Io ho amato quest’anime, tant’è che l’ho pure tradotto. Mi ero ripromessa di farci una shot, un qualcosa tempo fa, ma alla fine non ci sono più riuscita.
Ora approfitto dell’uscita del manga in Italia per riprendere in mano i miei cari personaggi di Shiki.
Desclaimer: i personaggi di Shiki non sono di mia proprietà, ma dell’autore originale del romanzo da cui l’anime/manga è stato tratto, ovvero Fuyumi Ono-sensei. E lo faccio gratis.
Note: i miei personaggi preferiti dell’intera serie sono di sicuro Ozaki e Natsuno. Non ho potuto non gongolare, quindi, quando si sono alleati per sconfiggere gli Shiki e c’è un momento che nell’anime non hanno fatto vedere che io ho amabilmente sfruttato per questa fic.
A dire il vero, la struttura di questo lavoro è un po’ strana. Nemmeno io so spiegarla del tutto, ma è possibile che mi dia spunto per altre due shot separate... non lo so, vedrò.
Un po’ shounen-ai implicita (OzakiMuroi e ToruNatsuno). Ad un certo punto vi sembrerà che ci sia un accenno OzakiNatsuno, ma non fatevi ingannare ;D c’è solo se volete vederlo 8D
In ogni caso, la fic è SPOILER per tutti coloro che seguono il manga in uscita italiana, attualmente al volume 3. Per chi ha visto l’anime, invece, lo spoiler non sussiste per forza di cose XD sappiate però che siamo al livello degli ultimi episodi, più o meno prima dell’inizio del festival che da il via alla parte sanguinaria della faccenda (puntata 18).
A chi ha resistito all’intro sbrodolante, auguro buona lettura.
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Mozart’s
Requiem Mass in D minor
« Posso chiederti il
perché? ».
Natsuno
girò lentamente lo sguardo, distogliendolo dalla strada illuminata dal sole
autunnale che si vedeva in lontananza. La clinica Ozaki
era maledettamente lontana dalla strada principale che portava fuori Sotoba – alla civiltà, in poche parole – ma lui, nonostante
fosse all’interno e le finestre fossero chiuse, riusciva comunque a sentire il
rombo sconquassato del motore dell’autobus che tutte le mattine prendeva per
raggiungere la scuola superiore.
Sbuffò lievemente.
Odiava quella sua condizione.
« Il perché di cosa? »
domandò quindi il giovane, osservando il medico con la coda dell’occhio da
sopra la spalla sinistra.
Non apprezzava
particolarmente quando Ozaki se ne usciva con domande
senza principio né fine, provenienti da discorsi che teneva solo con se stesso
all’interno della propria mente. Tuttavia, a sua volta Ozaki
aveva ammesso di non capire mai cosa passasse per la testa di Natsuno, dunque il giovane la considerava una sorta di
scambio equo.
« Perché vuoi morire »
disse subito il medico, terminando di ricopiare a mano l’ennesima lista di
decessi.
Toshio Ozaki non aveva la fama di essere una persona fine, e
questo Natsuno aveva potuto appurarlo già la prima
volta in cui si era rivolto a lui in veste di “cacciatore”.
Lo aveva fatto perché
aveva sentito delle voci, in giro per il villaggio, secondo cui Ozaki avesse proposto una teoria strampalata per le morti
avvenute dall’estate a quella parte. Fra le quali, quella di Natsuno stesso.
Pochi erano quelli che
avevano avuto il coraggio di ammettere che Ozaki
aveva ragione, ma anche se nessuno lo aveva sostenuto apertamente, praticamente
tutti gli abitanti di Sotoba lo avevano pensato.
Ovvero, Toshio Ozaki aveva avanzato la possibilità che quella malattia
misteriosa portasse il nome di “Okiagari”. Dunque
che, di fatto, non fosse una malattia.(2)
Bella pensata, dottor Ozaki. Natsuno ci era arrivato
prima, Oppure, ripensandoci, era stato proprio lui a scatenare i primi sospetti
in Ozaki...
«
E’ possibile che Megumi Shimizu
sia ancora viva? »
«
No! Se fosse viva dovrebbe essere uno zombie o un vampiro! »
O un Okiagari.
E bravo il nostro
dottore.
Yuuki
chiuse gli occhi, tornando a guardare la soleggiata giornata quasi novembrina.
« Non aveva detto che non avrebbe lasciato in vita nessuno di noi? » domandò
biecamente in risposta, ripetendo l’ovvio.
Ozaki,
dal canto suo, appoggiò stancamente la schiena allo schienale imbottito della
sedia. « Non ti ho detto che non lo farò, ti ho chiesto perché sei tu a volerlo
» specificò, facendo sorridere amaramente Natsuno.
« Si sta affidando alla
retorica, dottore? ».
« Io credo che siano
due questioni completamente differenti, in realtà » ribatté subito l’uomo in
camice, girandosi del tutto in sua direzione e puntandogli gli occhi sulla schiena.
Natsuno,
nonostante l’educazione avrebbe voluto che si girasse a sua volta, non lo fece.
