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Autore: hale_y    30/08/2011    7 recensioni
Come guidato da una forza invisibile , Blaine si ritrovò a camminare verso il ribelle. Prese posto accanto al ragazzo mentre riponeva la Bibbia che stringeva fra le mani nel suo zaino. Si voltò verso il ragazzo e continuò a fissarlo.
“Non dovresti sprecare la vita che Dio ti ha dato.” Disse infine , mentre il ribelle cacciava fuori dalla tasca un accendino e accendeva la sigaretta. “ E non dovresti fumare in una stazione di servizio , comunque.”
[Traduzione di una ff inglese. Klaine, accenni kid e Brittana]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Brittany Pierce, Kurt Hummel, Santana Lopez
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non è mia, ma di Highway Lights, una talentuosa autrice di fan fiction.net che mi ha dato il suo consenso per tradurla. Qui il link alla storia originale.

È un Alternative Universe, Fantasy, What If e chi più ne ha più ne metta.

Ci sono precisi riferimenti alla religione, che non vogliono essere un ‘offesa per nessuno e che semplicemente devono essere letti all’interno del contesto della storia e dei personaggi.

Non rispecchiano il mio pensiero e soprattutto non hanno lo scopo di offendere nessuno.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settembre.

Pioveva la prima volta che lo vide.

Più tardi nella notte , nascosto in quel sicuro santuario che era la sua camera, la mente di Blaine ripercorse  minuto per minuto tutta la vicenda.  Era vivido il ricordo della pioggia che iniziò a bagnarlo nell’esatto istante in cui posò gli occhi su quel ribelle, e più volte si chiese se non fosse stato un segno.

 

Era la pioggia che lo aveva spinto a ripararsi in quella stazione di servizio, ma fu la visione di quel ribelle che lo tenne inchiodato lì nelle ore successive.

Blaine capì subito, gli era bastato un solo sguardo nella sua direzione , che quel ragazzo era un ribelle. I suoi abiti erano bizzarri e vistosi, portava i capelli sparati in aria, dei tatuaggi ricoprivano la pelle del pallido braccio magro e il trucco forte che aveva sugli occhi, c’era una sorta di tenerezza in lui che lo faceva assomigliare più a un piccolo orsetto lavatore e che strideva con la sua immagine di ribelle. Il ragazzo fece ciondolare pigramente un pacchetto di sigarette fra le mani , catturando fra i denti il labbro inferiore mentre fissava assorto la pioggia.

Come guidato da una forza invisibile , Blaine si ritrovò a camminare verso il ribelle. Prese posto accanto al ragazzo mentre riponeva la Bibbia che stringeva fra le mani nel suo zaino. Si voltò verso il ragazzo e continuò a fissarlo.

Sapeva che era da maleducati rimanere così a fissare una persona , ma non riusciva a farne a meno. Quel ragazzo era un qualcosa di delicato, come se qualcuno avesse dipinto quegli abiti da ribelle sullo scalpo di una ninfa. Tutto questo era nuovo e sconcertante per Blaine , eppure i suoi occhi continuarono a vagare su ogni curva di quel ragazzo, memorizzandone ogni tratto, ogni caratteristica, dalla punta del ciuffo sparato in aria fino al risvolto delle converse che indossava.

“Finito di guardare?” Scattò con tono astioso il ribelle , ma nonostante questo la sua voce aveva una cadenza così musicale da trascinare ancor di più Blaine verso uno sconosciuto baratro.

Ogni cellula del suo corpo vibrava dal desiderio di conoscere tutto di quel ragazzo. Strinse le mani a pugno e le nascose in tasca per mettere a freno il suo desiderio . Gli sorrise timidamente.

“Scusa.”

Il ribelle si limitò a sbuffare annoiato primo di dedicare tutta la sua attenzione al pacchetto di sigarette- Malboro- che aveva fra le mani. Alzò con attenzione la parte superiore del pacchetto e ne estrasse con mano tremante una sigaretta , aveva le dita così sottili.

“Fumare provoca il cancro.” Sbottò Blaine ancor prima di rendersi conto di ciò che stava dicendo.

Un paio d’occhi blu scattarono immediatamente nella sua direzione , catturando il suo sguardo e tenendolo fermamente. Il poter ammirare più da vicino quella particolare gradazione di blu, che risaltava nonostante l’eyeliner pesante, fu sorprendente e Blaine ne fu risucchiato.

“Bada a come parli , rompi cazzo.” Non c’era cattiveria nella sua voce , ma solo una nota di malcelato divertimento.

Blaine avvampò. “ Scusa.” Fu l’unica risposta che riuscì a borbottare.

“Prendi.” Il ribelle gli tese il pacchetto. Blaine rifiutò scuotendo la testa.

“Passo.” Alle sue parole il ribelle si lasciò andare a una risata.

“È solo cancro. “ Mormorò distratto il ribelle. “ Al massimo la cosa peggiore che ti può capitare è la morte, senza contare la sofferenza ,ma se sei fortunato non ci sarà nessuno a piangere per il tuo dolore. Il cancro  in fondo abita solo per un po’di tempo nel tuo corpo.”

“Non hai paura della morte?” Chiese Blaine mentre guardava , rapito , con quanta grazia quel ragazzo facesse ruotare la sigaretta fra le eleganti dita.

“Io penso” Iniziò piano il ribelle , e Blaine si tese verso di lui per ascoltare ciò che diceva, aveva paura che il rumore della pioggia sovrastasse la sua voce.” Che la morte è semplicemente un sonno senza fine. Non deve essere tanto male se trovi il modo di continuare a sognare.”

“E se sognassi un incubo?” Chiese Blaine e il ribelle rise di lui.

“Gli incubi nascono dalla paura. Se non hai paura allora non avrai nemmeno incubi. È  un concetto abbastanza semplice.”

Blaine stavolta non replicò e rimasero in silenzio per un paio di minuti.

“Non dovresti sprecare la vita che Dio ti ha dato.” Disse infine , mentre il ribelle cacciava fuori dalla tasca un accendino e accendeva la sigaretta. “ E non dovresti fumare in una stazione di servizio , comunque.”

Il ribelle alzò con tono seccato il perfetto sopracciglio che gli decorava il viso. “Avrei dovuto  capirlo che sei un cristiano. “ Disse storcendo la bocca in una smorfia.

“Lo dici come se fosse una cosa brutta.”

“Non è così?” Il ribelle parlò senza staccare gli occhi dalla cenere che cadeva dalla sigarette. “Passate la vita a fare delle cose incredibilmente buone con la speranza di andare in paradiso. Temete il giudizio di Dio. Cosa farà  Dio se dico questo? Cosa dirà Dio se faccio questo? Andrò all’inferno per questo?  Signore pietà , perdonami perché ho peccato. “ Elencò ogni professione di fede sulle dita della mano , chiudendola a pugno appena finì di parlare.

“Allora tu in cosa credi?” Il ribelle scrollò le spalle prima di rispondere.

“Nella libertà per lo più.” Si alzò , gettando da qualche parte la sigaretta intatta e ancora accesa. “In me , un poco.”

Camminò sotto la pioggia, col volto rilassato e la bocca che accennava un sorriso semplice, leggero, come l’acqua che in quel momento gli inzuppava e i vestiti e colava sul viso attaccandogli i ciuffo alla fronte.

Blaine si lanciò verso la sigaretta , schiacciandola sull’asfalto per assicurarsi che fosse spenta e si gettò anche lui sotto la pioggia, ma non vi trovò più nessuno.

Poco più in là, una catenina giaceva abbandonata sull’asfalto, il freddo argento scintillava nel buio. La raccolse con una mano lasciandola poi cadere nel palmo dell’altra osservandola assorto.

