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Autore: Akemi_Kaires    06/09/2011    11 recensioni
{Lance Centric}
Ti ho rovinato la vita.
Solo ora ho avuto il coraggio di comprendere i miei sbagli, tentando di sanare ogni mio errore.
Voglio rimediare, iniziando proprio dal cercare di preservarti ancora da ogni forma di dolore.
Desidero solamente salvarti.
In quel preciso istante,
capii che se anche avessi deciso di attuare il mio progetto, tu saresti stata
al mio fianco, pronta a spalleggiarmi ed aiutarmi. Se necessario, avresti
perfino sterminato la nostra famiglia, pur di rendermi felice.

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[Partecipante al Pokèmon Special Challange indetto da nihil no kami su EFP; Personaggi: Lance - Sandra]
(Dedicata a tre miei carissimi amici: Shinushio, Cheche e berserker eagle)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Premesse iniziali:

Premesse iniziali:

Questa storia presenta il punto di vista del manga. Alcuni aspetti sono stati modificati, come la presenza di armi bianche, e il termine “What If” determina la presenza di scene che nel manga in realtà non esistono.

La storia è ambientata su linee temporali differenti: prima di ciò che chiamo “Il delirio di Lance e dei Superquattro” e dopo di esso.

I personaggi possono essere definiti OOC. Dal mio punto di vista non lo sono affatto, date le situazioni circostanti e ciò che li costringe ad agire in questo modo. Perciò non ho messo questa avvertenza, dato che li sento idonei alle azioni che intraprendono. Nelle note in fondo capirete a cosa mi riferisco…

L’ultima stesura, ossia questa, è stata creata alle 14:46 di oggi e conclusa alle 17:34. Ci ho lavorato un pomeriggio intero per renderla più o meno perfetta. E una settimana e mezzo per progettarla.

Mi auguro sia di vostro gradimento.

 

Noticine iniziali:

Questa shot tratterà diversi temi, quali dolore, addio, sentimenti respinti e quant’altro ancora.

Non so ancora se poterla definire pienamente Drammatica. Sinceramente non so gestirmi, dato il fatto che non contiene scene di morte o che. Però io la sento tale, dato il fatto che, per la prima volta in tutta la mia carriera di scrittrice, sono scoppiata a piangere non appena ho digitato il finale. E non è per il semplice fatto che questa storia non ha un lieto fine per la coppia che amo, anzi. Tutt’altro.

Spero possa essere di vostro gradimento.

Ringrazio sentitamente: Shinushio, Cheche, TeddyBiBBy, berserker eagle, Wonder, A k a n e, Nymphalis4you, julia 28, pretty vampire, Alexia 97, Misaki_Chan e Ciccio 85 per il loro appoggio datomi attraverso la serie e la mia long fic. Spero che questa shot possa essere di vostro gradimento, nonostante sia un bel po’ triste.

Dedicata a Cheche e a berserker eagle, nonché alla mia nonnina Shin.

Buona lettura

 

 

 

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Guilty

 

 

 

Siamo sempre stati inseparabili fin dalla nascita, indivisibili come se fossimo un’entità sola. Nulla riusciva a sgretolare e spezzare quel legame puro e sincero che ci univa saldamente, nessuno era capace di penetrare e discernere ciò che davvero rendeva così speciale questa nostra unione.

Nonostante i continui battibecchi infantili, la competizione che ci aveva portato l’uno contro l’altra, e quella strada che solo uno dei due era degno di percorrere e calpestare, non hai mai voluto abbandonarmi. Sotto alcuni aspetti apparivi perfino masochista, ai miei occhi ciechi, mentre ti vedevo così assorta ogni qualvolta osavo scioccamente insultarti e mostrarti crudelmente la tua inferiorità. Non hai mai ribattuto, stranamente, e non hai mai reagito in modo violento come solitamente osavi fare con altri. Ti limitavi ad ascoltare quelle parole, facendo apposta ad ignorarle palesemente o capire un significato comprensibile solamente alle tue orecchie.

A suo tempo, da perfetta orgogliosa infante che eri, giustificavi tale insolito comportamento come noncuranza nei miei confronti, dato il fatto che mi consideravi un essere degno di poco conto; ed io, da stupido bambino, a suo tempo ho accettato quella risposta, limitandomi a guardare le cose in modo lineare, senza cercare altre motivazioni a quel fatto misterioso mal celato sotto l’odio viscerale che serbavi nei miei confronti.

