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Autore: maryHOUSE    29/08/2011    4 recensioni
House condannato per aver distrutto la casa della Cuddy sta per uscire di prigione. Crede di aver saldato il suo debito e che tutto torni com'era prima, ma niente sarà più come prima.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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II Capitolo

Prendere e lasciare

 
L’ultimo giorno del suo soggiorno forzato aveva ricevuto la visita del suo avvocato per consegnargli l’ordine restrittivo. Ne rimase sorpreso, nonostante Wilson glielo avesse preannunciato, non credeva lo avrebbe davvero richiesto. Aveva ancora i fogli in mano senza avere il coraggio di leggerli, con l’istinto di accartocciarli e buttarli via. L’avvocato sembrò leggergli i pensieri: mi dispiace, ma l’ordine non verrà annullato, neanche  se lo strapperai. Posò lo sguardo per leggerli ed un sorriso si fece largo sul suo viso.---Buffo.---disse continuando a sorridere. ---qui ci sono gli indirizzi precisi della persona che non dovrei vedere!
 
Wilson accese il motore dell’auto quando lo vide spuntare, l’andatura solita e gli sembrò sorridesse, ma forse lo aveva solo immaginato. Entrò in auto:---anche tu da queste parti?--- lo schernì House.
Wilson sorrise. Era contento di vederlo allegro e sperò che avesse superato le ultime notizie. House era stranamente loquace e continuò:---chi è adesso il direttore sanitario del Plainsboro?
---Hourani. ---fu la risposta di Wilson.
---Cavolo! Un tracollo a livello di immagine! ---continuò a scherzare.
Wilson gli offrì di andare a casa sua per un po’. House declinò l’invito.---mi serve una ricetta per il vicodin.---dovresti smettere.---disse Wilson più a se stesso.---puoi aspettare domani per farmi la predica?---Wilson si arrese. Parcheggiò l’auto ed House si affrettò a dire:---ti inviterei a salire, ma sai, non vedo mia moglie da tanto, mi spettano gli arretrati.
Wilson non capì perché non lo volesse tra i piedi, ma riprese posto in auto e ripartì.
Che Dominika fosse a casa era vero. L’aveva chiamata dalla prigione, aveva pagato lei l’affitto nel periodo di detenzione e quando aprì la porta, era sinceramente contenta di vederlo.  Si lasciò aiutare era troppo stanco ed affamato e non la respinse, ma subito dopo si affrettò a ribadire ciò che le aveva detto per telefono, doveva trovarsi un’altra sistemazione, tanto più che ancora qualche mese ed avrebbe avuto la carta verde. Era visibilmente delusa ma non protestò: ---qvella donna non è giusta per te.---si limitò a dire.
---ti preferisco con la bocca piena!---disse sprezzante, a voler rompere quella intimità che si era creata. House guardò l’ora, chiamò un taxi ed uscì di casa. Al tassista diede l’indirizzo che aveva letto nell’ordine restrittivo. Non scese, si trovava  poco fuori Princeton, era una casa con giardino. Una villetta con un’altalena rosa ed un cancello verde a tener fuori gli estranei. Vide gente seduta in giardino lei gli dava le spalle, aveva un vassoio in mano, sorrideva ed intratteneva gli ospiti. Se si volta adesso, è ancora mia, pensò House. Come attratta da un forza innaturale lei si voltò. House fu costretto a nascondersi per evitare che lo vedesse. Il tassista aveva visto tutta la scena ed esclamò:--- ehi amico, non voglio guai!--- nemmeno io--- rispose House soddisfatto. Si fece lasciare in un autonoleggio, ritirò un’ auto e tornò a casa. Era vuota. Dominika aveva raccolto le sue cose ed era andata via. Si versò un whiskey e si lasciò cadere sul divano. È sempre stata lei quella giusta, pensò. Il telefono iniziò a squillare , era Wilson, rispose con un tono giocoso.---hai chiamato per darmi la buonanotte, tesoro? ----continua pure a prendermi in giro perché mi preoccupo per te.---rispose risentito Wilson.
---sto bene. mi godrò questa settimana e lunedì tornerò a lavoro.---lo rassicurò. Saperlo così tranquillo non lo rassicurava affatto. House aveva in mente qualcosa e non aveva nessuna intenzione di dirglielo. 
La luce del sole che filtrava dalla finestra lo svegliò presto, rimase a letto a godersi quella solitudine solo sognata in prigione, dove a svegliarlo erano i rumori ed il tanfo che provenivano dal cesso sistemato a mezzo metro dal suo letto.
Molte ore dopo era andato al General, era li che lavorava adesso. Il G.H. , molto più grande del Plainsboro, era un bel salto per la sua carriera, aveva girato nel parcheggio alla ricerca del suo posto auto ed aveva scelto una buona visuale lasciandosi una via di fuga per non essere scoperto. Sembrano i piani di uno stalker pensò, ma tutto ciò che voleva era un’occasione per parlarle. Era sposata adesso, ma questo non lo avrebbe fermato era l’ultima occasione per essere felice, per tornare a vivere e non l’avrebbe sprecata.
Dopo un giorno trascorso come la sua ombra ne aveva memorizzato orari e posti. Era lui che portava a scuola Rachel al mattino, lei usciva di casa un’ora dopo. Sarebbe stata quella la sua ora. L’indomani aspettò che l’uomo uscisse con Rachel e si avvicinò alla porta, il pianto disperato di un neonato lo paralizzo, sentiva la voce di Lisa rassicurarlo, cantava per farlo riaddormentare. Scappò via sconvolto, si precipitò dall’unica persona che potesse raccontargli tutta la storia----perché non me lo hai detto?---disse urlando entrando nella stanza di Wilson. ---detto cosa?---rispose l’amico confuso.---Che ha avuto un bambino.---disse crollando sfinito, sul divano, come se avesse usato tutto il fiato. ---ma di chi parli? Di Lisa? Non ha avuto un bambino. Chi ti ha detto una cosa del genere? ----House sembrò sollevato ed allo stesso tempo confuso. Raccontò a grandi linee ciò che aveva sentito.---Maledizione. House---disse Wilson--- vuoi tornare in prigione? Il bambino è figlio della sorella, Julia aveva delle visite di controllo, avrà dormito da Lisa per evitare tre ore di auto. Le hai parlato?---chiese infine. ---no. Ma devo farlo.---rispose calmo.---House, la vita continua.---sentenziò Wilson.---già. Anche se a volte continua solo per gli altri.---concluse amaro House.
 
