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Autore: Mokusha    04/09/2011    2 recensioni
Salve di nuovo, carissimi lettori, son di nuovo qui a torturarvi con quello che produce la mia mente malata.
Questa volta si tratta di una storia tratta da Requiem for a Dream, l'avete visto no? Ho tenuto il personaggio di Harry, interpretato dal nostro Jad, e ho inventato quello di Lily.
"Lei amava Harry. Lo amava con tutto il cuore, e probabilmente anche di più. Lo aveva amato dalla prima volta che l'aveva visto, dalla prima volta che quegli occhi così chiari avevano incontrato i suoi, e lei era riuscita a leggerci chi lui fosse veramente."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolino Mio: L'altra sera, mi sono messa a guardare Requiem for a Dream in straming. Dire che io abbia pianto è inopportuno. L'idea di questo racconto ha iniziato a far capolino nella mia povera mente la notte stessa, e oggi pomeriggio mi sono decisa a buttarlo giù.
Fatemi sapere che ne pensate, se devo essere onesta, non so darmi un giudizio nemmeno io :)
L'ho scritta con questa di sottofondo, e credo valga la pena ascoltarla anche finchè la si legge :)
http://www.youtube.com/watch?v=ZGoWtY_h4xo 
Fatemi sapere, ok?

Bacio!



From Requiem For a Dream.

(Jared Leto as Harry)

Lily si aggrappò al lavandino, pregando che la sostenesse.

Incrociò il proprio sguardo allo specchio. Gli occhi arrossati, il viso scarno, i capelli castani arruffati.

Un velo di sudore le imperlava la fronte.

Si sforzò di respirare, di respirare profondamente, per calmare il tremore che le scuoteva il corpo e le faceva battere i denti.

Aprì il rubinetto dell'acqua fredda, e si bagnò i polsi. Si morse un labbro, mentre le lacrime iniziarono a scorrerre per l'ennesima volta.

Si portò una mano alla bocca per soffocare i singhiozzi che la opprimevano.

Harry se n'era andato da tre giorni.

Tre giorni che non sentiva la sua voce, che non si perdeva in quegli occhi azzurri che l'avevano fatta innamorare. Tre giorni che le sue labbra non le sfioravano la guancia per svegliara al mattino, tre notti che le sue braccia non si avvolgevano attorno al suo corpo per tenerla stretta stretta.

L'appartamento era dannatamente grande, dannatamente vuoto, dannatamente silenzioso.

Erano passati solo tre giorni, ma a Lily sembrava passata una vita.

Non aveva toccato cibo da quando lui se n'era andato, sbattendo la porta talmente forte che i soprammobili avevano traballato, e la cornice con la foto che li ritraeva finchè scherzavano felici era caduta andano in pezzi.

Udendo il rumore del vetro che si schiantava sul pavimento anche il cuore di Lillian, Lily, come la chiamava lui, si era frantumato.

Era rimasta per dieci minuti buoni a fissare la porta d'entrata, per poi crollare in singhiozzi sul pavimento a raccogliere i cocci, e da allora aveva vissuto come in trance.

Tramite amici, era riuscita a sapere che Harry stava andando in Florida, ma non aveva più ricevuto notizie.

Avevano litigato. Avevano litigato per la droga, di nuovo.

Lillian uscì dal bagno, e si trascinò fino al salotto, dove si raggomitolò sul divano avvolta in una coperta, incapace di riscaldare il gelo che l'invadeva.

Tirò su con il naso.

Lei amava Harry. Lo amava con tutto il cuore, e probabilmente anche di più. Lo aveva amato dalla prima volta che l'aveva visto, dalla prima volta che quegli occhi così chiari avevano incontrato i suoi, e lei era riuscita a leggerci chi lui fosse veramente.

L'aveva amato nonostante la notevole differenza d'età, quei quindici anni che li dividevano la facevano sentire, per assurdo, protetta e sicura. L'aveva amato nonostante la sua dipendenza, e nonostante la propria.

L'aveva conosciuto sei anni prima, lei aveva sedici anni, quando aveva cominciato a drogarsi dopo la morte dei genitori.

