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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    04/09/2011    2 recensioni
[Tematica Invernale Del Tempio di Shun]
Dopo mesi, sono tornata con le tematiche! E questa tematica sarà un po' speciale, perchè andrà a scavare nel passato di Hydra Ichi più a fondo di quello che Kuru ha voluto mostrarci, ergo molto poco...
Il numeroso gruppetto di fratelli circondò il divano mentre Shiryu, uscito dal piccolo bagno con un panno umido in mano, sfiorava la pelle bianca del ragazzino più giovane; con un mezzo grido, all’improvviso, Ichi spalancò gli occhi, agitando braccia e gambe: per primo, colpì Hyoga, mandandolo a ruzzolare per terra, poi subito dopo becco Seiya al capo e sarebbe riuscito anche ad abbattere Ikki, se solo questi non lo avesse afferrato per le spalle e scosso piuttosto violentemente per svegliarlo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hydra Ichi, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kido Family'
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TEMATICA INVERNALE DEL TEMPIO DI SHUN

LARS

§§§

Con la tazza di cioccolata saldamente tra le sue mani, Shun si avvicinò con circospezione al divano, attirato dai mugolii di sofferenza del ragazzo, suo coetaneo, che vi era disteso. Ichi dormiva profondamente con le mani strette al petto e il viso trasfigurato in una smorfia di sofferenza, che spaventò non poco il fratello: chinatosi su di lui, Shun quasi poteva toccare con la propria, la sua fronte.

Non aveva la febbre, ma tremava e si lamentava come se l’avesse.

Si rialzò di scatto, pallido: “Niisan! Ragazzi! Ichi sta male!” gridò con tono di autentico spavento.

Jabu sbucò dalla cucina con aria stupita, forse per il tono che il Saint di Andromeda aveva, ma quando arrivò in salotto, capì il perché: effettivamente, Ichi non aveva una bella cera: “Cosa vuol dire che sta male?!” si preoccupò subito Seiya, sbucando dalle scale che portavano al piano superiore, con Nachi alle calcagna.

“Si lamenta ma non riesco a svegliarlo.” Rispose il bruno con aria preoccupata.

Il numeroso gruppetto di fratelli circondò il divano mentre Shiryu, uscito dal piccolo bagno con un panno umido in mano, sfiorava la pelle bianca del ragazzino più giovane; con un mezzo grido, all’improvviso, Ichi spalancò gli occhi, agitando braccia e gambe: per primo, colpì Hyoga, mandandolo a ruzzolare per terra, poi subito dopo becco Seiya al capo e sarebbe riuscito anche ad abbattere Ikki, se solo questi non lo avesse afferrato per le spalle e scosso piuttosto violentemente per svegliarlo.

Hydra alla fine sembrò calmarsi, sbattè più volte le palpebre, come se non li riconoscesse o facesse fatica a farlo.

Geki gli andò di fronte: “Va meglio?” chiese serio; l’albino annuì, cercando di alzarsi, ma sembrava che anche le gambe non gli rispondessero, “S-Si,” ammise, rassegnandosi alla sua debolezza, sperava momentanea, “Solo un incubo.” precisò, cercando al contempo di fermare il tremito delle sue mani.

“Era così brutto?” chiese il Pegaso, massaggiandosi la testa nel punto in cui era stato colpito; Ichi annuì, asciugandosi gli occhi con la manica prima di andarsi a sedere più vicino al fuoco nel caminetto, sentiva tanto freddo all’improvviso: “Erano anni ormai che non facevo più un sogno del genere…”

 “Cosa riguardava?” chiese Shun, passandogli la tazza piena di cioccolata: “Sembravi parecchio agitato.” assicurò il bruno serio; Hydra annuì, sfregandosi gli occhi, “È un ricordo… Un ricordo che risale ai tempi dell’addestramento.” disse il ragazzo, aveva gli occhi lucidi.

“A proposito, non sappiamo nulla di quel periodo.” saltò su irruento Seiya, “Tu, bene o male, sai qualcosa di noi, ma non ci hai mai detto nulla né sul tuo maestro né su questo posto.” esclamò il Pegaso, osservando la neve che scendeva fuori dalla loro finestra.