Sospirò però, assottigliando gli occhi per posarli, in lontananza, sulla strada
principale di Sotoba. Cercò di scorgere ancora più
lontano, dove quella stessa strada si immetteva su di un’altra diretta a Mizobe, la città... ma non vi riuscì. Nonostante le sue
capacità nuove di zecca, vedere la fine ormai irraggiungibile del suo sogno gli
era ancora proibito da limiti fisici.
Decise, dopo qualche
istante di silenzio in cui sentiva ancora gli occhi del medico saldamente
piantati sulla propria schiena, di rispondere alla domanda.
« Perché non sono umano
» tagliò corto quindi.
« Ma non sei nemmeno un
Okiagari » ribatté allora Toshio.
« E questo cosa
c’entra? » rispose a sua volta il ragazzo, osservando ora il lieve riflesso del
camice bianco sul vetro della finestra. « Solo perché posso mangiare anche cibo
normale non significa che non possa cibarmi di sangue. Solo perché posso
camminare alla luce del sole non significa che io non veda perfettamente anche
al buio. Solo perché non lo sembro, non significa che io sia la cosa più simile
ad un Okiagari attualmente in circolazione » spiegò,
sentendo pian piano una sorta di sordo fastidio irradiarsi dal centro del petto
alla punta delle dita.
Ozaki,
a quella risposta, tacque. Si accese una sigaretta – nonostante il divieto di
fumare vigente nel laboratorio – ed aspirò una boccata di fumo piena e corposa.
« Non posso negarlo » disse poi, tornando ad osservare il foglio sulla propria
scrivania con sopra nomi, cognomi e date annotati in una calligrafia sottile e
quasi illeggibile. La classica scrittura da medico.
Passarono altri istanti
in cui l’unica cosa effettivamente udibile era il sibilo fine del vento. Se si
concentrava, Natsuno poteva quasi sentire un aroma di
sangue mescolarsi all’odore decisamente preponderante di disinfettante,
all’interno della clinica. Fu quasi propenso a chiederne il motivo, ma frenò se
stesso con il pensiero che dopotutto non erano affari suoi, cosa Ozaki decideva di combinare all’interno del proprio
ospedale.
Tuttavia, una domanda
di natura diversa gli affiorò alla mente, e volle esprimerla. « E lei? » chiese
dunque, uscendosene dal nulla a sua volta. Tuttavia, lui non aspettò la
richiesta di delucidazione di Ozaki: « perché è
rimasto? Una volta capito il problema, avrebbe fatto prima ad andarsene »
disse.
« Credi che me lo
avrebbero permesso? » domandò allora Toshio, incrinando le labbra in un
sorrisetto sbieco dai contorni rassegnati. « E poi, semplicemente, non potevo.
La mia famiglia ha contribuito a fondare questo villaggio, ho una sorta di
dovere morale nei confronti degli abitanti... » una piccola pausa, forse un
pensiero fugace: « ...oppure ho subito un affronto a livello d’orgoglio, forse.
» concluse.
« Perciò ha deciso di
condividere con gli altri lo stesso destino » disse Natsuno,
una vena palesemente disgustata nel tono di voce.
Lui, che in quel
villaggio aveva vissuto appena più di un anno con il continuo pensiero di
andarsene per non rivederlo mai più, non sentiva di essere legato ad esso in
nessun modo.
Ozaki,
posando gli occhi sulla figura del ragazzo, aspirò un’altra boccata di fumo. «
No. Ho deciso di combatterlo » rettificò, soffiando fuori il fumo denso.
La stanza si riempì di
quell’odore acre e amaro, e Natsuno smise di sentire
nell’aria la lieve traccia ematica.
« E poi... » continuò
inaspettatamente Ozaki, facendosi avanti con il
bacino e appoggiando il capo alla sedia: « quando è cominciato tutto questo,
avevo ancora qualcosa che valeva la pena proteggere » aggiunse, chiudendo gli
occhi.
Questa volta, Natsuno girò il capo quasi completamente in sua direzione,
appoggiandosi al davanzale della finestra con il fianco, le braccia incrociate
al petto. « Perché al passato? » domandò.
Toshio ridacchiò
amaramente. « Perché è passato al nemico » disse, tenendo mollemente la
sigaretta fra le labbra e portandosi le mani dietro la testa. « Sinceramente
non so se è diventato uno di loro » continuò subito dopo « però non apprezzava
molto i metodi classici della caccia ai vampiri, così ha deciso di dissociarsi.
Conoscendolo, probabilmente ha cambiato fazione per non sporcarsi le mani di
sangue ».
Natsuno
rimase ad ascoltare in silenzio, gli occhi fissi sul volto fintamente rilassato
di Ozaki. Era da molto che sotto i suoi occhi erano
comparse delle occhiaie sempre più profonde e anche quando la clinica era
completamente vuota, come quel giorno, il medico non si concedeva nemmeno un
secondo di pausa o qualche ora di sonno.
Socchiudendo gli occhi,
Yuuki arricciò il naso. « Non ci trovo molto senso »
commentò, per poi aggiungere velocemente: « che senso ha provare pena per i
morti? » chiese retoricamente, tornando con lo sguardo fuori dalla finestra.
Per effetto condizionato, cercò ancora la strada oltre le case del villaggio.