Come potevo biasimarti? Ero il prediletto della nostra famiglia, colui che era reputato il migliore di tutta la casata dei Domadraghi. E tu, povera piccola spaurita, eri incomparabile a me, essendo la secondogenita di nostro padre e, per giunta, una femmina.

 

Nei meandri più bui della Tana del Drago, poco distante dal mio nascondiglio, troneggia la tua figura slanciata e muscolosa, con gli occhi chiusi, completamente assorta nei tuoi pensieri e persa in essi. Il mantello volteggia alle tue spalle, donandoti ancor più un’aria divina e possente.

È stata la malsana curiosità a spingermi a spiarti, a godere della tua reazione alla conoscenza che io, a differenza tua, possiedo molte più probabilità di divenire il Capopalestra di Ebanopoli, trono ed onore che sognavi spesso di risiedere ed ottenere. Non saresti rimasta indifferente, come facevi sempre anni fa, a quella notizia. Finalmente, avresti mostrato alla luce tutto ciò che nutrivi nei miei confronti.

Brandisci la spada, digrignando i denti e corrugando la fronte, mentre cominci a sferzare colpi al vento, comandata dalla furia e dalla disperazione, dal tuo istinto. Ad ogni colpo, una lacrima bollente, bruciante e ricolma di astio e dolore riguardo all’orgoglio ferito, solca il tuo viso, ormai contratto in una pura espressione di rabbia insana che rodeva le tue interiora.

Ti ho strappato di mano violentemente ciò che ti era più caro, abbattendo senza alcuna pietà ogni tuo sogno. Gesto crudele, da parte mia, lo riconosco. Eppure lo sapevi, no? Questa strada che abbiamo battuto insieme da anni, prima o poi, sarebbe divenuta di una sola proprietà: la mia.

Un urlo agghiacciante si leva nel silenzio avvolgente della grotta, spezzando la quiete solita del posto, inebriandomi la mente e facendomi rabbrividire appena. È un lamento di disperazione, emerso dal profondo del cuore, gridato fino a consumare le proprie corde vocali pur di condividere e confessare al mondo il tumulto di emozioni insane che lacerano la tua anima.

Lanci via la tua arma, che si conficca nel legno del ponte, lasciando un segno indelebile del passaggio della tua ira. Lasci che siano il pianto e l’agonia a prendere possesso del tuo corpo, ormai in balia dei potenti e incontenibili singhiozzi.

«TI ODIO, LANCE!!!».

 

Credevo sinceramente che l’astio covato nel tuo intimo fosse stato il punto chiave di quella malsana rivalità nei miei confronti, che ti aveva portata a consumarti lentamente, a ripudiare il tuo essere donna, a bruciare a poco a poco il tuo dolce animo, ad annullarti di fronte a qualsiasi sensazione ed emozione, a mutare radicalmente il tuo carattere. Pensavo fosse una tua decisione, presa con superficialità senza riflettere sulle conseguenze che avrebbe comportato, e che io non ne fossi affatto responsabile.

Quello fu il primo della lunga catena di errori che costellavano la mia lunga vita. E solo in quel momento avevo il coraggio di capacitarmene a pieno.

Scioccamente, ti avevo sempre dato ragione, senza mai dubitare della tua parola. Credevo che il tuo fosse solamente odio profondo. Forse perché eri mia sorella, oppure perché ero troppo assorto nei miei pensieri da ignorare altre possibili motivazioni segregate nelle tue parole.

Non avevo mai indugiato su quella convinzione, neppure quando, per quanto insolito fosse, eri sempre disposta ad ascoltare i miei sogni, i miei piani e progetti per il futuro del mondo. Eri sempre stata lì, al mio fianco, pronta ad appoggiarmi e contraddirmi quando era opportuno. Non appena percepivi che necessitavo del tuo aiuto o della tua sola presenza, ti precipitavi immediatamente da me, protestando teatralmente e scherzosamente, nonostante ciò che fermamente nutrivi nei miei confronti.

Non mi ero mai chiesto il “Perché” di quel tuo atteggiarti da adulta e compagna di vita. Ero troppo orgoglioso e immerso nelle mie stupide riflessioni per voltare lo sguardo verso la luce offuscata e misteriosa, ma al contempo ammaliante e vitale, della verità.

