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Autore: Shinushio    01/09/2011    13 recensioni
« Lovely. » mi ripete pazientemente lui accennando un sorriso soddisfatto. « Che tradotto nella nostra lingua vorrebbe dire “Amorevole”, “Ragione d’amore”. »
[…]
Avevo dieci anni quando ti ho incontrato per la prima volta; pochi mesi in più quando ho scoperto che eravamo l’implacabile eroina e il cattivo, non così cattivo, di un agghiacciante gioco ordito da forze che sfuggivano alla nostra comprensione. Rivestivamo dei ruoli che non ci lasciavano liberi di essere chi volevamo, di sapere cosa aspettarci dal mondo, di conoscere come questo girasse e quali leggi regolassero il ciclo delle stagioni. Eravamo bambini, mocciosi ingenui che, traboccanti di sogni e buone aspettative, spendevano i loro giorni a inseguire ideali che non sentivano propri e a credere a tutto ciò che veniva dato loro per oro colato.
Eravamo semplicemente stupidi, nella più rosea e tenera accezione che può rivestire questo termine.
[N/Touko]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'Sons & Parents'
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PREFAZIONE:

 

Sinceramente non so come introdurvi questa shot e forse farei più bella figura a tacere, mettermi in un angolino e lasciarvi alla lettura. Potrei anche farlo ma sarebbe troppo facile, quindi qualche delucidazione ve la devo, giusto per fingere di essere una FanWriter degna di questo nome (come no).

Allora, rimbocchiamoci le maniche.

Prima nota: quella che state per leggere NON è una storia triste, malinconica o cavolate varie. No cari lettori.

E’ dramma. Punto. Dramma puro. Fin’ora, questo almeno per chi mi conosce, avete letto ff d’altro genere, fiction comiche che al limite vi hanno fatto piangere per le risate. Ecco, sappiate che la sottoscritta ha cominciato la sua “carriera” di scrittrice col pacchetto dei clinex accanto al computer  e che la maggior parte delle storie che ha scritto sono a sfondo drammatico. Dicono di me che “faccio piangere, dilaniare il cuore e male, tanto ma tanto male” (cit. WR88). Ora, ovviamente io non mi abrogo né il diritto né la presunzione di ritenere queste parole vere (che tra l’altro devo ancora capire se siano un complimento), sarete voi lettrici, o lettori (il mio pensiero corre a te caro Jay) a decidere se lo sia o meno. Dal canto mio vi posso dire che, prima di questa shot, ho pianto mentre scrivevo solo per un’altra storia, nevvero la mia “Icaro” (e qui le fan dei GazettE vorrebbero tanto uccidermi).

Quindi siete avvisate/i: la shot è triste, non fa per le persone depresse (a meno che queste non vogliano deprimersi ulteriormente, in questo caso è perfetta) e se non volete stare male alla fine potete benissimo evitare di leggerla, non mi offendo mica. Mi/Ci/Vi fate solo che un piacere.

Seconda nota: ovvero “Shin si è evoluta” (= quando la storia non è abbastanza triste di suo, aggiungici una colonna sonora coi fiocchi).

Ebbene sì: mentre scrivevo ascoltavo ininterrottamente due canzoni giapponesi (non so se il genere vi aggrada) che consiglio vivamente di cercare e mettere in modalità “ON” durante la lettura. I titoli sono:

 

 

 

“Last Song” di Gackt

“Hikari” di Elisa (1st Nabari’s ending)

 

 

 

Allora, se preferite la voce calda e avvolgente di un uomo, vi indico la prima; se invece decidete di buttarvi su una donna, la seconda è quella che fa per voi. E se ancora preferite, potete benissimo ascoltarvele tutte e due (anche meglio).

Terza nota: vi prego, vi supplico, vi imploro, non fatevi spaventare dalla lunghezza della shot. Ci sono moltissimi spazi e alla fine conta appena poco più di 4500 parole (calcolate che sto scrivendo una storia i cui capitoli sfiorano le 20.000).

Quarta nota: beh sì, questa è scontata, ma ovviamente vi chiedo di lasciare un commentino alla fine per dirmi che ne pensate. Credo possiate immaginare quanto sia stato difficile scrivere una… cosa del genere, considerando il fatto che, ogni cinque righe, mi dovevo fermare perché avevo gli occhi offuscati dalle lacrime (beh, io non faccio testo dato che sono riuscita a piangere anche vedendo “Cenerentola” e “Le Follie dell’Imperatore” XD). Quindi occhio.