Hyoga gli mollò una gomitata nel costato, cercando di farlo tacere, ma Ichi scosse la testa, facendogli cenno di smetterla: “Non c’è problema, avete anche ragione. E poi, se veramente volete sapere… non posso lasciarvi all’oscuro di ciò che riguarda la mia permanenza qui in quei giorni. Purtroppo del mio maestro non ricordo granchè; quando io e gli altri vivevamo da queste parti, sapevamo solo che in gioventù era stato un Silver Saint, ma nulla di più, non ci aveva mai detto neppure la Costellazione a cui apparteneva. Con noi però era gentile, benchè in paese lo detestassero perché obbligava dei bambini così piccoli a nuotare per ore e ore nei laghi ghiacciati della zona per temprare il fisico. Sapevano di noi, ma non sapevano che facevamo parte della scuola segreta di Finlandia legata al Santuario quindi non capivano il perché di un suo simile comportamento.”.

La voce del ragazzo, roca e bassa, risuonò nel piccolo ambiente silenzioso, mentre i fratelli attorno a lui lo osservavano con attenzione quasi spasmodica.

“Tutto successe l’anno seguente il mio arrivo a Horts…”.

La sagoma piccina di un bambino avanzava agilmente nella tormenta, le sue grida facevano a gara con l’ululato feroce del vento, che ne sferzava senza pietà la pelle, biancastra quasi quanto la neve stessa che imbiancava i monti, le cime degli alberi e le rive del grande lago che a stento si distingueva tra il nevischio e la foschia.

Il piccolo correva coi sandali ai piedi in mezzo agli alberi alti e scheletrici, colpendo nemici invisibili con pugni e calci precisi, lo sguardo assorto e concentrato: le spalle sottili e sussultanti erano solcate da ferite vecchie e graffi recenti che ancora sanguinavano, vuoi per il freddo e il vento vuoi per la poca cura.

Perché tutto di quel guerriero in miniatura suggeriva una poca attenzione alla propria persona, quasi un desiderio di affossare sotto il dolore fisico anche qualcosa che lo tormentava nel profondo.

Tutto questo traspariva dai suoi occhi, neri come la pece, freddi e cupi.

Senza voltarsi indietro nemmeno una volta, il misterioso ragazzetto si inoltrò sempre più nel bosco, continuando a gettarsi all’attacco di orde invisibili di nemici, colpendo ora un avversario allo stomaco, ora alla testa e perfino al viso, era mosso da una furia guerriera senza pari; era come se ogni fiocco di neve fosse un nemico da eliminare senza pietà.

All’improvviso, però, l’impeto scemò e lui rimase lì, fermo immobile in mezzo al sentiero, ansimando di fatica; aguzzò la vista, ma difficilmente poteva essersi sbagliato.

Laggiù, poco distante da lui, c’era un corpicino, semisepolto da un cumulo bianco, poteva vedere una manina sbucare assieme a parte del busto e della testa.

Con un balzo, il bambino raggiunse quel punto, chinandosi sul coetaneo che giaceva privo di sensi a terra.

Con le mani che sanguinavano per il gelo, il piccolo guerriero scostò rapidamente la neve che lo ricopriva, scavò e scavò sino a liberarlo del tutto; il vento, se possibile, prese a soffiare ancora più forte di prima ma il giovanissimo non si diede per vinto, anzi, concentrò maggiormente i suoi sforzi per tirarlo in piedi, era così leggero…

Caricatoselo in spalla, si tranquillizzò: respirava ancora, poteva sentire il fiato tiepido del ragazzetto sulla sua schiena; ma non poteva restare lì, sarebbero congelati e poi, doveva occuparsi di lui in qualche modo, certo non poteva lasciarlo a morire in quel posto.

Non voleva.

Avanzando a fatica nella tempesta, il bimbo cercò di ripercorrere la strada che aveva fatto nell’arrivare sino a quel punto, ma le raffiche impetuose non gli permettevano di proseguire; lo gettarono a terra più e più volte, da lì non potevano passare, decisamente.

Doveva trovare un altro luogo dove passare la notte.

E poi si ricordò.

Ricordò la vecchia casupola nel profondo della foresta, ricordò le parole del maestro che diceva di non avvicinarsi mai a quei luoghi perché dimora degli spiriti del bosco: al diavolo! Quella era un’emergenza!

Folletti, spiritelli e quant’altro certo non si sarebbero arrabbiati in un frangente del genere!

