Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: littlemandz    24/08/2011    3 recensioni
Katherine è una ragazza abituata al lusso di Parigi, si ritroverà catapultata in un mondo completamente diverso dal suo, a cui dovrà imparare ad abituarsi e ricominciare tutto da zero, con l'aiuto di un'amica...e..chissà...
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Atterrai all'aeroporto di Los Angeles poco prima che il sole iniziasse a calare. Non mi era mai capitato prima, ma mi trovai un po' spaesata, non sapevo bene dove andare, cosa fare, chi cercare. Scesi dall'aereo con il mio bagaglio a mano e seguii il flusso di passeggeri che si accalcavano. Mi guardai istintivamente intorno. Los Angeles. Una delle città che più o meno metà delle persone al mondo sogna di visitare, almeno una volta nella vita. Tutti i miei amici, conoscenti, parenti, avrebbero pagato per essere al mio posto, e io l'avrei ceduto anche molto volentieri, a chiunque. Non volevo trovarmi lì. Il caldo, le spiagge, le discoteche, le feste, gente che pensa di essere figa solo perché va in giro in costume tutto il giorno con una tavola da surf sotto braccio. No, non era il mio posto. Sono Katherine Adams, mamma francese e papà inglese, sempre vissuto in una villetta a Parigi, una città di classe, proprio come me. A Parigi tutto sembra essere più romantico, più chic, più alla moda. A Los Angeles le cose sono semplicemente più grandi, più appariscenti, più vistose. Ho sempre pensato che si tratta solo di apparenza, tutto fumo e niente arrosto. Cosa c'è di così affascinante nel passare una sera seduta in spiaggia a bere birra, quando puoi organizzare una festa in una casa di lusso, a base di caviale e champagne? Cosa ci facevo in una città che non mi rappresentava per niente? Colpa dei miei genitori. Non ritenevano giusto che io non visitassi il mondo al di fuori dell'Europa, pensavano che mi stessi fissando troppo con il tipo di vita che facevo, per loro non era giusto che io pensassi che fosse tutto “rose e fiori”, o “champagne e caviale” appunto, come dice mia madre, e così, a mia insaputa, mi hanno iscritta a uno “scambio culturale”, di cui io non ho mai saputo niente fino a poche settimane fa. Mi hanno trascinata a forza in aeroporto e mi hanno affidata a un hostess, che mi ha fatto da tutore per tutto il tempo, in modo che i miei erano sicuri che non tentassi fughe strane. Come se fosse possibile scendere da un aereo quando stai volando sopra le nuvole. Inoltre hanno spedito qua il mio bagaglio con un paio di giorni d'anticipo, così che per recuperare i miei vestiti avrei dovuto sicuramente atterrare. La cosa che mi ha dato più fastidio però è che l'hanno fatto senza chiedermi niente, il mio parere non conta niente? E inoltre hanno scelto una delle poche città che erano sicuri non mi sarebbe piaciuta. Io mi dico, perché non Washington o New York?
Entrai nella grande costruzione piena di gente e mentre tutti gli altri passeggeri si fermarono a ritirare i loro bagagli, io tirai dritta verso l'uscita. Li riconobbi subito, il signore e la signora Brandon, avevo visto una loro foto prima di partire. Mi aspettavano entrambi lì davanti, sorridenti, contenti del mio arrivo e appena varcai la porta il loro viso si illuminò ancora di più. Non mi sembrava vero che degli estranei fossero contenti di vedermi. Mi avvicinai timorosa a loro e non feci in tempo a tendere la mano per salutare che la donna subito mi abbracciò.
«Oh ciao tesoro, finalmente sei arrivata!» mi disse raggiante. La guardai e accennai un sorriso, non ero abituata a così tanto calore.
«Grazie signori Brandon» quasi non mi fecero finire di parlare che la donna parlò ancora.
«Ti prego, siamo Luke e Christine, starai qua da noi così tanto tempo... non mi sembra il caso di adottare tutta questa formalità». Pensai che per lo meno qualcuno qua era felice della mia presenza.
«Nostra figlia Taylor si scusa tanto di non essere potuta venire, ma vi conoscerete appena arrivati a casa! Anzi, ci conviene avviarci, sarai stanca e scommetto che non vedi loro di andare in città» disse il marito. Non dissi nulla, ma avrebbe perso la scommessa. Mi prese il trolley dalla mano e prima che potessi fermarlo si era già avviato all'uscita, per proseguire fino alla macchina.
Christine mi parlò per tutto il tempo e io cercai di essere interessata, non volevo di certo sembrare scortese. In ogni caso rimanevo sempre una persona di classe e cercai di comportarmi da tale. Ci tenevo sempre particolarmente a fare una bella impressione sulle persone.
Arrivammo a casa, praticamente davanti al mare. Per fortuna non era per niente piccola, l'ho detto che a Los Angeles tutte le cose sono più grandi. Una volta entrata iniziai ad osservare tutto, era carina, confortevole, niente da ridire, ma Parigi in un certo senso mi mancava già. Ero stata catapultata in una realtà a me completamente estranea e non mi sono mai piaciuti i cambiamenti.
Mi portarono nella mia stanza, dove gran parte della mia roba era già stata sistemata e mi lasciarono sola. Mi buttai sul letto sfinita, chiusi gli occhi per un istante, ma poi li riaprii. Mi ricordai che era lunedì sera e per me il lunedì sera era una sera particolare, era il giorno in cui si usciva, perché il venerdì e il week end escono tutti, e a me non piaceva uscire quando escono tutti. Se fossi stata a Parigi avrei chiamato il mio migliore amico e saremmo usciti a bere qualcosa, per poi finire in qualche festa strana, ma lì a Los Angeles non avevo nessuno. Mi tirai su e cercai un vestito carino, lo presi con l'accappatoio e il beauty e mi andai a lavare nel bagno, che fortunatamente era comunicante con la mia stanza. Ne uscii perfettamente vestita e truccata, decisa a trovare un taxi e a farmi portare da qualche parte. Feci per uscire dalla stanza e andai a sbattere contro qualcosa, che poi scoprii essere un qualcuno.

  
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