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Autore: Haruakira    05/09/2011    2 recensioni
Come reagirebbe un Cavaliere (o un God, o un Marine, o uno Spectre) all'idea di diventare padre (o una Sacerdotessa all'idea di diventare madre)? Continuerebbe a vivere da guerriero rinunciando a farsi una famiglia, appenderebbe l'armatura al chiodo per vivere quest'importantissima esperienza o cercherebbe di far convivere le due cose, conscio del rischio di rendere orfano il figlio o, peggio ancora, della possibilità di metterlo in pericolo?
Quali domande potrebbe porsi, e quali potrebbero essere le alternative?
Roundrobin ispirata a una discussione sul forum; si cerca di trattare il tema evitando l'OOC!
Storie:
τρέλα (Follia) (Milo/Scorpio)
Mai più solo (Kanon di Gemini)
La Scelta di Marin (Marin/Castalia dell'Aquila)
La figlia del Ghiaccio (Camus dell'Acquario)
Tornerò in un raggio di sole (Aiolia/Ioria del Leone)
Rossi come il sangue (Death Mask del Cancro)
Le inesorabili lancette del tempo (Dohko della Bilancia)
L' uomo e il guerriero (Saga di Gemini)
La Rosa più bella (Aphrodite dei Pesci)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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rod robin Saga: soldato
Saga fissava silenziosamente lo schermo acceso del televisore, le immagini gli scorrevano davanti agli occhi ma non le vedeva, troppo impegnato a fare i conti con la sua testa e con ciò che era: cavaliere, soldato. E ci faceva a pugni in quel momento con ciò che era, si sentiva solo un uomo stanco che in quell' istante avvertiva tutto il peso dei suoi doveri.
La sua vita era stata una lunga parabola che aveva trasformato il santuario della dea e la sua anima in dei campi di battaglia in cui le fazioni si confrontavano e si uccidevano nel nome di illusioni diverse.
Era stato cavaliere, tiranno, traditore nel nome della dea, poi di nuovo cavaliere. Era morto da cavaliere, era rinato tale. Aveva creduto che la sua anima ora fosse di nuovo sua, che fosse una, che la lotta interiore in cui la sua mente veniva tormentata, calpestata, confusa fosse terminata. E in effetti non possedeva più una parte malvagia, o almeno non più degli altri uomini.
Perchè non riusciva ad essere una sola anima? Perchè la parola conciliazione sembrava bandita dalla sua vita?
Sei un uomo, si diceva.
No, sei un cavaliere.
Sei padre.
No, sei un soldato della giustizia.
Puntò lo sguardo sul fagottino che dormiva della grossa tra lui e Kanon, il fratello sedeva a gambe incrociate sul divano in un altrettanto religioso silenzio.
-E' pericoloso tenerla qui- gli disse all' improvviso senza smettere di guardare il televisore- questa è una rocca e le guerre non si prevedono.
-Lo so
-Lo sai ma ancora non l' hai portata dai suoi parenti- gli fece notare il gemello
-Devo chiarirmi le idee.- affermò alzandosi e stringendo il fagotto tra le braccia in maniera goffa e devota. Saga pensò che la bimba era davvero piccola e tra le sue grandi braccia lo diventava ancora di più. Doveva stare attento, si disse, poteva schiacciarla.
Kanon lo seguì nella sua stanza. Saga non aveva il coraggio di dire che -diavolo!- quel cosino era pur sempre sua figlia. Figlia. Avrebbe voluto allevarla, sentirla parlare, vederla sorridere.
-Saga...
-Che c' è?- sbuffò l' altro in malo modo
-Sono... contento di essere... zio...sì, zio...
-Io lo so- lo inerruppe Saga- lo so che qui non avrebbe una vita normale. Chi risiede al tempio fa una scelta di vita precisa, che sia una semplice ancella o un cavaliere. Servendo la dea si corrono ugualmente dei rischi.
-Saga, ancelle e soldati una famiglia possono averla. Persino i cavalieri di bronzo. Ma pensi che tua figlia. Tua figlia- rimarcò alzando un poco la voce- la figlia di un cavaliere d' oro, sarebbe una semplice ancella? No, diventerebbe una sacerdotessa... ammesso che riesca a sopravvivere. Dovresti separartene comunque.
- Non mi dici niente di nuovo, queste cose le so già.
- E allora che aspetti a riportarla ad Atene? Sarebbe un atto di egoismo se la tenessi con te.
