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Autore: cherokee    02/09/2011    5 recensioni
Mi chiamo Nikita Cacciatore, e questa è sempre stata la mia rovina. Perchè, con un nome simile, uno si aspetterebbe come minimo una valchiria alta, bionda e bella come Michelle Unziker, quando io a stento arrivo al metro e sessanta, ho una criniera di dreadlocks rosso ravanello e il sex appeal di Marilyn in bikini. Marilyn Manson. Ci si aspetterebbe un qualche pedigree esotico quando io sono di Cautano, Benevento, da sette generazioni. Ci si aspetterebbe una superspia con un braggio al tugsteno e un bazooka nella borsetta, sempre pronta ad affrontare qualunque avversità, quando io sono riuscita in soli tre mesi a cacciarmi nel guaio in cui ora mi ritrovo invischiata. Anche se, devo ammetterlo, non ho fatto tutto da sola: una mano me l'hanno data anche la famiglia di sbroccati new age da cui mi sono trasferita, senza contare un malefico conte vampiro con tanto di villa arroccata sulla collina, due folli vecchietti innamorati ed un ospizio in piena rivoluzione proletaria. Più, ovviamente, la mia solita dose di provvidenziale sfortuna.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era ormai qualche giorno che, alle quattro di ogni pomeriggio, arrancavo su per il vicoletto tortuoso che portava a casa di donna Rosa e varcavo la porta che mi aveva fracassato un piede. (Ancora zoppicavo, nonostante gli impacchi di erbe indonesiane di Barbara, ma in compenso ora tutti i miei calzini destri profumavano di lavanda.)
E, nonostante i nostri battibecchi fossero ormai parte della mia routine quotidiana (nonche' un efficace esercizio di sveltezza mentale, meglio della Settimana Enigmistica), quel lavoro rimaneva piacevole come la sabbia nelle mutande.
Ed era per questo che avevo ideato il P.I.A.N.O., ovvero il Progetto di Inserimento dell'Apachee nel Nostro Ecosistema. Okay, la E alla fine non c'entrava nulla, ma, ehi, chi l'avrebbe detto che fosse cosi' difficile creare acronimi!
Cosi' un giorno avevo messo da parte la mia ostilita' per donna Rosa e mi ero stampata in faccia un bel sorriso cordiale.
"Ehm... non le sembra che le piante del giardino siano un po' cresciutelle?" era un eufemismo, ovviamente. In quel giardino c'erano erbacce che sembravano il fagiolo magico di Pollicino.
Lei mi aveva guardato sospettosa. "Che, le vuoi tagliare?"
Io avevo scosso la testa prudentemente, mostrandomi molto impegnata a lucidare una forchetta. "Penso che forse la prossima volta potrei portare qualcuno con me. Un giardiniere."avevo precisato, guardandola di sottecchi.
"Non ti aspetterai che io paghi un giardiniere per i tuoi capricci botanici!"
"Dividero' con lui il mio stipendio." avevo aggiunto precipitosamente, e quelle erano state le parole magiche.
Con un sorriso improvvisamente affabile donna Rosa mi aveva dato il suo benestare.
Ed oggi, fatidico 4 febbraio dell'anno domini 2011, il mio P.I.A.N.O. aveva dato i suoi gloriosi frutti e io mi godevo la vista di Helaku che, a torso nudo e con uno scialle in testa a mo' di turbante, tranciava appassionatamente gli arbusti con un paio di cesoie.
Cosa ancora piu'straordinaria, donna Rosa aveva smesso di darmi il tormento. Non aveva nemmeno notato che invece di pulirla stavo immobile davanti la finestra, con lo straccio in una mano e il detersivo in un'altra e la bocca socchiusa modello trota.
E, ciliegina sulla torta, si era dimostrata addirittura gentile! Non con me, sia chiaro, solo con Helaku. Ad un certo punto, quando credevo davvero di aver visto ormai cose che voi umani non potreste neanche immaginare, gli porto' addirittura un bicchiere di te' freddo. E no, non lo bevve davanti a lui canticchiando "io ho un bicchiere di te' freddo e tu no, pappappero", bensi' glie lo offri', proprio come avrebbe fatto una persona normale!