Toshio non rispose alla
domanda, limitandosi a spegnere per un secondo il cervello. Quando tornò in sé,
Natsuno non si era spostato di un millimetro dalla
posizione in cui era, ma notò che lo stava guardando attraverso il riflesso del
vetro.
« Cosa c’è? » domandò
dunque, tranquillo.
« Cos’ha intenzione di
fare ora, dottore? » chiese Yuuki, osservandolo
indirettamente tramite la finestra.
Il medico ponderò un
momento, prima di rispondere: « ultimamente la signora Kirishiki
mi tiene sott’occhio. Ci teneva a specificare che non mi attaccano per via di
un suo ordine, ma che non continuerò ad avere vita facile ancora per molto... »
lasciò cadere, sembrando tuttavia il ritratto della tranquillità.
Il ragazzo non si
scompose minimamente. « E quindi? ».
« Dovremmo aspettare il
momento più opportuno. Voglio provare a guadagnarmi la sua fiducia... attirarla
in una trappola » espose l’uomo, aspirando di nuovo dalla sigaretta che ormai
volgeva al termine.
Il ragazzo inclinò
appena la testa di lato, girandosi totalmente verso di lui. « In che modo? »
domandò dunque, ascoltandolo attentamente.
« Ancora non lo so.
Inventerò qualcosa. Ma non è detto che non comprenda il tuo intervento...
finché i Kirishiki non si accorgono che io e te siamo
in combutta, posso sperare di coglierli alla sprovvista... » buttò lì, aprendo
gli occhi quel tanto necessario a poter incrociare lo sguardo di Natsuno.
L’espressione del
ragazzo si fece dapprima cauta, poi leggermente perplessa. Alla fine decise di
non sforzarsi troppo ad immaginare cosa volesse effettivamente fare Ozaki, prendendo la decisione di fidarsi e basta. « Come
vuole » rispose dunque, chiudendo gli occhi. Fece per andarsene, ma fu Ozaki ad impedirglielo.
« Natsuno...
» lo chiamò.
« Yuuki
» lo interruppe però il ragazzo, per riflesso condizionato ma anche per vero
fastidio: « o Koide. Non mi chiami per nome »
precisò.
Toshio aggrottò le
sopracciglia, perplesso. « Con due cognomi è scomodo, di nome ne hai uno solo »
si giustificò velocemente.
Natsuno,
se possibile, si incattivì ancora di più. Ma era una rabbia che scaturiva dal
dolore, un dolore che bruciava di vergogna e che aveva deciso di seppellire per
sempre in fondo al suo essere, dandogli in pasto alcuni dei ricordi più belli
che aveva per fargli buona compagnia.
Non era il primo che
glielo diceva, così come non era il primo che si era intestardito nel volerlo
chiamare per nome. Solo che, da lì a permettere ad altri che non fossero lui di farlo, almeno per il poco tempo
che si era concesso per camminare ancora fra i “vivi”, c’era una bella
differenza.
« Ci si abitui, allora
» fu, infatti, la risposta piccata che gli diede.
Toshio soprassedette
con un’alzata di spalle, riprendendo il discorso: « prima che tu scompaia come
al solito, ero curioso di sapere per quale motivo hai deciso di aiutarmi a
salvare il villaggio » domandò retoricamente, fintamente disinteressato.
Yuuki
attese un poco, prima di rispondere.
“Salvare”? La sua non
era una ragione così nobile, e nemmeno altrettanto ottimistica. A lui non
interessava del futuro di Sotoba; che fosse diventato
un villaggio di non-morti succhia-sangue, o che fosse
caduto in rovina nella più completa dimenticanza, non erano affari suoi.
Ormai era tardi, per
salvare ciò che di quel villaggio avrebbe voluto veramente salvare. Tutto ciò
che voleva proteggere, infatti, aveva pian piano succhiato via da lui ogni
stilla di vita. Letteralmente.
E lui, distrutto da
quella rivelazione, lo aveva semplicemente... lasciato fare.
No, lui non voleva
salvare Sotoba. Non voleva contribuire a tenere in
vita il villaggio che lo aveva portato a rinunciare alla sua, di vita. Voleva
semplicemente...
« Vendetta » disse
dunque, aprendo la finestra scorrevole con un gesto elegante della mano. « Non
voglio salvare proprio niente. Ciò che di questo villaggio avrei voluto
proteggere, mi ha lentamente trasformato in quello che sono ora, una goccia di
sangue dopo l’altra... » fece una pausa, facendo forza sulle mani ed issandosi
sul davanzale: « il mio intento non è così nobile. Voglio solo vendicarmi e lei
è il mezzo più veloce per farlo » concluse poi.
Ozaki,
prendendo con le dita il mozzicone di sigaretta, lo spense nel posacenere sulla
scrivania.
Ecco qualcuno che
avrebbe ottenuto ciò che desiderava, pensò. Qualcuno che non aveva rimorsi o
rimpianti, dubbi o indecisioni; qualcuno che aveva gettato via qualsiasi cosa
potesse essergli fra i piedi, come l’amicizia, come i legami.
