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Autore: alessiasc    05/09/2011    0 recensioni
questa fan fiction parla di una storia speciale. Una star della musica e una ragazza malinconica del suo paese natale. Passione, emozione, casini, disastri, lacrime, e musica.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il vestito bianco che avevo scelto per la serata non aveva le spalline e sul seno c'era un'elegante piega. Era attillato e mi arrivava molti centimetri sopra le ginocchia. Mi spazzolai i capelli e mi truccai leggermente. Misi uno strato leggero di ombretto bianco sulle palpebre e della matita nera. Ripassai il mascara più volte e mi misi del burro cacao sulle labbra.
Il primo campanello suonò proprio mentre stavo per scrivere l'sms a Nicholas. Mi presi ancora qualche secondo, e finii di scrivere l'indirizzo e la data di partenza, il 3 Gennaio.
«Judie, vieni giù! C'è gente!» eravamo già al terzo campanello. Lasciai il cellulare sul letto, mi infilai delle semplici ballerine bianche e scesi le scale. Stavano entrando i Collins con la figlia più piccola, che aveva due o tre anni meno di me. Feci una smorfia e sperai che non fossero tutti così gli ospiti. Intravidi mio padre che si dirigeva verso il giardino. Aveva una camicia e dei jeans a vita abbastanza alta da notarsi. Poi mia madre gli corse dietro con in mano una macchina fotografica. Era vestita di rosa, un vestito che sembrava estivo ma sapevo bene quanto tenesse caldo, l'avevo indossato tante volte.
Evitando i Collins, uscii in giardino che con mia grande sorpresa era già pieno di gente. Qualcuno mi prese per le spalle e mi fece girare. Daniel. «Hey, una faccia famigliare..» dissi, sorridendo.
«Per forza, tutta la gente che conosciamo è già con un bicchiere in mano davanti al famoso tavolo decorato dalla nonna..» disse, indicandomi un gruppo di ragazzi. Riconobbi immediatamente Rachel, Lucia, Cindy e Mathias. Poi un ragazzo moro si girò ridendo a una qualche battuta e mi notò. Mi girai di scatto verso Daniel.
«Che cosa ci fa qui Jeremy Carter?» chiesi in preda al panico. Daniel mi prese le spalle. «Era il mio migliore amico prima che ci trasferissimo a Milano, Judie, nonna non sa niente di voi due. Era palese che l'avrebbe invitato.» disse.
Jeremy Carter era stato la mia prima cotta e avevamo avuto una specie di storia durante le estati in cui venivo negli USA. Non lo vedevo da un anno circa, se non di più.
Mi rigirai verso il mio gruppo di vecchi amici e Rachel mi vide. Corse verso di me e mi abbracciò. «Oh mio Dio Jude, quanto sei bella!» disse stringendomi forte e stampando le sue labbra – sicuramente già rifatte e cosparse di rossetto – sulla mia guancia.
«Rachel! Quanto tempo! Sei cambiata tanto! Come stai?» non fece in tempo a rispondere che Cindy prese il suo posto e mi abbracciò, seguita da Lucia. «Ragazze! Wow come siete belle! Come state? Dove andate a scuola?»
Cindy cominciò a parlare. «Io sono stata bocciata l'anno scorso, e ho cambiato. Ora sono alla Carolyna High School, è privata ed è molto vicina ad Houston, anche se non è proprio in città» e questo racconto ne seguirono altri dieci tutti uguali. Non era cambiato molto.
«Ma guardate chi c'è, Judith Hayes» disse la voce di Jeremy, facendosi spazio tra Cindy e Rachel.
«Jeremy» dissi. Lui mi fece l'occhiolino e mi baciò sulla guancia. «Tutto bene?»
«Al solito, tu? Vedo che stai perdendo il tuo accento americano perfetto. Sono deluso»
«Il mio accento sta benissimo e io anche. Quante volte sei stato in galera alla fine?»
«Solo una, ma solamente perché mi hanno beccato una volta sola, capisci no?» scossi la testa ridendo e mi feci accompagnare a prendere qualcosa da bere, proprio da lui.
Cominciammo a parlare del più e del meno, partendo da quello che stava succedendo nella sua scuola e finendo a come io ed Elisa eravamo riuscite a trovare un buon lavoro non troppo faticoso. Mi raccontò che la sua ultima ragazza l'aveva lasciato per un ragazzo di un anno più piccolo di lui e cominciai a prenderlo in giro.
«Non è così divertente eh» disse mentre mi piegavo in due dal ridere. Eravamo finiti contro la staccionata marrone scuro che separava il giardino dei nonni da quello dei vicini.
Ricordavo che una volta, da piccola, mi era finito il pallone dall'altra parte della staccionata e lo lasciai lì fino a che mio nonno non mi chiese dov'era finito il pallone con cui solitamente passavo la vita e che non vedeva da qualche giorno. Dopo un po' di insistenza gli avevo detto quello che era successo e lui era andato a riprenderlo dai vicini, che non avevano fatto nessuna storia e, sopratutto, non l'avevano mangiato, come avevo temuto avrebbero fatto.
«E' divertente invece!» esclamai scossa dalle risate. Jeremy mi prese i fianchi e si avvicinò pericolosamente a me. Lo guardai negli occhi e smisi di ridere.
Poco dopo mi trascinava per il cortile, verso l'entrata, poi su per le scale, e si chiudeva la porta di camera mia alle spalle, allentandosi la cravatta. Mi fece sdraiare sul letto e si sdraiò sopra di me.
