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Autore: Jehanne    29/08/2011    2 recensioni
Tutto quello che la giovane Elis desiderava era un'avventura. Voleva solo esplorare la regione di Johto e diventare un'allenatrice. Ma, come molti sapranno, bisogna sempre stare attenti a ciò che si desidera, perché quando l'universo decide di accontentarci il risultato potrebbe non essere quello che si immaginava. Il mondo dei Pokémon sa essere crudele con un'allenatrice alle prime armi con il dono di attirare guai, fortuna (o sfortuna?) che non sarà sola, oh no, la compagnia non le mancherà di certo nel suo viaggio verso la lega. La domanda è: ci arriverà tutta intera?
[“Se hai ancora la mappa possiamo cercare un sentiero”
“Certo che ce l'ho ancora” Rispose acidello Silver, estraendo un foglietto spiegazzato dalla tasca “Ma ovviamente non siamo vicini a nessuna strada”
“Giusto, scusami. La prossima volta che vengo aggredita da un Pokémon gli chiederò se può gentilmente scaraventarmi sul percorso principale, chissà perché non ci ho pensato” ]
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio, Silver
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Professor Tonto Elm


Non ci impiegai molto per arrivare al laboratorio,Non ci impiegai molto per arrivare al laboratorio, Borgofoglianova era veramente piccola, anche a me che non avevo ancora visto niente del mondo poteva sembrare claustrofobica delle volte. Eppure avevo passato un sacco di bei momenti in quel paesello.

Ricordavo le corse per le stradine di ghiaia, tutte le volte che ero caduta e i sassi mi avevano graffiato gomiti e ginocchia, quando giocavo a nascondino con Armonio e gli altri bambini, le casette di legno con il tetto verde, le pale eoliche che vedevo vorticare quando si alzava il vento e il minuscolo sbocco sul mare, a est di casa mia, raggiungibile solo attraverso un minuscolo sentierino fra gli alberi.
Ricordavo persino ogni albero che avevo scalato e i giochi che mi inventavo per ingannare il tempo quando ero piccola, le storie sui Pokémon che i più grandi ci raccontavano, i giornalini con le foto degli allenatori più famosi e dei mitici Superquattro, tutte le volte che avevamo studiato la cartina geografica di Johto immaginando le avventure fantastiche che avremmo vissuto una volta partiti.
Ma ormai non ero più una bambina, avevo smesso di uscire di casa quasi del tutto quando avevo scoperto cosa era un computer e quanto fossero noiosi gli abitanti di Borgofoglianova. Già, il tempo in cui facevo la regina della giungla e fuggivo dalla finestra per andare a giocare erano finiti da un pezzo, e senza accorgermene da bambina iperattiva che ero mi ero trasformata un una quattordicenne dal culo pigro che passava il tempo chiusa in casa come Dracula a mangiare quantità industriali di schifezze.
Certo, poltrire tutto il giorno aveva un certo fascino, ma improvvisamente avevo sentito il bisogno di nuovi stimoli e per di più stavo mettendo su chili (il mio metabolismo era cambiato ed era meglio porre rimedio facendo un po' di movimento prima di ritrovarmi con la cellulite anche sulle caviglie...)
Una volta arrivata davanti alla porta del laboratorio bussai ed entrai. Era la prima volta che mettevo piede nel laboratorio di Elm, quel posto aveva perso ogni attrattiva quando la mamma di Armonio mi raccontò che lì dentro non studiavano gli alieni e i mostri dello spazio ma i Pokémon, e che non era abitato da fantasmi, scienziati pazzi e robot ma da normali esseri umani.