Si sentì deluso da se
stesso e dalla sua intima mania di conservare ogni legame importante come
prezioso cimelio. Si sentì deluso dal fatto che, nonostante Seishin
lo avesse ormai palesemente abbandonato alla sua sanguinolenta crociata, lui
continuasse tuttora a considerarlo parte integrante della sua vita e del suo
essere.
Questa era la lieve
differenza fra lui e Natsuno Yuuki:
lui lottava per il futuro degli altri, Yuuki per il
presente di se stesso.
Natsuno,
che del futuro degli altri se ne fregava, aveva deciso di sua iniziativa di
cancellare il proprio passato nel momento in cui aveva gettato il proprio futuro
in pasto agli Shiki. Trasformandosi, forse contro la
sua volontà, in qualcosa che dagli Shiki differiva,
ma che nemmeno si poteva definire umano.
Era un essere senza
niente da perdere. E per questo motivo, un alleato fedele.
Quando Ozaki si girò nuovamente in direzione della finestra, una
nuova sigaretta in procinto di essere accesa, il suo giovane commilitone era
ormai scomparso.
Non credeva che
l’anemia potesse essere così sgradevole.
In aggiunta, non
credeva nemmeno che obbedire agli ordini impartiti dallo Shiki
che ti ha morso avrebbe avuto l’effetto di ignorare le leggi della fisica e
della ragione, facendo sì che il controllato – la marionetta, si corresse mentalmente – lavorasse come se avesse
appena assunto una dose massiccia di adrenalina e si trovasse in corpo
l’energia di sette uomini.
Quando, in realtà, di
energia non ne aveva. Nemmeno un po’.
Era già la seconda
notte che la signora Kirishiki si presentava in
clinica per banchettare sulla sua giugulare.
Il primo giorno si era
sentito semplicemente stanco e apatico: aveva un colorito grigiastro, un po’ di
occhiaie e la faccia di uno che aveva passato la notte in bianco. Non ritenne
necessario curarsi più di tanto, e si limitò a mangiare un po’ più zuccheri del
solito per poter reggere almeno il turno in clinica.
Tuttavia, quando la
mancanza di sangue nel suo corpo arrivò alle famigerate 4 tazze (il 20% in meno
di sangue era decisamente troppo), prese la decisione di iniettarsi in vena almeno
una parte di quello che gli era stato tolto.
Fortunatamente era
sabato, dunque non avrebbe dovuto visitare. Lasciò detto ad alcune delle sue
infermiere – non si ricordava nemmeno chi ancora veniva al lavoro, chi si era
licenziato o chi era stato già vampirizzato – che non si sentiva bene e,
scendendo le scale aggrappato con forza al corrimano, arrivò fino al deposito
delle sacche di sangue. Prese la prima sacca disponibile del suo gruppo
sanguigno e, facendo il percorso al contrario con molta più fatica di prima,
ritornò in camera con un ago per trasfusione e un’asta per flebo.
Stava sudando freddo,
ed ansimava. Ogni tanto la vista si appannava e doveva fare uno sforzo immane
per rimanere presente mentalmente o, ancora peggio, in piedi.
Una volta bucatosi la
vena ed assicurata la sacca, si lasciò andare indelicatamente sul letto mezzo
sfatto, portandosi una mano alla testa dolorante.
Un inferno. Non aveva
mai provato prima cosa significasse avere una perdita sanguigna tale da causare
un’anemia di quel livello, ma non compativa affatto quelli che, prima di lui,
avevano dovuto patire la stessa situazione, anche se rimasti sdraiati inermi
sui loro letti.
Per un istante, pensò a
Natsuno.
Sicuramente anche lui
era dovuto passare attraverso quella fase e, anzi, era arrivato anche oltre. I Jinrou non erano creature come gli Shiki,
loro non morivano completamente... il loro fisico, semplicemente, ad un passo
dalla morte si rifiutava di venirne soggiogato... e mutava.
In poche parole, si
aggrappavano alla vita con tutte le loro forze.
Chissà, magari Natsuno aveva avuto un profondo desiderio di rimanere in
vita, in quegli attimi in cui l’udito era mancato del tutto, seguito dalla
vista... magari anche lui, se si concentrava, avrebbe potuto diventare un Jinrou. Sarebbe stato di sicuro più interessante che essere
uno Shiki.
Tuttavia, credeva che
non sarebbe nemmeno risorto. Di rimpianti probabilmente ne avrebbe avuti, ma
era dannatamente troppo orgoglioso per pensare di poter alzarsi dalla tomba.
Probabilmente, anche della morte non gliel’avrebbe data vinta e sarebbe proprio
morto.
Così, per ribellione.
Gli venne quasi da
ridere.
Ma sospirò, adocchiando
il pacchetto di sigarette sulla scrivania ai piedi del letto. Prima di essere
praticamente dissanguato si sarebbe alzato in un batter d’occhio, ma in quel
momento gli sembrava un percorso irto di ostacoli e dannatamente troppo lungo
per essere affrontato portandosi dietro una flebo. Resistette alla nostalgia di
nicotina.
Nel silenzio della
stanza, sentì dei passi in avvicinamento nel corridoio. Per riflesso guardò
fuori dalla finestra: era ancora giorno, sì.
Si sentì, in parte,
sollevato. Poi, rise (di nuovo) mentalmente si se stesso.