Solo qualche ora più tardi, si accorse che la teneva ancora fra le mani, stringendola forte. Quando aprì il pugno gli parve che la K del ciondolo fosse incisa sulla sua pelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

“Perché non ti metti a pregare?” Una voce sarcastica lo sorprese alle spalle. “Magari Dio ti manderà un angelo per aiutarti col problema alla macchina.”

Blaine si voltò e tutta la sua maschera di compostezza si frantumò in un sincero sorriso quando scorse la figura del ribelle. Era marzo adesso , ed erano passati più di sei mesi dal loro primo incontro, non l’aveva mai più rivisto da allora. Aveva la catenina d’argento ancora nascosta nella sua tasca, la portava sempre con sé in questi giorni, come una sorta di porta fortuna.

“Ciao!”

Il ribelle alzò in risposta un sopracciglio e si rilassò contro la portiera rosso fiammante della sua macchina, socchiudendo gli occhi. Faceva troppo caldo per essere appena primavera.

“Perché non ti metti a pregare?” Ripeté recuperando un paio di occhiali da sole dalla tasca e infilandoseli con grazia. A Blaine ricordò immediatamente una star del cinema, con tutta la grazia e la bellezza che il ribelle aveva, sarebbe potuto diventare qualsiasi cosa.

“Posso risolvere anche da solo.” Disse infine Blaine. “Ma ringrazio Dio di avermi messo in questa situazione.”

“E perché dovresti ringraziarlo?” Il ribelle abbassò di poco gli occhiali per poter fissare il volto di Blaine da sopra le lenti, ora gli occhi erano di un verde profondo. Blaine rimase per un attimo confuso , dov’era quell’azzurro intenso di  qualche mese fa?

“Beh. “ Blaine scosse la testa come per ridestarsi, accantonò momentaneamente l’enigma dei suoi occhi, ci avrebbe ragionato con calma più tardi. “ Se la mia macchina non si fosse rotta, non mi sarei trascinato fin qui al Frank Roller Rink e Dinner, le nostre strade non si sarebbero incrociate e noi non avremmo mai avuto quest’amabile conversazione.”

Le labbra del ribelle si alzarono in un sorriso sghembo.” Se la tua auto non si fosse rotta saresti ancora in tempo per un hamburger speciale di Frank.”

Gli hamburger di Frank era uno dei giochi e delle scommesse dei ragazzini della città. Ogni dodicenne era convinto che Frank usasse per i suoi hamburger solo carne di cane, che cucinasse solo con pane raffermo e arricchisse i condimenti con la forfora, il tutto a solo un dollaro. Così tutti i ragazzini si tenevano ben lontani dagli hamburger di Frank ma c’erano delle occasioni, ad esempio scommesse perse o prove di resistenza , in cui costringevano i propri amici a mangiarli.

“Che peccato.” Esclamò sorridendo Blaine. “Avevo proprio voglio di mangiare carne di cane oggi.”

Riuscì a far ridere il ribelle. “ Beh, se andiamo adesso siamo ancora in tempo per una grigliata di Frank dell’ultimo minuto.”

A Blaine piacque il suo della sua risata. La sua auto, tuttavia, aveva tutta l’aria di essere stoicamente morta, così gesticolò verso di essa. “La macchina è morta. “ Disse con evidente rammarico, desiderava davvero avere la possibilità di conoscere un po’ meglio quel ragazzo.

“Faccio io.” Lo rassicurò il ribelle mentre si dirigeva verso l’auto e ne sollevava il cofano. Si tolse con un gesto fluido gli occhiali da sole e li infilò nuovamente in tasca, mentre non riusciva a nascondere un sorriso.

“È solo surriscaldata.” Disse sicuro. “ Tutto quello di cui ha bisogno è solo un po’ d’acqua, poi dovrebbe andar bene.”

Il ribelle – Blaine avrebbe dovuto al più presto chiedergli il vero nome così l’avrebbe finita di chiamarlo solo per ciò che sembrava- pescò dalla sua borsa una bottiglietta d’acqua e uno straccio. Si assicurò che il motore fosse ormai freddo e avvolse lo straccio attorno al tappo del radiatore iniziando a svitarlo.

Blaine non poté che rimanere a guardare, completamente rapito. La grazia di un ballerino combinata alla mascolinità dei gesti del ribelle risvegliarono qualcosa in Blaine. Si morse forte un labbro, costringendosi a scacciare via tutti questi pensieri inopportuni. Era tutto dannatamente sbagliato.

Gli piaceva pensare che la sua fosse solo una mera curiosità, un passeggero tentativo di sperimentazione. Si ripeteva sempre che si trattava solo di una fase, che sarebbe tutto passato non appena avesse compiuto i diciotto anni, allora sarebbe cresciuto e tutti questi dubbi non sarebbero diventati che un lontano ricordo. Ma per quanto riusciva a ricordare, l’ultima fase che aveva attraversato era quella del sono-come-l’uomo-ragno-e-mi-arrampico-sulle-pareti, fase che aveva superato piuttosto rapidamente quando al secondo tentativo di arrampicarsi su una superficie verticale si era rotto un braccio.

“Tutto sistemato.” La voce del ribelle lo riportò alla realtà. Avvitò nuovamente il tappo del radiatore prima di chiudere il cofano con un tonfo. “Dovresti fare un check-out alla tua macchina. Se vuoi puoi portarla all’officina di mio padre più tardi.”

Una lampadina si accese nella testa di Blaine. Il ribelle era Kurt Hummel, il figlio di Burt. Lo stesso Kurt Hummel del campo estivo di tanti anni fa, un’ombra del passato che Blaine non voleva affatto ricordare.

“Tu sei Kurt Hummel. “ Disse Blaine con voce incrinata dallo stupore.

La voce del ribelle assunse una sfumatura di divertimento mentre i suoi occhi azzurri si spalancavano – oh mio Dio avevano appena cambiato colore - divenendo ancora più grandi.

”Sono io.” Confermò. “Scusa, ma io non so chi sei.”

“Blaine. “ Le parole scivolarono fuori dalle sue labbra prima che potesse rendersene razionalmente conto, avrebbe fatto di tutto per poterle riprendere. Avrebbe dovuto scappare. Avrebbe dovuto stargli alla larga. Tutti sanno cosa è Kurt Hummel. E invece lui si stava presentando. Gli stava tendendo la mano, come un vero gentiluomo.

Gli occhi del ribelle non mostrarono alcune segno di averlo riconosciuto e Blaine fu felice di non aver rivelato il suo cognome. Ma dubitava che Kurt avrebbe capito chi fosse, anche se gli avesse detto il suo nome completo. Gli Hummel non si mescolavano con le altre persone, e inoltre la famiglia di Blaine si era trasferita da poco.

“Piacere.” Disse Kurt accettando la stretta di mano e l’imbarazzo della situazione portò entrambi a sfregarsi impacciati e goffi la parte posteriore del collo.

“Allora, un hamburger speciale di Frank?” Blaine fu il primo a rompere il silenzio e Kurt gli sorrise grato.

“Solo se offri tu.”

“Sicuro. Devo ripagarti in qualche modo per aver aggiustato la macchina.”

Nessuno dei due ordinò uno degli hamburger speciali di Frank. Kurt si prese un caffè mentre Blaine ordinò un the. Erano seduti l’uno di fronte all’altro, in silenzio, finché Blaine non si decise a parlare.

“Ricordi il campo estivo?”

“Eh?”

“Il campo estivo. Sette anni fa.”

“Oh.” La sua bocca si spalancò in una O di stupore, che sarebbe risultata comica in qualsiasi altra situazione. “Blaine.”