Da quel momento Helaku prese a guardarla come un turista sperduto nel deserto avrebbe guardato una bancarella delle bibite. Il che, illogico ma vero, mi dava piuttosto fastidio. E non solo perche' il motivo per cui un turista avrebbe dovuto avventurarsi da solo nel deserto andava al di la' della mia comprensione.
Insomma, lo ammetto, forse ero un po' gelosa. Di donna Rosa. La vecchia, scorbutica, frustrata ultranovantenne da cui lavoravo.
Diavolo, che disperato caso umano che ero!
Tuttavia, probabilmente, se non fossi stata un po' gelosa di lei non mi sarei mai rifugiata in bagno per sfuggire alla visione di Helaku seminudo e sudato che le lanciava sguardi adoranti. Probabilmente non sarei mai inciampata nel tappetino della doccia, dando prova come al solito della mia leggendaria leggiadria.
Non sarei mai finita col culo per terra a fissare quei tubi dietro la tazza del water che non ho mai capito a cosa servano. (Okay, lo so a cosa servono, solo non capisco perche' che ne siano cosi' TANTI.)
Insomma, per farla breve, non avrei mai notato la Scatola.
La Scatola era una normalissima scatola di legno chiaro che mai avrebbe attirato la mia attenzione se non fosse stata sepolta sotto le mattonelle del bagno.
La trovai dopo essermi accorta che queste erano appena appena fuori posto, leggermente accavallate l'una sopra l'altra, e la tirai fuori dalla sua alcova con impaziente cautela.
La aprii facendo attenzione a non fare rumore, con il fiato sospeso, manco potesse esplodermi in mano da un momento all' altro.
E quello che vidi mi stupi' piu' di qualunque bomba ad orologeria incollata al coperchio: la Scatola era piena di lettere, tutte riposte ordinatamente l'una sopra l'altra, dalla piu' antica alla piu' recente. L'ultima era datata agosto '55.
Senza osare nemmeno respirare mi accucciai nella doccia e tirai la tendina, poi estrassi la prima lettera dal fondo della Scatola e cominciai a leggere.

"Rosita, mi vida,
oggi per la prima volta ho sperimentato l'amarezza della solitudine. Saperti cosi' lontana da me mi fa sentire come se fossi l'unico essere umano sulla terra, anche se sono circondato dalla gente.
Sapere che un muro mi separa da te mi fa sentire in gabbia anche nella piu' vasta delle pianure: la mia prigione e' questo mondo immenso dove non ho piu' speranza di vederti correre.
Saperti triste mi rende triste, ed ogni risata mi appare stonata se esce dalla mia bocca.
I ricordi che ho di te, di noi, sono solo un peso in piu' nel mio cuore. A volte mi sorprendo a desiderare di non averti mai conosciuta, per risparmiarmi le sofferenze della tua mancanza. Spero che tu potrai peronarmi, mi amor.
Ti bacio con passione, in attesa di poterti rivedere.
Armando.

Posai la lettera con un groppo in gola. Quelle poche parole, quell'aborto di discorso scarabocchiato di fretta con una calligrafia calcata e sincera, mi aveva commosso. Cosa piu' unica che rara, parlando di me.
Con mani tremanti lessi quasi tutte le lettere successive, tutte datate al periodo in cui Rosa doveva avere tra i sedici e i venticinque anni.
Quello che ne evinsi fu che la storia di lei e di Armando era tanto drammatica e sdolcinata che avrebbe potuto essere pubblicata su Harmony's. Rischiai che mi venisse il diabete. Peggio ancora, rischiai di mettermi a piangere.
Volendo essere scentifici, nella loro relazione si erano susseguite le seguenti fasi: 1) Rosa e Armando si conoscono.
2) Segue il classico periodo felice, con gli usignoli che cinguettano, le farfalle che intrecciano corone di fiori e Superpippo che salva il mondo. Rosa e Armando si sposano e mettono su famiglia? Se, ti piacerebbe!
3) Ovviamente la matrigna cattiva si mette in mezzo e, per allontanarla dal suo valente ma plebeo corteggiatore, manda Rosa a studiare in un prestigiosissimo e riservatissimo collegio piemontese. Ma certamente si rivedranno quando lei finira' la scuola!
