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Autore: crimsontriforce    06/09/2011    6 recensioni
A Zanarkand, Auron ritrova una memoria: “Il vostro cielo è sbagliato”, aveva detto Jecht.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Auron, Braska, Jecht
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dieci anni fa, la stessa strada'
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Il concorso della jella... vabbe', per farla in breve, c'è una citazione dal Purgatorio che mi ha regalato una storia che mi piace molto (quasi come il famigerato gatto acchiappa-pyreflies), punto. Contest o non contest è indifferente. Spero soprattutto che questo missing moment piaccia anche a voi.







Il circolo delle quattro stelle


I' mi volsi a man destra, e puosi mente
a l'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima gente.
Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se' di mirar quelle!
(La Divina Commedia - Purgatorio)




Quando Auron si fu risvegliato nell'altra città, dolente e confuso e intriso di un fallimento acuto che collegava ogni luce fatua del suo corpo, provò a guardare il cielo.
Fu abbagliato da un faro sopra la sua testa.
Abbassando lo sguardo, vide che gettava ombre troppo nette sulle pieghe del suo cappotto e dava alla sua pelle una tinta slavata come quella di un morto. Rimase a terra, stringendo gli occhi finché tutto non fu tornato buio.
Quando riuscì a orientarsi in quel fiume turbolento di gente che andava, gente che veniva, gente che si muoveva senza un perché, Auron si fece strada fino ai moli occidentali, dove le banchine si stendevano sull'oceano fino a perdersi nella bruma notturna. A trenta passi dall'ultimo lampione, con tutte le luci finte alle spalle, si voltò a destra e le vide: quattro stelle equidistanti, luminose, a mezza via fra la luna e il mare.
Un giorno avrò finito di darti ragione. E quel giorno sarò morto davvero.





“Il vostro cielo è sbagliato”, aveva detto una mattina Jecht, svegliandoli dopo l'ultimo turno di guardia.
La sua voce era calma: stava enunciando un fatto. Ma portava una boria dura a dismettere nel suo timbro roco, con le finali strascicate, che lo bollava come ubriaco nonostante non toccasse bicchiere da settimane. Restava, con vigore, al centro del proprio mondo – se c'era un cielo giusto, non c'era dubbio che fosse il suo. Naturalmente.
“Illuminaci.”
Jecht alzò le spalle. “Magari al sud era diverso. Ma continuo a guardare e le altre sono tutte al posto giusto, anche se sono più basse. Non possono non esserci.”
“Un soggetto. Non morde.”
“Il cerchio di stelle.”
Auron alzò gli occhi al cielo, cercando nei fiumi di stelle che illuminavano Spira le tre forme che gli erano familiari: il Grande Uovo, lo Scettro di Yevon, la stella fissa al centro del Ventaglio con tutto il suo seguito. Stelle da viaggiatore, il minimo per orientarsi senza mappe.
“Conosci il cielo?”
“Non punto a niente di meno, sai.”
“Jecht.”
“Che c'è, ragazzino? Viaggi con una stella, se non te n'eri accorto.”
Ragazzino. Miglia percorse insieme ed erano ancora a 'ragazzino'. Avrebbe risposto, ma Braska non li perdeva di vista, ancora seduto a gambe incrociate sul suo pagliericcio, e avrebbe rispettato le richieste implicite del suo evocatore.
Anche Jecht doveva essersene accorto, o essersi stabilito vincitore di chissà che ennesimo piccolo gioco. L'espressione di sfida si rilassò in una risata bonaria.
“È una cosa da blitzer.” Si grattò un orecchio. “Dove vivo io, almeno. Se sei in acque fonde quando cala la notte e aspetti l'alba in spiaggia stretto attorno a un fuoco... se sei uno dei nostri, impari a contare le stelle. Funziona così. È una cosa nostra – non solo per gli Abes, unisce tutte le squadre. Ci differenzia dai mollaccioni che passano la vita intera protetti dalla città. Senza offesa, s'intende”, concluse ammiccando.
“Oh, saresti sorpreso”, ricambiò Braska.
Auron ricordava i giorni in cui l'allora sacerdote tornava rosso come un pescatore dai viaggi sotto il sole di Sanubia e si concesse un sorriso, ma Braska era già oltre.
“Il sogno di Bahamut si estende oltre Spira... a volte, negli ultimi tempi, mi permette di seguirne le briciole.” L'evocatore si coprì il viso con le mani e si aggrappò a quelle immagini sfuggenti – briciole di briciole, gli avrebbe confidato in seguito, troppo vivide per la memoria dei mortali.
“Mi pare di aver viaggiato sulle comete. E ho visto le stelle bruciare. Quelli che da quaggiù sembrano luci immote sono fuochi, millenari forse, ma non eterni. Se vieni dal nostro passato, forse quelle stelle hanno esaurito la loro forza.”
“Sarebbe triste.” Jecht allungò un dito a toccare quattro punti spenti in cielo.
“Tu sei ancora qui.”
“Le chiamavamo la Vittoria Infinita, non so perché. Il circolo delle stelle, la vittoria infinita. Non tramontavano mai. Poco infinita ora, no?”
“Ma se sono solo quattro”, interruppe Auron e si morse la lingua per quel “sono”: il presente era una certezza, che dava ben più fiducia a quell'uomo impossibile di quanta avrebbe desiderato. “Con soli quattro punti, come fai a dire che è un cerchio? Non sarebbe un quadrato?”
Rise. “Sai che è bella? Non ne ho idea! Te la insegnavano fin da bambino, in squadra. Erano in cerchio e un cerchio non ha fine, c'erano anche le filastrocche. Ogni tanto ti capitava di sognartela di notte: ti sussurrava storie all'orecchio. Ed era davvero una vittoria che splendeva in eterno. So che non ha senso, ma sono già un pazzo, qui, tanto vale dirle tutte. A casa nessuno si fermava a pensarci. Era lì e basta.”
“Stiamo tutti inseguendo un sogno, amico mio. Tutto è possibile. Confido che una notte non lontana troveremo le tue stelle.”