E poi guardò un punto lontano senza aggiungere nulla. Non disse altro per tutto il resto della giornata che trascorsero assieme. Semplicemente restarono così, in silenzio, beandosi ognuno della presenza dell’altro. Nulla di più era necessario, comunque.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

S’incontrarono alla tavola calda di Frank tutti i giorni della settimana successiva. Blaine non formulò nessuna delle domande che gli vorticavano in testa, e allo stesso modo Kurt non tentò mai di porre le proprie.

Era strano. Blaine solcava l’entrata di quello squallido edificio tutti i giorni alle tre e un quarto e Kurt era sempre lì ad aspettarlo, con un bicchiere ormai freddo di caffè in una mano e uno di quei fazzoletti del bar accartocciati e stretti nel pugno. Attorno al piattino e alla tazza di caffè c’erano mille e più frammenti di chissà quanti fazzolettini spezzettati.

Blaine scostava come sempre la sedia per sedersi di fronte a Kurt, ripeteva il suo solito ordine alla cameriera, dopodiché lo fissava.

Quella giornata non fece eccezione, per quanto riguardava la loro routine almeno. Quando Amelia, la cameriera, posò sul tavolo il the che aveva ordinato e si allontanò da loro Blaine riprese la tua attenta, calma ispezione di Kurt.

Tuttavia oggi Kurt sbottò.

“Cosa cazzo stiamo facendo?” Domandò forse un po’ troppo forte, poiché un paio di infastiditi clienti si voltarono verso di lui fulminandolo con lo sguardo.

“Scusa.” Si scusò prontamente e in modo sincero Blaine.”Non volevo metterti a disagio.”

 I suoi occhi saettarono immediatamente lontano da Kurt per soffermarsi sull’orribile tovaglia a scacchi della tavola calda.

“Vorresti toccarle?” Chiese con ritrovata gentilezza Kurt e la testa di Blaine scattò così velocemente in direzione del ribelle da fargli temere di essersi sicuramente rotto l’osso del collo.

Kurt aprì la bocca per ritirare immediatamente la proposta ma lo sguardo ardente e bramoso che gli rivolse Blaine e il suo cenno d’assenso desideroso e impaziente gli fecero ingoiare indietro le parole.

Pagarono le loro consumazioni e dalla fretta rischiarono d’inciampare l’uno nei piedi dell’altro mentre si avviavano verso l’uscita del locale, lontani da occhi indiscreti.

Si lasciarono cadere nelle morbide lenzuola di una delle stanza del Mary and Peter’s Inn e finalmente Blaine fu libero di poter vagare con le mani sulla candida schiena di Kurt. Tirò via la camicia di Kurt, con delicatezza, e ingoiò un gemito quando vide la bianca schiena di Kurt bendata. Metri di bianco cotone fasciavano il corpo di Kurt nascondendone al mondo le ali. Blaine le liberò dalla loro prigione.

Finalmente libere si mossero sinuosamente mettendosi in posizione.

“Grazie.” Mormorò Kurt.

“Sono cresciute.”  Disse Blaine completamente rapito. Le ali erano grandi e aggraziate, svolazzavano fluide non appena Kurt fletteva la schiena, muovendosi assieme come un unico sussurro.

Kurt sorrise e voltò leggermente la testa per guardare negli occhi Blaine.

”Ho mentito.” Confessò candidamente. “Sapevo chi eri, sin dall’inizio. L’ho sempre saputo.”

Blaine riuscì a malapena ad annuire perché in quel momento non trovava la voce, e anche se l’avesse avuta non sarebbe stato in grado di trovare le parole. Avvicinò la mano tremante all’ala sinistra di Kurt, iniziandola ad accarezzare con dolcezza, sfregando piano le dita su quelle candide e morbide piume, strappando a Kurt un gemito sommesso.

“Va-va bene?” Chiese con apprensione e Kurt riuscì solo ad annuire, prima di voltarsi verso Blaine e baciarlo con urgenza.

Era per entrambi la prima volta, si spostarono alla ricerca di una posizione più confortevole e alla fine optarono per Blaine steso sulla schiena con Kurt sdraiato sopra di lui. Le mani di Blaine tracciarono disegni astratti sulla schiena di Kurt, toccando e ritornando più volte su quei punti che lo facevano gemere e mugolare dal piacere.

Rimasero ore abbracciati così, Blaine esplorò ogni centimetro del corpo di Kurt prima con gli occhi, poi con le dita, infine con la bocca, e quando finalmente entrambi rimasero senza vestiti, solo pelle contro pelle, Blaine conobbe il sapore delle lacrime di Kurt, e Kurt fece lo stesso.

Piansero quella notte per tutto quello che era stato e quello che non sarà mai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sei sveglio?” La delicata vocina di Kurt ruppe il silenzio galleggiando nell’oscurità, Blaine annuì senza rendersi conto che non poteva vederlo.

“Sì.” Aggiunse con un sussurro. Erano le undici e mezza, e le luci erano state spente mezz’ora fa. Se Lizzie, il loro consigliere-capo, si fosse accorta che erano ancora svegli sarebbero stati nei guai.

“La schiena fa tanto male.” Disse Kurt con voce flebile. “Mi prude e non riesco ad arrivarci.”

Blaine scivolò fuori dal suo letto per arrampicarsi in quello di Kurt. Appoggiò le mani sulla schiena del bambino strofinando distrattamente la sua pelle attraverso il tessuto sottile della maglietta. La luce della luna filtrava attraverso la piccola finestra della camera, illuminando il letto di Kurt.

“Mi fai sentire meglio.” Disse Kurt e Blaine aggrottò le sopracciglia quando le sue dita colpirono una strana protuberanza. Sollevò la maglietta di Kurt ed emise soffocati rantolii di stupore.

“Oh, Kurt.” Gli occhi spalancati dalla meraviglia. “Hai le ali!”

L’unica risposta di Kurt fu uno starnuto seguita da un cenno di assenso.

“Posso toccarle?” Chiese infine Blaine mordendosi con apprensione il labbro inferiore. Kurt annuì.

“Fa solo attenzione.” Aggiunse piano Kurt. “Nessuno le ha mai toccate prima.”

Blaine accarezzò un’ala con mano tremante e Kurt si arcuò verso il suo tocco, rabbrividendo leggermente.

“Va … va bene?” Blaine non riuscì a nascondere una nota di panico nella sua voce e si sentì enormemente sollevato quando Kurt annuì tranquillo.

“È perfetto.” Disse piano Kurt.

A un certo punto della notte si addormentarono entrambi stremati. Il corpo di Kurt si adattò perfettamente alle curve del corpo di Blaine, la parte superiore delle sue ali sfioravano con delicatezza il mento di Blaine mentre Blaine aveva poggiato con fare protettivo il braccio sull’ala sinistra di Kurt attento a non fargli del male.

Quando si svegliò la mattina dopo Kurt se n’era andato e nessuno sapeva dove fosse.

Wesley Chew, lo sfacciato undicenne che ogni mattina rompeva le scatole a Blaine arruffandogli i capelli spiegò a tutti ciò che aveva ascoltato, cioè che Kurt era un Angelo e che era stato rimandato a casa per preservare la sua verginità.

“Cos’è un Angelo?” Chiese Blaine evidentemente confuso, mentre con un ghigno Wes gli scompigliava i capelli.

“Davvero non sai cos’è un Angelo?”

“No.”

“Piccolo ragazzo innocente!” Esclamò giocoso Wes enfatizzando la  parola piccolo anche se, tecnicamente, Blaine era più giovane di lui di appena tre mesi.

“Andiamo Wes! Cos’è un angelo?”

“Un Angelo è un umano con le ali. Sono molto rari e la gente si diverte a tenerli come animaletti domestici. Pagano fior di quattrini per uno di essi.”