Povero, povero Ozaki. Inquietato dai vampiri che solo qualche giorno prima
avrebbe tanto voluto dissezionare.
Una volta che i passi
furono praticamente a ridosso della porta, la persona dall’altra parte bussò
lievemente. « Dottor Ozaki? » chiamò; era Yasuyo.
« Non apra, Yasuyo » si sbrigò a dire, senza dare una vera e propria
spiegazione, ma tant’è. « Dica pure » aggiunse però, cercando di suonare il più
tranquillo possibile.
Come le era stato
detto, l’infermiera parlò da dietro la porta. « Ha chiamato il signor Sadaichi, ha detto che cominceranno i preparativi per il
festival fra poche ore. Chiedeva se intendesse partecipare ma io ho detto... »
fece una piccola pausa: « ...che non si sentiva bene » terminò.
Cercava di sembrare
meno tesa di quanto in realtà non fosse. Si sentiva.
« Ha fatto bene, Yasuyo. Grazie » disse. Volutamente, non fece niente per
smentire quello che l’infermiera probabilmente stava già pensando.
Non era importante. Fra
poco i giochi sarebbero stati fatti, e allora non ci sarebbe stato più nessun problema.
Sarebbero spariti anche quelli, con la morte.
Ascoltando i passi
dell’infermiera in allontanamento dalla sua stanza, Toshio posò lo sguardo sul
polso destro, assottigliando gli occhi.
Ricordava ancora di
quella notte in cui la madre di Seishin aveva
chiamato la clinica in lacrime, dicendo che il figlio aveva tentato il
suicidio. Che c’era un mare di sangue. Che era pallido e rispondeva a fatica,
quando riusciva a farlo.
Lui, che era ancora un
ragazzo, aveva ascoltato la conversazione al telefono solo tramite la voce
tonante del padre, che si era subito precipitato al tempio. E non ricordava
nessuna, nessuna altra occasione in
cui avesse avuto più paura. In cui avesse passato due ore peggiori di quelle.
In cui avesse provato un’ansia maggiore di quella.
Aveva avuto una fottuta
paura che la porta di casa si aprisse e che suo padre scuotesse la testa, in
segno di diniego, con quella sua smorfia apatica e neutrale con cui comunicava
i decessi alle famiglie.
La paura fottuta di
perdere l’unica persona di cui gli importasse effettivamente qualcosa.
Fortunatamente, non era
successo. Ma da quel momento in poi aveva sempre visto Seishin
come lo scrittore dannato dall’animo fragile, ed era un’immagine che a distanza
d’anni – e di fronte ad una relazione interrotta con un finale amaro – ancora
non sbiadiva.
Chiuse gli occhi
stringendo i denti.
Doveva piantarla di
pensarci. Sia a Seishin che alla morte. Aveva altre
cose da fare, al momento.
E faceva... male.
« Mi sembra più
emaciato del solito, dottore » sentì all’improvviso dell’esterno della
finestra, ed il suo cuore ebbe un tuffo. Salvo riconoscere la voce di Natsuno.
Perché sì, Ozaki: è ancora giorno. E ne conosci pochi di loro che girano allegramente di giorno.
Due, per la precisione ed entrambi, anche se per ragioni diverse, non ci
tengono molto ad attaccarti, si disse.
Il suo sopracciglio
scattò in alto per un solo istante. Probabilmente, l’idea attecchì in quel momento.
In risposta al ragazzo
sul cornicione, ridacchiò amaramente. « Che fai, non entri? » domandò
retoricamente, posando gli occhi stanchi sulla finestra.
Non lo vedeva, il che
probabilmente significava che rimaneva nascosto dietro al muro. Ma era anche
vero che, ormai, quella casa era “aperta ai vampiri”, dunque non è che Natsuno avesse bisogno di un invito formale.
Bastarono pochi
movimenti, leggiadri, di cui nemmeno sentì il rumore. Il Jinrou
aprì il vetro scorrevole e, con un lieve balzo, entrò nella stanza senza fare
il minimo rumore.
Sorprendente.
Lo seguì con gli occhi
mentre osservava la flebo e le sue condizioni, immobile accanto alla finestra
aperta. Una volta appurato com’era conciato, sospirò e la richiuse.
« Un atto di
gentilezza? » domandò dunque Ozaki, facendo perno con
i gomiti e mettendosi seduto sul materasso.
« Anche io sento freddo
» rispose brevemente Yuuki, sedendosi elegantemente
sulla scrivania.
Aveva, effettivamente,
un certo qualcosa da grande città. « Perché non entri dalla porta principale, a
proposito? ».
« Perché in teoria sono
morto. Sono sicuro che nonostante io e la mia famiglia fossimo ancora una sorta
di “stranieri” per il villaggio, la notizia della mia dipartita avrà comunque
fatto il giro di almeno mezzo Sotoba » spiegò, ed Ozaki non poté dargli torto.
« Ho sentito che tuo
padre non se la cava bene... » disse poi il medico, osservando attentamente le
reazioni dell’altro.