Mi fissavi con una strana nota di soddisfazione e ammirazione dipinta nelle tue iridi ghiacciate, mentre discutevo ad alta voce riguardo alla sofferenza dei Pokèmon e su come credevo di poterli salvare dal macabro destino che li aspettava una volta catturati e piegati al volere degli Allenatori.

 

Sdraiata sulla morbida erba fresca ancora bagnata di rugiada, fissi il cielo con aria inespressiva, mentre le ombre delle nuvole si riflettono nei tuoi begli occhi gelidi.

Mi ascolti, senza battere ciglio. Rendi tue tutte le mie frasi, ogni mia riflessione, senza proferir parola per non interrompermi. So bene che aspetti il termine del mio discorso, prima di socchiudere le labbra e lasciare che le parole sgorghino fuori da esse come un fiume in piena.

«Vorrei che i Pokèmon fossero felici. Desidero con tutto il cuore che, un giorno, essi possano vagare in libertà in questo mondo che a loro appartiene».

Abbozzi un’espressione divertita e sarcastica; hai l’aria di una persona che conosce molte cose a riguardo. Quante volte hai avuto modo di sentire queste confessioni? Infinite, ormai, così tante che ne ho perso il conto. Eppure se qui, al mio fianco, con le braccia incrociate dietro la nuca, concentrata su ciò che dico. Il tuo comportamento è, sotto alcuni aspetti, ammirevole. Data la poca dose di pazienza che possiedi, è immenso lo sforzo che stai facendo per me. Chissà quanto ti costa trattenerti dallo sbuffare, andartene via, e lasciarmi blaterare da solo o tapparmi la bocca dalla disperazione. Molteplici volte hai pensato di fare ciò, sotto il mio punto di vista.

«Finalmente ho compreso qual è l’unico modo per coronare queste mie fantasie e tramutarle in realtà».

Volti leggermente il capo in mia direzione, quel poco che ti basta per fondere il tuo sguardo sinceramente sorpreso col mio. Posso capire la tua incredulità: dopotutto, ho passato innumerevoli anni a rimuginare su un possibile piano che non ho mai reso concreto e tangibile. Per te questa deve rappresentare una grossa novità, un bel passo avanti.

Non porgi neanche la fatidica domanda. Sono le tue iridi a parlare che, ricolme di curiosità, mi fissano con ansia, invitandomi a proseguire.

«L’unico modo per restituire l’agognata e meritata pace e libertà a quegli esseri è lasciare questo posto. Sterminare l’umanità è l’unico modo per rendere fattibile ciò».

Preoccupato riguardo al mio pensiero pronunciato ad alta voce, ritorno a guardare il tuo bel viso, col terrore di averti turbata e inquietata.

Nei tuoi lineamenti leggo profonda felicità.

 

Mai avrei immaginato una tale reazione alla confessione del mio folle e suicida piano. Mi sarei aspettato un urlo inorridito da parte tua, una bella ramanzina che mi avrebbe indotto a sostenere un esame di coscienza a riguardo.

Invece, in contraddizione alle mie aspettative, le tue labbra si erano curvate in un sorriso sincero. Quella che ti aveva spinto a provare gioia non era semplice compassione umana nei confronti di un povero mentecatto ma si trattava di puro, semplice e incondizionato orgoglio. Ogni parte del tuo corpo trasudava e denotava ammirazione nei miei confronti, quasi mi considerassi un esempio da eguagliare e da seguire.

In quel preciso istante, capii che se anche avessi deciso di attuare il mio progetto, tu saresti stata al mio fianco, pronta a spalleggiarmi ed aiutarmi. Se necessario, avresti perfino sterminato la nostra famiglia, pur di rendermi felice.

Avevo generato, anche se involontariamente, un mostro. In quel momento, compresi come avevo fatto a trasformarti così radicalmente, a renderti succube dei miei voleri.

Avevo insinuato in te il fiele dell’amore, intossicando completamente la tua anima, rendendoti alla mia mercé. Tutti i gesti che avevo compiuto, ogni azione che avevo fatto, ti avevano indotto a coltivare quella pianta infestante che si era radicata nel tuo cuore, facendola crescere sempre più.