“Ma è crudele!” Esplode Blaine con evidente disgusto. Si chiese se ora Kurt sarebbe diventato il giocattolino di qualcuno. Rabbrividì all’idea di una cosa del genere così spinse questo pensiero, che tanto lo agghiacciava, da parte.

“La vita è crudele. Tuttavia gli Angeli Cattivi non vengono tenuti come animali. Vivono una sorta di vita … quasi normale, eccetto per il fatto che devono indossare un cartello con su scritto che sono Angeli cattivi così tutti possono saperlo.” Intervenne David, compagno di stanza di Wes.

“David!” Lo ammonì Wes. “Ha solo dieci anni, non infangargli la mente con questi discorsi sugli Angeli cattivi.”

“Chi sono gli Angeli cattivi?” Domandò con genuina curiosità Blaine mentre Wes grugniva.

“Visto cos’hai fatto?” Le labbra di Wes si piegarono in una smorfia di disprezzo e colpì con un pugno il braccio David. “Ora glielo dici tu. Io mi tiro fuori.”

David sembrava sinceramente dispiaciuto di aver aperto bocca.

“Bene.” Cominciò il ragazzino a disagio. “Gli Angeli cattivi non sono veramente cattivi. Loro hanno un altro nome solo che ormai tutti li identificano con questo perché sono gay.  Del tipo un Angelo cattivo maschio si innamora di un altro Angelo maschio.”

“Perché questo è un male?” Chiese Blaine aggrottando le sopracciglia.

“Perché a molte persone non piace chi è diverso.”

“Loro non sono diversi.” Ribattè con cipiglio fiero Blaine.”Sarebbe la stessa cosa se gli piacessero le ragazze.”

David sorrise scompigliando i capelli di Blaine. “Forse.” Continuò.” Ma non tutte le persone la pensano così.”

“Kurt … anche lui è un Angelo cattivo?”

Wes esitò un attimo prima di rispondere. “Probabilmente no.” Disse infine. “ Gli Angeli Cattivi hanno un aspetto diverso. Sono molto più belli e ammalianti degli Angeli comuni, ma hanno anche uno sguardo e un sorriso crudele. Almeno la mia mamma dice così.”

“Sai cosa dicono sugli Angeli?” S’intromise Flint, un altro ragazzino del campo che aveva ascoltato la loro conversazione. “ Dicono che se sei la prima persona che tocca le loro ali allora ti apparterrà per sempre.”

“Già.” Annuì con tono grave David. “Per questo hanno rispedito Kurt a casa. Per evitare che qualcuno lo tocchi e lo rivendichi prima che sia pronto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kurt fu il primo a svegliarsi e sorrise alla vista di Blaine ancora coricato accanto a lui. Stava ancora dormendo e aveva una mano appoggiata in modo protettivo su una delle sue ali.

“Non è il momento dei rimpianti.” Sussurrò con voce bassa Kurt, coprendo la mano di Blaine con la propria. Non sapeva a chi stesse parlando,non era nemmeno sicuro che Blaine l’avesse ascoltato, molto più probabilmente stava ancora dormendo, così lasciò le sue parole libere di vagare e perdersi nell’aria, sospese tra di loro.

“Ho peccato.” Mormorò con voce roca Blaine, tuttavia non tolse né indebolì la stretta attorno al corpo di Kurt.

Kurt annuì, deglutendo leggermente. “Mi dispiace.”

“Non è il momento dei rimpianti.”  Blaine calcò lentamente la frase detta da Kurt, come se assaporando e ripetendo ogni sillaba con calma potrebbe costringersi a crederci.

Rimasero sdraiati l’uno accanto all’altro in silenzio, mentre i raggi del sole filtravano attraverso le spesse tende della locanda illuminando i granelli di polvere sospesi nell’aria.

“Si sta facendo tardi.” Osservò Blaine. Erano ormai le cinque del pomeriggio e avrebbe dovuto essere da tutt’altra parte ma, onestamente, non gli importava.

“Devi andare da qualche parte?”

“Qui.” Rispose risoluto Blaine . “È  solo qui che voglio stare.”

Kurt rise, lasciandosi poi sfuggire un singhiozzo soffocato.

“Quella mattina.” Iniziò a parlare. “Lizzie ci ha scoperti. Ho tolto appena in tempo la tua mano dalle mie ali perché non avresti dovuto toccarle. Ci vide e diede di matto. Chiamò subito mio padre e lui mi venne a prendere. Tutto finì molto più velocemente di quando avrei mai potuto immaginare.”

Blaine si limitò ad annuire, seppellendo il viso tra le morbide ali di Kurt e respirando il profumo di shampoo alla fragola.

Kurt continuò a parlare.  Gli raccontò di tutti i test che suo padre gli aveva  fatto passare, il sollievo che avevano provato quando era stato certificato che Kurt fosse gay. Non c’era alcun mercato per gli Angeli gay, così a Kurt era stato consentito di vivere libero accanto a suo padre ma tuttavia gli era stato chiesto di indossare un segno distintivo che lo indicava come un Angelo libero. Il che era ironico, spiegò Kurt, perché nonostante lui fosse etichettato libero, uguale agli altri,la maggior parte delle persone continuava a guardarlo  come se fosse  diverso.

“Mio padre ha combattuto.” Continuò a raccontare Kurt. “Ha combattuto affinché io potessi rimanere con lui a vivere la mia vita anziché essere spedito in un’accademia di formazione.”

L’Accademia di formazione era una sorta di centro dove venivano spediti gli Angeli liberi allo scopo di “correggerli”.

Gli raccontò di Santana e Brittany, due Angeli come lui come lui con cui aveva fatto amicizia, e finalmente Blaine lo vide ridere, mentre parlava di loro con occhi lucidi e gesticolava agitato dall’emozione.

Blaine desiderò che accadesse anche quando Kurt parlava di lui. Santana, gli spiegò Kurt, stava ancora lottando per la sua condizione. Voleva essere accettata, ma di fatto era un Angelo libero.

“Mi piacerebbe cantare. “ Confessò malinconicamente Kurt quando Blaine gli chiese del suo futuro e dei suoi desideri.

Quando Kurt finalmente esaurì tutte le parole ed fu stanco di parlare, Blaine continuò per lui.

A sua volta gli raccontò del campo estivo, di tutte le giornate passate a chiedersi di lui, a domandarsi che fine avesse fatto e se stesse bene. Aveva provato a cercarlo, gli disse. Gli raccontò della tragica morte della sorellina e di come sua madre avesse trovato conforto nella religione. Era strano, spiegò Blaine, che quando ti avvicini al Cristianesimo la prima cosa che ti dicono è che devi solo credere, non puoi mettere in discussione nulla perché non ti è consentito. La sua voce s’incrinò leggermente mentre gli raccontava tutti gli anni della sua adolescenza passati a nascondersi dietro le parole della Bibbia, perdendo se stesso tra quelle pagine.

“Forse ero troppo disperato anche per un Angelo.”  Ammise con una risata ironica. “Non sono più sicuro in cosa credere. La mia fede è crollata quando ho capito che mi piacciono i ragazzi.”

Raccontò a Kurt di come, nonostante tutto, abbia provato a raccattare tutti i cocci della sua fede perduta per provare a ricomporli e tenerli assieme.  La Bibbia diceva che era sbagliato, spiegò a Kurt, allora come mai nulla gli era mai sembrato così giusto?

“Questo fa di me un cattivo cristiano?” Disse infine a Kurt, anche se sembrava che lo stesse chiedendo a se stesso. “ O semplicemente per tutto questo tempo ho creduto alle cose sbagliate?”

“Non è proprio questo che fate voi cristiani? Mettete in discussione tutto ciò in cui credete per poi tornare più forti di prima, e la gente ti applaude per questo. Penso che a volte tu debba spezzarti per diventare più forte.”