Il piccolo fece dietrofront e cominciò a correre al massimo delle sue forze tra gli alberi e lungo i tortuosi sentieri che s’inoltravano nelle viscere della selva, tenendo saldamente stretto a sé il corpicino tremante rannicchiato sulla sua schiena; e finalmente la vide, la capanna immersa nel buio, i suoi occhi ormai abituati all’oscurità riuscivano a distinguerne il tetto leggermente a punta e la forma tozza a quadrilatero.

Lui sospirò di sollievo, finalmente erano in salvo.

§§§

“Sai che mi hai fatto proprio paura?”.

La voce di Seiya riscosse Ichi dal mutismo in cui era scivolato dopo la fine della prima parte del suo racconto: “Ti giuro, ho i brividi sulla schiena.” assentì il Pegaso, accoccolandosi con la testa sulle ginocchia di Shiryu, “Anche se mi chiedo, per quale diavolo di motivo vagabondavi sotto la neve in piena notte?” chiese accigliato il bruno, scrutandolo con severità.

Hydra sospirò, bevendo un sorso di cioccolata ormai tiepida: “I primi tempi avevo serie difficoltà a dormire…” borbottò il ragazzo, rannicchiandosi maggiormente contro le gambe del Leone Minore, “E spesso e volentieri cercavo di sfogarmi correndo attorno al lago.” spiegò lui con un vago imbarazzo.

“Prosegui col tuo racconto.” esordì Ikki, che fino a quel momento era rimasto in silenzio accanto alla finestra.

§§§

“Hai detto di chiamarti Lars, giusto? Io mi chiamo Ichi.”.

Il guerriero tese una manina graffiata e sanguinante verso il coetaneo sdraiato sul lettino che la guardò con aria triste; il bambino dalla pelle bianca la sfregò più volte sui pantaloni di iuta per ripulirla, poi gliela tese nuovamente, scrutandolo coi suoi grandi occhi scuri. Titubante, l’altro la strinse: “Grazie di avermi aiutato…” sussurrò Lars con un filo di voce roca, rotta subito dopo da un accesso violento di tosse.

“Figurati, ma ora stai giù.” lo rimbrottò il piccolo, chinandosi presso il caminetto per ravvivare il fuoco: “Cosa ci facevi in giro?” gli domandò, armeggiando con un vecchio pezzo di metallo che aveva rinvenuto vicino alla porta per smuovere i tizzoni ardenti.

“Ehi!”

Di nuovo, la voce del Pegaso interruppe il racconto: “Non dirmi che la casa è questa?!” esclamò stupefatto lui, scattando in piedi e guardandosi attorno; uno scappellotto si abbattè implacabile sulla sua nuca, gentilmente offerto da Jabu, “Stai buono e lascialo finire!” esclamò l’Unicorno, spingendolo seduto al suo posto.

Ichi rise sommessamente, annuendo: “Si, la casa è proprio questa…” mormorò con gli occhi lucidi, sfiorando il muro vicino a sé, “Forse è stata proprio lei a farmi ritornare in mente la vicenda…”.

“Stavo cercando te…” confessò il piccolo in un sussurro, tormentandosi le manine: “Avevo bisogno di vederti, di parlarti…” disse, alzando i suoi occhioni azzurri sulla sagoma china del bambino; questi si alzò di scatto, sbattendo la testa contro la mensola sopra la cappa.

Cadde a terra, massaggiandosi la parte lesa.

“C-Cosa hai detto?” chiese l’albino, reggendosi al muro per tirarsi in piedi e fissando il piccoletto, disteso su quel letto improvvisato; Lars scostò la coperta e si alzò, sembrava ancora più magro di quello che Ichi aveva, in un primo momento, pensato: il piccolo finlandese gli gettò le braccia al collo, facendolo sbilanciare e arrossire, però quel calore non era spiacevole, anzi, era quasi nostalgico.

“Volevo riabbracciarti, fratellone…” gli bisbigliò all’orecchio: “Almeno un’ultima volta…”.

Quelle parole fecero balzare il cuore in gola al piccolo, futuro Hydra.

Non riusciva a capire: perché lo chiamava fratellone…?