Quinta nota (IMPORTANTE): la storia è ambientata in un ipotetico futuro, dove Touko ed N hanno venticinque anni. Ora, pur essendo che il contesto che ho scelto è “videogioco”, e che quindi è impossibile determinare l’OOC e l’IC di un determinato personaggio, sappiate solo che, vista la situazione, il cambio età e la situazione che ho deciso di narrare, i caratteri dei personaggi potranno non corrispondere alle aspettative e all’idea che vi siete fatti di loro. Oltretutto ho cambiato anche l'età dei personaggi quando si sono incontrati la prima volta, 10, non 15. Occhio.  

Sesta nota: le parti scritte in corsivo a sinistra sono riferite al passato, quelle normali a sinistra al presente.

Ecco, finito. Scusatemi se mi sono dilungata forse un po’ troppo, ma credetemi, meglio abbondare che non.

Spero di trovarvi ancora in fondo.

Buona lettura.

 

 

_______________________________________________________________________________

 

 

 

~Unbreakable Love Bond~

 

 

 

C’eri tu al mio fianco, bene o male c’eri sempre stato, o almeno così ti ci avevo sempre sentito. Non ho mai smesso di avvertire la tua presenza, il calore che emanava il tuo corpo, nemmeno quando te ne sei andato, in cerca di risposte, dopo la nostra ultima battaglia.

Avevo dieci anni quando ti ho incontrato per la prima volta; pochi mesi in più quando ho scoperto che eravamo l’implacabile eroina e il cattivo, non così cattivo, di un agghiacciante gioco ordito da forze che sfuggivano alla nostra comprensione. Rivestivamo dei ruoli che non ci lasciavano liberi di essere chi volevamo, di sapere cosa aspettarci dal mondo, di conoscere come questo girasse e quali leggi regolassero il ciclo delle stagioni. Eravamo bambini, mocciosi ingenui che, traboccanti di sogni e buone aspettative, spendevano i loro giorni a inseguire ideali che non sentivano propri e a credere a tutto ciò che veniva dato loro per oro colato.

Eravamo semplicemente stupidi, nella più rosea e tenera accezione che può rivestire questo termine.

Un flebile raggio lunare squarcia timidamente le tende appena socchiuse, illuminando la culla ai piedi del nostro talamo nuziale. C’è qualcosa di sinistro in quei soffici veli di raso bianco perla, di raccapricciante nel legno e nel fiocco che troneggiano proprio sulla cima, di straziante nel quasi impercettibile scricchiolio che questa produce di tanto in tanto dondolando su se stessa.

Mi stringo nel plaid che ci avvolge, ripiegandomi appena senza avere la forza per distogliere lo sguardo: lo avverto chiaramente, questo senso d’inadeguatezza, questo pericolo alle porte, la paura di fallire e di perdere tutto ciò che mi è più caro. Ed è buffo, sai? Perché, a pensarci bene, noi quel tutto lo abbiamo già perso. Non è forse così, N?

 

 

 

« Violet, Aleteia, Cecil… »

« Per l’amor del cielo, Cecil no! Dopo ce la chiameranno “Celil la Petilil!” »

N alza lo sguardo dal tomo che sta consultando e mi guarda perplesso, le labbra arricciate in un sardonico sorriso e gli occhi falsamente divertiti.

« Ma dimmi un po’, te le sogni la notte o ti vengono così dal niente, eh Touko? »

Ricambio l’occhiataccia storcendo infastidita il naso, continuando a leggiucchiare apaticamente l’interminabile elenco di nomi che reggo tra le mani, frutto di ore e ore spese a navigare su Internet e a sorbire le chiacchiere concitate di parenti e amici.

« No, è pura e semplice constatazione dei fatti. »

« Quella che in pratica la gente comune chiama pazzia quindi… »

 

 

 

Ho sempre amato la sottile ironia, mescolata a una buona dose di autocritica, di cui era ed è tutt’ora intrisa ogni tua singola parola.

Quando sei tornato, dopo sei anni di totale silenzio, ho capito immediatamente che avevi trovato le risposte che smaniavi, oltre che esserti fatto carico degli sbagli e delle ingiustizie che, strada facendo, hai commesso.

Tutti sbagliamo, nessuno è perfetto, ed ogni volta che ti guardo, che mi specchio nei tuoi occhi tanto vivi quanto coscienti, sento gravare sulle mie spalle tutta l’ingenuità e la frivolezza con cui ho guardato il mondo fino a quando non sei riapparso. E ho pensato lo avessi fatto per me, per insegnarmi, per prendermi la mano e mostrarmi ciò che avevi scoperto durante la tua lunga assenza, con occhi nuovi, occhi di un adolescente non più bambino che finalmente comincia a rendersi conto che ogni cosa ha un suo perché e che sta a noi stabilire se sia giusta o sbagliata. Hai imparato cosa sia il limite, hai conosciuto te stesso e mi hai reso la ragazza più felice e fortunata della Terra quando mi hai permesso di entrare nel tuo mondo.

