacchiando tra se e se. Sospirai, chiedendomi se avessi fatto bene a dirle ogni cosa. Beh, prima o poi sarebbe successo, io non nascondevo nulla a Giada. Mi sentii più leggera, come se il fardello che mi portavo dietro adesso non fosse poi così pesante. Cercavo di convincermi di star facendo qualcosa di sbagliato quando in realtà non era così e non riuscivo a capacitarmene. La situazione era delle più innocenti. E se davvero fosse successo qualcosa tra me e Federico, beh, se fosse successo qualcosa, non sarebbe stata più una situazione innocente? Mi sentii scottare il petto. Questo era un pensiero proibito, un tabù. Ero tremendamente contesa tra i pensieri veri, quelli falsi e quelli che avrei voluto fossero falsi.
Mi preparai in fretta, il più in fretta che potevo, e poi aspettai fino a quando non giunse Federico. Stavo per uscire dalla porta quando Giada mi raggiunse correndo, mi fece l’occhiolino e mi sussurrò ad un orecchio:
-          Fai la brava!-
Io le diedi uno schiaffetto sulla nuca ed uscii. In quel momento mi ricordai della probabile presenza di lui, cosa alla quale neanche Giada aveva fatto riferimento, e iniziai ad essere presa dall’ansia. Cosa avrebbe detto? Federico l’aveva avvertito? Mi avrebbe parlato?
Basta con queste sciocchezze. Lui non ci sarebbe stato, o Federico si sarebbe guardato bene dall’invitarmi.
Appena fuori di casa, mi avviai svelta verso la fine del viale, dove Federico mi aspettava. Sentii un trambusto notevole provenire dalla sua auto, notai che i sedili posteriori erano tutti occupati e che invece quello anteriore era libero. L’avevano evidentemente lasciato per me. Più mi avvicinavo e più sentivo la voglia di scappare, tornare indietro. Ero tremendamente imbarazzata, non riuscivo a ragionare, neppure a muovermi, ma per inerzia raggiunsi la macchina. Federico, al volante, mi sorrise col suo solito charme, io feci una smorfia ed aprii la portiera. Salii in macchina, richiusi la porta con un tonfo e dissi:
-          Ciao a tutti-
Il mio saluto era stato orribile. Avevo la voce spezzata, le guance rosse e mi tremavano quasi le gambe.
-          Ehi Ris!- Federico si chinò verso di me per baciarmi le guance,- ti presento gli amici della band! Ragazzi, questa è Ris! Ris, loro sono Stefano, Eddy e Ale, rispettivamente batteria, basso e tastiera!-
Mi voltai indietro, sorridendo timidamente. Il ragazzo alla mia destra, che nell’ordine doveva essere Stefano, aveva i capelli lunghi e castani, tipici del batterista, occhi vispi e scuri. Una barbetta ispida cresceva sul suo mento, e la sua espressione era simpatica.
-          Ehi carina, come butta?-
-          Ste! Non fare il cafone con Ris!- lo ammonì Federico.
-          Che c’è, sono stato educato! Non è vero Ris?-
-          Beh si, suppongo di si. E comunque mi chiamo Clarice. Non Ris -
Lanciai uno sguardo a Federico, lui sorrise innocentemente.
-          A me Ris piace di più!- commentò il ragazzo seduto al centro, che sempre secondo l’ordine doveva essere Eddy. Aveva i capelli nerissimi, corti ma ben acconciati, un viso dolce e morbido, e le orecchie piene di piercing.
-          A me invece Clarice piace. Mi pare aristocratico!-
La terza voce apparteneva ad Ale, il pianista. Aveva capelli ricci e biondi, occhi scuri e la barba biondissima. Non aveva piercing e né era vestito come una rock star, come gli altri due.
-          E perché tu sei un intellettuale, ecco perché- sbottò fuori Stefano, ridendo.
-          Bene, siamo tutti pronti? Andiamo allora!- esclamò Federico, e così mise in marcia.
Per tutto il tragitto che ci portò al locale conversammo amabilmente, e io non riuscivo a non guardare Federico. Sembrava più bello del solito, con la camicia bianca, i jeans strappati, i capelli che brillavano sotto le luci dei lampioni che si riflettevano sul vetro della macchina. Contrariamente a quanto pensavo, non fui eccessivamente timida con i ragazzi della band: erano simpatici e mi mettevano a mio agio. Federico mi lanciava occhiate di sfuggita, o forse ero io che me le immaginavo.
Giungemmo al locale, Federico mi fece scendere dall’auto e mentre i ragazzi si precipitavano dentro, io lo aiutai a prendere la chitarra dal cofano dell’auto.
-          E gli strumenti dei ragazzi?- domandai.
-          Li hanno già portati qui nel pomeriggio- mi spiegò.
La sua voce era ancora una volta diversa. Era connotata da un non so che si professionalità, mi sembrava quasi un uomo in carriera. Lui si accorse del modo in cui lo guardavo e mi sorrise alzando le spalle.
-          Che c’è? Perché mi guardi così?-
-          Niente- risposi.
-          Vieni, andiamo dentro. Ti faccio vedere il tuo tavolo-
  
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