“Tu non lo sai…?” sussurrò Lars, era delusione quella che poteva sentire nella sua voce? Si chiese Ichi: “Non te l’ha detto nessuno…?” proseguì, sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

“Cosa avrebbero dovuto dirmi…?” pigolò l’albino con voce rotta.

“N-No importa… Davvero… Solo questo, ti prego…” Lars si era scostato, sciogliendo l’abbraccio e facendo incrinare ancora il cuore di Ichi mentre il più piccolo gli stringeva le mani: “Non dimenticarmi mai.”.

E come se fosse stato un fiocco di neve, con un’ultima, tenerissima stretta, a Ichi, Lars sparì.

Nella piccola casa, cadde un silenzio tombale.

Tutti erano sconvolti, l’unico rumore che si sentiva era il singhiozzo quasi disperato di Ichi, vanamente consolato dagli abbracci, pur se goffi, di Seiya, anche lui si sentiva strano, come se un pezzo di ghiaccio particolarmente grosso gli fosse precipitato nello stomaco.

“Solo ora capisco… Cosa voleva dirmi Lars… Solo ora… Sono stato troppo ottuso per capirlo allora…” balbettò faticosamente tra i singulti: “Era venuto a cercarmi solo per dirmi quello, lui… Lui non c’era più, ma era tornato per me…”.

Shun gli accarezzava la schiena, cercando al contempo di trattenere le lacrime, ma il pensiero di un altro loro fratello, il cui spettro vagava solo in quelle lande lo faceva stare male a sua volta.

“E tu… Ti sei tenuto tutto dentro fino a oggi…?” chiese Jabu, stupito e commosso.

“Che potevo fare…?” balbettò l’Hydra.

“Oh, ad esempio… Dircelo?” lo rimproverò Ikki, avvicinandosi al gruppo disordinatamente buttato per terra e afferrando l’Hydra per il colletto della maglia, sollevandolo di un pochetto: “È una cosa seria, che riguarda tutti. E poi, non avresti dovuto farti del male a questo modo.”.

Anche Ikki, che notoriamente era più orso degli stessi plantigradi che abitavano quelle foreste, dimostrava di avere un cuore, ma Ichi aveva sempre saputo, sotto sotto, che provava qualcosa per tutti loro.

Poi, all’improvviso, sentì qualcosa.

Una voce che lo chiamava.

Ne era certo! Era Lars!

Con uno scatto, spinse via i fratelli e scattò in piedi, correndo verso la porta e sordo ai richiami di Shun, che lo implorava di fermarsi e cercava di convincere gli altri a seguirlo: “Può farsi male!” esclamò l’Andromeda, e fu l’ultima cosa che l’Hydra sentì prima di catapultarsi nella tempesta.

Corse a lungo, corse corse e corse ancora, fino a superare il bosco e a ritrovarsi attorno al lago, difficilmente distinguibile per la tormenta e la neve.

“LARS!” urlò lui con quanto fiato aveva in gola, ma la sua voce si perse nel vento che, se possibile, ruggiva ancora più forte, quasi volesse impedirgli di essere sentito: “LARS! Sono qui! Siamo qui! Fatti vedere, ti prego!” gridò, cadendo in ginocchio sulla riva dello specchio d’acqua, “So che sei qui, fratellino… Ti prego, non nasconderti…”.

All’improvviso, una mano, incredibilmente calda nel bel mezzo della tempesta, gli sfiorò il viso rigato di lacrime, una manina piccina, non era cresciuto… Non poteva essere cresciuto…

“Mi spiace… Avrei dovuto dirtelo io…” bofonchiò Lars, comparso improvvisamente dinanzi a lui: “Però se non lo sapevi… Non volevo salutarti vedendoti piangere.”.

Ichi era sconvolto, ancora non credeva di averlo davanti, pensava fosse solo un’allucinazione dovuta al freddo, ma quel contatto così gentile non poteva esserselo sognato! Con mano tremante, gli sfiorò la guancia.

Non era un’illusione.

Lo abbracciò, singhiozzando sulla sua spalla mentre il più piccolo quasi spariva nella stretta del fratello, quando, alle loro spalle, col vento che scemava a ogni singolo respiro, erano comparsi anche gli  altri, coi visi arrossati per la corsa sotto la neve e affaticati: subito, quando videro Ichi inginocchiato a terra, temettero il peggio, ma poi videro un bambino materializzarsi tra i fiocchi di neve e a quel punto capirono che tutta la storia che il ragazzino aveva raccontato loro era vera, che quel fantasma esisteva davvero ed era proprio lì, davanti ai loro occhi.

