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Autore: suzako    25/08/2011    1 recensioni
La Germania vince la guerra. (Erik/Charles, WWII, AU)
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Blood and Honour



 

 
 

Capitolo III


 
 
 
“England expects”



 

 
 
 
 
Novembre 1946
Londra, Gran Bretagna
 
 
 
<< Il tuo nome è Raven, giusto? >>
 
<< Sì. Raven Darkholme, signore >>
 
Aveva avuto premura di nascondere il suo legame con Charles: non lo voleva esporre, in nessun modo. La loro parentela doveva rimanere segreta il più a lungo possibile.
 
Sempre che non la trovasse prima, pur ammettendo che la stesse cercando.
 
Raven si trovava in un ufficio apparentemente innocuo nella zona sud di Londra. Era completamente diverso dalla città nord, ancora in fase di ricostruzione, e non l’aveva mai visitata prima, durante i suoi viaggi nella capitale.
 
Quando ancora era con Charles, ovviamente.
 
<< Maria Hill mi ha parlato molto bene di lei, Raven. Durante la guerra ha fatto l’infermiera, giusto? >>
 
<< Sì, signore. Mi sono arruolata nel ’44, poco prima della fine. Avevo il grado di sergente >>
 
<< Sotto lo pseudonimo di Irene Adler >> concluse per lei Mr Braddock, con un impercettibile sorriso.
 
<< Era l’unico modo. Non avevo l’età per arruolarmi. >>
 
L’uomo annuì con aria accondiscendente.
 
<< Aveva solo quattordici anni, non è male. >>
 
Raven a suo malgrado, arrossì.
 
<< Si troverà bene qui, vedrà >> continuò Braddock incominciando a guardare tra alcune carte << noi della Resistenza ci consideriamo come una famiglia. Le ho assegnato un appartamento, è abbastanza lontano da qui, molto a nord, ma è necessario rimanere dislocati per non attirare troppo l’attenzione. Domani le sarà comunicato il suo nuovo posto di lavoro, e lì potrà iniziare la missione. Visto le tue particolari abilità, Raven, ho pensato che per te infiltrati negli Uffici direttivi della Wermacht a Londra non dovrebbe essere così difficile >>
 
Raven annuì e si alzò dalla sedia. Arrivata alla porta, con una mano sulla maniglia, si girò e chiese:
 
<< Se posso permettermi, signore, qual è la nostramissione? >>
 
Braddock distese le labbra sottili in un sorriso sardonico.
 
<< Uccidere Hitler, ovviamente >>


 

*


 
 
Se Erik pensava che dopo la loro conversazione in quel vicolo di aver terminato qualsiasi  rapporto con Charles Xavier, si sbagliava di grosso.
 
Quel ragazzo era ovunque, o più precisamente, ovunque Erik decidesse di andare.
 
Non che la cosa non potesse andare a suo vantaggio.
 
Era comunque leggermente snervante per Erik, anche perché era ben lontano dal fidarsi della sua promesso di leggere mai più nella sua mente. Se era concentrato, se ne sarebbe accorto e avrebbe potuto arginare il danno, ma non poteva fare nulla di concreto in realtà per impedirlo.
 
<< Non ti fidi di me, non è così? >>
 
Erik smise immediatamente di scrivere, e girò lo sguardo verso il compagno, il quale teneva gli occhi fissi verso il professore e prendeva appunti come se nulla fosse.
 
<< Non ti girare, o si accorgerà che non stai seguendo >>
 
Erik ubbidì.
 
<< Ti conosco da una settimana, mi sembra perfettamente normale >>
 
Con la coda dell’occhio, vide Charles sorridere.
 
<< Oh, Erik, possibile che debba ricordarti qual è il tuo concetto di normalità? >>
 
Piegare i metalli al tuo volere, completò nella sua mente il telepate.
 
Erik strinse le dita attorno alla penna, premendola con forza eccessiva sul foglio. Fuori,pensò.
 
<< Questo è il motivo per cui non mi fido di te >> mormorò di risposta, con perfetta calma.
 