4) No, perche' intanto lui viene chiamato alle armi ed e' costretto a fuggire da un vecchio zio spagnolo, l'unico disposto ad ospitarlo. A questo punto avevo smesso di illudermi che i due avrebbero avuto il loro lieto fine.
5) Difatti la matrigna scassapalle, per buona misura, cosringe Rosa a sposare un ricco nobiluomo del Brenta con un nomazzo chilometrico che io non riuscirei a ricordare nemmeno se ne andasse della mia vita.
Non so se ci fu una fase sei perche' la loro corrispondenza si interrompeva li'.
Con un lungo sospiro tremolante mi alzai, uscii dalla doccia e rimisi la scatola al suo posto, lasciando le mattonelle scomposte come le avevo trovate.
D'un tratto mi sentii terribilmente in colpa per aver pensato male di Rosa, che in fin dei conti si era rivelata quel genere di donna che sotterra le lettere del suo amante e le custodisce come un tesoro, cosa che io non sarei stata mai.
Con quella sgradevole sensazione che mi opprimeva il cuore uscii dal bagno, gia' immaginando cosa avrei detti a donna Rosa per rimediare al mio atteggiamento da zitella inacidita.
"Ma che diavolo hai fatto per due ore chiusa in bagno? Contavi i germi sulla tavoletta?" mi assali' la sua portentosa voce baritonale non appena entrai in salotto.
Okay, scherzavo. Poteva anche impiccarsi, quella vecchia befana.
"Io, ehm... ho un po' esagerato con gli Activia." improvvisai, quasi sicura che quella dei germi fosse una domanda retorica.
"Altro che Activia, tu ti sei ingoiata la Marcuzzi tutta intera!"
"Allora, a giudicare dalle sue forme, lei deve aver ripiegato su Geppi Gucciari." replicai, serafica.
Donna Rosa mi ringhio' contro - letteralmente. Si, lo so, e' un'abitudine piuttosto inquietante - e mi spedi' a riverniciare la staccionata.
Il che mi diede esattamente quello che volevo, ovvero la possibilita' di fuggire a una distanza sufficiente da lei per ingannare il suo udito ad ultrasuoni, ma senza dare nell'occhio.
"Psss!" sibilai quindi, all'indirizzo del mio esimio collega, mentre armata di pennello e pittura mi apprestavo ad attaccare la staccionata.
Helaku non mi filo' di striscio.
"Psss!" riprovai, un po' piu' forte.
Stesso risultato.
"Ma dico, razza di ascidia antropomorfa, sei sordo o cosa?" strillai, resa un po' irascibile da quella storia degli Activia.
Helaku si volto a guardarmi con sguardo vitreo e mi dedico' un mezzo sorriso incerto. "Ascidia?"
"Si, e' una specie di... mmm... animaletto invertebrato totalmente inutile." spiegai, mimando con le mani la mia idea di animaletto invertebrato.
"Capisco." e si giro' per tornare a lavoro.
"Helaku!" soffiai, appioppandogli una pennellata in mezzo alla schiena.
Stavolta quando si giro' sembrava vagamente irritato. Una fortuna che non potesse vedere la striscia di vernice bianca che gli avevo dipinto tra le scapole. "che c'e'?" sbotto'.
"Devo dirti una cosa!"
"E allora dilla!"
Una logica inoppugnabile. Cosi', ignorando con un supremo sforzo di volonta' il suo petto nudo e abbronzato che scintillava a meno di mezzo metro dal mio naso, gli raccontai per filo e per segno l'epopea di Rosa ed Armando.
Quando ebbi finito lui mi guardava con occhi sgranati, il rastrello abbandonato in una mano e le aiuole di geranei completamente dimenticate. "E'... la storia piu' commovente che abbia mai sentito!"
"Per non dire la piu' banale." sbuffai io, remotamente piccata.
"Nikita!" sbotto' lui scandalizzato.
"Marco!" feci io di rimando, spalancando innocentemente gli occhi e usando per una volta il suo vero nome.
"Dobbiamo fare qualcosa." decreto' lui con gravita', e io mi costrinsi a ricordare che, quando Helaku diceva questo genere di cose, le diceva sul serio.