E io mi sono lasciata trascinare, questa è la verità. Senza il benché minimo orgoglio, senza chiedermi se fosse corretto o meno, ho cominciato a credere ciecamente a quello che mi dicevi.

Dipendevo morbosamente da ogni tuo piccolo singulto.

 

 

 

« Che ne dici di Lovely? »

Guardo N con cipiglio incerto, come a voler evidenziare il mastodontico punto interrogativo che aleggia senza pudore sopra la mia testa.

« Love-che? » gli faccio eco. Io e l’inglese non siamo mai andati particolarmente d’accordo, come possono confermare fior fior di pagelle e colloqui genitori-insegnanti che conservo pressoché intatti nella mia memoria.

« Lovely. » mi ripete lui pazientemente accennando un sorriso soddisfatto. « Che tradotto nella nostra lingua vorrebbe dire “Amorevole”, “Ragione d’amore”. »

 

 

 

E Lovely fu

 

 

 

Scosto le coperte poggiando delicatamente la punta dei piedi sul pavimento liscio e freddo della camera. Al contatto con questo rabbrividisco appena, per poi farmi forza ed alzarmi, rimanendo lì, ferma immobile a fissare il vuoto per un lasso di tempo indeterminato.

Lovely è stato amore a primo acchito, mi è piaciuto subito. Ho impiegato dieci minuti per imparare a scriverlo coi caratteri occidentali, venti a convincermi che fosse quello giusto, trenta a capire che quella creatura, che cresceva di giorno in giorno dentro la mia pancia, avrebbe coronato e reso completa la nostra storia d’amore. Lovely era il nostro traguardo,  la cosa più giusta che potessimo fare, nonché la più meravigliosa. Con lei, ogni nodo si sarebbe districato, ogni dubbio dissolto, ogni insicurezza cancellata, facendoci così essere finalmente alla pari. Nessuno avrebbe più trainato l’altro o ne sarebbe dipeso e avremmo consacrato definitivamente il nostro legame in quanto tale. Saremmo diventati un tutt’uno, l’uno parte dell’altra, e io avrei messo a tacere i miei sensi di colpa.

 

 

 

La testa di N grava sul mio pancione da un po’ di tempo ormai, un peso tutt’altro che spiacevole se devo essere sincera.

All’improvviso, una contrazione.

Lui sorride cercando il mio sguardo.

« Ha scalciato, hai sentito? »

Tengo per me un commento acido e sorrido a mia volta.

« Non fa altro dalla mattina alla sera, credo non veda l’ora di uscire da qui. » rispondo inseguendo la sua mano e poggiandola lì dove so battere il cuore di nostra figlia.

Lui annuisce e chiude gli occhi, concentrandosi per captare ogni più piccolo rumore.

« Vorrà conoscere quella testa calda di sua madre… »

« …oppure quello stupido di suo padre. »

Ridacchia appena, silenzioso e accorto, come a non voler destare la piccola Lovely dal suo sonno lieve.

« Toglimi una curiosità… » si solleva di un po’ così da potermi fronteggiare più dignitosamente « Da dove ti esce la convinzione che il bimbo sia una femmina? »

Ci penso un po’ su, aggrotto le sopracciglia ed infine scrollo ingenuamente le spalle.

« Lo so e basta. Sono una madre e una madre le sente queste cose. » rispondo cercando più che altro di convincere me stessa: l’idea che Lovely possa uscire con “qualcosa” di inatteso tra le gambe non mi ha mai sfiorato l’anticamera del cervello « …e poi sarebbe un bel guaio, dato che sono all’ottavo mese e non abbiamo mai pensato a un nome maschile. »

N intreccia le mie dita tra le sue per poi posarvi sopra un delicato bacio.

« No, è femmina, queste cose le sente anche un padre. Non voler essere per forza sempre tu sotto i riflettori, egocentrica. »

 

 

 

Io e te, caro N, siamo cambiati da quando eravamo due semplici bambini, o almeno io mi sento di esserlo. Mi chiedo se anche tu te ne sia accorto e se per caso provi la stessa nostalgia e lo stesso dolore che ora ghermiscono il mio cuore. Ogni mattina, quando mi alzo e mi guardo distrattamente allo specchio, trovo una venticinquenne ad accogliermi e ricambiare le mie occhiatacce, scavare nelle viscere del mio cuore e cercare una risposta a tutte quelle preoccupazioni e quelle ansie che mi assillano da un po’ di tempo a questa parte.