Blaine si limitò a scrollare le spalle. “ Tu in cosa credi ancora?”

Kurt rise con leggerezza. “Nella libertà per lo più. In me, un poco.”

“Suona bene.”

“Forse.” Rispose Kurt, prima di aggiungere con voce seria. “ Ma a volte, vorrei che ci fosse qualcosa, vorrei …  che ci fosse qualcuno su cui poter scaricare tutte le mie preoccupazioni.”

“Come una di quelle giornaliste della posta del cuore?” Lo prese in giro Blaine smorzando la tensione, soffocando un sorriso tra le pieghe delle ali di Kurt.

“Com’è che si dice? Lasciati andare e affidati alle mani di Dio?” Sospirò Kurt. “Ecco a volte … vorrei poterlo fare.”

L’oscurità penetrò troppo in fretta nella quiete della loro stanza arrampicandosi sui loro vestiti.

“Cosa faremo adesso?Dove andremo?” Si arrischiò a chiedere Blaine mentre Kurt alzava un sopracciglio in risposta.

“Da nessuna parte.” Replicò con fare quasi annoiato Kurt, sebbene ogni centimetro del suo corpo urlasse Sono tuo. Portami con te.

“Ma in ogni caso quello che abbiamo non riguarda nessuno. È  solo nostro.”  Concluse Kurt.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non andarono da nessuna parte. Non progettarono fughe assieme, o incontri segreti nei motel. Continuarono la loro vita come se nulla fosse, come se nulla fosse accaduto quel fatidico pomeriggio di settembre.

Qualche volta Blaine guidava fino alla stazione di servizio e si sedeva nello stesso punto del marciapiede dove avevano avuto il loro primo incontro, aggrappandosi alla collanina come ad un’ ancora di salvezza.

Qualche volta Kurt lo raggiungeva. Sedevano entrambi in silenzio l’uno accanto all’altro godendo e beandosi di quel piacere che solo quando erano vicini li coglieva.

A volte Kurt cantava e la sua voce si legava a quella di Blaine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settembre, un anno dopo.

 

 

 

New York era frizzante. C’era bellezza ovunque ma tutta questa frenetica eccitazione era un po’ troppo dura da sopportare per uno come Blaine.  La musica fluttuava nelle strade colme di persone che correvano da una parte all’altra della città, e tutto a New York, dalle conversazioni ai movimenti, si consumava così in fretta da cadere nel dimenticato ancora prima di essere vissuto.

“Santana!”  Chiamò qualcuno nella confusione della metropoli, una voce che sembrava più confusa che arrabbiata, come quella di una bambina che si era perduta. Blaine rallentò il ritmo per cercare quella voce. Tutto il resto della folla adirata che affollava il marciapiede lo spinse e gli inveì contro aver compromesso il flusso di traffico.

“Che vuoi?” Scattò un’altra voce, più profonda e arrabbiata. “Smettila di seguirmi Brittany, va a casa.”

Blaine ricordò gli occhi spalancati dall’eccitazione di Kurt mentre gli raccontava di quei due Angeli liberi, proprio come lui, che aveva incontrato e si chiese se, per uno strano scherzo del destino, quelle voci non appartenessero proprio a loro.

“Ma non abbiamo una casa.” Replicò Brittany, evidenziando la realtà delle cose prima che iniziasse a piovere.

Il fiume di persone che affollava il marciapiede si assottigliò sensibilmente e Blaine poté scorgere, a una ventina di metri di distanza, due ragazze, una bionda e una dai lineamenti latini, che avevano esattamente le sembianze degli Angeli descritti da Kurt. Le loro ali erano scoperte, alla mercé degli occhi di tutti, eppure sembrava non importargli.

Un ambiguo, crudele sorriso s’insinuò fra le labbra piene e perfette di Santana prima che scomparisse tra la folla lasciando Brittany completamente sola sotto il temporale col mascara che gli imbrattava le guancie. Era di una bellezza struggente e tutti, sia donne che uomini, si voltavano a guardarla prima di scivolare via, verso le loro case.

Blaine camminò verso Brittany, ricordando ciò che Kurt gli aveva raccontato di lei, ovvero quanto fosse dolce, sensibile e speciale. Avvolse un braccio attorno alle sue spalle prima di trascinarla via, al riparo dalla pioggia.

“Grazie.” Gli disse dolcemente quando furono al riparo mentre Santana era da qualche parte là fuori, confusa nella folla.

“Di niente.”  Replicò Blaine prima di cominciare esitante a parlare. “Tu … conosci Kurt Hummel?”

Il volto di Brittany s’illuminò per un istante e annuì.”L’ho baciato una volta!” Lo informò prima di lanciarsi in una lunga spiegazione sul sapore delle sue labbra, su come fossero morbide le sue mani e quanto bello fosse.

“A Santana non piacque quando io e Kurt ci baciammo.” Osservò con tristezza la bionda. “Così a un certo punto ha iniziato a rendersi disponibile con- con tutti e adesso ha sempre quel sorriso cattivo che a me non piace. Litighiamo sempre adesso, tutto il tempo.”

 

“Rendersi disponibile?” Chiese Blaine ancora dubbioso mentre Brittany annuiva.

“Dà i suoi dolci baci da ragazza a chiunque glielo chieda.”

Oh, capì finalmente Blaine. Camminarono per un po’ in silenzio.

“Vuoi che andiamo a cercare Santana?” Le chiese infine Blaine.

Brittany negò scuotendo lievemente la testa.

“Tornerà.” Lo informò fiduciosa Brittany. “Anche se in realtà non c’è un posto in cui tornare.”

Gli chiese dove dormivano e l’Angelo biondo rise, indicando un piccolo parco là vicino.

“Mi addormento vicino le altalene.” Gli confessò felice la ragazza. “ La mattina i bambini si mettono a giocare con le mie ali. È divertente.”

Comprò il pranzo per entrambi e saltò tutte le lezioni della giornata che preferì trascorrere con Brittany. L’accompagnò al parco e rimase a guardarla mentre giocava con i bambini, lasciando che le loro paffutte, sudice mani toccassero le sue candide ali.

Quando calò la sera Santana si trascinò faticosamente nel parco, la sua faccia era ripulita da tutto il trucco indossato prima e si rigirava con noncuranza una sigaretta tra le mani.

“Sei andato a letto con Brittany?” Chiese senza mezzi termini non appena gli si avvicinò. La sua bocca si storse nuovamente in un ghigno crudele e gli occhi brillavano di una strana luce e Blaine non riuscì a  reggere il suo sguardo.

“No.”

Sbuffò stizzita e si sedette accanto a lui sulla panchina. “Peccato.” Gli disse con una punta malcelata d’ironia. “Allora vuoi venire a letto con me?”

“No grazie.”

Roteò annoiata gli occhi prendendo un tiro dalla sigaretta.

“Perché sei qui allora? Hai intenzione di rapirla e venderla a qualcuno o cosa?”

“Volevo solo conoscervi.” Replicò atono, cercando con tutto se stesso di non inalare fumo passivo.

“Kurt mi ha detto che eravate le sue uniche amiche.”

Gli occhi della ragazza si ammorbidirono, e un sorriso più dolce prese il posto del solito ghigno cattivo che gli decorava il viso. Sembrava quasi fuori luogo quel sorriso insolito.

“Conosci Hummel?”

“Sì.”

“Avete scopato?”

Blaine esitò per un momento. “Sì.” Esalò alla fine.

“Ma non sei un prete?” Chiese sollevando le sopracciglia perfette.Dopo un attimo si silenzio riprese a parlare.

 “Odio il mio sorriso.” Aggiunse inarcando la bocca in una smorfia sinistra. “È di una bellezza terrificante.”

Decisero di cenare assieme.