Era scappata dall'orfanatrofio dove si trovava per stare con lui, e lui le aveva donato tutto l'amore incondizionato di cui aveva bisogno. Non aveva mai approfittato di quella giovane, ingenua ed eterea ragazzina spaventata, si era limitato ad amarla e rassicurarla, stringendola a sè ogni volta che la vita le andava in pezzi, procurandole le dosi che le servivano quando i suoi abbracci e i suoi baci non bastavano a consolarla.

Lei gli aveva letto l'anima, l'aveva inquadrato alla perfezione, ed era tutto fuorchè ciò che gli stereotipi attribuiscono alle parole "spacciatore" e "drogato".

Era semplicemente un'anima che la vita aveva rifiutato, a cui la felicità sembrava non essere concessa, esattamente come lei. Ma era anche la persona più capace di donare amore che lei avesse mai conosciuto, ed era stato proprio il suo amore a salvarla.

Un paio d'anni dopo averlo conosciuto, Lillian aveva deciso di riprendere in mano la sua vita. Aveva solo diciott'anni, un uomo che l'amava e tutta una vita da vivere assieme.

Si era resa conto che non aveva più bisogno di cercare la felicità artificialmente, e piano piano, ne era uscita.

Ora, a ventidue anni era pulita, e non aveva più toccato neppure un'aspirina di troppo.

Harry no.

Nonostante amasse Lillian più di quanto un uomo possa essere in grado, non riusciva a staccarsi dalle siringhe e dalla polvere.

Detestava farla soffrire, ma continuava, ingenuamente, a drogarsi di nascosto da lei.

Lily, da ex-tossica, riusciva a capire se Harry fosse fatto non appena mettava piede in casa.

Lei gli era stata vicino, lo aveva rassicurato e confortato, gli aveva tenuto la mano durante le crisi d'astinenza, ingoiando le lacrime che la sua sofferenza le provocava.

In realtà, Harry era riuscito a stare lontano dalla droga per un po'.

Era durata circa sei mesi, ed erano i sei mesi più belli che Lily potesse ricordare.

Poi, il ricovero della madre di lui in quella clinica psichiatrica lo aveva fatto crollare, e aveva ricominciato.

Lillian era frustrata e si sentiva in colpa, perchè si rendeva conto, di non essere abbastanza per Harry. Si rendeva conto di non renderlo abbastanza felice, perchè, se l'avesse fatto, si diceva, lui non sarebbe dovuto ricorrere alla droga. Non avrebbe avuto bisogno di trovare una scappatoia dalla realtà, perchè lei avrebbe dovuto essere la sua realtà.

Harry era consapevole di questo, e si sentiva ancora più colpevole, e per cancellare il senso di colpa che gli martellava nel petto ogni volta che lei andava a dormire con gli occhi arrossati e lucidi, si rifugiava ancor di più nelle sostanze stupefacenti.

Era tutto un circolo vizioso.

Lui prometteva, prometteva, lei perdonava, e così, all'infinito.

Come quella sera.

Lui era rientrato, le pupille dilatate, le narici arrossati e lei si era sentita morire.

Avevano litigato, litigato furiosamente e lui se n'era andato sbattendo la porta e facendo cadere la cornice.

E adesso le mancava, le mancava terribilmente, perchè, nonstante tutti i litigi, e le colpevolizzazioni, le lacrime amare, Lillian era felice con Harry, erano due anime legate indissolubilmente, l'uno completava l'altra.

Ed era per questo che lei si sentiva così terribilmente svuotata.

Aveva rinunciato alla droga, ma aveva fatto di lui la sua dipendenza.Ed ora era in astinenza, e faceva male, faceva male anche solo respirare, e non poteva far altro che piangere,e piangere, e pregare che la sua vita si consumasse presto.

Il trillo del telefono la fece sobbalzare.

Serrò gli occhi e si portò la coperta sopra la testa, non voleva sentire, non voleva sentire niente.

Ma il telefono continuava, penetrante, insistente.