<< E’ una semplice forma di comunicazione. Non stavo leggendo la tua mente, Erik, te lo giuro. Ma se ti da’ fastidio anche questo, non lo farò >>
 
C’era qualcosa nel tono della sua voce, nel modo in cui aveva concluso la frase, che costrinse Erik a voltarsi nuovamente verso di lui. Charles teneva la testa appoggiata al palmo della mano, e non scriveva più, gli occhi azzurri vacui e lontani, molto oltre la lavagna polverosa di quell’aula.
 
<< Perché ci tieni così tanto? >>
 
<< In che senso? >> rispose quietamente Charles, senza mostrare sorpresa all’improvvisa domanda.
 
<< A usare i tuoi “poteri”, con me >>
 
<< E’ passato molto tempo dall’ultima occasione che ho avuto di comunicare veramente con qualcuno. E’ come se i tuoi amici ti chiedessero di girare sempre bendato in loro presenza. Potresti sempre parlare, e toccarli, e li sentiresti e non sarebbe molto diverso, ma comunque non è la stessa cosa, non è così? >>
 
Anche Charles si era voltato a guardarlo adesso, ed Erik dovette costringersi a diffidare di lui, perché qualsiasi altro istinto gli diceva che Charles era meritevole di fiducia, e affezione.
 
Al contrario di Erik.
 
Per qualche minuto ci fu silenzio, e anche Charles tornò a scrivere diligentemente ogni parola uscisse dalla bocca del professore.
 
<< Chi era? >>
 
Smise di scrivere.
 
<< Chi era che se ne è andato, con cui potevi comunicareveramente? >>
 
Charles abbassò gli occhi e poi lo guardò di sottecchi, con un’espressione seria e combattuta come se non desiderasse affatto rispondere a quella domanda ma avesse già deciso di farlo comunque.  Erik non avrebbe dovuto fare quella domanda. Non erano affari suoi. Non avrebbe dovuto.
 
<< Mia sorella >> disse piano, dopo qualche secondo di esitazione.
 
Erik strinse le labbra in una linea sottile. Non sapeva cosa dire. Non sapeva confortare le persone, non era in grado di offrire loro parole gentili. Non veramente. Sapeva recitare, sapeva dare la perfetta imitazione della commozione e del pentimento, avrebbe ingannato chiunque.
 
Ma non Charles. Era un telepate, dopotutto.
 
<< Se ne è andata >> continuò il ragazzo << Qualche tempo fa. Abbiamo avuto delle divergenze, ecco tutto. Nessun’altro sa che sono un telepate. >>
 
Alzò gli occhi verso di lui, quegli occhi azzurrissimi e circondati da linee premature, con un sorriso terribilmente sforzato e poco credibile.
 
<< Grazie, Erik >>
 
<< Di cosa? >> rispose lui, sinceramente confuso. Non aveva fatto niente. Non aveva neanche parlato, cosa c’era da ringraziare?
 
Charles non diede risposta, ma solo un altro sorriso enigmatico e riprese a scrivere.
 
In quel momento Erik Lenssher realizzò tre fatti molto importanti.
 
Il primo, che non avrebbe mai avuto la certezza che Charles non stesse usando i suoi poteri.
 
Il secondo e ancor più grave, che nonostante ciò avrebbe finito col fidarsi di lui ugualmente.
 
Terzo fatto, e peggiore di tutti: era fottuto.
 
Prima che potesse cadere completamente nel pozzo di autocommiserazione che si stava accuratamente scavando, Charles lo prese per il polso, e costringendolo ad alzarsi dalla sedia, procedette a trascinarlo fuori dall’aula.
 
<< Questa lezione è insopportabile e mi annoio. Te sai giocare a scacchi, vero? >>

 
 
 
Berlino, Germania
Dicembre 1946
 
 
<< Che cos’hai intenzione di fare con i russi? >>
 
Schmidt, o meglio dire Sebastianfinse di non averla sentita, e andò tranquillamente avanti a versare brandy nei bicchieri di cristallo.
 
<< Non puoi liberarti di tutti i politici che non fanno quello che dici tu >> proseguì Emma, sul punto di spazientirsi.
 
Sebastian alla fine si voltò verso di lei, e le porse un bicchiere, sorridendo.
 
