Fanfic su attori > Coppia Downey.Jr/Law
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Autore: OperationFailed    29/08/2011    2 recensioni
«Cosa sei allora?»
Lui fa un passo avanti e adesso, adesso hai conosciuto i suoi occhi. Ti perseguiteranno per la vita Downey, per tutta la tua vita andata a male. Non sforzarti di trovare un colore che li descriva, non ce la faresti nemmeno se avessi il sangue libero. Non solo pulito, libero. Ti basti sapere che ti perseguiteranno. Le sue labbra si aprono e non è un sorriso. E' un ghigno affilato quello che gli illumina il viso. Allunga verso di te una mano guantata, stretta intorno ad un biglietto da visita.
«Sono la tua seconda possibilità»

[Dopo tempo immemore sono tornata su questo fandom, con una long che non è simile a nulla di ciò che avete letto in precedenza. Ne ho la certezza, questo è diverso da tutto quello che gira su questa coppia]
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Con gli occhi di vetro scuro





Il sole galleggia da qualche parte nel cielo mentre il bisogno ti fa tremare le mani. Vorresti solo spogliarti della tua pelle e sgusciare in strada, ossa su ossa, inafferrabile e lontano. E invece il suo sguardo di vetro scuro ti ingloba.

Basta il gelo delle sue occhiate per farti sentire un sasso in gola, e sabbia insopportabile che si lega alla saliva. Riflesso nel suo viso vedi quello che sei diventato, la grottesca caricatura di un essere bipede incapace dal cervello atrofizzato e con un esercito di buchi neri in corpo. Corpo idiota, quando scadrà l’affitto ne saranno tutti felici. Alquanto sollevati di non vederti più giocare a pallone con il tuo cervello. Con quel che ne rimane.  

Ti spelli le dita, disegni con le unghie anche sulla tua pelle, tela per la storia misera della tua vita. Sangue e saliva sono i tuoi colori, e le dita i tuoi pennelli. Adesso i gessetti non servono.

Ti guardi quelle dita come fossero di qualcun altro, divori un grumo d’aria e rimpicciolisci. Non puoi dire quello che stai per dire. Ma non riesci a non dirlo. Anche se poi vorrai riafferrare le parole una ad una e ingoiarle di nuovo, affogarle tra i succhi gastrici dello stomaco. Ma le devi dire, ti corrodono la gola. Non ce la fai, però devi, non dovresti ma non riesci a scioglierle in bocca. Non sono parole di zucchero, sono parole di piombo.

«Ne ho bisogno»

«Non puoi avere bisogno di qualcosa che non esiste»

«Ma quella esiste»

«Non qui dentro»

Inspiri con rabbia, quel tizio deve imparare a prenderti sul serio. Ti alzi, forse in un ridicolo impulso di guardarlo in faccia, di trovarti alla sua stessa altezza, e sputi fuori le parole come fossero fastidiosi semini tra i denti.

«Dov’è? Era sotto il letto, dove cazzo l’hai messa?»

Lui sorride. Ti sfotte, Robert, renditene conto.

«Cosa, la coca o la foto della tua ragazza incinta di tuo figlio?»

Il maledetto sorriso che ha sulle labbra è il più angelico di questo mondo. Tira fuori qualcosa dalla tasca, ti sventola davanti al muso quel maledetto pezzo di pellicola lucida, un momento di tenerezza che non ti ricordi nemmeno di aver vissuto.

 Lei che si tasta incredula l’addome, quel ventre appena rigonfio, appena fertile. Un sorriso traditore le affiora alle labbra e i capelli le solleticano il viso. C’era vento quel giorno.

Tu menti Robert, ricordi perfettamente i tuoi occhi tremanti nascosti dietro alla macchina fotografica, ancora meglio ricordi la sensazione di poter svenire da un momento all’altro, l’assurdità di una vita che s’infiltra dentro ad un cumulo di piccole cellule rosate. Della tua esistenza che scivolava via e che nonostante tutto aveva germogliato qualcosa lontano da te. Forse quello sputo di vita ti avrebbe tenuto aggrappato alla terra. Forse tramite quel battito neonato saresti andato avanti anche te.

Mandi giù un grumo di saliva.

«Non è la mia ragazza»

«Certo, non più». Lui solleva appena un sopracciglio e ti studia con quell’oceano d’iridi e ciglia. «Non deve essere bello vedersi preferire la dr–»

«Taci!»

Quello che hai dentro – qualsiasi cosa sia – esplode, scoppia in brandelli di saliva che vaporizzano tutt'intorno, circondandoti di una comica aureola dorata e tremolante. Peccato che tu non ti dissolva nell’aria insieme ad essa.

«Me ne vado»

«Dove?»

«Lontano»

«Quanto?»

«Molto!»

«Mai abbastanza»

«Sì invece»

«No»

«Fanculo, sì!»

«Fino a quando la tua intenzione è allontanarti da te stesso, no»

«Cazzi miei»

«Non sono d’accordo»

«Peggio per te»

Raccatti quelle poche cose che hai seminato per la stanza, una felpa stracciata e i tuoi gessetti colorati. Butti tutto sul letto, poi li avvolgi con il lenzuolo nel maldestro tentativo di fare fagotto ed andartene via.

Lui ti guarda con sufficienza, sorridendo appena al tuo comportamento da bambino idiota. Ti chiedi, vedendolo lì con la coda dell’occhio, come accidenti possa essere il centro della stanza e della casa e di qualsiasi maledetto posto, sempre a quel modo, sempre così presente. Ha un carisma violento quanto un pugno in piena faccia. E lo sa.

«Sai» dice con voce neutra e sguardo inquisitorio, «sai, oggi ho preso una cosa»

Non gli rispondi, non guardi, non respiri. Vuoi solo andartene da lì il più in fretta possibile. Dove accidenti è finito quel calzino spaiato?

«Pensavo che ti sarebbe piaciuta» dice. «Che potresti abbozzarci qualche disegno, qualche frase» dice.

Per un maledettissimo caso alzi gli occhi proprio nel momento in cui quel tizio rompicoglioni ti mostra un’agenda, una splendida agenda di pelle intarsiata. Massiccia, rigonfia di pagine da maltrattare, piena di quel profumo a metà tra lo stantio e il dolciastro.  

Quell’agenda è la copia perfetta della vecchia rubrica di tuo padre.

Vorresti continuare a far fagotto ma non ci riesci, ti blocchi, ti fai mangiare gli occhi da quella copertina magnifica, da quelle mani affusolate che stringono l’oggetto momentaneo dei tuoi desideri.

«Sapevo che ti sarebbe piaciuta»

Il tizio rompicoglioni – che forse non l’hai ancora capito ma un nome ce l’ha – ha nella gola un sorriso sfacciato. Un sorriso che sa di vittoria mai dubitata, che sa di conquista assaporata in anticipo.

Il tiz–Jude ti volta le spalle e scende le scale, agenda in mano e cielo negli occhi. Cielo tra le mani e occhi sull’agenda. E tu dietro a lui, come un cagnolino. Ti farai dare quella stramaledetta agenda e poi te ne andrai. Sì.

Ne avrai poi di tempo per pensare a quanto sia inquietante quel tizio. Jude, lui, che porta con sé pezzi della tua vita come fa il mare con i tronchi alla deriva, catturati e restituiti su una sabbia indifferente e bugiarda. Ne avrai poi. E avrai anche tempo di incazzarti come una iena, mandarlo a fanculo e andartene. Poi. 



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Il titolo è tratto da "Le acciughe fanno il pallone" di Fabrizio De André. Per chiarimenti/commenti/insulti, sapete cosa fare (:

   
 
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