"Helaku... non vedo come potremmo. Per quanto ne sappiamo noi, questo Armando potrebbe essere ancora in Spagna, o essere morto." ragionai, con voce calma e paziente come se stessi spiegando la riproduzione a un bambino di cinque anni.
"Possiamo trovarlo."asseri' cocciuto lui, con una luce nello sguardo che non mi piacque affatto.
Dato che evidentemente la logica non funzionava, mi decisi a cambiare tattica. "Okay, facciamo cosi': tu trovami quell'uomo ancora in vita, e io assecondero' qualsiasi assurdo piano ti venga in mente per farli incontrare."
Troppo tardi mi resi conto che, probabilmente, non aspettava altro che io dicessi qualche scemenza del genere. Sorrise pericolosamente ed imbraccio' risoluto il rastrello. "Lo sai, Niki? Penso proprio che ci servira' un sacco di alcool."

Trascorsi tutto il giorno seguente a girovagare per i corridoi come un'anima in pena, alla ricerca di qualcosa che desse una svolta alla mia giornata.
Alla fine, sconfitta dall'incorruttibile banalita' di quel piovoso mercoledi' pomeriggio, mi ero lanciata nelle solite domande universali del tipo: perche' i bidelli spargono questa pseudosegatura su tutti i pavimenti? Davvero credono che ci impedisca di scivolare? O e' parte di un qualche malefico piano per conquistare il mondo? E ancora, il problema della Ferrara si risolverebbe se provasse a parlare con delle pietre in bocca? No, quelle non le usava Socrate per non balbettare? O era Pisistrato? E' il ceppo pellerossa che rende Helaku cosi' svagato, o e' solo colpa di quel pestilenziale narghile'?
Insomma, ero tutta assorta in quelle delicate questioni esistenziali quando, svoltato un angolo, finii contro una pila di libri gambe-munita e la trascinai a terra.
Segui' un caotico destreggiarsi in quel miscuglio di gambe, braccia, pagine stropicciate e pseudosegatura giallastra e appiccicosa sparsa per terra da qualche bidello in vena di sadismi.
Quando finalmente riuscii a rialzarmi dovevo avere l'afrodisiaco aspetto di una cotoletta inpanata con i capelli.
"Dannazione!" impreco' un ragazzo, riemergendo da sotto la catasta di libri e guardandosi intorno inferocito. Quindi mi individuo', mi fulmino' con uno sguardo che avrebbe incenerito Medusa, si rassetto' la piega impeccabile dei pantaloni e comincio' a raccogliere il suo ingombrante carico con gesti secchi e irritati. Ed io, ancora troppo rintronata per preoccuparmi di inezie come la discrezione o la comune decenza, mi piantai davanti a lui e presi a squadrarlo dalla testa ai piedi.
Perche', pur essendo quasi ragionevolmente certa che non fosse un mio compagno di classe quel ragazzo, con i suoi corti capelli biondi, le sue lunghe dita eleganti e quel suo bel profilo altezzoso che sembrava urlare 'prendimi a schiaffi' mi sembrava vagamente familiare.
Capii chi era quando comincio' a parlare. "Ma peVche' non guaVdi dove vai?" mi ringhio' contro Martin Lefevre, esattamente con la stessa aristocratica erre moscia che avevo immaginato.
"Oh, vorra' scusarmi vostra altezza, se con la mia indegna presenza inquino la nobile aria che respirate!" grugnii di rimando con un inchino beffardo. Sara' stato perche', se c'e' una cosa che proprio non sopporto, quella sono i ricconi sgarbati.
"Non inquini la mia aVia." rettifico' lui con un invidiabile sfoggio di noblesse oblige. "Mi sei finita addosso."
Non aveva tutti i torti, e questo mi fece incazzare ancora di piu'. "Certo, ma non mi aspettavo che l'intera biblioteca vaticana transitasse per questi corridoi!"
Lui mi fisso' stupito per un attimo. Probabilmente si stava chiedendo perche' non mi ero ancora prostrata al suolo adorante e non stessi baciando il pavimento che aveva calpestato.