<< Allora non dovremo far altro che essere più convincenti, non credi? >>
 
Emma, suo malgrado, sorrise.
 
<< Sebastian, quello è ciò che faccio io >>
 
Lui rise, buttando la testa all’indietro come solo un uomo senza preoccupazioni potrebbe fare.
 
<< Ed è ancheper questo che sei così importante per me, mia cara >> le posò una mano sui capelli, un tocco così leggero da sembrare inesistente. Poi la sua mano si mosse fino a tracciare l’ovale del suo viso. Emma non si mosse. Schimdt ritirò la mano.
 
<< E comunque, se non ricordo male, di Churchill non ci siamo liberati affatto, no? E con il caro Harry siamo arrivati ad un accordo perfettamente accettabile, quindi penso che tu stia esagerando >>
 
<< Per ora. Lenssher è in Inghilterra per mettere a posto la faccenda, lo sappiamo bene entrambi >>
 
<< Oh sì, ma potrebbe esserci ben più di un fastidioso omino, laggiù. D’altronde, Emma, come hai detto tu bisognerà ricordare alla Russia esattamente chiha vinto questa guerra >>
 
<< La Germania? >>
 
Il sorriso di Sebastian può essere descritto solo come pericoloso.
 
<< Oh no, affatto. Intendevo dire noi>>
 
 
 
 
Oxford, Inghilterra
Novembre 1946
 
 
La caffetteria era affollata, calda e impacchettata di persone, dal loro vociare e dal loro calore. E pensierigemette tra sé e sé Charles, mentre sentiva l’inizio di un mal di testa attaccare ferocemente le sue tempie.
 
In fila per prendersi una tazza di tè, sentì una gomitata tra le costole che quasi lo fece cadere in avanti. Costringendolo ad appoggiarsi al carrello dei vassoio. Ricevette alcune occhiate perplesse per la sua goffaggine, e questo non fece altro che aumentare la sua irritazione.
 
<< Chi diavolo-
 
Non gli importava chi fosse in realtà, era stanco, infreddolito e solo e l’unica cosa che lo teneva in piedi era l’idea di una tazza di tè e questo bastava a sfogare tutta la sua frustrazione sul primo malcapitato, che non era altro che Anja.
 
<< Charles! >> squittì la ragazza per farsi sentire sopra la folla. Sentì una fitta alla testa e dovette mordersi la lingua per non farsi sfuggire una risposta scortese.
 
<< Dimmi >>
 
<< Ho visto che hai fatto nuoveamicizie >> la malizia nella frase venne accentuata da una strizzata d’occhio e un’ulteriore gomitata nelle costole.
 
Quella ragazza doveva sparire.
 
<< Non credo di seguirti, in realtà >>
 
<< Oh, andiamo, sai benissimo di chi parlo! >>
 
Ti prego, lasciami in pace.
 
<< Dai, presentamelo, non ti costa nulla! >>
 
Lasciami stare.
 
<< Allora, che ne-
 
Vattene!
 
I rumori, le luci, tutti i suoni del refettorio si erano come attutiti e Charles non se ne era accorto, non fino a quel momento, quando tornò tutto indietro, di colpo e con una violenza che lo colse di sorpresa, togliendogli momentaneamente il respiro. L’emicrania che l’aveva solo minacciato fino a quel momento, esplose in piena potenza.
 
Fece un respiro profondo, costringendosi a riaprire gli occhi e finire di affrontare la ragazza di fronte a lui. Le avrebbe spiegato con calma e tranquillità che non si sentiva bene, e avrebbe pensato a una scusa per non presentarle Erik un’altra volta.
 
Aprì gli occhi.
 
Di fronte a lui non c’era nessuno.
 
Oh no. No, no no no no.
 
<< Ti muovi? Stai bloccando la fila! >>
 
Allora il suo corpo si mosse in automatico, e senza neanche rispondere, prese una tazza dalla piramide ordinatamente impilata, una bustina di Earl Grey, e versò l’acqua bollente, per poi uscire immediatamente dalla caffetteria.
 
