Set fire to the Rain
Damon corse in giardino,
come da
bambino. Aveva sempre amato la pioggia, ma da quando era un vampiro
-troppo tempo, ormai- la trovava ancora più bella.
Ricordò che
anche sua madre adorava la pioggia e una delle ultime volte che
l'aveva vista era un giorno uggioso, di quelli con il cielo grigio
fastidiosamente luminosi che ti costringono a strizzare gli occhi per
guardare la luce e che di solito rendono nervosi ed incredibilmente
irritabili. Lei lo aveva preso in braccio, ridendo, i capelli corvini
e gli occhi di ghiaccio come i suoi, ed era corsa fuori di casa,
mettendosi a roteare e facendo volare il bambino come un aeroplano
sulla propria testa.
Si tolse la
giacca di pelle allargando
le braccia verso l'esterno, lasciando che l'acqua si infrangesse sul
proprio corpo.
“La
senti, Damon?”, aveva chiesto sua madre fra le
risa, mentre suo padre e uno Stefan davvero minuto li rimproveravano
dalla veranda. Forse Stefan non sapeva neppure parlare, ai quei tempi,
ai
bei tempi. I due
continuavano a giocare, però, sotto la fresca
pioggia estiva e protetti da un alone di innocenza che poche volte il
vampiro aveva avuto l'occasione di provare, in seguito.
“Cosa,
mamma?” Lei si era fermata, stringendoselo al petto,
sorridendogli
con il viso rigato di lacrime celesti, e gli aveva scompigliato i
capelli. “La vita, Damon.” E lui la sentiva, ancora
oggi, quando
nemmeno c'era una vera vita da
assaporare.
Si
sdraiò per terra sull'erba bagnata, la giacca appallottolata
sotto la testa a mo' di cuscino.
La pioggia la
sentiva,
non come il freddo o il sole sulla pelle. La pioggia,
come la neve, la grandine, o il fuoco, era solida. Percepiva ogni
singola microscopica particella infrangersi sulla superficie del suo
corpo e produrre un suono particolare, addirittura un colore
particolare, un odore persino. Aveva gli occhi aperti rivolti verso
il cielo per ammirare la danza delle centinaia di gocce che stavano
per infrangersi sul suo volto centenario, e la sentiva: la sentiva da
morire anche se non ne aveva il diritto, e forse era questa la sua
colpa.
“Damon
ma che stai combinando qui fuori?” Gli urlò
un' Elena bagnata come un pulcino, i capelli lisci e morbidi pressati
sul viso, le gote arrossate, un vago sorriso sulle labbra.
“La
sento”, aveva risposto a bassa voce, senza smettere di
guardarla, e
lei non smetteva di guardare lui: solo la pioggia a vegliare su
entrambi. Elena era come la pioggia, lui la sentiva, e si sentiva
vivo,
umano : per
questo odiava amarla.
Ma se la pioggia
era fredda lei lo riscaldava,
come fa il sole con la pelle umana, come fuoco che brucia,
doccia calda che risveglia i muscoli intorpiditi, semplice pioggia infuocata. “Senti,
cosa?”
Lui
aprì la bocca, assaporando la
pioggia come da bambino, ed Elena fece lo stesso, ridendo. Lui la
guardò attentamente: rideva come sua madre, Elena. Damon si
alzò di
scatto, la prese per i fianchi e sollevandola in aria iniziò
a
girare su se' stesso, guardando come le gocce percorressero quel suo
volto perfetto e...umano. “Le somigli
così tanto”, aveva
detto lui, smettendo di ridere, mentre lei si aggrappava al suo collo
per non cadere a causa di tutto quel volteggiare; ma a cadere fu lui,
trascinandola sul proprio corpo. Ghiaccio e fuoco, nero e bianco,
notte e giorno. Elena non aveva parlato, in silenzio, come se
quell'incantesimo si potesse spezzare, chiedendo solo con gli occhi e
con il suo sorriso gentile. “A mia madre”, aveva
risposto lui,
accarezzandole i capelli bagnati. “Ridi come lei” e
lei aveva
sorriso di più, dolce e pura, opposta a lui come
sempre. Ma la
pioggia lavava i suoi peccati, lavava i suoi difetti, e rimanevano
solo due corpi stesi sull'erba fresca, uniti da qualcosa di piccolo e
fragile come una goccia di pioggia e uno spiraglio di luce lontana.
Elena aveva posato le mani sul petto di Damon, sorridendogli.
“Le
saresti piaciuta”, e la ragazza era scesa dal corpo di lui,
stendendoglisi accanto e intrecciando le dita della sua mano. Si
poteva sentire il sole quando pioveva? Forse era quello l'arcobaleno,
sentire il sole quando piove, sapere che c'è nonostante tutto.
Si voltarono contemporaneamente facendo combaciare le loro fronti e i
loro nasi. Non erano poi così diversi, Damon ed Elena, ma
come ogni
altro opposto potevano sfiorarsi solo in alcuni speciali momenti,
quando la pioggia copre il mondo e il sole sta per
tornare, sempre sul limite di una soglia invalicabile ad
entrambi.
Elena gli aveva sorriso di nuovo, sfiorando il suo volto bagnato e
innaturalmente umano,
annegando
in quei suoi occhi profondi ed avvolgenti come la pioggia.
“Io ti
sento, Damon”, aveva sussurrato prima di sfiorargli le labbra
per
una frazione di secondo che ad entrambi parve lunghissima. Ma la
pioggia era terminata e lei era corsa via fulminea, sapendo che
quella soglia non poteva essere sorpassata.
Loro dovevano rimanere
semplici fuoco e ghiaccio, lontani l'uno dall'altro ma estremamente
necessari al proprio opposto, come la vita e la morte che prendono
significato solo insieme.
Angolo Autrice:
Secondo tentativo, anche se cornologicamente ho scritto prima questa
dell'altra.
Il titolo è la canzone di Adele, ed è quello che
Elena rappresenta per Damon, cioè ciò che "da'
fuoco alla pioggia" ed anche la pioggia stessa che prende fuoco: lo so,
forse non ha un senso. Probabilmente è meno "strana"
dell'altra, ma mi è piaciuto scriverla come spero sia
piaciuto a voi leggerla.
Non so se la madre dei fratelli Salvatore si vedrà mai, ma
mi è venuta fuori naturalmente, spuntando fra le righe di
questa One-shot autonomamente, come se fosse reale.
Sono certa che la "vera" Elena non bacerebbe mai Damon (non che sia
questo grande momento di passione), ma fra loro c'è
un'intesa particolare e secondo me lei doveva capire le sue parole
anche se probabilmente non hanno un senso oggettivo e -soprattutto-
doveva reagire.
I commenti sono ben accetti (:
Hope you liked it,
-Alexys-