Eppure potevo leggerlo nei tuoi occhi: tu credevi fermamente in quell’emozione. Non era così, forse, date le mancate opposizioni ad essa? Avevi accettato quella condizione assurda e non voluta, perché a donartela ero stato io.

Ero stato io a rovinarti. Lo riconoscevo con rammarico.

Come avevo potuto essere cieco dinnanzi al tuo dolore? Come non avevo mai potuto notare ciò che ti consumava nell’interno, piegandoti sempre più al suo potere?

Ti eri rassegnata. Riconoscevi benissimo quanto sarebbe stato improbabile un destino dove saremmo stati noi i protagonisti, uniti dal vincolo del matrimonio fino alla morte. Ricordavo che neppure quando eri piccola credevi nel lieto fine delle favole, affermando con convinzione che erano tutte sciocchezze partorite da menti malate.

Avevi taciuto la tua situazione, annullandoti nel tuo ego, pur di preservare le nostre vite o almeno la mia. Sapevi quanto sarebbe stato malsano, incestuoso e malvagio un possibile rapporto come quello. Silenziosamente, le lacrime graffiavano e rigavano il tuo volto ogni qualvolta che ti soffermavi a fantasticare su di noi: solo dopo esserne consapevole, riuscivo a comprendere il significato di quei singhiozzi notturni soffocati nel cuscino.

Avevi perfino cominciato a ripudiare il nostro legame di sangue, negando con riluttanza la nostra fratellanza, ossia quel vincolo che ti impediva di coronare il tuo sogno romantico.

Non era così, forse?

La colpa di tutto questo era solamente mia. Se solo mi fossi accorto in precedenza di ciò, ti avrei fermato immediatamente, salvandoti dall’oblio dell’agonia nel quale ti eri gettata a capofitto.

Non appena capii tutto ciò, giurai che non avrei mai più permesso alla mia persona di devastare ulteriormente la tua essenza. Promisi a me stesso che mai più quegli artigli oscuri avrebbero ghermito il tuo cuore innocente. Qualsiasi fosse il mezzo per portarti alla pace interiore, ti avrei salvato, anche se il prezzo da pagare era alquanto alto.

 

Ti volti leggermente, richiamata dal rumore dei miei passi sulla fine ghiaia che cosparge il passaggio.

La tua espressione è seriosa, per nulla sorpresa. Sono i tuoi occhi a tradire tale freddezza, illuminati dalla radiosa luce della contentezza. In loro, scorgo il dolore che stai provando nel vedermi: io, così vicino eppur irraggiungibile.

Una stilettata mortale ferisce il mio stomaco, costringendomi a digrignare i denti e a stringere i pugni per sopportare tale psicologica sofferenza. È questo che senti ogni volta che mi vedi, allora?

«E’ passato così tanto tempo, Lance».

«Sono tornato, Sandra».

Meccanicamente, iniziamo a parlare di qualsiasi cosa, raccontandoci a vicenda ciò che avevamo affrontato in quei lunghi anni di distanza che avevamo dovuto affrontare. Con rimorso, noto quanta tristezza impregna le tue parole ogni qualvolta accenni alla tua solitudine.

Ridiamo, come facevamo a suo tempo, ripensando con malinconia a quanto il destino si fosse divertito con noi, scegliendo strade completamente diverse da quelle che c’eravamo prefissati di percorrere. Finalmente, dopo tante peripezie, sei riuscita a divenire la Capopalestra. Adesso siedi sul tuo tanto bramato trono, Divina.

Ti congratuli con me, anche se in modo ironico e sprezzante come la tua maschera ti ordina di fare, non appena accenno al mio ruolo di Superquattro. Quanto impegno ci metti per camuffare le tue reali emozioni?

«Sei cambiato parecchio».

Inizialmente non comprendo a pieno le tue parole, pronunciate con preoccupazione e perplessità.

«C’è qualcosa che devi dirmi? Come mai sei tornato senza preavviso, nonostante i tuoi impegni?».

Vorrei tanto confessarti che, finalmente, sono riuscito ad attuare il mio piano. Desidero tanto renderti partecipe delle mie azioni, eppure non farei altro che recar ancora ulteriore agonia e compromettere la tua situazione. Non posso rovinarti ancora la vita.