Natsuno,
semplicemente, fece spallucce. « Si sente in colpa, forse. Ha avuto una sorta
di crollo nervoso. Ancora non so se crede di vivere con un fantasma o con un
vampiro, ma sinceramente non mi importa » tagliò corto, aggiungendo subito
dopo: « al momento, lei è messo peggio ».
Ozaki
ammortizzò la provocazione con un sorrisetto a metà fra il rassegnato e
l’ironico. « Chizuru mi ha preso in simpatia »
ironizzò amaramente, scostando appena la testa in modo che si vedesse il morso
sul collo che la donna gli aveva lasciato.
« Se la chiami
addirittura per nome(3), deve essere vero... » ribatté neutro Natsuno, incrinando appena le labbra in un sorrisetto quasi
complice.
Prima ed unica volta
che Ozaki l’avrebbe visto (quasi) sorridere, poco ma
sicuro.
Passarono in silenzio
poco meno di un minuto, e fu Toshio a prendere parola per primo.
« Non so come fare »
dovette ammettere, affranto. Un po’ si sentiva davvero senza speranza, anche se
cercava di non cedere alla tentazione di lasciarsi andare e rinunciare, e un
po’ era anche l’anemia e la mancanza di forze a fargli vedere tutto nero. La
trasfusione gli avrebbe giovato, probabilmente, ma non subito. Ci voleva almeno
qualche ora, se non mezza giornata.
Dalla sua posizione, Yuuki lo guardò senza far trasparire niente di che. Poi, tranquillamente,
girò lo sguardo in direzione della finestra.
Quel ragazzo era un mistero, ma doveva
ammettere che non gli dispiaceva.
E si chiese cosa avesse
la mania di guardare, fuori da quella finestra.
Poi, però, fu Ozaku stesso a notare qualcosa di diverso nell’altro. « Hai
un livido sul collo » disse. Nonostante la stanchezza, quella macchia violacea
si vedeva discretamente bene, alla luce novembrina del sole che filtrava dalle
vetrate.
Natsuno
sospirò. « Ho ricevuto la visita del maggiordomo » rispose, criptico.
« Tatsumi?
» lo incitò Toshio.
« Già » annuì il
ragazzo. « A quanto pare ci teneva che io gli dicessi di essere diventato un
mostro, e dato che non l’ho fatto, è preda di una forte delusione. E, ah, mi ha
anche specificato che non va a genio ai Kirishiki che
io faccia quello che mi pare. Si aspettano tutti che io diventi uno di loro... »
una lieve pausa, il naso che si arriccia nel disgusto: « ...il richiamo della
specie, tipo » ironizzò poi, però senza scherzosità.
Ozaki,
fingendo una calma che solo vagamente sentiva di possedere, lo osservò. Se i Kirishiki cominciavano a fiutare qualcosa della loro strana
alleanza, era la fine. « Hanno fiutato qualcosa? » domandò allora.
Yuuki
negò con il capo. « Però ho scoperto qualcosa di interessante » disse, tornando
con gli occhi su Toshio, che continuò ad osservarlo con attenzione.
O almeno, con tutta l’attenzione
di cui al momento poteva disporre.
« Ti ascolto ».
« Tatsumi
mi ha detto che i Jinrou hanno proprietà superiori a
quelle degli Shiki » cominciò: « sono più forti, più
veloci ed hanno un olfatto ed un udito più fini. Possono uscire tranquillamente
di giorno e mangiare anche cibo umano » disse.
« Qualcosa già la
sapevamo, il resto è intuibile » commentò Ozaki,
facendogli poi segno con la testa: « continua ».
Natsuno
lo guardò per un attimo. « Però, non possiamo mettere in atto queste
caratteristiche se non beviamo sangue » disse, apparendo sì disgustato, ma più
che altro impegnato ad osservare il medico.
Dal canto di Ozaki, sentì improvvisamente l’idea sbocciare, allungando i
suoi rami all’interno della sua mente e cominciando a creare un piano quasi
perfetto per prendere due piccioni con una fava: liberarsi del controllo di Chizuro ed avere l’occasione di informare il villaggio dell’esistenza
degli Okiagari.
Una volta che il villaggio
fosse stato allertato, e gli abitanti si fossero messi sul piede di guerra, il
numero e la possibilità di muoversi di giorno avrebbero sicuramente fatto la
differenza.
E poi, ormai lo aveva
capito: Chizuro era una donna di mondo, no? Adorava
uscire.
« A chi pensi... »
cominciò dunque il medico, un sorrisetto soddisfatto che cominciava a
crescergli sulle labbra: « ...che una persona, morsa due volte da due shiki diversi, debba la sua obbedienza? » domandò dunque
Toshio.
Forse Natsuno arrivò subito al punto, a giudicare dalla piccola
smorfia che gli incrinò il volto, ma stette al gioco. « All’ultimo in ordine
cronologico, suppongo » rispose.
« Lo credo anche io... »
sussurrò, per poi tornare con lo sguardo sul ragazzo.
Era ovvio che aveva già
capito. « Hai capito, vero? » domandò infatti.
Natsuno
Yuuki ebbe un senso di ripugnanza che attraversò il
suo sguardo come una lama. E lo espresse a voce alta: « pensa seriamente che io
sarei in grado di fare una cosa simile? » domandò con sdegno.