Cos’ho fatto? Che cosa ho fatto? Non le ho fatto male, dio fa’ che non le abbia fatto male
 
Doveva allontanarsi solo un attimo e si sarebbe sentito meglio. Doveva stare da solo.
 
Hank, Sean ed Erik lo aspettavano all’uscita, fumando una sigaretta.
 
<< Finalmente, signorina! >>
 
<< E’ inutile Hank, per il vecchio Charles il tè viene prima degli amici >> sbuffò Sean, andandogli incontro.
 
<< C’era coda, non è colpa mia! >> protestò debolmente, con un sospiro annoiato. L’aria fredda gli sferzava le guance, e si sentì subito più lucido.
 
<< Bene, se te hai finito di fare l’anziano noi vorremmo iniziare ad essere giovani. C’è Anja con altre ragazze alla caffetteria in fondo alla strada, tra cui Janet. Lo dico solo perché so che tanto ad Hank non interessa >>
 
<< Non mi interessa infatti. Per niente. Andiamo? >>
 
<< Io passo >>
 
Charles non avrebbe potuto sopportare un solo secondo. Anche solo la parola ragazzegli aveva fatto venire mal di testa.
 
<< Anche io >>
 
Questa volta era stato Erik a parlare.
 
Charles si voltò a guardarlo, sorpreso, ma Sean ed Hank si limitarono ad una scrollata di spalle prima di salutare e incamminarsi.
 
<< Potevi andare con loro. Non mi sarei offeso >>
 
<< Lo so. Preferisco un po’ di quiete, semplicemente. Che ne dici di una partita a scacchi? >>
 
Charles sorrise.

 
 
 
Dicembre 1946

 
 
<< Erik >> la voce di Charles era lontana, come un eco lontano che provenisse da dieci blocchi di distanza.
 
Completamente perso nei suoi pensieri, gli ci volle un istante per ricordarsi dove si trovava, e che ad Oxford non c’erano blocchi.
 
Alzò gli occhi, trovando l’amico che lo fissava intensamente, le sopracciglia aggrottate e le labbra strette in una linea severa che non gli si addiceva.
 
<< E’ il tuo turno. Da dieci minuti circa >>
 
Gli basta un’occhiata per capire che è vero.
 
Erik, a quanto pare, aveva fissato la scacchiera per dieci minuti senza neanche vederla.
 
<< Scusami, mi ero distratto >> mormorò senza guardarlo, e mosse il cavallo in avanti, senza neanche rifletterci in realtà.
 
<< Amico mio, lascia perdere gli scacchi. Cos’è che ti preoccupa? >>
 
Erik non ricordava esattamente quando Charles avesse iniziato a riferirsi apertamente a lui come amico, e la cosa lo spaventava ancora di più della consapevolezza che quella era la verità.
 
Gli era sembrato così naturale che non se ne era neanche accorto.
 
Avrebbe dovuto fuggire, tornare a Berlino appena se ne fosse reso conto. Ma adesso, era troppo tardi, e comunque inutile: presto avrebbe dovuto tornare. Schmidt era sempre più impaziente ed era questione di giorni finché l’avrebbe richiamato al centro.
Charles non c’entrava nulla con la politica e i piani del Dottore, e loro avevano già una telepate, quindi perché coinvolgerlo? Era chiaro che non aveva nulla che potesse interessare a Schmidt.
 
In pochi giorni Erik se ne sarebbe andato, Charles avrebbe continuato con la sua vita di sempre, e a lui sarebbe rimasto il ricordo dell’unica persona che poteva chiamare amico. Anche se per finta.
 
Era tutto perfettamente calcolato.
 
Non c’era nulla che lo preoccupasse.
 
<< Niente. Assolutamente niente. Sono solo molto stanco >>
 
Charles, ovviamente, non credeva ad una sola parola. E quanto lo guardava in quel modo, fisso e silenzioso e concentrato, Erik non poteva fare a meno di temere che quella fosse la volta buona, che Charles avrebbe veramente visto chi era e le cose che aveva fatto, e lo avrebbe odiato per sempre.
 
Ma non era così. Semplicemente, si era lasciato sfuggire qualche dettaglio personale di troppo. Per quanto si fosse attenuto al personaggioche gli era stato dato da interpretare, Charles era in qualche modo riuscito a entrargli sotto la pelle. Lo conosceva.
 