Non si sa cosa spinse Lillian a rispondere, se il destino, il sesto senso, o quel legame che univa le loro anime.

Sta di fatto, che si alzò dal divano, ciabattò fino a raggiungere il telefono e rispose.

"Pronto?" biasicò, la voce impastata dal pianto e dalla stanchezza.

"Lily."

Il suo nome. Due sillabe.

A Lillian bastarono due sillabe per tornare in vita.

Due sillabe pronunciate dalla sua voce.

Il cuore le si fermò per un momento, e poi riprese a pompare, il sangue defluiva nelle sue vene e la riscaldava, e respirare, respirare era semplice.

"Harry" singhiozzò "Harry, grazie a Dio..."

"Lily amore mio" disse Harry dall'altra parte del telefono, la voce gli tremava, piangeva anche lui. "Se tu sapessi..."

"Harry mi dispiace tanto. Mi dispiace tanto amore mio." Lillian era ormai incapace di controllare le lacrime.

"No. No, avevi ragione. Sono stato un idiota... E' a me che dispiace Lily. Ti amo. Ti amo da morire, Lillian, se tu potessi sentire quanto ti amo!"
"E tutto ok" disse lei dolcemente "Lo so. Ti amo Harry. Ti prego, torna a casa" disse tirando su col naso.

"Stai bene, amore?" si preoccupò lui.

"Sto bene. Solo, torna a casa" Lillian aveva le mani che tremavano, e sentiva tutto l'amore che provava per lui esploderle dentro.

"Torno presto amore mio, torno presto. E saremo io e te, io e te e basta. Te lo giuro, amore, te lo giuro"

"Puoi tornare oggi?" sussurrò Lillian, con voce strozzata.

"Va bene amore" la rassicurò lui "Torno oggi. Sto tornando. Ti amo. Ti amo."
"Ti amo anche io Harry. Tanto"
"Aspettami lì."
"Sì. Ti aspetto qui. Ti aspetto."

Avevano riagganciato così, con una promessa.

E Lillian l'aveva mantenuta, l'aveva aspettato. E aspettato. E continuato ad aspettare.

Era quasi in preda ad una crisi di nervi, quando lo squillo del telefono aveva spezzato il silenzio assordante che la circondava, alle due di notte.

Scattò in piedi, precipitandosi a rispondere.

"Harry?" domandò concitata.

"Signorina Lillian McCollough?" le risposre una voce.

Un brivido gelido percorse la schiena della ragazza.

"Si?" sussurrò.

"La chiamo dall'Indipendence Hospital di Miami. Harry Goldfarb

è ricoverato qui. Il suo braccio destro è in cancrena. Continua a ripetere il suo nome."

Lillian chiuse gli occhi, mentre la sua mente cercava di elaborare quella notizia che il cuore non voleva saperne di accettare.

Rimase così, sospesa, fino a pedere la condizione del tempo, finchè la voce del medico non la riportò alla realtà.

"Signorina McCollough, c'è ancora?"

Lillian trovò la forza di dire al dottore che sarebbe stata lì nel giro di quattro ore.

Guidata dalla disperazione, o forse dall'amore, o probabilmente da entrambi, riuscì ad infilarsi in macchina e guidare verso Miami, resistendo alla tentazione di abbandonarsi all'isteria.

Teneva gli occhi fissi sulla strada, nonostante le lacrime che ne sgorgavano copiosamente le offuscassero la vista, e pregava che il suo angelo custode, o una qualsiasi entità sovrannaturale la facesse arrivare a quel dannatissimo ospedale viva.

I flashback della sua vita con Harry si sovrapponevano a immagini frammentarie di lui, morente su di un letto d'ospedale.

Lillian continuava a sussurrare tra sè e sè, impercettibilmente, senza rendersene conto:

"Non portarmelo via, lo amo, non portarmelo via."

Continuò a ripetere quelle frasi per tutta la durata del viaggio, e continuò a ripeterle anche quando entrò nell'atrio dell'ospedale in stato totalmente confusionale.