Ed è impossibile non chiederselo, impossibile ignorarlo: dov’è finita la Touko Campionessa della Regione di Unima? Quella ragazzina esuberante, sprezzante del pericolo, infantile e col sorriso sempre appiccicato alle labbra? E tu, N, ora così dolce, protettivo, ironico ed inconsapevolmente pieno di te: perché non mi guardi più, come una volta, dall’alto in basso? Perché sei sempre così accondiscendente nei miei confronti? Mi ami o lo fai per redimere i tuoi peccati? In fin dei conti, quella tetra ed annebbiata notte di quindici anni fa, tipico cliché che ci si aspetterebbe da un film horror, tu mi hai abbandonato, sei scappato, erigendo così un muro tra noi che poneva definitivamente te sempre un passo davanti a me. E ancora adesso, ora che ti guardo dormire seraficamente ed ignaro di tutto, cerco di raggiungerti e di prenderti nuovamente la mano.

Per la prima volta mi rendo conto di quanto tu sia stato, e sia tutt’ora, incredibilmente distante da me.

 

 

 

Un dolore improvviso mi desta nel cuore della notte, la gola arida come il deserto del Sahara e le corde vocali attorcigliate in un fastidiosissimo nodo, incapaci di produrre alcun suono.

Mi guardo attorno spaventata, pensando a un aggressore, un qualcuno che mi possa aver colpito brutalmente alla pancia, forse un ladro, quando mi rendo conto dell’alone scuro e umidiccio sopra il quale il mio sedere poggia.

Ed è il panico.

Tendo immediatamente la mano tremula in direzione del mio compagno cominciando a scuoterlo come fosse una bomboletta spray.

« N! N svegliati, veloce! Mi si sono rotte le acque! » urlo in preda al terrore e alle prime contrazioni.

Quello mugugna qualcosa di poco chiaro, lambendo la propria parte di coperta e nascondendocisi dietro.

«…vuoi dell’acqua? Non puoi aspettare domani? Adesso ho sonno… » brontola affondando la testa nel proprio cuscino, più che mai intenzionato a ripiombare a capofitto nel confortevole mondo di Morfeo.

Non ci vedo più: afferro l’elenco telefonico che, per un caso della sorte, sta lì, dimenticato sul mio comodino, e gli colpisco la testa con tutta la forza che ho, e neanche sapevo di avere, in corpo. E finalmente lui si sveglia, portandosi le mani alla nuca e lanciandomi un’occhiataccia iraconda.

« Ma si può sapere che… » comincia, venendo però quasi subito interrotto dalla sottoscritta.

« MI SI SONO ROTTE LE ACQUE, CRETINO! E NO, NON POSSO CERTO ASPETTARE FINO A DOMANI!! » strillo in preda all’ansia cercando inutilmente di darmi un tono e di praticare la respirazione “cagnolino”, che ho imparato al corso pre-parto.

N mi fissa basito, la mascella che rasenta il pavimento ed un’immensa sorpresa a deturpargli gli occhi provati, ultimo coronamento della demenzialità e della tragica comicità di cui è pregna fino al midollo quella situazione.

« Porca miseria! » esclama infine ficcandosi le mani tra i capelli.

Penso che mai commento fu più azzeccato di quello.

 

 

 

In quell’occasione ho avuto modo di constatare che l’N che conoscevo, o meglio che credevo di conoscere, sapeva essere anche un gran pasticcione.

Sai, N: per me che fino a quel giorno ti avevo sempre considerato una creatura perfetta (una contraddizione dato che comunque avevi, e non facevo finta di ignorare, un sacco di difetti), è stata una sorpresa scoprirti così impaziente, così preoccupato, così semplicemente incapace di tenere ogni cosa sotto il tuo controllo. E’ stata la volta in cui ti ho visto più umano, non come adesso che, anche se sei lì, steso sul nostro letto e privo di sensi, ti vedo etereo e terribilmente “sbagliato”.

Sbagliato per vivere in questo mondo.

Sbagliato per esser così buono (che troppe volte finisce con l’essere sinonimo di “stupido”).

Sbagliato per la tua troppa intelligenza.

Sbagliato… per stare al mio fianco.

E mi chiedo: la risposta che cerco, la completezza che bramiamo, alla fine siamo riusciti a raggiungerla?

 

 

 

Un urlo prorompente si leva per aria strappando un sorriso entusiasta a tutti i presenti, me compresa.

L’ostetricia e il medico Talker, un ometto brizzolato dall’aspetto rassicurante, annuiscono col capo maneggiando un fagotto bianco a tratti macchiato di rosso e acqua. Piccoli lembi e residui d’epidermide ne solcano la superficie rugosa.

« Complimenti signora, è una bella bambina. » mi annunciano porgendomi la piccola con una delicatezza che ha del surreale.