Poi, non appena capi' che non mi sarei genuflessa davanti al suo venerabile pedigree, prese a fissarmi come un bambino fissa lo spicchio di limone che ha appena sputato. "Non cVedo di conosceVti." butto' li', per niente vergognoso di evidenziare l'ovvio.
"L'olimpo e' precluso a noi poveri mortali." ribattei, e stavolta mi dedico' uno sguardo puramente disgustato, manco gli avessi vomitato addosso.
"A me non sembra che tu ti faccia tanti scrupoli." osservo', e nella sua voce c'era un'ombra di tristezza che mi fece trasalire.
E la risposta pungente che avevo preparatop mi svani' tra le labbra. Del resto, come si fa ad essere acidi con un che ti risponde con parole intrise da cotanta sublime malinconia? E' come sparare basso su uno stolo di cagnolini uggiolanti che ti fissano coi loro occhioni lacrimosi.
Per di piu', giusto per confondermi un po' le idee, la voce di Helaku che diceva 'ti sbagli su di lui' mi rimbombo' in testa, cupa come se provenisse dall'oltretomba.
Piu' che per di piu' mi resi conto all'improvviso di quanto fossi vicina all'efferato conte Dracula, tanto vicina da poter contare ognuno di quei suoi luccicanti cepelli biondi, da notare le graziose efelidi color caffellatte che gli ornavano il naso, da venire a tratti letteralmente investita da ondate rintronanti del suo profumo, che sapeva di legno asciutto, di birra scura e di terra bagnata.
"Che hai da guaVdaVe?" provvidenzialmente la sua voce mi riscosse dallo stato comatoso in cui ero sprofondata. Tempo un altro paio di minuti e di certo mi sarei messa carponi a sniffare quel profumo meraviglioso dalle sue scarpe.
Prima che potessi riprendermi a sufficienza da quell'offensiva olfattiva, la mia disgraziata bocca larga agi' di suo conto e si lascio' sfuggire la verita': "Ti stavo annusando. Tu sai di campagna."
Lui mi guardo' e per un attimo parve incerto se mettersi a ridere della mia stupidita' o a piangere per il degrado del genere umano. Alla fine opto' per un'espressione tormentata che manco Robert Pattinson sarebbe riuscito ad eguagliare. "Mi stai dando del campagnolo?"
"Io, argh... ehm, no!" balbettai io raggrinzendomi in un bolo di vergogna. "Ho detto solo che sai di campagna!"
"Cioe' secondo te puzzo?"
Ecco, appunto. Avrei potuto scriverci un libro, su come scavarsi da soli buche nella merda. "No, io... cavolo, non dirlo con quel tono!"
"Che tono?"
"Come se puzzassi."
"Mi stai dando del baVbone?"
"Proprio io, non potrei mai!" ridacchiai, ripensando ai sorrisi condiscendenti della Ferrara.
"Mi stai pVendendo per il culo?"
"Ancora questo tono!"
"Ma quale tono?"
Scossi la testa, perche' quello spettacolino rischiava di protrarsi un po' troppo a lungo. Altri cinque minuti fuori dalla classe e avrebbero mandato un shuttle a cercarmi nell'iperspazio.
"Sara' meglio che io vada." capitolai, sentendomi in dovere di spiegare perche' interropevo cosi' bruscamente le nostre piacevolezze. "Saro' in giro da un'ora, ormai. Si staranno preoccupando."
"Staranno ballando la hola e gonfiando palloncini." preciso' lui alzando magistralmente un sopracciglio.
"Forse. In ogni caso i miei ossequi, conte della malora."
"Altrettanto, mia diletta, altrettanto." rispose lui, e il suo sorriso sardonico fu l'ultima cosa che vidi prima di voltare l'angolo.

Ed e' per questo fortuito incontro che, quel pomeriggio, 'l'operazione inciucca la vecchia bacucca' comincio' nel peggiore dei modi, ovvero con me incazzata.
