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Autore: Daequan    02/09/2011    2 recensioni
Tutti gli amori, ahimè, son destinati a fine prematura. Anche quelli impossibile. Soprattutto quelli impossibili. (p.s. come al solito non so perdere il gusto per il colpo di scena e per quell'altra mia tematica a cui non rinuncio nemmeno per trattare l'amore. Chi mi ha già letto non sa cosa aspettarsi, ma almeno ha il premio di sapere che deve aspettarsi qualcosa. Buona lettura a tutti.)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Perché non posso toccarti? Perché?!"

 

Le guance di Irene sono scavate di pianto, e non c'è nulla che Ovidio possa fare, se non mettere in chiaro come stan le cose.

Il che sarebbe anche peggio, maledizione!, perché non sarebbe consolante ma deleterio e distruttivo.

Irene, certo, rimarrà gravida di rancore e impotenza, ma Ovidio deve disvelare la verità.

 

"Irene, no, non puoi più toccarmi.."

"Cazzo, Ovidio, perché?! Devi dirmi cosa succede!"

"Irene, calmati. Noi non possiamo più parlare, non è che non possiamo più soltanto toccarci!"

"Abbiamo parlato per ore, giorni, mesi! Forse anni!"

"Anni no, ma..."

"Ma non mi importa affatto, io voglio toccarti!"

"Irene...dobbiamo chiuder qui i nostri rapporti!"

"No, io voglio parlarti, toccarti, stare con te!"

"Ma non possiamo!"

"Perché?!"

 

Giù le lacrime fino a valle. Che scorrano, se occorre proprio.

 

"Irene, io..."

"Tu mi hai fatto innamorare di te! Con le tue parole! Non c'è nulla che io ricordi senza di te!"

"E' ovvio! E' dettato dalla tua condizione!"

"E' perché ti amo, certo! Io voglio toccarti!"

"Leggi!"

 

Irene si trova di fronte un foglio che le vien messo di fronte, nera di dolore. E' scritto chiaramente da uno psicologo, e non dice bene.

Ovidio le vede cambiar luce negli occhi parola dopo parola senza poterla biasimare: schizofrenia, difficoltà di socializzazione, creazione di un mondo di fantasia, progressiva perdita di contatto con la realtà.

Sono pesanti scariche di proiettili che la crivellano senza pause. 

Chissà, forse se gliele avesse lette lui a voce con un ritmo meno incalzante sarebbe stato meno doloroso. Ma come il coltello ferisce per sua natura, così quella diagnosi espressa in quella carta è, secondo la propria natura, esplosiva per chi ama il paziente.

E a ricoprire il ruolo del paziente in quel documento, chiaramente, è Ovidio.

 

"Ma, amore mio...tu sei schizofrenico?"

"Sì, Irene, lo sono."

"Ma a me sei sempre sembrato..."

"Normale, lo so, ma, vedi.."

"No! Non normale!"

 

Ovidio attende le parole che devon seguire con sorpresa. Quella pausa sembra essa stessa incredula di trovarsi lì.

 

"...meraviglioso! Fottitene dello strizzacervelli!"

"Noi dobbiamo separarci, ricordi?"

"No, aspetta, so cosa intendi! Ho capito: tu temi per me, perché mi ami troppo ma..."

"Irene, aspetta.."

"...io resterò al tuo fianco! Combatterò con te!"

"No, Irene..."

"Io non ho paura di te, e non ne avrò mai, e non me la metterà certo un pezzo di carta!"

 

Ovidio in fondo doveva attenderselo. Non poteva essere facile. Non con Irene, che ora lo abbracciava teneramente dalla schiena, lasciando che i suoi capelli lambissero il collo e le spalle di lui.

Egli non riusciva a staccarsi da quell'abbraccio. Non riusciva.

 

"Irene..."

"Amore mio..."

 

Ovidio adesso comprendeva di non aver immaginato. Era molto più difficile del previsto, non aveva messo in conto la sofferenza di lei. Solo adesso aveva pensato a tutto ciò.

Forse non ce l'avrebbe mai fatta, pur dovendo. Per lo scoramento si mise a piangere e questo non lo aiutò: Irene lo abbracciò più forte, baciandogli il collo con amore infinito.

Quell'amore che aveva cercato, voluto, creato.

Non voleva spezzarlo...ma doveva.

Ovidio doveva.

 

Scattò per scostarla quasi con violenza, allontanandosi come un orso ferito.

Quello sguardo che seguì non l'avrebbe mai dimenticato.

Occhi verdi di cerbiatto, colmi di lacrime.

 

"Che...che cosa c'è, amore mio? Mi ha...hai quasi fatto male!"

 

Irene riprese a piangere senza smettere di guardarlo fisso.

Ovidio invece fu preso dalla rabbia.

 

"Irene, non possiamo! Non puoi! E' colpa tua, cazzo!"

"Co...cosa ho fatto, amore mio? Io...cosa ho fatto? Io ti amo profondamente, amore mio! Ti amo così come sei!"

"Non devi, cazzo, rendi...tutto più difficile!"

"Ma..."

 

L'umidità delle lacrime di entrambi era insostenibile per Ovidio. Non poteva continuare la mascherata. Doveva del rispetto a se stesso.

 

"Irene, io sono schizofrenico, sono due persone, lo capisci?!"

"Ma-io-non-ho-pa-u-ra! Non ne ho! Capisci? Amo te indifferentemente dal numero delle tue personalità!"

"Irene, io non sono due personalità, sono due persone!"

"...l'ho capito, non urlare, per favore, io accetterò entrambe queste persone!"

"No, Irene, io sono due persone, cazzo, ma sono uno solo, tu ami uno solo, puoi amare uno solo!"

"Io posso amare quante persone voglio, se appartengono a te, ok? Io ti amo! Stai calmo!"

"Non sto calmo, cazzo! Tu ami solo uno, io sono due persone ma anche uno dei due e basta!"

"Amore, ho capito che sei due persone, non sono stupida, non urlarmi addosso!"

"Non hai capito, io sono uno dei due! Capisci?"

"Sì che capisco! L'hai già detto, non urlare, ho capito!"

"Irene, cazzo! L'altra sei tu!"

 

L'incantesimo è rotto d'un colpo. Non c'è più nulla, forse nemmeno gli occhi spalancati di Irene dopo il disvelamento.

Solo il buio della stanza, e una crescente luna di calma.

D'altronde uno schizofrenico non può sbarazzarsi dell'altra sua personalità (o, per dirla con Ovidio, persona) senza un minimo d'addio o di spiegazione. Certo, lo psicologo direbbe che quella non è una persona, e non va trattata come tale e che bisogna uscire dalla situazione il più in fretta possibile e basta, senza compromettersi. Ma basterà tacere quest'ultimo sipario di fantasia che Ovidio ha creato, quest'ultimo atto della sua commedia, quest'ultimo scampolo di fantasia. Non è che allo psicologo si debba raccontare proprio tutto, alla fin fine.

   
 
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