Un'infermiera grassottella e dal sorriso dolce le venne incontro, domandandole se poteva esserle d'aiuto.

Lillian, tornando in sè, riuscì, tra un singhiozzo e l'altro a spiegarle chi fosse e chi cercasse.

L'espressione della donna cambiò, ma prese affettuosamente Lily per mano e la accompagnò nello studio del medico che si stava occupando di Harry.

Il medico la fece accomodare, e le offrì una tazza di caffè bollente, che Lily non toccò nemmeno.

"Posso darti del tu, Lillian?" le chiese il medico, in tono rassicurante.

Lillian annuì, continuando a tormentare convulsamente il ciondolo a forma di chiave di violino che Harry le aveva regalato.

"Bene" sorrise il dottore "Lillian, tu sai che Harry fa uso di sostanze stupefacenti?"

La ragazza sollevò lo sguardo spaventato verso l'uomo con il camice bianco che aveva davanti.

"Si" sussurò "Lo so. E ne vuole uscire, io lo aiuterò, posso farcela, però la prego, la supplico, faccia qualcosa." singhiozzò disperata.

Il dottore le prese la mano.

"Faremo il possibile Lillian te lo prometto. Ma..."

"Nessun 'ma' dottore." sbottò la ragazza, ormai esausta "Lei non conosce Harry, lui non è cattivo, ha solo bisogno di me, e io ho bisogno di lui, la prego, non ci giudichi"

"Mio figlio è morto per overdose"

Quella confessione freddò Lillian.

Fissò il medico, per un momento lunghissimo.

"Mi... Mi dispiace" balbettò "Io.. Io non lo sapevo."

"Va tutto bene" la rassicurò "Non ho intenzione di giudicare Harry, ne tantomeno di giudicare te. Non voglio sbatterlo in prigione o in una squallida comunità se è questo che ti spaventa."

Lily sussultò.

"Affronteremo un problema per volta" continuò l'uomo "L'infezione al braccio è piuttosto seria, e molto estesa. Sarò sincero con te, Lillian, lo fa soffrire molto. E' difficile anche fare delle analisi, perchè non appena lo sfioriamo il dolore peggiora. Se continua così, io... Ho paura che saremmo costretti ad amputare Lillian."

La ragazza si rifiutò di comprendere quelle parole.

"Posso vederlo?" si limitò a chiedere.

"Sarebbe contro le regole ma..."

Lillian sgranò gli occhi.

"...credo non possa che far bene ad entrambi. Non ha mai smesso di ripetere il tuo nome, e che non saresti venuta. Quello che vi lega è palpabile."

Lillian si sforzò di controllare le lacrime.

"Vorrei che mio figlio avesse trovato qualcuno come te. Vieni, ti accompagno"

Percorsero un corridoio lungo e stretto, illuminato da inquietanti luci al neon troppo chiare.

Qualcuno, gridò.

Non qualcuno, lui.

La mente e il cuore di Lillian non avrebbero mai dimenticato quell'urlo.

Era straziante.

Se la sofferenza e il dolore fossero stati un suono, di certo sarebbero stati quel grido.

La ragazza smise di camminare.

Guardò il dottore, smarrita. L'uomo le strinse una spalla.

"A causa delle sostanze che ha assunto, la morfina non fa effetto su di lui"

Lily annuì, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Si avvicinò alla porta, e sospirò, cercando di darsi un contegno finchè spingeva la maniglia verso il basso.

Doveva essere forte, si diceva, doveva essere forte per lui.

Harry era lì, immobile, su quel letto in mezzo alla stanza. Il suo petto si sollevava a fatica, i capelli, madidi di sudore appiccicati alla fronte. Gli occhi, così incredibilmente chiari erano vitrei. Gemeva piano, per il dolore.

Lillian gli si avvicinò, cauta.

Posò lo sguardo sul suo braccio, e inorridì.

La carne era solcata da un livido viola e nero, che sembrava volesse cibarsi della sua energia.

Non appena Harry la vide, i suoi occhi si accesero.