 

Non riuscivo a spiegarmi la necessità di recarmi da te, quel giorno. Se avessi saputo che quel gesto si sarebbe tramutato nel mio terzo errore della mia vita, forse mi sarei trattenuto dal farlo. Non sarei mai dovuto tornare e ridestare quel sentimento serbato nei miei confronti, sopito nel profondo del tuo cuore. Se avessi avuto un briciolo di compassione e pietà nei tuoi confronti e se non fossi stato così egoista, ti avrei risparmiato sicuramente.

Siamo stati degli stupidi, Sandra. Ci siamo fidati troppo di noi stessi, reciprocamente. Abbiamo spesso abbassato la guardia, quando ci trovavamo assieme. Pensavamo scioccamente di trovarci al sicuro, di essere sotto una cupola infrangibile e intoccabile, ove nessuno avrebbe osato conficcare lame nella nostra carne debole per provocarci tormento.

Eri stata tu, durante quella vicenda, a pagare la conseguenza di quella sottovalutazione. Non ti eri accorta che il tuo peggior nemico era proprio dinnanzi ai tuoi occhi, nascosto all’interno della figura che amavi incondizionatamente.

 

Il tuo respiro si è fatto irregolare, il tuo cuore batte freneticamente come per perforare il tuo petto ed uscire dal tuo corpo, quest’ultimo ormai scosso da tremiti convulsi.

Per la prima volta nel corso della nostra convivenza, lacrime di profondo terrore sgorgano dai tuoi occhi, precipitando a terra. Indietreggi di qualche passo, colta in fallo dalla disperazione, mentre i tuoi pensieri gravitano altrove, ormai impregnati nel panico. Ti stai chiedendo com’è potuto succedere, vero?

Il Pokègear scivola dalle tue mani, cadendo a terra. Lo calpesto, riducendolo in mille frammenti, interrompendo violentemente quella chiamata che hai ricevuto dalla Federazione Pokèmon. Se solo non ti avessero avvertito del pericolo che stavi correndo, se solo non avessero voluto renderti consapevole che proprio il tuo amato fratello era divenuto il peggior criminale del mondo, forse non ti troveresti in questa drammatica situazione.

Il segreto che avevo ostentatamente cercato di mantenere nell’ombra, ora si è mostrato alla luce in tutta la sua crudeltà e cruenta realtà. Come avevamo previsto anni orsono, sono riuscito a metterlo in atto.

Sì, senza di te.

Se solo tu fossi rimasta all’oscuro di tutto per lungo tempo ancora, ora non starei sicuramente avanzando verso la tua direzione, con la tua stessa spada brandita, pronto ad ucciderti. Non era così che mi ero promesso di mettere a tacere il tuo dolore. Ti avrei sicuramente risparmiato, se non fosse stato necessario.

Però, se non avessi fatto ricorso ad una tale soluzione, ossia quella di ammazzarti, sicuramente ti saresti offerta di aiutarmi, pronta a spalleggiarmi anche contro il tuo stesso volere. E se avessi rifiutato il tuo aiuto, avresti fatto in modo che nessuno ostacolasse la mia ascesa. In qualsiasi caso, sarei stato destinato a perderti per sempre, a distruggere la mia sorellina.

Dovevo evitare tale pazzia, dovevo proteggerti. Così mi ero promesso e così avrei fatto.

Non desidero farlo neppure io, credimi. Se questo è l’unico modo per preservarti ulteriormente dalla sofferenza, allora mi sento costretto ad accettare tale clausola. Non posso permettermi di rovinarti ancora. Non me lo perdonerei mai.

«Non sai cosa stai facendo, Lance! NO! FERMATI!».

La tua preghiera riecheggia all’interno della grotta, mentre i tuoi singhiozzi depongono dal trono il silenzio imponente. Cerchi di combattere come puoi, di allontanarmi, pur non avendo oggetti in grado di ferirmi e contrastarmi. Provi a sfuggirmi, eppure mi trovi sempre ad ostacolare la tua fuga. Oramai sei caduta nella mia trappola, e neppure la tua forza della quale vai orgogliosa sarà in grado di salvarti. Tenti di affidarti alla freddezza e alla ragione, nonostante il panico cerchi di abbracciarti e farti scivolare tra le sue spire.

«Non sarai tu ad impedirmelo».

L’ultima immagine che impregna la mia mente è la supplica dipinta nei tuoi occhi, prima che la bestia demoniaca prendesse possesso della mia anima e cominciasse a violare il tuo corpo con la lama della tua fedele compagna di missioni ed avventure.