Saga tenne la bimba con sè per un' altra settimana, poi si recò in un caffè di Atene. Non credeva di trovarlo aperto. Quandò entrò si sentì il rumore gradevole di un campanellino.  Le due donne dietro al bancone sgranarono gli occhi appena lo videro.
La donna più giovane, di ciarca quarant' anni gli andò in contro a passo svelto togliendogli la bambina dalle braccia mentre sua madre, un' anziana donna paffuta, rimaneva dietro al bancone portandosi un fazzoletto alle labbra mentre gli occhi si facevano gonfi di pianto.
-Vattene!- aveva urlato la donna cullando la sua bambina- vattene!- ripetè istericamente- Ci hai rovinato!
Saga serrò la mascella perchè in fondo era vero, in fondo ne era convinto anche lui.
-Lo so- sussurrò- ma quella bimba è mia figlia, signora.
-E che vuoi? Che vuoi se è tua figlia? Non mi sembra che tu ti sia fatto tutti questi problemi quando hai messo Vittoria incinta e te ne sei andato. Lo sapevi che l' avrebbe cresciuta da sola, lo sapevi che andava ancora all' università, che sarebbe stato difficile. Ma l' hai lasciata, anzi, le hai lasciate. E ora vieni qui a dirmi che questa bambina è tua figlia. Ce ne vuole di coraggio. Te lo ripeto, vattene. Ti ho già denunciato per il suo rapimento. Vattene!
La donna sembrava un fiume in piena e la sua bimba aveva iniziato a piangere e a strillare, a Saga venne spontaneo allungare le braccia per calmarla ma la proprietaria del locale si allontanò.
-Vorrei vederla ogni tanto- provò
-No- fu una risposta secca, categorica. E del resto che si aspettava?- Mamma- aggiunse la donna girandosi in direzione dell' anziana- chiama la polizia, non se ne vuole andare.
-Lei non sa signora. Ho sbagliato, lo so perfettamente e se sono qui è perchè non posso occuparmi di lei, se ho lasciato Vittoria è perchè non potevo starle accanto. Sarei tornato da loro alla fine della mia missione. Non le chiedo niente, vorrei solo poter vedere crescere mia figlia.
-Troppo facile così. Troppo facile farla allevare da noi e poi venire una volta a settimana o al mese per mettersi la coscienza a posto.
Saga rimase in silenzio, non sapeva che dire. Quella donna avrebbe avuto ragione in condizioni normali ma non poteva certo dirle che era un cavaliere di Atena. Sospirò pesantemente uscendo dal locale.  Salutando pensò che sarebbe tornato ogni giorno al "Cappuccino", avrebbe convinto le due donne a concedergli il tempo di sua figlia.
Quando quel giorno mise piede in quel locale si ricordò dello scricciolo dietro il bancone, gli era sembrato di vederla quasi, che lo accoglieva con una risata. Ogni mattina andava a fare colazione in quel bar dal gusto classico e un po' retrò, gli piaceva quell' atmosfera da caffè letterario quasi che vi si respirava e in effetti ci andavano parecchi studenti.
Anche Vic era una studentessa, uno scricciolo dai capelli rossi e dall' aria un poco timida e riservata ma forte come pochi. O meglio, era una che cercava di essere forte e di nascondere tutte le sue fragilità.
Avevano iniziato a salutarsi, a scambiarsi due parole e alla fine a chiacchierare. Poi un giorno fuori dal locale le aveva chiesto di uscire e le uscite erano diventate tre, quattro, cinque...
Piano piano si era aperta a lui, si era fidata e aveva scoperto che quel bar era il tesoro della sua famiglia, una famiglia al famminile. Suo nonno era morto quando era molto giovane e nonna Elena aveva dovuto crescere tre figli da sola, suo padre invece era un mascalzone che aveva mollato lei e sua madre quando aveva appena un anno,  poi c' era lei.
Lei che non voleva deluderle, lei che riteneva i capricci inutili, lei che ammirava la nonna e la mamma per la loro forza e che al tempo stesso voleva proteggerle.
-Hanno penato tanto nella loro vita- gli aveva spiegato- lo sai... io ho le spalle piccole, ma sono tanto forte.
Lo aveva detto con aria un po' triste e sconsolata fissandosi i piedi con le sopracciglia aggrottate. Era normale sentire dell' affetto nei suoi confronti. Gli piaceva Vic, gli piaceva perchè non era bella e non era appariscente, perchè era carina e non si riteneva tale, perchè era timida e ostinata, perchè aveva dei difetti impossibili come quello di essere troppo rigida o severa e perchè aveva un grande pregio che era la sua volontà.