« Credo che sarà
questione di istinto, innazi tutto » spiegò il
medico: « e, in secondo luogo, credo che lo farai perché questo risolverebbe
molti dei nostri problemi ».
« Molti dei suoi problemi » corresse Yuuki.
« Anche dei tuoi »
ribatté subito Ozaki: « non puoi tenere testa a Tatsumi, vero? » insinuò, indicando con la destra il livido
che Natsuno aveva sul collo, appena nascosto dal
colletto della camicia.
Nastuno
lo guardò con astio, ma Ozaki continuò. « Sono
convinto che non succhieresti mai il sangue di una persona, anche se non
sapessi di poter vivere benissimo senza. E sono altrettanto convinto che, da
quando ti sei trasformato, non l’hai fatto. Dunque tu al momento non sei un Jinrou, ma il prototipo di un essere umano » ci andò giù
pesante, ma senza quelle parole Natsuno non si
sarebbe smosso.
Aveva imparato un po’ a
decifrare i pensieri di quel ragazzo.
Yuuki
continuò a fissarlo con astio, ma non se ne andò, né negò. Strinse le labbra e
distolse lo sguardo, puntandolo ancora alla finestra. Poi, dopo qualche
istante, si girò di nuovo in direzione del medico.
« Se, e dico se, io accettassi... cosa comporterebbe?
» chiese.
Toshio sorrise sotto i
baffi. « Se tutto andrà secondo i piani, riuscirò ad avvertire il villaggio
dell’esistenza degli Okiagari » disse.
« In modo che ci
credano? ».
« Mi crederanno. Gliene
metterò uno sotto il naso » rispose Toshio.
Nessuno dei due fiatò
per i minuti successivi; si limitarono solamente a guardarsi, occhi negli
occhi, cercando uno di essere convincente, l’altro di convincersi. Alla fine,
fu il giovane a mollare.
« Va bene » acconsentì.
Ozaki
sorrise soddisfatto. Nonostante fossero passati molti anni da quando batteva Mikiyasu nella corsa, non riusciva ancora a non gongolare
quando vinceva una sfida o scopriva di avere ragione su qualcosa.
Lo vide avvicinarsi al
letto e, istintivamente, portò la mano sinistra a tirare su la manica destra
della maglia. Non credeva che uno come Natsuno
puntasse al collo e, nonostante lo sguardo infastidito del giovane, notò che la
scelta di “donargli” il braccio lo aggradò.
Si sedette accanto a
lui, badando bene ad essergli vicino solo quanto bastava. Il che, però, era
comunque abbastanza vicino da far sì che potessero sentire i rispettivi odori. Natsuno sapeva di verde, di pino, quasi.
Prese il suo braccio
con le mani – calde, noto Ozaki – e lo guardò per un
momento.
« Niente rimpianti »
disse il medico, osservando calmo la situazione.
« Lo dica a se stesso »
rispose Natsuno... e lo fece.
Toshio vide per un solo
istante i denti appuntiti sotto le labbra del giovane, prima di sentirli
penetrare all’interno del suo braccio. Quando lo aveva fatto Chizuro, un po’ per la posizione e un po’ perché era sempre
abbastanza intontito, non aveva mai fatto caso ai denti.
Con una precisione
millimetrica, aveva centrato la vena. Sentì dolore ma, subito dopo, anch’esso
sembrò placarsi sfumando in quella ormai famigliare sensazione di
intorpidimento, seguita a ruota da una sorta di... piacere. Dopo di ché, sentì
solamente aumentare la stanchezza e le forze venire risucchiate insieme al
sangue che Natsuno stava bevendo.
Tuttavia, Ozaki attese. Non sapeva se le quantità di sangue
necessario ad uno shiki e ad un jinrou
fossero differenti, ma non aveva intenzione di intromettersi.
E intanto, la sua testa
diventava sempre più leggera.
Non seppe se fosse per
volontà di Natsuno o per un semplice limite fisico,
ma il ragazzo bevve meno delle due tazze necessarie agli Okiagari.
Toshio aveva ormai il fiatone e i sudori freddi quando Yuuki
si staccò dal sul braccio, lasciandolo cadere a peso morto sul materasso.
Lo osservò di
sottecchi. Si stava leccando le labbra dai residui di sangue rimasti, e un
lieve filo di liquido rossastro gli scendeva lentamente lungo l’angolo della
bocca. Con il pollice, semplicemente, lo raccolse con un gesto elegante e lo
leccò via dal dito.
In quel momento, Natsuno Yuuki fu per Toshio la
cosa più seducente mai vista. Ma cancellò subito quel pensiero fugace, dando la
colpa alla quantità di sangue appena persa unita a quella prelevatagli nei due
giorni precedenti.
Stanco e decisamente
assonnato, si lasciò andare pesantemente contro la testiera del letto. « Beh? »
chiese poi, ancora ansimante: « com’era? ».
Natsuno
lo fulminò con lo sguardo. « Amaro » sputò, come offeso.
Lo aveva convinto a
fare una cosa di cui non si stava pentendo, ma che non aveva esattamente
intenzione di fare. Si sentiva un tantino in colpa, col senno di poi.