Prima di andarsene, Santana si avvicinò a Brittany e le posò un delicato bacio sulla fronte mentre dormiva.

Blaine per un attimo fu tentato di chiederle la natura della loro relazione, ma alla fine preferì tacere.

Parlarono di New York e del tempo. Quando esaurirono tutti i vocaboli e i modi per descrivere quella pioggia di merda, Santana iniziò a raccontargli di loro, degli Angeli liberi. Blaine ricordò le parole che usò Wes, tanti anni fa, per descrivere la crudele bellezza di questi Angeli. Santana ne era un perfetto esempio. Aveva in sé tanto odio e crudeltà da renderla magnifica.

“Come sta Hummel?” Gli chiese infine tra un boccone e l’altro. Era strano perché l’unica cosa che si limitò a mangiare quella sera furono grissini. Quando Blaine glielo fece notare si mise a ridere.

“E gli piace cantare.” Aggiunse Blaine, rispondendo all’ennesima domanda di Santana, la quale annuì.

“Lo so. Ha una bella voce.” Disse spazzolando via il settimo grissino della serata.

“Il Ministero inizierà a reprimerci presto.” Cominciò a parlare con tono improvvisamente grave  mentre picchettava un fazzoletto sulle labbra perfette. “ Stanno già iniziando a registrarci tutti, ci prenderanno uno ad uno.”

“E questo è un male?”

Santana rise amaramente mentre un’ espressione minacciosa gli oscurava il volto.

“Questo è terribile. Nessuno di noi vuole essere ingabbiato per sempre. Dal momento in cui il Ministero ci registrerà saremo una loro proprietà, potranno farci quello che vogliono, indipendentemente da chi ci ha toccati per primo. Credo che vogliano usarci in qualche modo per favorire la crescita economica. Sarà un abominio. Molti Angeli si stanno muovendo per tagliarsi le ali.”

A queste parole rimasero entrambi in silenzio.

“Ogni Angelo inizierà a rivelare il suo vero io al mondo. Tutti impareranno a diventare cattivi. Come me.”

Disse la ragazza latina non senza un’ombra di malizia. “Avranno quel genere di bellezza peccaminosa che ti terrorizza.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pianse molto nelle ultime sere. Il livello delle sue lacrime variava al variare del tempo. Se faceva caldo, durante le notti afose, lasciava che rivoli di lacrime gli inondassero il viso senza fare il minimo sforzo per spazzarle via, si sarebbero asciugate col caldo. Le notti in cui pioveva invece, lasciava la finestra aperta e si sedeva sotto di essa, lasciandosi bagnare, inalando l’odoro dolce e pungente della pioggia che gli faceva compagnia, mentre l’odore acre della sigaretta si perdeva oltre la finestra mischiandosi al profumo delle rose poco distanti. E tante volte singhiozzava contro il cuscino, soffocando la sua rabbia, le sue urla di protesta e dolore sul tessuto imbottito.

Quella sera ricevette la chiamata dal Ministero, che lo informava come si sarebbe svolta la registrazione e dove sarebbe dovuto presentarsi il mattino seguente. Uscì fuori di casa e s’incamminò sotto la pioggia, giurando a se stesso che non sarebbe più tornato. Suo padre lo sentì sbattere la porta, guardo l’orologio e sapeva che entro cinque ore suo figlio avrebbe ripreso la strada di casa. Aveva notato la cascata di lacrime che investivano le guancie di Kurt e il modo in cui aveva raggruppato a casaccio alcuni suoi effetti personali dentro una misera borsa. Aveva un presentimento di ciò che poteva essere accaduto, tuttavia non disse nulla e Kurt se n’è andò sbattendo la porta mentre mormorava scusa confuse.

“Sta piovendo Hummel. Non dovresti essere qui.” La voce di Puckerman era ancora arrochita dal sonno, guardò l’Angelo con cipiglio stizzito e gli occhi socchiusi.

“Torna a dormire Noah.” Disse con tono secco Kurt, ma più che altro gli uscì una sorta di singhiozzo. Era impossibile, anche al buio, non accorgersi della sua voce indebolita dal pianto, del naso otturato e gli occhi ancora cerchiati di rosso.

Anche Noah Puckerman era un Angelo, ma aveva la fortuna di lavorare per le mogli degli uomini più ricchi della città. Al contrario di Kurt non era un Angelo libero, per cui non avrebbero nemmeno dovuto rivolgersi la parola, si dovevano evitare, così come impone la regola. In realtà quelle poche volte che avevano la fortuna di incontrarsi, si sorridevano complici.

“C’è un dottore a New York.” Disse Puck e Kurt notò che anche lui aveva con sé uno zaino, senza alcun dubbio pieno di oggetti di valore, pochi vestiti e una fotografia che ritraeva Quinn e Beth. Anche  Noah aveva ricevuto la chiamata.

“Ha detto che può segarci le ali. Renderci normali.”

Kurt sollevò scettico un sopracciglio. Non era il primo dottore che se ne usciva con una cosa del genere, ma erano pochi gli Angeli che accettavano di sottoporsi a questo tipo di procedura. L’operazione era costosa ed estremamente rischiosa, la maggior parte degli Angeli che si erano affidati a questi dottori non erano sopravvissuti.

Puck lesse l’esitazione negli occhi di Kurt. “Lo so. Anche io ho sentito quelle storie dell’orrore. Ma io non farò la loro fine. “ Si stoppò per un attimo ripensando a Santana e al motivo per cui era partita. “ Crudele.”

Kurt si sedette accanto a Puck, godendo del suo calore. La pioggia non accennava a placarsi e insistenti gocce d’acqua scivolavano sul viso di Kurt, rovinandogli perfino i capelli perfettamente acconciati.

“La libertà è troppo piccola per nascondere le tue ali.” Disse Puck  dando uno strattone alla maglietta di Kurt, il quale lo lasciò fare. La mani forti e decise dell’Angelo strapparono in due la t-shirt, sbrogliando poi il complesso bendaggio che gli avvolgeva il torso.

“Sei forse l’unico Angelo di sesso maschile a indossare una maglietta.” Dichiarò con un sorriso di soddisfazione Puck, vedendo Kurt flettere le ali sotto la pioggia. Le sue piume bianche e candide si stagliavano contro il grigio della città.

“Stavo solo cercando di essere normale.” Replicò Kurt, trasalendo quando la pioggia lo colpì e il freddo lo avvolse, penetrandogli fin dentro le ossa.

 “Sono già gay. Non volevo dare alle persone un altro pretesto per rendermi un emarginato.”

Puck stavolta non disse nulla.

“Quanto dista New York da qui?” Finalmente si decise a chiedere Kurt. Puck sorrise tra sé e sé. Si alzò in piedi e tese la mano a Kurt.

“Non è troppo lontano … se voliamo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era ironico il modo in cui la registrazione li rendeva liberi. Per tutti erano liberi ma in realtà non liberi da tutto. Santana chiese a Blaine di prestargli la Bibbia e lui le portò il Nuovo Testamento.

“Sei un prete?” Chiese lanciando un’occhiata al crocifisso che portava al collo. Blaine semplicemente scrollò le spalle.

“Sto studiando per diventare pastore.” L’università che frequentava offriva anche corsi di religione. Sua madre ne era stata a dir poco entusiasta quando gli aveva rivelato che era stato accettato.

Santana sfogliò pigramente il libro, ridendo tra i baffi mentre leggeva alcuna frasi a caso.

“Davvero credi a queste cose?”

“Certo.”

“Ma hai scopato con Hummel.”

“Sì.”

“Quindi hai peccato.” Sottolineò prendendoci gusto.

“Mi sono pentito.”

“Pentito?” Lo derise con cattiveria, mentre gettava la sigaretta ormai finita a terra e la schiacciava con la punta delle scarpe.