 

Più infierivo sulla tua carne, conficcando la tua spada in essa, più un senso di profondo ribrezzo nei miei stessi confronti mi spingeva a interrompere quella follia ormai compiuta. Mentre il nettare della vita, il tuo sangue, cominciava ad impregnare i miei vestiti, un urlo agghiacciante si levava dal fondo del mio animo, gridando tutto il suo dolore.

Ero un semplice spettatore, un testimone della pazzia di quell’essere immondo che aveva preso possesso del mio essere.

Scioccamente, più osservavo la lama violare il tuo corpo martoriato, più cercavo di autoconvincermi che quella era l’unica cosa buona e giusta da fare, che avevo adempito la mia promessa in modo eccellente.

Davvero era valsa la pena cercare di strapparti crudelmente l’anima?

 

La porta della mia cella, della camera d’isolamento, si apre appena, lasciando che un bagliore solare infranga il buio che regna sovrano nella mia stanza.

Alzo il capo appena, incuriosito, sorridendo sornione non appena noto il profilo della guardia carceraria.

«Non mi dica che qualcuno ha già pagato la cauzione».

Ovviamente, non ottengo risposta a quella domanda retorica e sarcastica. Non era il mio intento, dopotutto.

Sono considerato un pazzo, in quell’edificio, se non additato come colui che era uscito di senno e aveva cominciato a mettere in atto folli piani per la conquista del mondo intero.

Non ho neanche la forza di ribattere a quelle stupide voci di corridoio, sprecandomi a spiegare quanto più nobile fosse il mio reale obiettivo. Non avrebbe alcun senso provare a spiegare la magnificenza e la grandezza del mio gesto, poiché nessuno sarebbe stato in grado di poterlo comprendere a fondo, di poter assaporare la sua vera essenza.

Solo una persona sarebbe stata in grado di farlo.

Ma quella donna era morta.

L’avevo uccisa io, con le mie stesse mani, in un modo crudele e demoniaco.

Non mi lamento della mia odierna condizione. Questa è la giusta pena che devo scontare per ciò che ho fatto, per pagare il mio vile atto. Strappare l’anima a una persona è l’opera più malvagia ed egoista che la mente umana avesse potuto concepire.

L’unica ragione che mi spinge ad affrontare serenamente l’idea di non poter mai più abbracciare mia sorella è la consapevolezza del fatto che lei, in questo preciso istante, non sta più soffrendo. Eppure mi manca così tanto.

Sento il carceriere armeggiare con le catene che ostruiscono il passaggio. Avverto una presenza accanto a lui.

«Faccia attenzione: è un individuo molto pericoloso».

«So badare a me stessa».

Sono solo sussurri lontani, quasi inudibili alle mie orecchie, eppure riesco perfettamente a scandire nitidamente la voce di colei che ha proferito parola. È così calda, familiare.

«Hai visite».

Volto lo sguardo verso la figura che si staglia sul ciglio della porta.

Sgrano gli occhi, trattenendo a stento la sensazione di scoppiare a piangere dalla gioia.

 

Ancora non sapevo quale santo dovevo ringraziare per la tua salvezza. Vederti viva, dopo tanti anni, di fronte a me, mentre mi trovavo ancora sotto giurisdizione, fu una vera e propria sorpresa.

Come eri riuscita a sopravvivere, per me era rimasto un enorme mistero sul quale non avevo alcuna intenzione di indagare. Mi bastava averti al mio fianco, essere consapevole del fatto che eri ancora presente in questo mondo, ed era la cosa che desideravo immensamente ed intensamente in quel momento.

Eppure tu non avevi il coraggio di alzare lo sguardo, di osservarmi. Come non capirti? Dopotutto, avevo cercato di ucciderti. Non aspettavo certamente di essere perdonato per il mio vile comportamento.

Nonostante ciò, però continuavo a leggere il dolore e la tristezza nei tuoi occhi ogni volta che essi si posavano di sfuggita sui miei. Non avevi dimenticato nulla, vero? Sebbene avessi cercato di privarti violentemente dell’anima, anche se spinto dal nobile intento di strapparti dalle braccia della follia, tu non avevi smesso di amarmi. Eri sempre stata un’ingenua, a volte, ed inguaribilmente testarda.