Dentro, infatti, c’erano solo alcuni uomini in camice bianco che lavoravano al computer, sembravano molto concentrati. Non credo che mi avessero visto o sentito entrare, impegnati com’erano a bruciarsi le retine davanti allo schermo. Cosa avrei dovuto fare per farmi notare? Tossire? Suonare la tromba? Oppure fare come se fossi a casa mia e girovagare per la stanza fino a che qualcuno non mi rivolgeva la parola?
Finalmente Elm si accorse di me “Elisa! Ti chiami così, giusto?”
“Tecnicamente è ‘Elis’ senza la ‘a’ alla fine” precisai.
Non era il primo che sbagliava, ma non era colpa né mia né sua se mia madre aveva sempre avuto molta fantasia per i nomi. Mamma era dell’idea che per la sua adorata bambina ci volesse un nome unico e che uno banale non sarebbe stato appropriato.
Un giorno mi aveva raccontato che in fondo in fondo le dispiaceva un po’ non avermi appioppato il nome che sognava di dare a sua figlia da quando era bambina, ovvero: Elizaveta Diane Gilbert Edward.
Quando me lo aveva raccontato avevo sentito il desiderio improvviso di scappare di casa, insieme a quello di ringraziare chiunque fosse riuscito a farle cambiare idea, evitandomi così una condanna ad una vita di prese per i fondelli e firme disumanamente lunghe.
Potevo dunque definirmi felice, dal momento che avevo rischiato di chiamarmi non solo Elizaveta e Diane (che pur essendo nomi che non suonavano molto bene insieme almeno erano da femmina), ma anche Gilbert e Edward, che non erano esattamente le cose più femminili che avessi sentito.
“Oh, scusa.” Disse il prof distraendomi dalle mie riflessioni sui nomi. “Se non ti dispiace, passo a spiegarti perché ti ho chiesto di venire qui. Dimmi, sei già al corrente delle mie ricerche?”
No, non sapevo un tubo su cosa facessero davvero là dentro.
“Ehm… io” però non potevo fare subito la figura dell’idiota, ero lì da appena un minuto e già mi facevano domande a cui non sapevo rispondere, che culo.
“Lei… lei studia i Pokémon vero ?” azzardai, stando quello che mi avevano detto qualche anno prima doveva essere così, ma per quanto mi interessava poteva essere diventata una panetteria..
"Esatto! Vedo che sei informata. Ho una missione per te, ma prima un po’ di teoria”
No teoria! Come a scuola, no per favore no! E io che speravo in qualcosa di stimolante. Dove erano gli scienziati pazzi con i loro robot apocalittici quando servivano? Si nascondevano tutti al gabinetto?
“Al giorno d’oggi tutti portano i Pokémon nelle pokéball, ma prima dell’invenzione ball tutti portavano i Pokémon a spasso a piedi”
Capitan ovvio a rapporto! Era chiaro che gli allenatori portassero i loro Pokemon a piedi, non potevano mica mangiarseli.
“Come il topo blu di Armonio?” Mi si accese una lampadina, non mi ero ancora dimenticata di quel maledetto Marill che mi aveva fatto inciampare appena uscita di casa.
“Già, proprio come il tuo amico Armonio” Confermò. Iniziavo a pensare che Elm fosse un po’ tonto.
“Naturalmente le pokeball rappresentano una comodità, ma io penso che una passeggiata insieme a un Pokémon abbia un qualche significato, può darsi che abbia a che fare con la crescita e l’evoluzione”
Basta chiacchiere e dammi il mio Pokémon così mene vado da questo posto dimenticato dal mondo. Pensai sbuffando come una pentola a pressione, stavo per addormentarmi, le sue chiacchiere erano peggio di un sonnifero.
A me i Pokémon piacevano, mi erano simpatici e avevo sempre sognato di averne uno fin da quando ero piccola e giocavo con Margaret (così si chiamava il Meganium di mia madre) e con i Pokémon selvatici che incontravo nel bosco, ma in tutta sincerità non mi importava un fico secco di quello che Elm e il suo manipolo di scienziati miopi facevano nel laboratorio.

Elm continuò a parlare ancora per una decina di minuti ed io non ascoltai una parola, ma alla fine del suo discorso disse qualcosa che attirò la mia attenzione.
"Dunque… Darò un Pokémon anche a te!” Finalmente, ecco quello che volevo sentire!
Dopotutto avevo poltrito anche troppo, di solito si diventa allenatori a dieci anni e io ne avevo già quattordici. Non mi rimaneva che sperare che partire più tardi degli altri mi rendesse le cose più semplici.
Mi piaceva crogiolarmi nella convinzione che fossi più matura e capace di un decenne che parte all’avventura.
Il professore mi indicò tre pokeball sul tavolo “Vorrei che mi aiutassi a scoprire se fra Pokémon e umani possono nascere legami speciali, accetti?” Ma che razza di domande faceva quello?
“Certo che sì!” esclamai guardando le ball sul tavolo con gli occhi scintillanti.
“Allora scegli il Pokémon che preferisci fra questi tre: Totodile il Pokémon tipo acqua, Cyndaquil un tipo fuoco oppure Chicorita di tipo erba?” il trio di Pokémon venne liberato.
Erano tutti e tre sul pavimento che mi guardavano incuriositi mentre io mi chinavo su di loro e farneticavo su quanto fossero carini con una vocetta da deficiente.
“Che dolci, sembrano pupazzi. Perché non posso prenderli tutti ?”
Alla fine scelsi Cyndaquil, era assolutamente adorabile con quelle fiamme sulla schiena e poi avevo sempre avuto un debole per i tipi fuoco, cosa che mia madre non approvava dal momento che a lei piacevano i tipi erba..
Elm fece rientrare gli altri che non sembravano particolarmente delusi, non potevo dargli torto, non ero neppure un allenatrice, e diventare i compari di una ragazzina incapace non era il sogno di nessun Pokémon.
Cyndaquil però sembrava abbastanza felice di essere stato scelto, o forse preferiva stare con me piuttosto che con Elm. L’animaletto si arrampico sulla mia testa spettinandomi i capelli, si mise comodo e spense le fiamme sulla schiena.
Il computer squillò (un momento: i computer non squillano) Elm si avvicinò allo schermo “Un messaggio!” Sai che mi importa…
“Ehi Elis ho una missione per te! Mi è appena arrivato un messaggio da Mr. Pokemon in cui dice che ha fatto una scoperta interessante, forse è un’ altro uovo, sembra affascinante; ci andrei di persona ma… sono troppo impegnato on le ricerche quindi… perché non ci vai tu?”
Ecco quello che temevo “Elis vai a fare il facchino del prof. Mentre lui se ne sta bello tranquilla in laboratorio, vai tu a fare il lavoro sporco mentre noi teniamo il culo saldamene attaccato alle nostre comode sedie”
“Sì vado io da questo tizio” non ero certo entusiasta all’idea di fare il postino ma era il mio primo incarico da allenatrice, non potevo aspettarmi chissà quale avventura.
“Benissimo” disse Elm “La casa di Mr. Pokemon si trova a nord di Fiorpescopoli, non sarà difficile arrivarci fra circa un ora dovresti essere di ritorno” Un ora mi sembrava un po’ esagerato… “Adesso vai, lo dirò io a tua madre”

Uscii dal laboratorio, Percorso 29 arrivo.

  
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