Ignoro l’appellativo obbrobrioso con cui mi si sono rivolti e, tra le lacrime e i sospiri affaticati, tendo le mani sfiorando il corpo esile della piccina. Quando poi realizzo compiutamente che quella che stringo al petto è mia figlia, mia e del mio amato N, sento qualcosa di intenso e così bello da far paura dilaniarmi il cuore.

Così felice, così realizzata, così… completa. Ora finalmente comprendo le parole di mia madre e tutti quei discorsi su quanto sia meraviglioso dare alla luce un figlio. E lo comprendo specchiandomi negli occhietti neri di Lovely, la quale frigna dimenando i pugnetti e calciando il vuoto anzi a sé come stesse combattendo un misterioso nemico.

E’ viva, è sana e forte (a giudicare dall’ugola che vanta senza vergogna alcuna) ed io sono così felice che non trovo neanche le parole per riuscire a dire o pensare quanto bella sia quell’esperienza. Forse nemmeno Dio sarebbe in grado di comprendere appieno fin dove la mia gioia arrivi.

« Allora? Come la chiamiamo questa pulzella? »

Soffoco un risolino incredulo.

E’ semplicemente incredibile: più la guardo, più mi chiedo come ho fatto a vivere fino a quel giorno senza di lei, come un corvo che, dopo aver volato e visitato ogni paese del mondo, si rende conto di avere due ali e della bellezza di cui i suoi occhi si sono beati in tutto questo tempo.

« Lovely. » rispondo infine coronando il nostro sogno e comprendendo che, con quel nome, si chiude finalmente un cerchio fino a quel momento rimasto incompleto.

Tutto è meravigliosamente perfetto. Mai il mondo mi è sembrato più bello.

 

 

 

Mi avvicino alla finestra tendendo le mani e sfiorando il vetro umido, bagnato dalla condensa dovuta allo sbalzo di temperature registrate fra fuori e dentro. Lentamente, schiudo le tende e mi abbandono impotente ai malinconici raggi lunari, nulla a che vedere con l’esuberanza e la prepotenza della luce solare.

Anche quella sera la luna se ne stava là, alta in cielo, a vegliare su di noi. Quella notte così desiderata, così cercata, così semplicemente nostra. Niente di tutto ciò aveva fatto pensare o presagire il più piccolo imprevisto, la più trascurabile pecca. Eppure lo sanno tutti no? E l’avevo già provato in passato, quando mi hai abbandonato saltando in groppa al tuo Zekrom e non facendoti sentire per anni e anni. Quando tutto va così meravigliosamente bene, quando credi che niente possa andare storto, stai bene attento a non urlare: il dolore ha il sonno lieve.

Quanto ho strillato dalla gioia quel giorno. Quanto mi sentivo stupidamente inviolabile mentre stringevo tra le braccia la mia piccina.

Quanto sono stata scema.

Chiudo gli occhi, sopraffatta dal dolore, un artiglio conficcato nel mio cuore e che non riesco ad estrarre in alcun modo.

Mi volto appena, dando le spalle al mondo al di fuori e posando il mio sguardo su di te, chiedendomi come tu faccia a dormire così beatamente, come niente fosse. E lo fai ogni notte, dopo avermi stampato il bacio della buonanotte sulla fronte: entri nel letto, chiudi gli occhi e ti addormenti meccanicamente, seguendo un ciclo naturale che però io non mi sento più di condividere.

Lascio che le mie gambe mi conducano, come ogni volta, ai piedi della culla, che le mani sfiorino il tulle e le paperelle che ho ricamato, col sudore sulla fronte, sulla copertina. Una delle tante peripezie che ho tentato per il gusto di mettermi alla prova mentre ti aspettavo, cara Lovely. Anche quel vestitino, quello rosa coi merletti e il fiocchetto sui polsini, te l’ho cucito sentendoti vivere e crescere dentro di me.

Quanto mi mancano quei tempi.

Quanto mi manca sentirti viva nel mio grembo.

Il legno del lettino scricchiola appena sotto il mio tocco gentile, lo fa sempre.

Soffoco un singulto, mi sforzo di non pensare a quanto sia sbagliato tutto questo, mentre le mie mani cercano e trovano il velo che copre il lettino. Lo sollevo senza indugi guardandovi dentro.

Vuoto. Sotto quella maledetta copertina, che ho cucito con tanto amore e dedizione, non c’è che un flebile ed ormai svanito sogno a riposare beato ed inconsapevole del dolore che mi procura.

Nessun corpicino soffice e morbido.

Nessun visetto d’angelo e guanciotte paffute.

Nessun urlo improvviso nel cuore della notte a destare me o N.

Quella culla, così terribilmente fuori posto e sbagliata, non contiene che il ricordo di una speranza ormai morta e sepolta dentro di me.