"Lillian!" esclamò, cercando si tirarsi su a sedere. Uno spasmo di dolore lo attraversò, e si accasciò sul letto con una smorfia sofferente.

La ragazza si precipitò al suo fianco.

"Sta giù" gli disse. "Oh, Harry" sussurrò, rinunciando a trattenersi dal posare le labbra sulle sue.

Lo baciò, liberando tutte le emozioni di quei tre giorni, tutto il suo amore, la sua comprensione e il suo perdono.

"Mi dispiace tanto" sussurrò lui.

"Sssh, non parlare" disse Lillian, sedendosi sul bordo del letto. Prese ad accarezzargli dolcemente i capelli. "Va tutto bene, sono qui" lo rassicurò "Sono qui, sono con te. Non ti lascio."

"Potrai mai perdonarmi, piccola Lily?"

"L'ho già fatto amore mio, l'ho già fatto" singhiozzò.

Nascose il volto nell'incavo della sua spalla, e lui la abbracciò, con il braccio sano, continuando ad accarezzarle la schiena.

"Ti amo Harry. Ti amo tanto"

"Lo so amor mio. Io amo te."

"Andrà tutto bene" ripetè Lillian, più per rassicurare sè stessa.

Harry fremette, colto da una nuova fitta di dolore.

Lillian si sentiva morire il cuore a vederlo in quello stato, e avrebbe venduto volentieri la sua anima perchè non soffrisse.

Si stese sul letto accanto a lui, posizionandosi in modo che lui poggisse la testa sul suo petto. Posò il mento sul suo capo. "Prendi la mia mano Harry" sussurrò dolcemente. "Stringila, quando fa male, stringila"

Lui avvolse le sue dita attorno alla fragile mano di lei, e si sforzava di trattenere la voce quando il dolore lo assaliva.

Lei lo percepiva irrigidirsi, e sentiva il suo respiro farsi sempre più corto. Quando non riusciva a trattenerli, i gemiti di Harry erano coltellate continue per il cuore di Lillian.

"Ti amo" ansimò, finchè le stringeva la mano cercando di non farle male.

"Sssh, non parlare" Prese un asciugamano di spugna dal comodino e cominciò a passarglielo sulla fronte, cercando di asciugare il sudore che la imperlava.

Gli baciava dolcemente le tempie, per fargli sentire che c'era, che ci sarebbe stata sempre.

Iniziò a parlargli, per farlo rilassare, come una madre con un bambino, con tutto l'amore possibile.

Sentì che il corpo di Harry iniziava a rilassarsi, il suo respiro farsi più regolare, e a poco a poco si addormentò. Lei continuò ad accarezzargli i capelli, era ormai mattina inoltrata, quando permise alle sue palpebre di chiudersi. Solo per un momento.

Sbarrò gli occhi sussultando.

Il rassicurante bip-bip della macchina che misurava le pulsazioni dell'uomo che amava si era arrestato, trasformandosi in un assordante "iiii" continuo, e ancora più assordanti erano i gemiti che Harry non poteva, umanamente, trattenere.

Prima che Lillian avesse il tempo di rendersi conto di cosa stesse succedendo, che avesse il tempo di rassicurarlo, prima che avesse il tempo di chiedere al proprio cuore un ultimo sforzo, la stanza venne invasa da infermiere e dottori, che sembravano parlare una lingua totalmente sconosciuta alla giovane donna.

Riconobbe il dottore con cui aveva parlato, e l'infermiera dal sorriso dolce.

Prima che potesse chiedere spiegazioni, si trovò scaraventata in malo modo fuori dal letto, mente Harry veniva issato su di una barella e portato via. Le sue urla continuavano a riecheggiare tra le pareti dell'ospedale, tra le pareti dell'anima di Lillian.

"Dove lo portate?" gridò, senza ricevere risposta.

Rincorse i medici, raggiunse la barella e gli prese la mano.

"Harry, io sono qui, non lasciarmi, ti supplico amore mio, non lasciarmi"

"Lily..." riuscì a dire lui, sconquassato dagli spasmi

"Sono qui" ripetè la ragazza, vittima dell'ennesimo attacco di pianto.