'L'operazione inciucca la vecchia bacucca' (una tiritera piuttosto desueta, ma che diavolo, faceva rima! E poteva andare peggio, dato che di solito le velleita' poetiche di Helaku si fermavano alla sigla dei puffi o poco oltre. Operazione inciucca la vecchia bacucca suonava comunque piu' dignitoso di operazione su per giu due mele o poco piu'.) era l'insano parto mentale di Helaku e, secondo il suo cervelletto bacato, avrebbe fatto si che donna Rosa ci dicesse tutto cio' che volevamo sapere su di lei e su Armando evitando le spiacevoli conseguenze (denuncia penale et similia) che sarebbero sopraggiunte legandola ad una sedia e torturandola come avevo proposto di fare io.
L'operazione era piuttosto semplice: consisteva nel riempire donna Rosa di una quantita' di alcool sufficiente ad ammazzare un vichingo e poi indurla in qualche modo a spiattellare tutti i suoi incoffessabili segreti.
Insomma, una passeggiata.
Fortunatamente donna Rosa non si accorse di quanto fui impacciata quel giorno, resa ancora piu' goffa del solito dalla bottiglia di ouzo fatto in casa di Barbara infilata in uno stivale, impegnata com'era a giocare alla crocerossina con Helaku innaffiandolo di te' freddo.
Anzi, ormai considerava me talmente di striscio che potei senza problemi sgattaiolare non vista in cucina, svuotare nel lavandino la bottiglia d'acqua che trovai in rigo e riempirla di ouzo trasparente.
Poi, sentendomi tanto Tonio Cartonio che prepara i suoi dink psichedelici, poggiai la bottiglia sulla tavola apparecchiata, accanto al cestino del pane.
Quindi io ed Helaku ce ne andammo. Percorremmo disinvolti il vialetto fino alla staccionata ridipinta di fresco poi, guardandoci furtivamente attorno, tornammo indietro attraverso il giardino e ci appostammo sotto la finestra.
Donna Rosa ceno' alle sette in punto come ogni sera. Guardarla era insieme divertente e snervante: si intestardiva su ogni boccone con metodica laboriosita', modellandolo col coltello per farne un quadrato perfetto e masticandolo trentasette volte come da manuale salutista. In compenso, per ogni boccone beveva tre sorsi d'acqua, quindi prima di arrivare al dolce era gia', se non ubriaca marcia, almeno parecchio brilla.
Una fortuna che la sua sinusite cronica non le permettesse di riconoscere i sapori e, di conseguenza, di distinguere l'ouzo dall'acqua.
Meno una fortuna che donna Rosa fosse abituata a condividere equamente tutti i suoi pasti con Spud, un patetico zerbino peloso che lei si ostinava a chiamare cane. OGNI PARTE del pasto, compresa l'acqua.
Insomma, se alla fine donna Rosa era un po' piu' che ciucca, Spud era completamente andato. Quando io ed Helaku ci arrischiammo a rientrare, usando le chiavi di riserva prelevate dal vaso delle ortensie, ci accolse girando freneticamente su se stesso e abbaiando raggiante con i suoi guaiti asmatici.
Donna Rosa si giro' verso di noi con un sorriso trasognato. "Poffarbacco!" esclamo', apparentamente entusiasta di vederci, con una voce cantilenante e strascicata. "Non mi aspettavo di rivedervi tanto presto, voi due!"
"Si, be', noi siamo qui..."
"I regaliiiii!" uggiolo' donna Rosa ondeggiando.
"Ah, ehm..." mi girai verso Helaku, aspettandomi uno dei suoi tempestivi colpi di genio.
"Cinquanta punti a Grifondoro!" annuncio' infatti lui, che non aveva bevuto un goccio ma doveva essere ubriaco per osmosi.
"Cammello!" approvo' donna Rosa tutta contenta.
Spud smise di rincorrersi la coda e si schianto' a terra con un tonfo sordo.
"Si, noi in realta' saremmo qui per..." riprovai io, decisamente terrorizzata.
"Lapo orso capo!" mi smenti' Helaku, che evidentemente si trovava nel suo elemento.
"I regali, i regali!" batte' le mani di rimando donna Rosa, la quale doveva averci scambiato per Babbo Natale e la Befana.
Spud si rialzo', barcollo' un po' in giro e poi si lancio' spedito contro la gamba del tavolo, che non si scompose minimamente sotto le sue accanite testate.
"Armando!" strillo' Helaku giubilante. Cominciavo a chiedere che i suoi deliri seguissero una loro strada ben precisa.
