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Autore: fragolottina    28/08/2011    1 recensioni
Mia madre si fidava della Morte e la Morte le disse che 'lui' mi avrebbe fatto del male, mi avrebbe resa sua schiava, condannandomi ad una vita di umiliazioni e sofferenza.
Io mi fidavo di mia madre e mia madre era morta nella speranza che il suo gesto servisse a salvarmi.
Ma se 'lui' cercasse solo di mantenere una promessa fatta secoli prima?
A volto l'unico a conoscere la verità è il proprio cuore...
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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olivia
fragolottina's time
buongiorno care, continuiamo con questo dlirio...
dunque questo capitolo è di un lunghezza decente da chiamarlo tale, qualcosa vi spiego, ma molto poco in realtà...
purtroppo, ci muoveremo molto lentamente e le spiegazioni arriveranno un pezzetto per volta...dai se vi dico tutto e subito poi che ci diciamo?
va beh...ci vediamo più giù...



15 anni


CAPITOLO 1.1

Quando mi trasferii da zia Phoebe rimasi tappata dentro il sottoscale per settimane, affascinata dal fatto che fosse l’unica stanzetta di quella casa senza finestre e quindi – nella mia ingenua visione di dodicenne – la più sicura. Uscii solo dopo un sogno.
    Sognai di essere davanti ad una finestra chiusa. Dall’altra parte del vetro c’era lui, non aveva volto, non aveva forma, una macchia indistinta con le sembianze umane che raccoglieva in sé ogni mia paura; nel mio sogno sapevo che se avesse voluto sarebbe potuto entrare, che la maniglia abbassata non era un vero ostacolo per lui. Continuavo a fissarlo terrorizzata finché non mi rendevo conto di avere una chiave in mano. Un oggetto antico e lucido. Mi alzavo e quando l’avvicinavo alla finestra sentivo scattare qualcosa; lui allungava la mano, allora, e cercava di aprire, ma non poteva, non ci riusciva.
    Quando avevo aperto gli occhi, sapevo che quella chiave doveva essere lì intorno da qualche parte e mi ero messa a cercare tra le cianfrusaglie che mia zia aveva accumulato durante la vita. C’erano buste di vestiti smessi, scatoloni di libri di quando era andata a scuola; se non avessi avuto tanto bisogno di quella chiave per il mio equilibrio interiore, mi sarei resa conto che non era poi tanto diverso dal cercare il profetico ago nel pagliaio. Ma non mi arresi ed infine la trovai, dentro un porta gioie infondo ad una scatola piena di decorazioni natalizie. Era appesa ad una catenina argentata e me la feci passare intorno al collo.
    Mi alzai cauta per non sbattere la testa contro il soffitto troppo basso e mi avvicinai alla porta del sottoscale, come nel sogno si sentì lo scatto della serratura; allungai la mano ed abbassai la maniglia, io potevo uscire liberamente, ma lui non poteva entrare.
    Ero andata da mia zia rigirandomi la chiave tra le dita – la prima volta di quello che sarebbe diventato un vizio. Lei era in cucina a preparare la marmellata, non si mostrò stupita nel vedermi, continuò quello che stava facendo.
    «Posso tenerla?» le avevo domandato.
    Aveva alzato gli occhi e mi aveva studiata. «Solo se ricominci ad andare a scuola ed a stare nella tua camera.» avevo annuito. «Aiutami.» aveva continuato lei. «Sciacqua qui barattoli, tra poco dovrò riempirli.» mi ordinò continuando a girare la frutta nella pentola.
    Quel giorno, però, avevo anche sentito per la prima volta la sua voce.
    ‘A diciassette anni, non ci sarà serratura in grado di tenermi lontano da te.’
    L’avevo ignorata, ma le mie mani avevano iniziato a tremare.

‘Non lasciarti prendere, Livy.’

Mi sentivo un’estranea. Sempre. Ovunque. Quando parlavo era come se non fossi io a farlo, quando sorridevo mi chiedevo perché, quando un ragazzo mi invitava ad uscire non trovavo un motivo valido per andare. Lo avrei lasciato a diciassette anni, avrei lasciato tutto a diciassette anni. Niente aveva senso.
    Le persone intorno a me si affaticavano, compiti, interrogazioni, essere popolari, niente destava il mio interesse, perché niente sarebbe durato. La zia continuava a ripetermi che c’era ancora la possibilità che andasse tutto per il verso giusto, ‘Infondo tua madre si è uccisa per questo, no?’, ma io non ne ero così sicura. Lei non aveva sentito quella voce, io si.

