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Autore: St. Jimmy    02/09/2011    10 recensioni
Joey Armstrong è stanco, molto stanco. Stanco di tutto quello che lo circonda e stanco di essere il figlio di Billie Joe Armstrong. Il fratello minore è tutto ciò che ancora gli rimane di buono, assieme ad una canzone.
Ma finalmente, in un torrido pomeriggio di Giugno, qualcosa cambia. E la speranza si riaccende.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jakob Danger Armstrong, Joseph Marciano Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fic partecipante alla "Genitor&Figli Challenge"
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BRUCIA



..."Con immenso piacere, Armstrong!" sbottò allora Adrienne furibonda, seguita dal secco ed inconfondibile rumore del vetro infranto.
Bicchiere... pensò il giovane Joey Armstrong, sdraiato a pancia in giù sopra le lenzuola ancora perfettamente rimboccate del suo letto. Si sistemò meglio, puntellandosi con i gomiti sul cuscino e flettendo le ginocchia su e giù in un movimento lento ma costante, quasi ipnotico. Era tranquillo.
Indossava una vecchia felpa dei Metallica sulla quale campeggiava l'immagine di copertina di Ride the Lightning, l'album che più amava della band, ed un paio di pantaloni grigi da ginnastica di due taglie più grandi, comprati qualche mese prima al negozio di articoli sportivi all'angolo della Tight Wad Hill. Certo, tutti abiti usuali per un ragazzo della sua età, se non per il fatto che era Giugno inoltrato.
A Joey Armstrong però non importava che mese fosse. Aveva semplicemente avvertito una scossa di gelo intenso attraversargli il corpo partendo dalla punta dei piedi e si era coperto per evitare che accadesse di nuovo.
Anche se sapeva che non sarebbe accaduto di nuovo.
Lo sapeva perché conosceva la causa di quei fulmini di ghiaccio artico che ogni tanto lo investivano e conosceva fin troppo bene i loro movimenti. Con gli anni aveva imparato ad accettarli e a conviverci pacificamente, come si fa con un antipatico vicino di casa: lo si detesta, ma finché non si fa sentire, la sua esistenza passa inosservata.
Ecco, questo speciale 'vicino di casa interiore' faceva capolino dall'altro lato dello steccato solo quando Joey avvertiva che stava per succedere qualcosa di grande, qualcosa di importante, ma usciva solo a dare una rapida controllata alla situazione, poi se ne tornava alla sua vecchia poltrona e riprendeva in mano il Los Angeles Times, standosene in religioso silenzio fino al seguente 'grande affare'.
"Bene, allora fuori da casa mia!” tuonò il padre al piano inferiore, "E se ti vedo tornare strisciando da me, sta pur certa che l'unica cosa che riuscirai a strappare da queste labbra sarà uno sputo in un occhio!". Altro rumore di vetro infranto, stavolta più intenso.
Piatto fondo dell'ultimo servizio buono che ci restava...
Il ragazzo allungò la mano fino a raggiungere lo stereo appoggiato sul comodino alla destra del letto e premette il pulsante d'accensione, sempre mantenendosi in ascolto di ciò che si stava consumando nella cucina di casa propria, una rampa di scale più in basso.
Il suo volto non tradiva alcuna emozione, ma nella sua mente era ammanettato ad un palo invisibile, e la tensione delle manette e la pressione che gli procuravano ai polsi doloranti aumentava di minuto in minuto, di grido in grido, di piatto rotto in piatto rotto.
Non la sopportava più. Non sopportava più di dover sentire i suoi genitori litigare per ogni minima cosa fuori posto, non sopportava più le urla isteriche di sua madre, non sopportava più le continue lamentele di suo padre, i continui, infondati discorsi da depresso cronico di suo padre che si lagnava di questo e di quello, del bianco e del nero, non sopportava più la scia di fumo che seguiva giorno e notte suo padre ovunque andasse, non sopportava più l'odore acido di birra che circondava suo padre ogni singola notte...
Non sopportava più suo padre.
Da quando la critica lo aveva definito un 'finto Punk venduto' non aveva fatto altro che abbattersi sempre di più, non badando a ciò che aveva, ma a ciò che non aveva. E a quanto pareva la credibilità Punk andata perduta negli anni era più importante della sua famiglia e del benessere psichico dei suoi figli.
Ogni mattina faceva colazione in piedi, davanti ai fornelli, sorseggiando muto la sua tazza di caffè.
Ogni mezzogiorno si sedeva a tavola e fissava il piatto vuoto senza mai riempirlo ed ogni sera risputava il cibo nel piatto perché 'c'è troppo sale, cazzo,' oppure perché 'fa schifo, come tutto.'
Era diventato un peso morto. Joey e Jakob facevano tutto in casa: commissioni, pulizie, ogni cosa. Adrienne preparava i pasti, ma per il resto aveva subito anche lei la trasformazione in ameba, tanto inutile quanto silenziosa.