Prese a baciarmi lentamente, accarezzandomi il viso, scendendo sul collo, poi le braccia. Gli misi le mani nei capelli, le dita che toccavano i suoi ciuffi neri e morbidi. Mi slacciò il vestito con la cerniera che avevo sul fianco e mi accarezzò la pelle nuda facendomi venire i brividi. A quel punto lo allontanai.
«Che fai?» chiese mentre seduta con lui praticamente sopra cercavo di riallacciarmi il vestito. «Jude? Che cosa stai facendo?» scossi la testa.
«oh Jeremy, te lo devo spiegare, non lo capisci da solo quello che sto facendo? E' così complicato? Hai avuto così pochi rifiuti nella tua vita che quando te ne si presenta uno sotto gli occhi non riesci nemmeno a distinguerlo? Ti sto rifiutando, Jer» dissi, spingendolo e alzandomi in piedi. Andai verso la porta ma lui mi trattenne per un polso.
«Grazie di avermi chiarito il rifiuto. Ma la mia domanda è: perché? Che ho fatto?» disse trascinandomi a se.
«Sei viscido, pensi solo al sesso, è l'unica cosa di cui ti importa, e il mio corpo non è in vendita, non per così poco, non a te. E ora, se non ti dispiace, ho del tempo da passare con vecchi amici che non vedo da troppo tempo» strattonai il polso ma lui non mollò la presa. Lo fulminai.
«Amo il tuo accento italiano. E sai che quello che voglio non è il tuo corpo, lo sai bene, Judith»
«Odio quando mi chiami Judith, sai? Puoi piantarla?» sbuffai e cercai di farmi lasciare il polso. «E puoi lasciarmi andare?!»
«Dopo?» disse, baciandomi sulla tempia. Mi accarezzò i capelli e mi strinse a se. Mi lasciò il polso e io appoggiai la testa sul suo petto, lasciandomi stringere. Sbuffai e sentii le sue labbra posarsi sulla mia testa, tra i miei capelli. «Profumi di buono, sai? Sembra... vaniglia» sussurrò.
«E' vaniglia. Dopo, torniamo giù» dissi, e lui annuì. Aprì la porta e la oltrepassò prima di me. Non ero ancora fuori quando il cellulare sul letto vibrò e lo schermo si illuminò. Mi girai e tornai sui miei passi, lo afferrai e lessi l'sms che mi era appena arrivato.
“Ricevuto bella. Domani mattina alle dieci. Fatti trovare pronta e fai in modo che non ci sono troppi paparazzi. Non vorrei che pensassero che sei la mia ragazza.
PS. porta ciò a cui tieni di più. E un costume. Niente spiegazioni.
A domani”
Rilessi l'sms quattro volte prima di rendermi conto di non essermelo immaginato. Un costume? La cosa a cui tenevo di più? Ma a che razza di gioco stava giocando? Non lo conoscevo neppure... Non mi conosceva! Cosa passava per la mente di quel ragazzo? Scossi la testa e uscii dalla stanza lasciando il cellulare al suo posto, per tornare alla festa.

Forse avevo bevuto qualche bicchiere di vino di troppo, ma non ero ubriaca. Solo brilla, allegra. Niente che potesse risentirne la mattina seguente. Fatto sta che, quando l'ultima luce della casa fu spenta – o meglio, la penultima – e tutti gli ospiti erano andati a casa – o meglio quasi tutti – io e Jeremy, nella mia stanza con le pareti spesse, non avevamo alcuna intenzione di spegnere niente. Le sue mani si muovevano veloci sul mio corpo, accarezzandolo, palpandolo, centimetro per centimetro. Risi e lui mi baciò sorridendo. «Shh che ci sentono» sussurrò.
Ma tutti sapevano che Jeremy era rimasto e nessuno osava aprire la porta della mia stanza, solo perché era successo un altro centinaio di volte. Lui che rimane una notte, fa colazione con la famiglia felice la mattina e poi scompare per una manciata di anni. Era un copione già visto, studiato e imparato a memoria.
«Mi sei mancata, Judie, davvero» sussurrò lui sfilandomi gli slip.
«Lo dici solo perché stiamo per fare sesso un'altra volta» gli dissi soffocando una risata. Vino di merda. Però sapevo, ubriaca, brilla o sobria, che andava bene così. Perché nessuno mi aveva mai fatto provare qualcosa come quello che provavo per Jeremy. Nessuno mi aveva mai guardata, toccata, baciata come faceva lui. E andava bene così perché a quel punto anche io sapevo il copione a memoria, e recitavo al meglio le mie parti, sapendo già cosa mi aspettava in seguito. Le notti insonni, i ricordi, i brividi e le lacrime. Era già tutto stato vissuto e quella sofferenza, quel Jeremy che compariva e scompariva dalla mia vita da anni – da quando avevo sei anni, per la precisione, quando mio fratello l'aveva conosciuto ad un campus estivo – ed ero preparata al dolore. Una parte di me sapeva che Jeremy mi usava e basta, l'altra però era così innamorata, così sognatrice, che credeva in un futuro.
Il Jeremy che non avevo era sempre con me, ogni giorno, ed era quasi bello poterlo avere sempre che quando l'occasione di stare con lui, di sentire il suo calore sulla pelle, di viverlo si presentava, non riuscivo a dire no. Lui era tutto ciò che volevo e che non avrei avuto per più di una notte all'anno. Era il mio regalo segreto.
Ripensai all'sms di Nicholas, in quell'istante prima di fare un altro errore da accumulare agli altri, pensai a quelle parole. “Porta ciò a cui tieni di più” «Oh Nicholas, ti porterei Jeremy» pensai, e poi fui sua in ogni modo possibile, per tutta la notte.
   
 
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