<< Va bene. D’accordo. Come vuoi >> c’era una nota di impazienza nella sua voce, e il modo in cui tamburellava nervosamente il piede non prometteva nulla di buono. Si abbandonò sulla sedia, gli scacchi ormai ignorati, prima di passarsi una mano fra i capelli e sospirare nervosamente.
 
<< Devo parlarti di una cosa molto importante. Riguarda mia sorella >>
 
Erik annuì, improvvisamente teso. Questo non l’aveva programmato.
 
<< Non ti ho detto tutta la verità, ho paura >>
 
Basta quella semplice frase e il sangue di Erik si fa di ghiaccio, è una doccia fredda e già lo sente, Charles gli dirà che sa tutto, sa che è un traditore, o peggio ancora riderà di lui e gli dirà che non era tutto uno scherzo, che non l’ha mai veramente considerato un’amico e…
 
<< Lei è una mutante, come noi >>
 
Oh.
 
<< Le nostre divergenze erano di natura ideologica, diciamo. C’è stata una guerra, dopotutto >>
 
C’è una pausa, ed Erik incomincia a capire dove la conversazione potrebbe andare e non gli piace affatto. E’ territorio pericolo, anche per lui, e se si caccia nei guai Schmidt potrebbe…
 
<< Sì, me ne sono accorto >>
 
Charles strinse le labbra in una linea sottile e andò avanti a parlare, gli occhi fissi sulla scacchiera e le mani giunte.
 
<< Certo. La differenza principale, amico mio, è che voi >> preso in mano la regina prima di muoverla diagonalmente lungo la scacchiera << avete vinto. >>
 
Ho perso l’alfiere, si accorse vagamente Erik.
 
<< Mentre noi>> e in quella particella stava tutta la differenza, tutta la solitudinedi Charles << abbiamo perso >> concluse con un sospiro.
 
Erik non sapeva come rispondere.
 
<< So che non è un argomento da affrontare con leggerezza. Mettere in discussione le proprie lealtà al reich non è una buona idea, ma non voglio più nascondermi, Erik. Ho odiato questa guerra, odio la violenza e tutte le morti che ne sono derivate, eppure >>
 
Con un gemito di frustrazione Charles si prende la testa fra le mani, ed è come stesse reggendo la decisione più importante della sua vita, e se lascia andare, cadrà a terra e si romperà in mille pezzi, e si stringe i pugni e resiste, rimarrà tutto intatto esattamente com’era prima.
 
Charles lascia che le mani gli cadano in grembo, e quando torna a guardarlo, nei suoi occhi c’è una risolutezza che Erik non aveva mai visto prima.
 
<< Charles, cosa stai-
 
<< …Odio il nazismo ancora di più. Odio Hitler e l’odio che predica la sua idelogia. Vorreiodiare questa stupida, stupidaInghilterra che si è fatta trascinare in un conflitto che non poteva vincere, la Francia che è essere caduta così miseramente e l’America per averci abbandonato… Ma non posso. >> conclude la frase con un smorfia sconosciuta sul suo volto, un’espressione mai vista prima. E’ simile al disgusto.
 
<< Non posso perché non voglio che sia l’odio a guidare ogni mia azione. Non desidero la vendetta. E’ troppo tardi ormai, e la colpa è mia >> sorride, ma è un sorriso vacuo e freddo << …e della mia totale incapacità di fare alcunché >>
 
<< Non avresti potuto fare niente >> la risposta giunge spontanea sulle sue labbra, ed Erik sa che in fondo è quello che dice a sé stesso ogni sera, perché lo aiuta a chiudere gli occhi. Aveva avuto appena tredici anni quando era scoppiato il conflitto, Charles non poteva averne più di undici.
 
<< Raven non la pensava allo stesso modo.  Ed è per questo che ne è andata. Per combattere >>
 
Con deliberata lentezza, Charles congiunse le mani di fronte a sé, per poi finalmente alzare lo sguardo verso Erik, i suoi occhi chiarissimi puntati su di lui.
 