Quel giorno pioveva, uno deglii ultimi veri temporali prima dell'estate, probabilmente, e tutti gli altri studenti erano in fermento alla ricerca di impermeabili, cappucci da alzare, fortuiti passaggi da chi più lungimirante di loro aveva pensato di prendere un ombrello.
    Io ero china alla ricerca del mio, non ero in fermento, non avevo fretta, sapevo che l’ombrello c’era, mi ero vista sotto il portico di casa mia chiuderlo ed infilarlo nel portaombrelli circa mezz’ora dopo, le mie visioni non sbagliavano mai. Ma a volte non arrivavano con sufficiente anticipo.

Un bullo in vena di fare dispetti tira il cappuccio di una compagna, la ragazza si volta sorpresa, travolgendone un’altra troppo occupata a cercare l’ombrello sul fondo dello zaino per guardare il mondo che la circonda.

Ci scontrammo in uno sparpaglio di libri e carte con il dorso rigirato.
    Si coprì la bocca con la mano sinistra stupita, come se non avesse idea di cosa fosse successo; era una tipa bizzarra, una specie di strega new-age simile a quelle che alle bancarelle vendevano porta fortuna per pochi spiccioli. Era carina, aveva i capelli scuri, intrecciati troppo mollemente che lasciavano diverse ciocche ad incorniciargli il viso.
    Si chinò a raccogliere le nostre cose ed io la seguii aiutandola, feci per sollevare una carta, ma lei mi fermò prima che la toccassi.
    «Aspetta!» la guardai sorpresa, lei mi regalò un sorriso abbagliante, per contrasto con il suo rossetto scuro i denti sembravano bianchissimi. «Chiudi gli occhi e scegli quella che ti sembra calda, fredda o ti resta attaccata alle dita.»
    Alyssa Masen, sedicente veggente, leggeva i tarocchi nei bagni per un dollaro. La conoscevo di fama, non sapevo se fosse davvero in grado di leggere il futuro, ma per essere sicura che non leggesse il mio, le stavo alla larga, evitando il bagno dove praticava la sua arte.
    Ritirai le mani come se mi fossi scottata. «Ti ringrazio, ma meglio di no.» dissi cercando di essere gentile e chiudendo i pugni per non farle vedere che tremavo.
    «Dai!» mi incitò. «È stagione di balli, non vuoi sapere se ‘lui’ ti inviterà?» cercò di tentarmi.
    Per poco non le scoppiai amaramente a ridere in faccia. Si, probabilmente qualcuno mi avrebbe invitata, ma io non ci sarei andata, non guardavo i ragazzi come non avrei guardato un vestito che non potevo permettermi.
    «Non devi avere paura del tuo destino.»

Cento facce, cento Alyssa Masen che sorridono, in cento versioni e vestiti differenti. «Non devi avere paura del tuo destino.»