 

 

Mi sveglio poco dopo grazie alla flebile luce che filtra dispettosa dalle tende, un N sorridente ed entusiasta sedutomi accanto e la sua mano incastrata tra i miei capelli.

« Allora? Come stai? Tutto bene? » mi fa tracciando qualche cerchio concentrico sulla mia fronte madida di sudore. Le sue dita scorrono eleganti ed aggraziate come stessero tingendo una tela.

Annuisco forzando un sorriso quanto più disteso possibile.

« E’ femmina… avevo ragione. »

« Avevamo. » mi corregge lui giocherellando coi miei capelli.

« L’hai già vista? Quando ce la portano? Voglio stringerla di nuovo. »

Mi sorride, sembra tranquillo, posato.

« Non saprei, immagino che i medici la stiano sottoponendo a qualche ultimo controllo, no? »

 

 

 

No

 

 

 

Ricordo come fosse ieri gli occhi di Lovely, traboccanti di vita.

Ricordo anche meglio la schiera di lettini che, andandomene dall’ospedale, mi sono soffermata a guardare. Numero 1, numero 5, numero 28, numero 33… una matassa di brandine in ferro l’una dietro all’altra dalla quale emergevano braccia vive e attive, tutte uguali tra loro. Niente a che vedere con quelle di mia figlia, così uniche, così belle, così semplicemente perfette. C’è chi dice che la perfezione non sia di questo mondo, che illudersi di raggiungerla sia da stolti o da pazzi: beh, io dico che quel qualcuno non è mai diventato né madre né padre.

 

 

 

« Cosa vuol dire che non posso vedere mia figlia?? »

Il dottor Talker china il capo incapace di sostenere il mio sguardo, la mano di N stringe delicatamente la mia nel vano tentativo d’infondermi coraggio.

« Vede signora… »

« SIGNORINA! » lo riprendo infuriata ignorando le calde lacrime che mi solcano le guance offuscandomi la vista.

Perché piango? Perché, caro N, mi stai abbracciando e sussurrando parole di conforto all’orecchio?

Non capisco. Forse, più semplicemente, mi rifiuto di farlo.

L’uomo trattiene il respiro lanciando un’occhiata supplice al ragazzo, che però lo ignora.

« Vede, signorina… » comincia di nuovo sempre evitandomi come fossi appestata e quindi contagiosa « …sua figlia ha avuto un attacco di ab ingestis, più comunemente chiamata polmonite chimica, e… »

« NON ME NE FREGA NIENTE DI QUESTO STRAMALEDETTISSIMO ATTACCO DI AB NON SO COSA! PORTAMI LOVELY IMMEDIATAMENTE CRETINO!! » urlo posseduta da qualche spirito demoniaco.

Questo idiota: quanto gli ci vuole per capire che, in quanto madre, ho tutto il diritto di vedere la mia piccina? E a che cavolo mi serve sapere il nome della malattia che loro, in quanto medici, sono sicuramente riusciti a guarire?

Sono dottori, no? Salvano le vite, no? Specie quelle appena affacciate a questo lurido mondo, NO??

L’abbraccio di N si fa più forte, più soffocante, quasi a volermi sopraffare.

« Touko… » sussurra impercettibile al mio orecchio.

Mi volto in sua direzione e lo guardo, lo riguardo ancora senza capire.

« N dì qualcosa! E’ anche tua figlia, hai tutto il diritto di vederla! » strillo scansandomelo malamente di dosso.

Talker si avvicina, mi prende la mano e finalmente i suoi occhi incrociano i miei.

Finalmente capisco.

« …non ce l’ha fatta. » dice semplicemente.

 

 

Accarezzo l’orecchio dell’orsacchiotto di pezza adagiato sulla mensola rosa anzi a me. Poco distante, un cavallo a dondolo oscilla appena guardandomi coi suoi occhi freddi e neri. Una bambola di pezza mi sorride sinistramente tendendo le mani in mia direzione. Le scarpette di lana, che N mi ha regalato quando mi ha confessato che gli sarebbe piaciuto avere un figlio, aspettano ancora nel cantuccio vicino al focolare. Il ciuccio con la catenina di plastica mai usato che attende di essere mordicchiato. Il libro di favole mai letto e coperto da una patina di polvere, dimenticato sul tavolino accanto alla culla, mai utilizzata.

Ogni cosa qui mi ricorda te, piccola Lovely, anche se non hai mai avuto il tempo di vederle o giocarci.

La vedi questa camera? Ti sta aspettando, sai?

Te e nessun altro cuore mio.