"Armando..." ripete' donna Rosa come in trance, appena un po' debolmente.
"Spagna..." rincarai la dose io.
Spud cambio' metodo e invece di fiaccare la gamba del tavolo a testate prese a rosicchiarla appassionatamente. Che ammirevolo esempio di perseveranza canina!
Donna Rosa comincio' a ridacchiare. Poi, senza preavviso, il riso divento' pianto e grossi lacrimoni tremolanti le spuntarono agli angoli degli occhi e rotolarono giu' lungo le guance. "Armando..." borbotto', tirando su col naso. "Non e' venuto a trovarmi."
Helaku recupero' d'un tratto tutta la sua lucidita'. Le si ando' a sedere accanto, dandole piccole pacche affettuose su una spalla. " Non e' venuto perche' e' in Spagna..."
"No!" ululo' donna Rosa asciugandosi gli occhi con la manica. "Lui e' tornato, io lo so... e' tornato..."
Helaku mi lancio' un'occhiata densa di significato, poi torno' a sussurrarle all'orecchio: "Come puoi saperlo? Non sai mica dov'e'!"
"Si, io lo so... e' tornato..." biascico' lei abbandonandosi un po' di piu' contro Helaku.
Guarda se quella vecchia strega non doveva provarci anche da ubriaca! "Dov'e' adesso?" sillabai inpaziente mentre lei gia' cominciava a chiudere gli occhi.
"Oh, io lo so..."
"Be', dimmelo! Avanti, Rosita, mi vida, dimmelo!" esclamo' Helaku allarmato.
Donna Rosa si giro' verso di lui e, col suo ultimo barlume di lucidita', gli getto' le braccia al collo e gli appioppo' un bacio umido e schioccante sulle labbra. "Armando..." esalo'. "Lo sapevo che saresti scappato da quel brutto ospizio per tornare da me..."
"Ospizio?" chiese lui precipitosamente. "Cioe' quale, S.Marino?"
Lei scosse la testa, piu' di la che di qua. "S. Pietro." bisbiglio', poi crollo' sul tavolo priva di sensi.
Spud vomito' sul tappeto un'adorabile collezione di rimasugli di polpettone mezzo digeriti.
"Bene!" esulto' Helaku, battagliero, mentre io guardavo la scena atterrita. Alzo' addirittura il pugno, stile Che Guevara dei poveri. "Avanti popolo, tutti all'ospizio di S.Pietro!" e parti' galoppando.
Tutto questo da sobrio. Pensate un po'...

NOTA DELL'AUTRICE:
Scusatescusatescusate il ritardo, davvero! Ho avuto millemila cose da fare e... bha'....
Cooomuqnue, ho rimediato con questo capitolo bello sostanzioso... fatemi sapere se vi e' piaciuto, mi raccomando. Scrivendo io sotto l'effetto di allucinogeni, poi sono contenta se ne esce qualcosa di leggibile.
Un GRAZIE piu' che gigantesco alle due anime pie che mi hanno recensito...
Mosca: sono tanto, tanto, TANTO contenta che la storia ti sia piaciuta. E un aborto di recensione sarebbe quello che il mio aborto di racconto si merita, mentre la tua e'... troppo. Mi sono quasi commossa. Non so cosa sia la hola, ma dato che suonava bene l'ho inserita anch'io nel capitolo, spero che non ti dispiaccia >.< continua a seguirmi, mi raccomando!
Miu ana: non ci crederai, ma la vecchietta antipatica e' ispirata proprio a mia nonna! Che sia la stessa? Oddio, magari io e te siamo la stessa persona!
Vabbe', mettendo da parte la schizofrenia, grazie un miliardo per la tua recensione, mi ha fatto davvero tanto piacere. E, per rispondere al tuo ps, si, si mangia davvero il porcospino. E' un cibo molto diffuso in Africa (l'ho scoperto vedendo un documentario...) che ha anche un nome, ma chi se lo ricorda piu'...
Grazie anche a Mushroom e a Leti10 che hanno messo questa storia tra le seguite... mi farebbe piacere leggere una vostra recensione, per sapere cose ne pensate :)
  
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