« Colpa della nicotina,
suppongo » disse, dovendo fermarsi un momento per prendere fiato: « forse avrei
dovuto smettere di fumare quand- »
« Stia zitto » lo
interruppe Yuuki, ordinando perentoriamente, riservandogli
una seconda occhiata.
All’improvviso, Ozaki si sentì la bocca completamente cementificata. Non
riusciva più a muovere un muscolo e, di conseguenza, a spiccicare parola.
Lo guardò stranito, in
cerca di una qualche spiegazione. Sul volto di Natsuno,
vide solo un sorrisetto.
« Beh, ha funzionato »
disse solamente.
Vendetta, avrebbe
voluto dire Ozaki se solo avesse potuto. L’ordine
impartito aveva funzionato, e quella era vendetta per averlo convinto a fare
una cosa che non voleva fare.
Aveva vinto lui, alla
fine.
Solo quando gli diede
il permesso di parlare Toshio si liberò della sensazione di essere
completamente muto. Ma non disse niente, limitandosi a ringraziarlo.
Natsuno,
alzandosi dal letto, si incamminò lentamente verso la finestra.
« Suppongo che questa
sia l’ultima volta... » lasciò cadere Toshio.
Yuuki
annuì. « È probabile » aggiunse poi a voce.
Il medico sospirò,
chiudendo gli occhi. « Se... » gli scappò detto, ma ormai non aveva senso
rimangiarsi la frase: « se incontrassi un essere umano che aiuta gli shiki... lo uccideresti? » domandò.
Nella sua non certezza
di cosa fosse successo a Seishin, era quasi del tutto
certo che si trovasse a Kanemasa. Anche se, in fondo
al cuore, sussisteva la speranza che se ne fosse semplicemente andato .
Natsuno
non si voltò, né rispose subito. « Il mio compito non è uccidere esseri umani »
disse solo, aprendo la finestra: una sferzata d’aria fresca entrò nella stanza,
facendo rabbrividire il dottore.
« Buona fortuna... »
gli augurò Ozaki mentre Nastuno,
silenziosamente, spariva fuori dalla finestra, lasciandola aperta.
Toshio Ozaki, medico chirurgo, non si alzò per chiuderla. Non
pensò a Seishin, probabilmente già in compagnia degli
shiki, così come non pensò a Natsuno,
e al fatto che di lì a poco si sarebbe suicidato chissà in che modo.
Quella sera aveva un
piano da mettere in atto, un villaggio a cui fare aprire finalmente gli occhi e
un’intera popolazione di ex compaesani risorti da rimettere nelle rispettive
tombe.
Aveva davvero bisogno
di dormire.
Il sol era tramontato
da poco quando, sulla strada principale che stava percorrendo, vide finalmente
il cartello stradale verde con l’indicazione “Mizobe-cho”.
Si fermò. Non tirava
vento quella sera, ma le musiche tradizionali provenienti dal villaggio
riempivano l’aria rendendola macabramente festosa.
Con lo sguardo puntato
in lontananza, Natsuno cercò di scorgere la città.
La distanza, però, era
troppa. Non vedeva altro che cemento e campagna.
Il suo sogno, era stato
quello di superare quel punto, l’esatto punto in cui adesso si ergeva. Di fare
un passo oltre, e poi un altro ancora, e poi cominciare a correre verso l’esterno,
verso tutti i posti che non fossero Sotoba.
Verso la città. Verso
la vita vera.
«
Ho chiesto il nome ai tuoi genitori. “Natsuno”. »
Siamo
diventati amici senza che ne avessi l’intenzione.(4)
In silenzio, si portò
una mano sul collo. Riusciva a sentire, sotto i polpastrelli, le cicatrici
quasi invisibili che i ripetuti morsi di Toru gli
avevano lasciato sulla pelle.
« Alla fine ci sei
riuscito, a tenermi qui... » sussurrò.
Poi, guardando per l’ultima
volta l’orizzonte, si girò.
E tornò indietro.
~ Owari.
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1.
La Messa da Requiem in D minore di
Mozart è un'opera rimasta incompiuta, che Mozart scrisse praticamente sul letto
di morte. In molti sensi mi ricordava sia Ozaki che Natsuno: il primo perché non è riuscito a sterminare tutti
gli Shiki e a salvare il villaggio, il secondo perché
ha lasciato che la sua vita finisse senza aver realizzato i suoi sogni. Mette
amarezza, così l'ho scelto come titolo per la fic.
2.
Gli Okiagari, che la Star Comics ha tradotto in
"risvegliati", sono quelli che successivamente Muroi
chiamerà "Shiki" (o Shi-ki
nella versione italiana). In giapponese "okiagaru"
è letteralmente "svegliarsi".
3.
In Giappone ci si chiama per cognome. Il nome lo usano solo i genitori, i
partner e gli amici intimi, e comunque prima è buona abitudine chiedere,
altrimenti si rischia di essere scortesi. Nell'anime, Toshio chiama la signora Kirishiki "Chizuru-san",
dove il -san è un onorifico, l'equivalente del nostro
"signora/signorina". Ma siccome "la signora Chizuru"
in frase non ci entrava granché, ho preferito usare solo il nome.
4.
Entrambe sono frasi del volume 2.