“Come hai fatto a pentirti?”

“Ho detto a Dio che era dispiaciuto per ciò che era successo, ho ammesso i miei peccati e assicurato che non lo farò più. Ho chiesto perdono al Signore per ciò che ho fatto e gli ho chiesto di guidarmi e aiutarmi affinché ciò non si ripeta.”

Santana storse la bocca in una leggere smorfia. “ Ma è stata una bella scopata.”  Ribatté in risposta e davvero, era  inopportuno per una donna parlare in questo modo, soprattutto se si trattava di una donna così bella come Santana, di una bellezza crudele, malefica. Sembrava quasi che questa sua conturbante bellezza riuscisse a giustificare ogni sua volgarità o cattiveria, le parole che passavano attraverso le sue labbra suonavano perfino eleganti, come se stesse parlando in un fluente francese.

“Lo è stata.” Ammise Blaine.

“Quindi a te non dispiace che sia successo.”

Blaine si fermò legittimamente a pensare alla cosa e dovette ammettere che tra tutte le cose che aveva fatto e di cui si pentiva Kurt non rientrava fra queste, non si era mai pentito di ciò che era successo. Ricordò quello che gli aveva detto una volta Kurt, sulla necessità di doversi spezzare qualche volta per ritornare più forte. Condivise questo ricordo con Santana e lei semplicemente annuì.

“Quindi avete rotto.” Dichiarò l’Angelo, ma il suo sguardo mentre parlava era rivolto a Brittany, la quale stava volando attorno a un gruppo di bambini che l’acclamavano e l’applaudivano felici.

“Sì.”

“E questo ha reso la tua fede più forte?” Chiese retorica, arcuando divertita un sopracciglio quando vide che lui non rispose.

“Proprio come pensavo.” Disse infine con malcelata soddisfazione. “Sei solo uno sporco ipocrita, Blaine Anderson.”

Distoglie a fatica lo sguardo da Brittany e concentrò tutta la sua attenzione su di lui, fissandolo con occhi fermi e intensi.

“Forse stai solo credendo alle cose sbagliate. Il Cristianesimo non è per tutti. Voglio dire, per questo esistono anche altre religioni come il Buddismo o l’Induismo.”

Blaine semplicemente scrollò le spalle per poi stringere più forte al petto la copia della Bibbia che portava sempre con sé, come se questo avrebbe potuto aiutarlo ad accrescere la propria fede.

“Aspetta, in cos’è che credeva Hummel?” Si accigliò Santana cercando di ricordare.

“Nella libertà per lo più.” L’anticipo Blaine ripetendo esattamente le parole di Kurt. “In me stesso, un poco.”

Blaine invidiava l’incrollabile certezza con il quale Kurt ripeteva sempre quelle frasi,  sembrava sempre così sicuro.

“Già. Forse dovresti provare con questo.”

“Forse.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“È un ciarlatano.” Sibilò Kurt  disgustato dal medico che gli era a pochi passi di distanza mentre sfuggiva alla presa di Puck.  Il dottore sorrise, gli diede qualche minuto di tempo per decidere e lasciò la stanza.

Puck gli avvolse nuovamente il braccio attorno alle spalle per rassicurarlo e magari convincerlo.

“Questa è la nostra unica possibilità. Vuoi fare la fine di Santana?”

Kurt impallidì.

“Vuoi morire?” Contrattaccò, facendo un cenno in direzione degli strumenti da lavoro riposti sul tavolino vicino.

“Quei cosi hanno l’aria di non essere stati nemmeno lavati dopo l’ultima operazione!”

Puck serrò la mascella in modo ostinato. “Io devo provarci, Kurt. Non posso andare in giro mostrando quel sorriso. Beth ne rimarrebbe traumatizzata.”

“Non pensi che rimarrebbe molto più traumatizzata dalla morte del padre?”

“No. Quinn potrebbe facilmente sostituirmi con qualcun altro.”

Kurt capì, anche se non condivideva. Aveva visto la bellezza di Santana, e come la gente vi sfuggiva con ribrezzo, troppo spaventati per avvicinarla, troppo spaventati per toccarla. Nessun bambino avrebbe il coraggio di avvicinarsi a una bellezza del genere e Kurt poteva immaginare come si sarebbe sentito Puck se Beth sarebbe stata spaventata da lui: paura dell’uomo che aveva dato tutto per proteggerla, dell’uomo che le aveva giurato di tornare a casa.

Il dottore – di cui Kurt a questo punto metteva in dubbio la credibilità – entrò nuovamente nella stanza chiedendo se avessero preso una decisione. Puck sembrò esitare così Kurt annuì al posto suo.

“Ti aspetto fuori.” Disse Kurt. “Vedi di sopravvivere.”

Puck sorrise con gratitudine scrollandogli un ultima volta le spalle con un energico abbraccio prima di lasciarlo andare. Kurt uscì dalla stanza e iniziò a correre. Non poteva sopportare le urla strazianti di Puck, o i gemiti di dolore quando il medico avrebbe iniziato a segargli le ali, l’avrebbero perseguitato per tutta la vita. Attese sotto il sole, fingendo di non notare le occhiate e il modo in cui la gente lo fissava. Di certo aveva meno spettatori rispetto a quando si trovava a Lima,in Ohio, le persone avevano imparato ad ignorarlo molto più facilmente rispetto a com’era abituato.

“Vuoi venire a casa con me?” Gli propose una voce, e Kurt alzò di scattò la testa così velocemente da far scricchiolare le ossa del collo.

Si pentì immediatamente delle sue azioni. I suoi occhi incontrarono il sorriso di Santana, amaro, contorto, diabolico.

“Santana.”  Sospirò abbassando lo sguardo. “Ciao.”

“Chi c’è là dentro?”  Kurt impallidì alla sua domanda.  Sicuramente Santana era a conoscenza di questo medico e di quel faceva.

Tuttavia si limitò a scrollare le spalle. “ Forse sono l’unico che vuole tagliarle via.”

Santana sbuffò e si lasciò cadere sul marciapiede accanto a lui.

“Sono contenta che finalmente ti sei sbarazzato della maglietta.” Disse lanciando un’occhiata di apprezzamento al suo torso nudo e ai suoi capelli, perfetti come sempre.

“E comunque.” Continuò mentre raccattava una sigaretta e un accendino dalla tasca. “Tu non ti segheresti mai le ali.”

“Come fai ad esserne così sicura?”

Santana sbottò in modo derisorio. “Tu non rinunceresti mai alla tua vita.”

Anni fa, gli avrebbe dato ragione. Aveva ancora dei sogni e qualcuno di cui prendersi cura ma , adesso, non aveva più niente, non c’era più nessuno per lui.

Kurt inghiottì tutte le sue paure, ripetendosi ancora una volta che lui credeva in se stesso e si voltò verso Santana, incrociando i suoi occhi per la prima volta.

“Allora?” Gli occhi neri inchiodati nei suoi.

Kurt semplicemente alzò le spalle. “Non ho nulla per cui vivere.”

La ragazza alzò scettica un sopracciglio, ma poi rivolse lo sguardo all’asfalto.

“Tu hai Blaine.” Mormorò piano. “Vivi per lui.”

Probabilmente avrebbe dovuto chiederle come facesse a sapere di Blaine , avrebbe potuto domandarle per cosa lei ritenga la vita degna di essere vissuta e per qual motivo pensi che fra tutte le cose per cui potrebbe vivere dovrebbe scegliere Blaine. Ma non disse nulla, semplicemente non riusciva a formulare una domanda sensata in quel momento.

“Il pensiero di tornare da Britt è l’unica cosa che mi dà la forza per trovare la strada di casa ogni mattina.”Gli confidò alla fine. “Tu finirai per stare con Blaine, perché è il primo che ha toccato le tue ali, lo sai. È il tuo destino.”