"Lillian, dobbiamo amputare" le disse il medico, senza giri di parole.

"No, no, no" si ostinò lei.

"Se non amputiamo, l'infezione lo ucciderà.Rimani qui ora, devo operarlo. Andrà tutto bene." la rassicurò.

L'infermiera tratenne Lillian in una stretta dolca ma decisa.

"La prego" gridò Lily al medico, tra le lacrime, accasciandosì al pavimento,. "La prego, non lo lasci andare"

Le cinque ore sucessive, furono per Lillian la tortura peggiore della sua vita.

La dolce infermiera era rimasta con lei tutto il tempo, l'aveva tenuta tra le braccia finchè i suoi singhiozzi non si erano trasformati in un pianto silenzioso, le aveva portato bibite e caffè bollente, ma Lillian aveva continuato a rifiutare guardando il vuoto davanti a sè.

Il suo cervello continuava ad arrovellarsi, formulando ipotesi.

"E se..." erano le due parole che continuavano a rimbombarle in testa.

"E se non ce l'avesse fatta?"

La conclusione a cui era giunta, era che non ce l'avrebbe fatta nemmeno lei.

Finalmente, le porte della sala operatoria si spalancarono, e il dottore uscì.

I suoi occhi erano stanchi, ma sorridevano.

Lillian scattò in piedi, l'adrenalina le bruciava nelle vene.

Quando l'uomo sorrise e annuì, la ragazza lo abbracciò istintivamente riprendendo a singhiozzare.

Il medico ricambiò l'abbraccio, tenendo stretta quella fragile e spaurita ragazzina.

"E' andato tutto bene Lillian" la rassicurò. "Ho dovuto farlo, capisci?"

La ragazza lo guardò e annuì.

"Con le protesi oggigiorno si fanno miracoli, avrà esattamente le stesse possibilità di prima."

Lillian continuò ad annuire.

"Lo stanno portando nella sua stanza ora, tra poco dovrebbe svegliarsi. Puoi andare da lui se vuoi."

"Non so come ringraziarla"

"Non mi devi ringraziare. E' il mio lavoro." le sorrise "Lillian...?"

La ragazza sollevò lo sguardo.

"Strà bene. Starete bene."

E Lillian capì, che non si riferiva solo al braccio. Sorrise al dottore, prima di raggiungere Harry nella sua stanza.

Dormiva ancora, il suo volto era sereno, non c'era traccia di dolore.

Lillian sentì anche il suo cuore liberarsi dalla sofferenza, alleggererisi da un peso troppo grande.

Avvicinò una sedia al letto, si accoccolò, piuttosto scomodamente, contro di lui posando la testa sul suo petto.

Chiuse gli occhi, e rimase così, ad ascoltare il suo cuore, immobile, finche non sentì una mano tra i capelli.

Si sollevò a sedere.

Occhi cercarono altri occhi.

Lei si lasciò annegare nell'azzurro nei suoi, mentre lui frugava in quelli nocciola di lei.

Per un momento, non fecero altro che guardarsi.

Poi lui sollevò la mano sinistra e le accarezzò al volto.

Lei mise la propria mano sulla sua, tenendola premuta contro la guancia.

Con il pollice, Harry asciugò quella lacrima solitaria che spuntava da quegli occhi che avevano pianto troppo.

"Non potrò abbracciarti" le disse.

Per tutta risposta, lei si rannicchiò contro il suo petto, lasciando che lui la avvolgesse con il braccio sinistro.

"Mi stai abbracciando" gli fece notare.

"Ti amo". Harry posò le sue labbra sulla fronte di Lillian, che voleva solo godersi ogni contatto con lui.

"Ti amo." rispose lei. "Staremo bene. La sconfiggeremo assieme. Io e te. E vinceremo. Insieme."

"Insieme" replicò lui.

Lillian annuì, finalmente convinta, tra le braccia dell'uomo che amava, tra le braccia delluomo che l'amava, che quella volta, ci sarebbero riusciti davvero.

 
   
 
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