 

 

 

« Touko non fare così… » N mi asciuga l’ennesima lacrima combattendo fieramente per trattenere le sue. « Avremo altri figli, quanti ne vorremo, te lo prometto. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altri figli?

 

 

 

Rabbrividisco appena lanciandoti un’occhiataccia di puro odio, perché dormi pacificamente nel nostro letto e non sei qui, a reggere questo fardello, questo dolore straziante, con me.

Ripenso ancora a quella frase, detta così, senza secondi fini, per risollevarmi il morale e darmi la forza necessaria per dimenticare ed andare avanti. Non ti è mai passato per la testa che, così facendo, mi avresti demolito e basta.

Hai liquidato Lovely con due parole messe in croce, ne hai parlato come fosse un oggetto, un peso che mi legava al suolo impedendomi di volare verso il futuro.

Ma non capisci N? Per me e te non c’è più alcun futuro. Lovely avrebbe dovuto coronare il nostro amore e renderlo completo, perfetto, giusto. Senza la nostra “ragione d’amore”, che motivo abbiamo per stare assieme?

In questa stanza, mai vissuta e pregna di morte, io sento mia figlia più vicina di quanto mi sia tu, viva e vegeta nel mio cuore.

 

 

 

« Le stia vicino: perdere un figlio è lo shock più forte che possa vivere una donna in tutta la sua vita. Potrebbe condurla alla pazzia… »

N annuisce, incurante del fatto che io sia lì e senta tutto quello che lui e Talker si stanno dicendo.

« Stia tranquillo, ci penso io. »

 

 

 

Nelle nebbie della follia,

del dolore,

dell’odio

e della solitudine,

finalmente ogni cosa mi fu chiara

 

 

 

Appoggio delicatamente i giocattoli che gli amici più intimi ci hanno regalato per la piccina, in particolare il peluche di Emboar di Komor: davvero di pessimo gusto per la nostra principessina, non trovi N?

Mi dirigo verso l’armadio e comincio a svuotarlo, a prendere tutti i vestiti e le mie cose che poi non so come riesco a far stare dentro la mia borsa da Allenatrice e un borsone da viaggio. Prendo anche il libro di favole che ci ha prestato Belle, credo che a Lovely sarebbe piaciuto sentirsi raccontare qualche bella storia. Cenerentola, Biancaneve, la Sirenetta, la bella Addormentata nel Bosco. Secondo te, N, quale sarebbe stata la sua preferita? Da quale avrebbe desiderato travestirsi a Carnevale? Quale fiaba ci avrebbe chiesto di rileggerle cento volte fino a impararla a memoria?

Mi trascino verso il nostro letto, le borse in spalla: tu dormi, continui imperterrito a tenere gli occhi chiusi davanti al mio dolore, cerchi un sollievo che sai di non poter trovare riflesso in questi.

Sorrido appena e, facendo attenzione, mi siedo affianco a te. No, in verità non sono arrabbiata, ho semplicemente sbattuto il naso contro il muro della realtà, proprio come tu hai fatto a tuo tempo.

Ora, finalmente ho capito.

« Sai, N… » comincio allungando timidamente una mano verso i tuoi capelli e sfiorandoli coi polpastrelli sudati per via della tensione « …ieri ho sognato Lovely, di nuovo. Avrà avuto cinque anni su per giù. »

Improvvisamente, qualcosa di freddo e viscido solca il mio zigomo sinistro mozzandomi le parole in gola. Lentamente, mi porto una mano sul volto e lo strofino così forte che sento la pelle bruciare, ardere viva sotto il mio tocco.

Sto piangendo. Dopo tanto tempo, sto di nuovo piangendo. E io che credevo ingenuamente di aver esaurito tutte le lacrime quando mi è stata annunciata la morte della nostra piccina. Che stupida, eh?

« Aveva i tuoi capelli. Una cascata di capelli lunghi e verdi, appena un po’ mossi. » continuo studiando, per quella che so sarebbe stata l’ultima volta, il tuo volto, beatamente addormentato ed innocente. « Eravamo al parco giochi, passavamo la giornata assieme, proprio come una vera famiglia. »

Mi interrompo per costringermi a guardarti ancora, per trovare una ragione valida che mi convinca che sto sbagliando, che il mio posto è qui, con te, nella casa che abbiamo faticosamente comprato e in questo letto che abbiamo sempre condiviso. Io ti amo N, ti amo con tutta me stessa e so che non c’è spazio per nessun altro uomo nella mia vita all’infuori di te. Lasciarsi guidare da una persona così meravigliosa quale sei è la cosa più bella che ci sia e sono davvero felice di averti incontrato e imparato a conoscere in tutti questi anni. Mi hai insegnato così tanto, mi hai reso migliore, hai mitigato il mio caratteraccio preparandomi ad essere una madre dolce, responsabile e capace d’amore.