Io lo conoscevo il mio destino e si, mi faceva paura terribilmente.
    Ma continuare a dirle di no significava soltanto rimandare quella tortura.
    Alzai gli occhi al cielo sospirando, poi li chiusi e le porsi la carta che avrei voluto raccogliere, quella che lei mi aveva detto di non toccare; quando li riaprii lei stava sorridendo della mia testardaggine, ma non appena abbassò lo sguardo il suo sorriso si spense.
    La morte.
    Davvero divertente.
    Mi fissò sorpresa, ma non spaventata o mortificata come mi sarei aspettata, sembrava più cha altro pensierosa. «Tu sei sua.» sussurrò. «Tu sei…»
    «Non importa.» la interruppi bruscamente raccogliendo un paio di libri senza nemmeno guardarli, il corridoio scolastico era appena diventato troppo stretto, troppo affollato, soffocante. Volevo uscire di lì al più presto.
    Mi rincorse. «N-non…aspetta!» mi prese per un braccio trattenendomi, alcuni ragazzi intorno a noi si fermarono a guardarci, qualcuno tossicchiò un ‘lesbiche’, credendo di essere divertente. «Io, te…non capisci?» nei suoi occhi c’era una luce, un qualcosa di febbrile e spaventoso.
    Indietreggiai lentamente, poi scappai via sotto la pioggia.
    Solo sulla metropolitana mi accorsi di aver preso il suo libro invece del mio, sfogliai alcune pagine, imbattendomi in scritte, disegnini, faccine tristi e felici, come i libri di tutte le ragazze. Trovai anche un segnalibro fatto a mano, un ritaglio di giornale incollato sul del cartoncino ed avvolto nello scotch, profumava di cannella; me lo tenni premuto contro il naso per tutto il tragitto fino a casa, per scacciare l’odore di chiuso e di troppe persone stipate nello stesso spazio.
    Mia zia era in veranda, ricamava qualcosa seduta su una sedia di vimini; era un’infermiera e nel tempo libero che le lasciavano il lavoro in ospedale e l’occuparsi di me, si dedicava a tutti quei passatempi che prevedevano l’uso di ago e filo. Una volta aveva cercato di insegnarmi, ma con scarsi risultati. Lanciò un’occhiata speculativa ai miei vestiti zuppi, che non mi sfuggì, ma non fece domande, questo significava semplicemente che aveva già le risposte.   
    «Hai mai pensato ad un lavoretto estivo?» mi chiese, mentre io mi sedevo su una sedia come la sua. Sul tavolo davanti a noi mi aveva apparecchiato la merenda: un bicchiere di limonata e due tramezzini con burro e salmone, i miei preferiti.
    Era una tradizione, lui le aveva insegnato cosa mi piaceva e lei ne aveva approfittato credendo di farmi contenta. Trovavo fuori luogo da parte sua che parlasse e discutesse tranquillamente con qualcuno in realtà tanto pericoloso per me, come poteva aiutarmi ad essere libera se fraternizzava con lui?
    «Sta arrivando l’estate, avrai tanto tempo libero. Trovo meraviglioso che lo scorso anno tu abbia passato la bella stagione a leggere, ma mi piacerebbe vederti fare anche qualcos’altro.» non risposi, scelsi accuratamente il tramezzino più bianco e lo addentai, masticando lentamente. «Potresti anche divertirti, fare amicizia.»
    «Claire è la mia migliore amica.» o almeno così avevo imparato a considerarla, sedevamo insieme alle lezioni ed a pranzo e parlavamo di cose futili. Il massimo a cui credevo di poter aspirare.
    Nonostante non alzasse gli occhi dal lavoro non mi sfuggì il suo scetticismo. «Magari un’amica con cui parlare di tutto…» azzardò uno sguardo mentre prendevo un sorso di limonata. «tutto.» precisò.
    Risi. «E credi che una persona del genere esista?» le domandai sarcastica.
    «Credo, che ne avresti bisogno.»
    Non fu quello che disse, fu come lo disse. Il tono pacato e disinteressato, ma allo stesso tempo invitante, stava cercando di persuadermi. «Non fai prima a dirmi quello che hai visto?» sbottai secca, odiavo quando si metteva fare certi giochetti con me. A volte avrei voluto che la smettessimo con la pagliacciata della vita normale, famiglia normale, amicizie normali. Vivevo con la certezza di avere poco tempo a disposizione, che la mia vita non era normale, che mia madre aveva preferito mandare giù una manciata di pillole piuttosto di vedere la mia ora suonare, che l’amicizia si fondava sulla sincerità, sul condividere ed io non avevo nessuna verità da condividere. Non sarebbe stato molto meglio chiamare le cose con il loro vero nome? La mia vita era breve e tragica.
    «Sai, che non sono brava come te.» mi rispose paziente.
    Era vero, per quanto le mie visioni potessero essere ritardatarie erano precise e nitide. Erano qualcosa di mio e per me, non avevo mai avuto bisogno di chiarire il loro significato, era come se parlassero la mia lingua. Quelle di mia zia erano in cinese mandarino e lei non era affatto una brava interprete, capiva il senso generale, ma niente dettagli, niente spiegazioni.
    «Ti ho vista sorridere. Per davvero, non come fai con i figli dei vicini quando ti salutano.» si strinse nelle spalle ed alzò gli occhi dal suo ricamo per fissarmi. «Secondo me vale la pena tentare.»
    Avrei anche potuto farlo, infondo, non avevo molti impegni che mi occupassero la vita, ma avevo quindici anni. «A nessuno serve qualcuno tanto giovane.» soprattutto perché era potenzialmente illegale, dubitavo che la polizia esaminasse i documenti negozio per negozio di tutti quelli che ci lavoravano, ma nessuno si sarebbe mai preso un impegno del genere: se mi fossi fatta male, se fossi anche soltanto inciampata, sarebbero stati problemi.
    «Quella ragazza può aiutarti.» disse con finta nonchalance, lanciandomi un’occhiata veloce per vedere l’espressione sgomenta sul mio viso.
    «Hai visto anche lei?!» domandai incredula ed infastidita che mi rivelasse le cose a rate.
    Mi studiò critica per il mio tono. «Prendi un sorso di limonata, Olivia.» sospirai, ma obbedii. «Si, ho visto anche lei. Eravate insieme quando tu stavi ridendo, dalle una possibilità. Ci sono cose che con lei puoi condividere.»
    La sua follia, per esempio.
    Mi alzai diretta in camera mia. «Ci penserò.» bugia. Ci avevo già pensato ed ero arrivata alla conclusione che: primo, non sapevo dove trovarla fuori da scuola; secondo, non avevo intenzione di avvicinarla a scuola, mai più finché non mi fossi diplomata; terzo, confessare quello che ero ad una persona tanto eccentrica poteva essere decisamente pericoloso. Quindi, no, grazie.
    Non appena varcai la soglia della mia stanza, la serratura scattò, ma io sbiancai lo stesso. La finestra era aperta.
    Corsi a precipizio a chiuderla ed afferrai la chiave che mi portavo sempre al collo per sigillarla, non guardai al di là del vetro, dopo quella visione – che mi aveva aiutata, ma anche terrorizzata – avevo sviluppato una paura cieca per quello che poteva esserci dall’altra parte di un vetro; quindi, non appena fui sicura che lui non potesse entrare, tirai bruscamente la tenda. Deglutii con il cuore in gola e mi voltai a studiare la mia camera con il terrore che fosse troppo tardi, che lui fosse già entrato; un brivido caldo e freddo mi si addensò dietro la nuca, ricoprendomi improvvisamente la schiena di una patina di sudore.
    Ma la mia stanza era vuota.
    Lasciai la borsa sul letto e scivolai a sedere con la schiena contro la porta; lì ero nascosta dietro l’armadio, io non potevo vedere la finestra, non avrei visto nessuna ombra indistinta dalla forma umana, e se ci fosse stato qualcuno non avrebbe potuto vedere me. È stata solo la zia, per cambiare aria. Quando ci sono io è sempre tutto chiuso. Ma il mio cuore martellava insistentemente nel petto, come un tamburo di morte.
    ‘Non lasciarti prendere, Livy.’
    La mia borsa si aprì lasciando cadere i libri, anche quello che avevo preso per sbaglio ad Alyssa Masen, magari non volevo ascoltare il consiglio di mia zia, ma in ogni caso quel testo andava restituito; lo recuperai chiedendomi se non potessi essere tanto fortunata da trovare il suo indirizzo o numero di telefono scritto all’interno della copertina. Non lo scrivevo mai nemmeno io, anche se il primo giorno di scuola tutti i professori ci invitavano a farlo, proprio in previsione di incidenti come quello.
    Ma quando lo sollevai un cartoncino rotondo si sfilò dalle pagine e rotolò sotto il mio letto. Gattonai più vicina ed allungai una mano per recuperarlo. Era un sotto bicchiere di quelli che usavano i pub per proteggere i tavoli, da un lato c’era stampato il nome del locale: ‘Draw Cuts’. Feci una smorfia, ‘tirare a sorte’, davvero simpatico.
    Me lo rigirai tra le dita, dall’altra parte scarabocchiato a penna c’era il messaggio che avrebbe cambiato tutto la mia vita.
    ‘Cercasi perennemente personale, perché ci piacerebbe barattare Sebastian con un cameriere vero.’

