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Autore: Koori_chan    30/08/2011    0 recensioni
Piove, su Brest.
Aria di tempesta sulla costa bretone, gli abitanti si rifugiano nelle loro case, all'asciutto, in cerca di un riparo.
Ma c'è qualcuno al porto. Qualcuno che dalla pioggia non fugge, qualcuno che l'aspettava.
Una ragazza che, nonostante il viso giovane e allegro, nasconde in se il peso e il dolore di secoli di storia e di una decisione che l'ha distrutta.
Piove, su Brest.
E Bretagne ricorda il suo amore, qunado ancora la Guerra dei Cent'anni era solo un'ombra lontana sull'orizzonte...
[Presenza di OC: Bretagna, Normandia, Borgogna, Nord-Passo di Calais]
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno il cielo era grigio su Brest.
Un grigio fitto, pesante, che mozzava il fiato.
Proprio come il vento che spazzava la banchina al porto con raffiche forti e decise.
I gabbiani sembravano apprezzarlo, rincorrendosi nel cielo fra gridi e schiamazzi, o lasciandosi trasportare dalle correnti, librandosi in aria indifferenti alla vita che proseguiva tranquilla al di sotto di loro.
Del resto cosa potevano trovare di interessante nei giorni di quegli inutili puntini laggiù, sempre affannati alla ricerca di qualcosa? Loro avevano gli spazi infiniti del cielo e del mare, loro avevano la libertà.
La libertà, sì. E non gli serviva altro.
Loro non avevano catene a tenerli legati alla terra, mentre gli umani, quegli esseri così bizzarri e al contempo affascinanti, erano costretti da centinaia di vincoli invisibili.
E come i gabbiani non si curavano di loro, essi sembravano ricambiare l’indifferenza, camminando spediti lungo le strade della città, soffermandosi giusto una manciata di secondi davanti alle vetrine dei negozi, sbuffando indispettiti per l’attesa in coda al panificio.
Erano così presi dai loro insormontabili problemi che nemmeno si erano accorti di quella donna bizzarra che percorreva la banchina in direzione del faro come un pampano, saltellando qua e là e lanciando pezzetti di baguette ancora fumante di forno ai padroni delle correnti.
Rideva, guardandoli precipitare in picchiata per afferrare il boccone all’ultimo momento e frenare la loro caduta in acrobazie mozzafiato, li incitava nelle loro gare clandestine in cerca del vento migliore, del battito d’ala più veloce.
Il cappuccio della sua pesante felpa blu sbatacchiava nel vento, mentre con una mano continuava ad accomodarsi dietro all’orecchio il ciuffo di capelli rossi che puntualmente scivolava via coprendole gli occhi.
Sembrava che non le importasse dell’aria di tempesta che arrivava dal mare, sembrava che non avesse nemmeno letto l’enorme cartello giallo con la scritta a caratteri cubitali ‘INTERDIT EN CAS DE VENT FORT’.
Era come se tutto ciò che le interessasse fossero i folli giochi dei candidi gabbiani sopra la sua testa.
Quando ebbe dato un ultimo morso al panino lanciò quello che ne restava in aria, felice di poterlo condividere con quelle creature che tanto ammirava.
Nemmeno la pioggia che aveva iniziato a scendere fine pareva poterla indurre ad andarsene da lì. Anzi, proseguì in direzione del faro, incurante dei cartelli che, a mano a mano che si procedeva lungo la murata di cemento, aumentavano esponenzialmente.
Era uscita apposta per la pioggia, aveva sperato con tutta se stessa che le gocce potessero riversarsi sulla terra come lacrime, le stesse lacrime che lei non poteva piangere, anche se avrebbe voluto con tutta se stessa.
Ma lei non poteva permettersi le lacrime, non meritava quel lusso, non poteva e non voleva essere un’ipocrita.
La gente la guardava male, chiedendosi cosa avesse da ridere, in bilico sulla murata, sospinta dalle raffiche di vento.
Si domandava con che coraggio una donna come lei desse spettacolo in tale maniera.
E le parlavano alle spalle, la additavano, si tenevano alla larga da lei.
Non sapevano del suo patto con la tempesta.
Non sapevano che quando pioveva, il cielo piangeva per lei.
E in pochi minuti non c’era più nessuno al porto, se non i pescatori affaccendati attorno ai loro pescherecci. Le piacevano i pescatori: erano schivi, disinteressati, come animali selvaggi, come quei gabbiani che seguivano sempre le loro imbarcazioni.
Non le avevano mai chiesto niente, si accontentavano di salutarla con un cenno della testa quando la vedevano spuntare dalla cima della strada, trotterellante come una bimba dell’asilo.
Ogni tanto le offrivano da bere, a volte la lasciavano salire a bordo per farsi aiutare nei loro compiti. Loro sapevano che da lei c’era sempre da imparare, si fidavano di lei, era come un tacito accordo, un’amicizia fatta di sguardi e gesti semplici.
Semplici, sì. Era proprio per questo che li amava. Erano gente semplice.
Si appoggiò con i gomiti al grigio muretto di cemento lasciando che i suoi occhi azzurri seguissero la linea dell’orizzonte finchè essa non si perdeva fra le nuvole, diventando di un girgio fumoso, sfuggevole, come il filo dei suoi pensieri.
Chiuse gli occhi, lasciando che il suo viso venisse imperlato dalle piccole gocce di pioggia che si facevano sempre più fitte.
Annusò l’aria umida, sorridendo quando lo schiocco di un fulmine giunse alle sue orecchie, subito seguito dal rombo del tuono.
Aprì gli occhi di scatto, perdendosi nelle saette che si tuffavano in mare, a gara fra di loro.
- Tonner… - sussurrò in un impercettibile movimento delle labbra.
E fu a quel punto che i ricordi tornarono a farle visita.
Lenti, discreti, pazienti, scivolavano fra le sue ciglia assieme alla pioggia.
Pioveva anche quel giorno, più di novecento anni prima…

  
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