<< Credo che sia riuscita a trovare l’organo della lotta armata, la cosidette Resistenza. Credo che si sia unita a loro, e che stia combattendo per loro, e potrebbe anche morire per loro. Io voglio ritrovarla, a qualsiasi costo. Non m’importa quali sono le sue scelte di vita, è mia sorella, e io la troverò e starò al suo fianco, sempre e comunque >>
 
Il peso delle parole di Charles è immenso e non può venir ignorato, perché in quel momento Erik sa di avere pieno controllo su di lui. A meno che non glielo impedisca in qualche modo o gli cancelli la memoria (e non è sicuro che sia in grado di farlo) Erik potrebbe uscire da quella stanza in quello stesso momento, riferire il suo grado alla più vicina stazione di polizia, e Charles verrebbe arrestato entro la mezzanotte.
Sarebbe completamente in suo potere.
 
Ed è solo lì che se ne rende conto. Il punto non è quello che lui potrebbe fare. Il punto è quello che Charles sta facendo.
 
Si sta fidando di lui. Completamente.
 
Avrebbe dovuto fermarlo.
 
<< Erik. Io mi fido di te. Questo, l’avrai già capito. Se mi vorrai denunciare, non ti impedirò di farlo. So che la lealtà verso il proprio paese viene prima di tutto. Mi sto prendendo la responsabilità per ciò che sono, nell’unico modo che conosco. >>
 
Erik non si mosse.
 
<< Ma se per caso >> la voce di Charles si incrina per un istante, e lui si passa una mano sul volto prima di continuare << Se per caso tu volessi agire diversamente, prendere un percorso diverso, quello che ti sto chiedendo è di venire con me, Erik. Aiutami a trovare mia sorella. Sei l’unica persona di cui mi fidi completamente, e l’unico che può farlo. Adesso, la mia vita è praticamente nelle tue mani, amico mio. Tocca a te decidere: da che parte stai? >>
 
Non è mai stata una domanda vera e propria. Niente più di una domanda retorica, seriamente, che scelta poteva avere Erik?
 
Non sa ancora se sta tradendo Charles, ma sa che prima o poi succederà comunque. E’ una questione di quando.
 
La risposta può essere una sola.
 
<< Verrò con te >>


 
 
Due settimane prima

 
Quando raggiunse il suo appartamento, situato quasi fuori Oxford, era ormai notte fonda. Erik si sedette sul letto senza neanche togliere il cappotto o il cappello. Sedette, pietrificato, per qualche secondo.
 
Infine si decise a prendere il telefono. Non gli importava di disturbare Schmidt, questoera qualcosa che non poteva aspettare.
 
La voce del dottore non sembrava minimamente sorpresa.
 
<< Un telepate. Hai trovato un telepate >>
 
<< Sì >>
 
<< Erik, non puoi essere sinceramente convinto che questo ragazzo non nasconda qualcosa… o qualcun altro. Potrebbe farti credere qualsiasi cosa. Questa conversazione potrebbe essere tutta frutto della tua, no, della sua immaginazione >>
 
<< Non è così >> replicò Erik con un tono brusco, spazientito.
 
Poteva quasi sentireil sorriso di Schmidt quando gli rispose.
 
<< Oh, lo so perfettamente. Non sei uno sprovveduto. Ti ho allenato io stesso, d’altronde >>
 
Allenato. Come sempre, le sue scelte di parola erano poco più che eufemismi.
 
<< Cosa devo fare? >>
 
Sempre pronto a prendere ordini. Patetico.
 
<< Hai un mese di tempo. Angel è già a Londra. In primo luogo è importante che tu capisca l’entità dei suoi poteri. Cerca di sfruttarlo a nostro vantaggio. Dopotutto, è uno di noi. Sono sicuro che riuscirai ad essere abbastanza persuasivo >>
 
Erik deglutì. Era stato un errore chiamare Schmidt. Non gli stava dicendo nulla che non sapesse già.
 
<< E se non lo fossi abbastanza? >>
 
L’uomo all’altro capo del filo rise.
 
<< Devi ucciderlo, ovviamente >>
 
<< Sì, signore >>
 
La linea cadde.

  
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