E Joey provava pena per lei, ma non poteva fare a meno di detestare questa sua parte che non reagiva, che non cercava di cambiare le cose. Joey odiava quella parte di sua madre, Joey odiava quel suo lato impassibile e ancor di più odiava suo padre.
L'unica persona per cui resisteva in quella casa era il fratellino. Joey sarebbe potuto scappare in qualsiasi momento, magari chiedendo ospitalità a qualche amico, avrebbe potuto trovarsi un lavoro per tirare avanti, ma Jakob era ancora troppo piccolo per cavarsela nel mondo là fuori, e non poteva lasciarlo da solo in balia di ininterrotte liti familiari e distese di piatti rotti. E poi gli voleva bene, molto bene. Non era solo suo fratello, era anche il suo unico punto di riferimento, colui che lo capiva più di chiunque altro, perché anche Jakob stava vivendo quello che stava vivendo lui e poteva dargli la forza che gli serviva per non mollare tutto e fuggire.
Ad un tratto udì la porta d'entrata aprirsi e subito richiudersi con un potente scatto, e con essa anche qualcos'altro scattò.
Le manette.
Le manette si stavano allentando.
Non riusciva ancora a sfilarle, forse si era incastrato qualcosa nel meccanismo di apertura, ma poco ci mancava, lo sentiva, perché...
"Brava troia! Esci e vai a farti fottere! E domani ti arriveranno le carte del divorzio, con tanto di autografo originale di Billie Joe Armstrong!". Il padre ringhiò, fuori di sé dalla rabbia. Parve il ringhio di un cane idrofobo, esasperato e distrutto, imbestialito dalla malattia.
La maniglia della porta della camera di Joey si abbassò lentamente, producendo un sordo scricchiolio. Vi seguirono piccoli passi leggeri e solo allora si voltò, mettendo a fuoco la sagoma del suo fratellino minore che cauta si avvicinava a lui.
Si rigirò e si mise a sedere sul bordo del letto, guardandolo nelle scure pupille tremanti di incredula sorpresa.
"Joey..." mormorò Jakob quasi impercettibilmente, "mamma e papà stanno..."
"Divorziando."
I due si osservarono ancora per qualche istante, poi il più piccolo corse tra le braccia del maggiore, che lo accolse senza esitazioni.
Si strinsero l'uno all'altro, e le calde lacrime sottili di Jakob attraversarono le fibre della felpa di Joey sulla sua spalla sinistra. Il ragazzo se ne accorse, ma non accennò al minimo rifiuto, continuando ad accarezzargli la schiena con gli occhi chiusi nel desiderio che, se quello era un sogno, potesse durare per sempre. E poco a poco anche le sue lacrime bagnarono la camicia del fratello, tiepide e implacabili.
Lacrime di gioia.
Per la prima volta da quasi un anno erano veramente felici.
Il divorzio segnava la fine di tutto, la fine di un rapporto, la fine dell'amore, la fine probabilmente di una famiglia, ma significava anche un nuovo inizio. Ora avrebbero vissuto da soli con Adrienne, e questo voleva dire solo una cosa: niente papà. Niente più peso morto. Niente più palla al piede, niente più vita da carcerati, incatenati a terra da quell'indistruttibile blocco di ghisa legato alle caviglie.
"Joey, siamo... siamo liberi!" esclamò Jakob scosso dai singhiozzi e dalle risa, ora senza più il timore che il padre potesse udirlo, "siamo liberi, Big Jay!"
Joey sospirò, il volto disteso in un ampio sorriso, "Sì, Jake, adesso sì."
Come per incanto le manette si spezzarono, si frantumarono nell'aria che li circondava ed uscirono in volo dalla finestra aperta, volteggiando verso il nulla nel vento selvaggio.
Billie Joe gridò ancora una volta la sua collera e assieme ad essa il sentimento di odio bruciante che lo stava avviluppando tra le sue incandescenti spire.
E dallo stereo acceso i Rancid cantarono.
"We don't need no water, let the motherfucker burn"


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A/N
Non ho molto da dire, in realtà, e l'unica cosa che desidero sappiate è che in questa fanfiction Joey rappresenta me stesso e il fatto narrato non è altro che ciò che desidero vedere accadere un giorno o l'altro a casa mia. La descrizione di come Joey (e Jakob) vedono Billlie Joe è semplicemente come io vedo mio padre, quello che fa quotidianamente e come lo percepisco. Perché ho voluto scrivere una fic così personale? Perché ho sentito il bisogno di farlo, e (anche se sembra brutto) di confessare il mio desiderio di vedere i miei divorziare e di non doverlo più sopportare. Perché quando Joey dice di odiare suo padre, lo odia veramente. E Burn dei Rancid è una canzone che adoro e che si adatta al contesto. Non penso sul serio che Billie Joe si comporti così, ma chissà, anche lui è una persona normale ed in quanto tale immagino che qualche 'momento no' lo abbia anche lui ogni tanto, anche se non credo in questo modo.

Bene, ora non mi resta che ringraziare chiunque abbia letto questa fic e chiunque voglia recensirla.
Grazie, con tutto il cuore.
   
 
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