Julia doveva essere tornata a casa sua, in giardino Rachel andava su e giù con l’altalena, Lisa e un uomo sorseggiavano un drink. Lui l’aveva già visto, attraverso una finestra e gli aveva fatto lo stesso effetto di allora. Così è lui l’idiota che ha sposato, pensò. Non rimase a guardare, un senso di nausea ed il riacutizzarsi del dolore alla gamba lo convinsero a tornare a casa.
Come aveva già fatto qualche giorno prima, attese che l’uomo e Rachel uscissero. Si avvicinò alla porta. Lisa aveva riconosciuto il rumore inconfondibile del suo bastone. Cominciò a tremare. Un attimo dopo bussò a quel punto non ebbe più dubbi, era proprio lui. Si appoggiò dietro la porta, lottando contro il desiderio di aprire. Dall’altro lato si sentiva il suo respiro.----Aprimi---disse---sono a piedi. ---tentò di scherzare. Lisa era in lacrime.---Aprimi, ti prego---disse con un filo di voce. Erano due naufraghi aggrappati alla stessa tavola. La casa, la strada smisero di esistere, c’erano solo loro due, ognuno da un lato della porta, come fossero ognuno da un lato del mondo. Passato un po’ di tempo, si stancò di pregarla e Lisa sentì il rumore dei suoi passi che si allontanavano. Una parte di lei voleva corrergli dietro, ma la mano restò stretta intorno alla maniglia. 

  
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