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Autore: LTL    24/08/2011    2 recensioni
Gus è un diciassettenne con le ginocchia ossute e una madre grassa, non ha mai conosciuto suo padre e non parla quasi mai, se non per dire sì o no. un giorno trova per caso un necrologio che risulta essere quello di suo padre. decide quindi di partire per New York, per presenziare al funerale. Sarà proprio in questa grande città che incontrerà Lince, bellissima e candida ragazza dalla pelle bianco latte e il carattere opposto al suo, che tuttavia risulterà l'unica capace di scatenare in Gus delle dolci e non del tutto caste reazioni.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UNO, GUS.

Gus Green era un bambino biondo e magrolino con le ginocchia ossute che puntavano verso il fuori come se volessero bucarli la pelle.
gus era cresciuto in un quartiere tranquillo e anonimo di Grosse Pointe, nella periferia del Michigan, con le villette a schiera colorate ma neanche troppo circondate da piccoli ma curati giardini che costeggiavano entrambi i lati della strada a sua volta tranquilla e anonima, il che faceva si che le rare volte che una macchina passava da quella strada così tranquilla e così anonima l’intera popolazione femminile, che in quei primi anni ‘60 seguitava ancora a passare le giornate chiusa in casa a fare faccende e a fumare sigarette e a riunirsi con le vicine con le sedie nel giardino con gli occhiali da sole e le sigarette e i bigodini a spettegolare, si affacciasse dalle finestre o si sporgesse dalle poltrone in giardino, seguendo con sguardo indagatore accompagnato da improvviso silenzio tombale la vettura, finchè questa non girava per parcheggiarsi nel vialetto di una delle case, al che la popolazione femminile, in particolare quella parte riunita in uno dei giardini, che era spesso quello della signora McCoy, sospirava, prima di affermare:
“sono gli Harris”, o, “sono i Jones”, dal momento che era abbastanza raro che in quella strada passasse qualcuno che non abitasse lì.
tornando a Gus green, Non era un bambino particolarmente sveglio o particolarmente carino o particolarmente intelligiente, in effetti forse la sola cosa che lo distingueva dalla categoria dei bambini assolutamente nella norma erano le sue ginocchia particolarmente ossute e particolarmente tendenti all’infuori come se volessero bucarli la pelle, ma probabilmente se uno non ci faceva caso non le notava, quindi possiamo dire pure tranquillamente che Gus era un bambino perfettamente nella norma, come lo definirebbero un mucchio di persone.
gus passava l’estate ad andare su e giù con la bicicletta per il viale, a catturare formiche e a fare tutte quelle cose che fanno i bambini che rientrano perfettamente nella norma.
Il marito della madre di gus, che era di colore, se l’era filata abbastanza rabbiosamente subito dopo che la madre di gus, che era di colore, ebbe partorito un bambino color mozzarella con gli occhi azzurri.
la madre di gus, Joice Lopez, era una donna, possiamo dire, sopra la norma, dal momento che era alta e con le curve al posto giusto e con una cascata di treccine color cioccolato che le incorniciavano il viso angelico sul quale erano piazzati due grandi occhi grigi e labbra gonfie e con la pelle liscia e morbida e lunghe gambe e bellissime ginocchia che non avevano niente di ossuto e di certo niente che tendesse all’infuori come se volesse bucarle la pelle.
tutto questo prima del parto, chiaramente.
dopo che gus e le sue ginocchia molto ossute e molto all’infuori lasciarono il grembo materno, addosso alla signora Green rimasero quella trentina di chili in più che portarono ai piccoli ma neanche tanto piccoli, anzi per niente piccoli, dal momento che potrebbero tranquillamente essere definiti come crateri, comunque, portarono ai crateri della cellulite, che a loro volta vennero accompagnati dal seno che da molto sodo e molto tondo e molto decisamente carino, passò a molto molle, molto flaccido e assolutamente inguardabile.
fu così che Joice Green si ritrovò senza un fidanzato, causa l’aver partorito un bambino-mozzarella, e, mentre prima, quando aveva le forme al posto giusto e le treccine color cioccolato e la pelle liscia e morbida e belle gambe chilometriche non aveva considerato questo fatto un problema, adesso iniziava a vederlo come, diciamo, una piccola complicazione, che poi di piccolo non aveva niente, dal momento che si era trasformata in un’elefantessa e avrebbe dovuto crescere un figlio- mozzarella con le ginocchia ossute e all’infuori da sola.
senza contare quello che lei, sprofondata nel divano davanti a un film con paul newman in bianco e nero mangiando da una vaschetta di gelato al cioccolato, definiva “l’enorme danno psicologico che mi ha procurato passare dal pensare di poter andare a letto con paul, al capire che non andrò più a letto con nessuno”, il tutto accompagnato da qualche lacrimuccia e qualche grugnito e qualche singhiozzo, riferito ovviamente a gus, che si limitava a stare in piedi in mezzo al salotto con le scarpe sporche di fango e lo skateboard sporco di fango e graffi e croste sulle sue ginocchia ossute e all’infuori, il tutto accompagnato da un’espressione che non accennava neanche lontanamente ad essere espressiva, come al suo solito del resto, non fosse stato per gli occhi azzurri vagamente più aperti del normale, fatto che però rientrava nel normale, dal momento che i suoi occhi azzurri erano sempre, per una ragione o per un’altra, vagamente più aperti del normale.
l’irrimediabile piattezza di carattere di gus si rivelò non così irrimediabile, neanche rimediabilissima, certo, ma diciamo rimediabile a metà.
con il passare del tempo non successe proprio niente di che nella vita di gus; si limitava a trascinarsi da casa a scuola e da scuola a casa con il suo skateboard pieno di fango e le sue scarpe piene di fango e le sue ginocchia ossute e all’infuori graffiate e incrostate, senza eccellere in nessuna materia, senza fare particolari bravate o prestare particolare attenzione o dimostrare particolare interesse per qualsiasi cosa che non fosse il suo skate, per il quale non provava alla fine tutto questo interesse in quanto da lui considerato unicamente come un mezzo di trasporto.
tutto questo proseguì, anche se dire proseguì forse non è adatto, diciamo pure che si trascinò avanti nel tempo fino al compimento dei suoi diciassette anni, che non vennero festeggiati dal momento che a gus non interessava molto festeggiare e non gli interessava neanche particolarmente mangiare un buon dolce, e di certo non avrebbe saputo dire se desiderasse qualcosa da ricevere sotto forma di regalo, quindi il giorno del suo diciassettesimo compleanno gus e joyce si accordarono silenziosamente, almeno da parte di gus, che nella sua intera vita fino a quel momento aveva aperto bocca più o meno una ventina di volte, e la maggior parte per dire sì o no, sul non festeggiamento del compleanno, quindi joyce, che aveva preso, nel corso di quel tempo, altri dieci chili, si trascinò verso il divano e vi affondò con un sospiro di sollievo, per poi agguantare una sigaretta e il telecomando e mettersi a guardare la sua telenovela preferita.
gus, dal canto suo, si sedette sul letto e fissò la parete per una mezz’oretta, prima di decidere che magari poteva andare a fare un giro con il suo skate fangoso, non tanto perchè ne aveva voglia, quanto perchè gli sembrava l’unica cosa più o meno logica da fare.
fu quindi mentre slittava non molto velocemente per le strade del centro di Grosse Pointe, che poi forse definirlo centro è un pò esagerato, visto che quello che aveva da offrire era una tavola calda, un supermercato, un gelataio, un negozio di articoli da pesca e un parco che più che un parco vero e proprio sembrava un giardino vagamente grande e che non veniva innaffiato da un pò, comunque, fu mentre slittava non molto velocemente che il suo occhio indifferente e vagamente più aperto del normale cadde su un necrologio attaccato assieme ad altri necrologi sul pezzetto di muro che divideva la gelateria di Joe dal supermercato.
in realtà forse la cosa che attirò gli occhi vagamente più aperti del normale di gus green su quel necrologio fu il nome, bizzarro quanto il suo, Dirk, o magari fu la foto di un uomo-mozzarella con gli occhi azzurri leggermente più aperti del normale e i riccioli che poi non erano molto riccioli, diciamo mossi, biondi, anzi molto biondi, e la mascella scavata e le occhiaie appollaiate sotto gli occhi vagamente più aperti del normale, e, anche se la foto finiva a metà busto e gus non poteva verificare, era quasi sicuro che il signor Dirk avesse avuto le ginocchia ossute e all’infuori, esattamente come le sue.
così, senza ovviamente provare particolare interesse per la questione, senza nessun particolare slancio, e soprattutto senza alcun visibile cambiamento nella sua espressione facciale, gus scese dallo skateboard per avvicinarsi al necrologio in questione e staccarlo, per poi piegarlo e infilarselo nella tasca dei pantaloni.