“No, non è un fantasma…” balbettò Nachi, dando voce ai pensieri di tutti: “E’ uno di noi, è Lars.”.

Poi, si staccò dal gruppo e, a passo lento, si portò a fianco dell’Hydra, i due parevano non essersi accorti del suo arrivo e doveva ammettere che quei ciuffi biondi che spuntavano dall’abbraccio di Ichi gli lasciavano un senso di nostalgia all’altezza dello stomaco non da poco.

Wolf si accucciò accanto a loro con espressione intenerita: “Ciao…” sussurrò piano.

Lars si scostò dalla stretta di Ichi, puntando i suoi grandi occhioni azzurri sul Saint del Lupo: “Ciao, fratellone…” salutò a sua volta, sorridendogli, “Ci siete tutti.” Sembrava commosso; “Il serpentello qui ci ha raccontato tutto!” ecco Seiya che arrivava, trascinandosi dietro Shiryu, “E saremmo anche arrivati prima, se si fosse deciso ad aprire quella sua boccaccia, a quanto pare la usa solo per sparare stupidaggini!”.

“Seiya!” lo rimproverò Shun con espressione contrita, stretto nel suo cappotto e con quello dell’Hydra sulla spalla, visto che il ragazzo era scappato fuori solo con il pigiama addosso: “Mi dispiace…” balbettò poi con gli occhi lucidi.

Lars scosse la testa e gli afferrò le mani con un sorriso affettuoso: “Di cosa ti dispiace, di essere vivo? Fratellone Shun, non devi mai dispiacerti di essere vivo.” lo rimbrottò, “Io sto bene, non voglio che voi stiate male per qualcosa successa molto tempo fa. Siete vivi e siete insieme, quindi dovete solo che essere contenti, anche per me.”.

 “Però è difficile…” notò Shiryu a capo chino.

“Sarebbe stato peggio se fosse rimasto solo uno di voi in vita, eppure siete rimasti in dieci, e anche se noi non ci siamo più, in qualche modo, noi viviamo in voi perché abbiamo in comune il fatto di essere fratelli e finché non ci dimenticherete del tutto, noi saremo sempre qui. Voi potete ancora abbracciarvi e stare uniti, non sprecate questo dono. E poi, perché essere tristi la notte di Natale?”.

“Ma voi…” provò a dire Geki, prima di venire azzittito dall’improvviso assalto del piccoletto, che gli si aggrappò al braccio massiccio senza volerlo lasciare andare: “Noi vi vogliamo bene, e tanto basta.” replicò lui, dondolandosi come una scimmietta, “Davvero, non siate tristi perché non è necessario. Vi voglio bene.”

E prima che potesse nuovamente sparire, tutti i ragazzi gli si gettarono addosso, stringendolo forte, fino a quando non si ritrovano gli uni nelle braccia degli altri, mentre all’orizzonte sorgeva il sole oltre le montagne e sul lago.

§§§

Saori richiuse la porta del suo studio, cercando di fare meno rumore possibile per non disturbare i ragazzi.

Si era spaventata quando, ritornati dal viaggio a Horts, le avevano chiesto i fascicoli dei bambini mandati in addestramento, ma qualcosa l’aveva spinta a non fare domande: si era limitata ad annuire, lasciandoli alle loro occupazioni.

Però era certa di averli sentiti ripetere sotto voce dei nomi.

Non sapeva cosa fosse loro accaduto lassù, ma ricordare quelle piccole vite spezzate avrebbe sicuramente portato a qualcosa di buono, anche se di doloroso.

Però era certa che nessuno di quei nomi, da quel momento in poi, sarebbe stato più dimenticato e lasciato morire nell’oblio: perché erano troppo preziosi per restare relegati in un angolino remoto di qualche archivio, erano morti per un ideale, erano morti bambini, troppo presto forse, e si meritavano quel riconoscimento.

Solo così sarebbero sopravvissuti in eterno.

Nei cuori di coloro che erano rimasti ad amarli.

 

Dedicata a Heather-neesan perché senza di lei il mio piccolo Lars non avrebbe mai potuto vedere la luce

   
 
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