“Sai. “ Iniziò a parlare a bassa voce Kurt, nonostante la lingua si attorcigliasse attorno alle parole quasi ad impedirgli di uscire. “Non hai mai sentito di Angeli rifiutati dai loro proprietari?”

Santana alzò gli occhi al cielo. “Andiamo, tutti vogliono un Angelo.”

Kurt aggrottò le sopracciglia e davvero, la sua domanda era troppo crudele per essere formulata ad alta voce. Ma Santana ci arrivò lo stesso.

“Hai ragione. “ Disse infine. “Tranne quelli come me,i ricercati.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Blaine devi venire qui. Subito. È una cosa fottutamente grave!”

Fu piuttosto sicuro che il suo cuore aveva appena smesso di battere perché, sul serio, lui non aveva mai sentito la voce di Santana così seria prima d’ora.

“Dove sei?”

“Non lo so. Trovaci.” Implorò con voce rotta prima che la linea cadesse e davvero, ora Blaine era incredibilmente terrorizzato.

Pregò. Supplicò e chiese Dio di aiutarlo nella ricerca, per favore lascia che io li trovi. Ma non vi fu risposta.

Cercò per tutte le strade, mordendosi forte il labbro fino a ridurlo a una massa informe e sanguinante.

E poi finalmente, finalmente, li trovò. Erano rannicchiati in un angolo di un vicolo buio. Brittany era accucciata su un ammasso informe di scatoli di cartone, piegata sulle gambe e con ali di sbieco, e stava cantando. Santana, realizzò, era accovacciata nell’angolo e stringeva le braccia attorno a una figura che non era ancora riuscito a identificare a causa del buio, il suo corpo era scosso da singulti, e non riuscì a capire se i suoi fossero brividi dovuti al freddo o i singhiozzi di un pianto disperato.

“Cosa sta succedendo?” Chiese ormai senza fiato, e quando Santana e l’altra figura non identificata alzarono lo sguardo verso di lui immediatamente pensò che fossero sotto l’effetto di droghe. Si scambiarono un sorriso complice e allucinato e poi si voltarono a guardarlo.

Brittany nel frattempo continuava a cantare.

“ Sto cantando.” Spiegò non appena finì la canzone. “ Così Kurt mi ascolta e continua a respirare.”

Blaine si precipitò verso Kurt, il quale si mosse leggermente non appena gli si avvicinò.

“Cosa cazzo è successo qui?” Chiese nuovamente, mentre strizzava gli occhi per abituarsi a quella luce fioca del vicolo e aiutava Kurt a mettersi seduto e a sistemarsi in una posizione più agevole.

“Ci siamo segati le ali.” Disse Kurt con un tono felice seguito poi da una smorfia di dolore, Blaine si rese conto che la mano che aveva poggiato sulla schiena di Kurt per sorreggerlo era appiccicosa e zuppa di sangue. Lo fece distendere nuovamente  stando ben attento a non toccargli la schiena ferita.

Santana rise. “Ricresceranno.” Li confortò, eppure le sue parole non suonavano affatto come una rassicurazione.

“Quello che non capisco Hummel.” Continuò sputando il suo nome con cattiveria.” È perché non hai mandato tutto a puttane.”

Kurt rise.

“Era così vicino alla libertà Santana.” Urlò, e il suo strillo acuto risuonò in tutto il vicolo buio fino a perdersi nella notte. “Ci ero così vicino.”

Si alzò in piedi, barcollando sulle gambe instabili, lottando contro la nausea e le vertigini, e si aggrappò disperato al bavero della giacca di Blaine.

“Stanotte” Gli sussurrò con occhi spalancati e fiduciosi, come quelli di un bambino. “Voglio essere libero.”

Blaine lo sorresse prima che cadesse a terra stringendogli le mani attorno ai bicipiti, lasciando impronte insanguinate sul suo braccio. Kurt lo guardò sorridendo.

“Scappiamo via stanotte.” Ripeté dando uno strattone a Blaine. “Ubriachiamoci, facciamo sesso. Fammi sentire libero.”

Blaine scosse la testa. “ No. Non- non posso farti questo.”

“Andiamo.” Lo supplicò ancora Kurt roteando gli occhi. “ Ti ricordi quando ti ho detto quanto desiderassi per una volta lasciarmi andare e affidarmi alle mani di Dio? Ecco, questa è la cosa che più gli si avvicina.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un’autostrada, 99 miglia di interstatale e cinque ore dopo, Kurt e Blaine camminavano lentamente nella notte, beandosi e respirando l’uno la presenza dell’altro.

“ Non sono un fuggiasco, volevo solo essere libero.”

Si baciarono al chiaro di luna, le mani di Blaine vagarono sulle ferite di Kurt, quasi a volerle rimarginare, e sulla sua schiena liscia. A Kurt parve che ogni goccia di sangue perduto stesse ritornando nelle sue vene mentre soffocava tutte le parole e i singhiozzi nella bocca di Blaine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Le cose potrebbero essere diverse, ma le persone non cambiano.” Gli disse Blaine con calma.

Le ali di Kurt erano ricresciute e spiccavano forti e bianche, in netto contrasto con l’impronta di sangue che aveva lasciato sulle lenzuola dell’hotel.

“Non sono sicuro di aver capito cosa stai cercando di dire.” Rispose Kurt spostando lo sguardo verso la finestra. Era ancora molto buio fuori e riuscì a scorgere la sua figura riflessa nel vetro della finestra. Sembrava esattamente lo stesso di prima, nessun ghigno storto, nessuno sguardo crudele.

Blaine uscì fuori il balcone, respirando l’aria fresca e pulita della notte. Aveva da poco smesso di piovere e le mattonelle erano ancora bagnate sotto i suoi piedi. Il freddo gli colò nelle vene e immaginò che il fatto d’essere nudo non aiutasse.

“Sei proprio un ‘esibizionista.” Lo prese in giro Kurt, mentre abbandonava il calore del letto per raggiungere Blaine fuori il balcone. Se un occhio estraneo li avesse visti da fuori probabilmente sarebbero apparsi come un magnifico quadro d’autore, ma in realtà si stava svolgendo una conversazione silenziosa.

“Mi hai raggiunto qui fuori, vuol dire che sei un’esibizionista anche tu.”

Kurt avvolse le braccia attorno al corpo di Blaine, stringendolo e premendo il proprio petto sulla sua schiena. Appoggiò il mento sulla sua spalla e sospirò.

“Se fossi stato normale, pensi che mi avresti amato lo stesso?” Chiese d’un tratto. “Cosa sarebbe successo se non avessi avuto le ali e ci saremmo conosciuti al campo come due normali ragazzini?”

“Le cose potrebbero essere diverse ma le persone non cambiano.” Ripetè Blaine. “Penso che ti avrei amato lo stesso. Io ti amerò sempre, Kurt. Indipendentemente dalle circostanze.”

Kurt sorrise stringendosi al suo corpo.” È la verità?”

Blaine non rispose, non ce n’era bisogno.

 Si voltò quel tanto che bastava per catturare le labbra di Kurt fra le sue, sussurrandogli qualcosa. E in quel bacio Kurt trovò tutte le risposte. 

 

 

 

 

 L'autrice è originaria della Malesia. Come avrete capito molte dei riferimenti e delle situazioni che descrive sono delle vere e proprie accuse alla società moderna travestite da fantasy.

In particolar modo alcune cose si riferiscono direttamente alla situazione politica della Malesia, dove l'omosessualità è ritenuta illegale e nell'aprile di quest'anno furono realmente creati dei centri di educazione. Qui un link per saperne di più.

Grazie a tutti per aver letto la storia !!

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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