Un giorno era andato a prenderla in facoltà e passeggiando lei gli aveva detto:
-Saga... tu... mi piaci... e tanto anche. E' un bel problema, sai?
-E... perchè?
-Perchè è un problema. Sono fidanzata.
Aveva ragione lei. Era stato un bel problema soprattutto quando aveva lasciato il fidanzato, quel bravo ragazzo e gran lavoratore che la nonna e la mamma tanto adoravano e poi quando gli aveva comunicato piangendo di aspettare un bambino.
Lei gli aveva raccontato la verità, solo la verità, si era fidata di lui che invece l' aveva riempita di bugie. "Sono... un soldato", le aveva detto.
-Saga, io il bambino lo tengo- aveva detto decisa, quasi con rabbia, come se già sapesse che lui non lo voleva quel bimbo, che non le sarebbe stato accanto. In realtà, anche se quel figlio era una specie di deragliamento sui binari, un problema su un percorso già accidentato di suo, non poteva non desiderarlo, non amarlo.
-Vorrei poter stare con voi- aveva esordito lentamente mentre tutto il mondo gli crollava addosso in un momento- ma non posso. Il mio dovere... non posso rinunciarvi. Per me servire la giustizia è...-
-Basta dire che non ci vuoi- lo aveva interrotto atona
-Non dire cazzate, Vic!
- Anche i soldati hanno una famiglia, sai- lo prese in giro amaramente.
-Io no, non posso averla. Te lo assicuro. Ho scelto di dedicare la vita a un ideale. Puoi... puoi prenderti cura di lui? Cioè... intendo, pensi di farcela?
-Ho le spalle forte, io.
-Io devo partire in missione... non posso sposarti, Vic, ma quando torno cercherò di starvi accanto comunque. Ci sarò in qualche modo.
-Sì, sì, Saga. Come vuoi.
Vittoria non ci credeva nonostante Saga glielo avesse giurato più volte.
Era stato in missione per conto del Santuario per quasi un anno, anzi, ironia della sorte, per nove mesi esatti. Ogni giorno aveva pensato a Vittoria e al loro bambino chiedendosi se in effetti fosse un maschio o una femmina. Non sapeva come avrebbero fatto, non lo sapeva proprio, eppure si era sentito felice. Quando era tornato però tutto era caduto in pezzi. Vittoria non gli aveva creduto e aveva vissuto nove mesi infernali, era terrorizzata e poi in sala parto quando c' erano state delle complicazioni aveva deciso di rassegnarsi. E se una vita nasceva un' altra si spegneva. Saga aveva preso per un poco la bambina, in fondo era il padre no? E infine l' aveva riportata dalla nonna e dalla bisnonna.
E quando si era chiuso la porta del  " Cappuccino" alle spalle pensò a Vittoria e pensò alla sua bimba, si domandò come l' avrebbero chiamata e pensò che un giorno l' avrebbe vista cresciuta dietro quello stesso bancone augurandosi di diventare una donna forte.
Saga non voleva che l' unico obiettivo di sua figlia fosse quello di diventare forte, di avere le spalle abbastanza larghe per sopravvivere a una vita che sembrava ripetersi in un modo o nell' altro per le donne di quella famiglia. Saga voleva esserci per sua figlia.
Si chiese se tutto quello non fosse un prezzo troppo alto da pagare per servire a ogni costo la giustizia. Se anche per lui  c' era un modo di essere uomo e cavaliere.
Forse, si disse, forse bastava dire la verità.



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ANGOLO AUTRICE: Bene, salve a tutti. Spero di non aver combinato disastri con questa storia ma il tema scelto mi è sembrato interessante, penso che per un cavaliere, soprattutto per un gold la situazione debba essere piuttosto complicata, anche perchè i dodici templi non sono un ritrovo per famiglie, sono un presidio e loro sono dei soldati, non dimentichiamolo. Ovviamente questo è il mio punto di vista. Per quanto riguarda Vittoria è ispirata chiaramente a un mio personaggio. Bè, non mi sembra di aver altro da dire, dunque a presto,
Haru.

DISCLAIMER: Saint Seiya e i suoi personaggi non mi appartengono ma sono degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di lucro.
   
 
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