No, N, non sei tu quello che ha sbagliato. Se c’è qualcuno che l’ha fatto, qualcuno che davvero non merita perdono, quella sono io. Tu mi hai donato tutto quello che si può desiderare, mi hai permesso di entrare dentro il tuo cuore e leggerti l’anima e io, invece, come ti ho ripagato? Mi sono comportata come fossi un peso, ho approfittato delle barriere che hai involontariamente eretto per obbligarti a trainarmi, ho sempre capito e interpretato ciò che mi dicevi come volevo, non per quello che effettivamente era. E anche adesso sono colpevole perché se la nostra storia sta per finire, se non ci vedremo più, se farò soffrire egoisticamente entrambi, il merito è solo mio.

« So che saresti stato il miglior padre del mondo: sono pronta a scommettere che Lovely si sarebbe perdutamente innamorata di te. Sei così buono che è impossibile non amarti, N. » sussurro tra le lacrime piegandomi appena e cingendo il tuo volto tra le mani « Ed è per questo che ti chiedo perdono. »

Ti bacio la fronte, rilassata e liscia, per poi posare le mie labbra un’ultima volta sulle tue, scoprendole morbide come sempre.

Mi sollevo, ti rimbocco le coperte e mi sistemo le borse: è tempo di andare, Lovely mi aspetta…

« Addio, N. »

Senza il minimo ripensamento, senza voltarmi un’ultima volta, credo per paura, non per altro, esco dalla camera chiudendomi delicatamente la porta alle spalle.

Non odiarmi se puoi e cerca di capirmi: ho finalmente trovato la risposta al vuoto che corrode il mio stomaco da troppo tempo e, come te prima di me, non posso fare a meno di andarmene. Tu te ne sei andato anni or sono bramando delle risposte che, una volta trovate, ti hanno portato da me; io me ne vado perché è la fuga la risposta che cercavo.

Raggiungo Lovely, ovunque lei sia.

Per fare la madre, che tu mi hai insegnato ad essere.

Per vestirla e coprirla di baci e carezze.

Per raccontarle le fiabe più belle e di come io e te ci siamo incontrati.

Per non farle mancare almeno uno dei due genitori e quindi costringerla alla solitudine.

Per narrarle di te e rassicurarla sul tuo arrivo.

Perché tu ci raggiungerai N, ovunque ci troveremo: e noi, per allora, saremo pronte ad accoglierti a braccia aperte.

Finalmente potremo essere una famiglia perfetta.

 

 

 

 

 

 

The end

 

 

____________________________________________

 

NOTE SCONCLUSIONATE DELL’AUTRICE:

 

Dunque se siete arrivati per davvero fin qui, allora vi devo fare le mie più sincere congratulazioni. Mi auguro di cuore che la storia non vi sia sembrata noiosa e che vi piaccia più di quanto piaccia a me. Oh beh, vi posso dire a cuor sereno che ci sono dei pezzi che aborro con tutta me stessa ed altri invece che più o meno mi soddisfano. Ho lasciato il finale volutamente aperto, senza dire a chiare lettere che la cara Touko si sta per suicidare (o almeno così la intendo io, poi ogni lettore può interpretare la storia come meglio crede, sia chiaro) per il semplice fatto che non volevo creare “Icaro 2: la vendetta”. Quindi boh, magari se ne sta andando e basta, chi può dirlo?

Una precisazione sul nome “Lovely”: tralasciando il fatto che è volutamente scopiazzato da quello che porta la figlia del cantante giapponese Miyavi, è vero, la traduzione letterale vuole che all’italiano sia “amorevole”, ma può essere poeticamente tradotto con “ragione d’amore”, proprio come detto da N (non me lo sono inventata >.<).

Penso di aver riletto questa shot non meno di dieci volte prima di postarla nella versione che state leggendo: alla fine di quest’interminabile auto-betaggio ho deciso che questa stramaledettissima storia (scusate il gergo), che ha cercato di uccidermi svariate volte facendomi disidratare a suon di pianti, andava bene così com’era e che, diavolo, se trovate qualche errore o stonatura fatevi avanti, indicatemeli e io li correggerò. Poi beh, dato che sono quasi le sei del mattino e che finalmente sto per andare a letto, apprezzate per favore pure questo (e non crediate che l’abbia scritta in uno giorno solo).

Spero davvero che la storia vi sia piaciuta. Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate per favore.

Un bacio e alla prossima (che credo sarà o con la famosa Lance/Sandra, promessa ad Akemi, o con la Green/Blue: in ogni caso il tono tornerà a farsi leggero e comico, non temete XD).

 

 

 

 

 

Shin

 

 

   
 
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