Auron si accomodò sulla punta del molo, una gamba incrociata, l'altra a scalciare la spuma delle onde. Versò un bicchiere per sé e svuotò il fiasco in mare. Brindò con le stelle a una qualche possibilità, da qualche parte, di una qualche vittoria. E brindò ai ricordi di tutte le sconfitte. Un lungo brindisi.
Non si accorse di non essere solo: il suo ospite restava in piedi alle sue spalle e annuiva piano.
Quando Auron si fu addormentato il bambino si scostò il cappuccio viola, si alzò in punta dei piedi e in silenzio spense quelle stelle una a una, come candele.
“Tutto ha una fine.”



























Sostanzialmente, un easter egg. Umorismo da Fayth (intercessore). Note:
@ vittoria WTF?: per come la vedo io, dreamZanarkand è sostanzialmente uno spregio degli zanarkandesi del tempo alla vittoria in guerra di Bevelle. “State vincendo? Ah sì? E allora noi spacchiamo tutto – la nostra città e la vostra – ma noi continuamo a sbrilluccicare in sogno e voi vi beccate Sin, prrrrrrrr!” Si sacrificano per portare avanti l'idea della loro città. La loro memoria si preserva. La vittoria finale è loro ed è eterna. La costellazione sarebbe quindi un'aggiunta 'finta', evocata, all'effettivo cielo notturno dei mari a nord di Zanarkand dove giace dreamZanarkand (canone della locazione di dZanarkand: Ultimania).
Allo stesso modo, l'interpretazione data dagli abitanti alla costellazione è trollat...suggerita dalle Fayth, così come quello che sulla Spira odierna è il gesto di preghiera Yevonita su dZanarkand è il saluto dei blitzer... e come l'Inno, che originariamente era un canto di resistenza della vera Zanarkand, su dZanarkand è diventato un coro da stadio (canone: Maechen). Umorismo da Fayth, appunto. Sono tanti piccoli trollini, quando ci si mettono.
@ cameo finale di FoBahamut perché posso e perché sì: sostanzialmente... perché posso e perché sì XD A parte quello, quando Auron arriva a dZanarkand le Fayth iniziano a convincersi che può essere il caso di terminare il ciclo di Sin (canone: Ultimania). Quindi 'tutto ha una fine', anche il sogno millenario che fino al giorno prima avevano difeso con tutte le loro forze, e togliere quelle stelle simboliche è un primo passo di cambiamento.

PS: continuano a essere mesi ingarbugliati. Continuo ad avere ogni santa intenzione di leggere e tendenzialmente recensire tutto quel che di nuovo è apparso in sezione. Scusate l'assenteismo.
   
 
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