-oh
fece la signora McCoy, sporgendosi più delle altre dalla sedia in giardino, strizzando gli occhi per identificare il puntino che si allargava man mano che avanzava a passo leggermente più veloce di quello umano.
poi riconobbe i riccioli biondi, che poi non erano proprio riccioli, piuttosto erano mossi, e le ginocchia ossute e all’infuori, quindi sospirò e si appoggiò di nuovo allo schienale della poltrona, voltandosi verso la signora Betsy Hoove, per poi spostare lo sguardo sulla signora Linda Jeeter, e infine affermare:
-è Gus Green.

-porca puttana
biascicò Joyce Green, senza nemmeno dare il tempo a sé stessa di mandare giù il gelato.
Gus, dal canto suo, se ne stava in piedi accanto al divano, senza nessuna espressione in particolare, e stava puntando il necrologio sulla faccia di sua madre, senza, ovviamente, nessun particolare slancio.
joyce posò il cucchiaio nella vaschetta di gelato e strappò il foglio dalle mani di gus.
-ecco, gus, questo gran pezzo di merda rottinculo è tuo padre!
disse girandosi verso gus agitando il dito e muovendo il collo come fanno tutte le nere nei film, anche se gus pensava lo facesse solo sua madre, dal momento che aveva acceso la tv più o meno tre volte nel corso dei suoi diciassette anni.
senza notare nessuna particolare reazione da parte di gus, lo liquidò con un cenno della mano e iniziò a leggere le poche righe, senza tuttavia riuscire a far passare mezzo minuto senza dire qualcosa.
-HA!
esclamò, picchiettando un dito - salsiccia sul foglio.
-un malore! come no! quel pezzo di merda pippava cocaina dalla mattina alla sera.
dopo di ché seguitarono circa due minuti di silenzio durante i quali gus rimase perfettamente immobile dov’era con la stessa espressione di sempre, sempre che si possa definire un’espressione, mentre joyce finiva di leggere, si stringeva nella spalle, ed esclamava:
-spero che si rivolti nella tomba. amen!
per poi gettare il foglio distrattamente alle sue spalle e alzare di nuovo il volume della tv.
fu allora che gus decise, ovviamente non perchè gli premesse farlo, o perchè provasse una sorta di qualche vago interesse verso quell’uomo, ma semplicemente perchè gli sembrava che fosse la cosa più logica da fare, di partire per New York, per presenziare a niente popò di meno che il funerale di quel gran pezzo di merda rottinculo di suo padre.
  
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