Un ragazzo alto e moro, i capelli lunghi fino alle scapole ed intrecciati in lunghi dreadlocks; sorride ad Olivia accanto a lui ed Olivia non riesce a staccargli gli occhi di dosso perché ha un sorriso bellissimo. Dice qualcosa, qualcosa che la fa arrossire, poi si sporge verso di lei e la bacia.
 
Mi scrollai da quella visione, metà imbarazzata e metà eccitata e tornai a studiare il dischetto di cartone che avevo tra le mani; la calligrafia veloce, ma chiara che aveva scritto il messaggio. Il ‘Draw cuts’.
    Il libro di Alyssa Masen avrebbe dovuto aspettare, ma zia Phoebe sarebbe stata contenta.


che vi dico?
vi posso dire che se le mie capacità di sintesi sono leggermente accettabili nel prossimo capitolo dovrei riuscire a spiegarvi qualcosa...no, non ci contate, ho una visione nel quale continuo a scorrere pagine e pagine...e pagine e pagine di Word...
in ogni caso, anche dovessi dividere in due il capitolo 1.2 - che diventerebbe il capitolo 1.2 prima parte...no, non chiedetemi perchè chiamarli come tutte le persone normali mi faceva così schifo...non lo so - ci sarebbe qualcosa di interessante da leggere...
come cosa? il figo della situazione!
chiunque si sentirà così coraggioso da recensirmi verrà ricordato nelle mie preghiere!
baciconfusiquantovoi!


   
 
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