Non avevi voluto ricredere riguardo all’affetto incondizionato serbato nei miei confronti, né avevi voluto riflettere riguardo ad esso. Indugiavi su quale fosse la ragionevole e migliore cosa da fare, contrapposta tra odio e amore, nonostante le vistose cicatrici sul tuo corpo fossero un segno indelebile della mia crudeltà sufficiente a donarti la tanto bramata risposta. Ma ti eri limitata semplicemente a guardare in lontananza la cruenta vicenda, come se non ti riguardasse affatto, pur di coccolare il tuo privato ed intimo sogno romantico, impossibile ed incestuoso. Non era vero, forse?

Eri stata una stupida. Lo riconoscevi, non è così?

Ti eri lasciata rovinare da me. Sì, potevo ammetterlo con estrema sincerità: ero stato io a renderti così.

Fu allora che compresi quale fosse l’unica conclusione che avrebbe messo finalmente un punto a quella pazzia.

Era giunta l’ora di mantenere vivo il patto che avevo firmato a me stesso.

 

«Dove stai andando, Lance?!».

Mi volto, in risposta a quel tuo richiamo incredulo e disperato. Ti trovi alle mie spalle, bella e imponente, mentre i tuoi occhi ghiacciati mi fissano con dovuta attenzione e sorpresa. Sei accorsa immediatamente, recandoti ed irrompendo senza esitare in casa mia, guidata dal tuo puro istinto fraterno. È stato quello ad allarmarti, non c’è alcun’ombra di dubbio.

Cerco semplicemente di ignorarti, nonostante un dolore acuto preme con violenza dentro il mio corpo, passando al tuo fianco con noncuranza per poi avviarmi lentamente verso Dragonite, ormai pronto a spiccare il volo per solcare cieli lontani.

«Che cosa stai facendo?!».

Non rispondo, sebbene conscio di quanto dolore stia infierendo senza alcuna pietà al tuo cuore casto e puro.

Questo è il giusto prezzo da pagare per salvarti.

«STAI SCAPPANDO?!».

Il tuo grido disperato mina profondamente la mia compostezza, facendomi vacillare per un attimo, costringendomi a guardarti in viso. Immergo il mio sguardo nel tuo, fondendolo in uno solo. Un tempo bastava solamente questo, per rendere entrambi partecipi dello stesso pensiero, per condividere gioie e dolori. Per un attimo, prego che quel legame così intimo non si sia offuscato e sgretolato nel progredire delle vicende.

La tanto sospirata positiva conferma giunge non appena leggo l’espressione inorridita e stupefatta dipinta nelle tue iridi.

«Perché…?».

Con malinconia, noto come il tuo tono di voce acceso e orgoglioso si è improvvisamente reso flebile e dolce, così spaurito e tremante, dinnanzi a quella rivelazione inaspettata. Come sempre, ormai da consuetudine, la maschera che porti ostentatamente sul volto denota serietà e insofferenza. Quante volte, nel corso della tua vita, hai osato mentire perfino a te stessa?

«Credimi, si risolveranno molte cose dopo la mia partenza. È molto meglio per entrambi».

La tua risposta arriva repentina pochi istanti dopo, non appena ti capaciti di ciò che ho esordito con convinzione.

«Hai sempre deciso cosa reputavi giusto ed idoneo per noi due. Mai ne hai fatto parola con me, mai ti sei sprecato dal chiedermi un briciolo di opinione! Non una volta mi hai presa in considerazione riguardo scelte che vedevano noi come protagonisti. Ed ora tu credi e speri che ti sia retta?».

Mi hai brutalmente e gelidamente sputato in faccia l’amara verità, rinfacciandomi tutto ciò che le mie prese di potere avevano comportato nei tuoi confronti. Hai trovato il momento opportuno per additarmi giustamente come unico artefice della tua spossante condanna, tentando di preservare al contempo ciò che di più caro hai al mondo, spingendomi ad indugiare oltre su cosa fare.

«Sandra… lo so, tu…».

«ZITTO!».

Sbarro gli occhi, profondamente colpito dalla tua reazione.

Un velo di lacrime pare dipanare i tuoi occhi. È perlopiù costituito da rabbia e rancore, in questo momento. Lo scacci via con rabbia, sfregando con furia il dorso della mano su di essi, cercando di nasconderti dietro il tuo orgoglio.

«Tu non capisci! Non puoi minimamente comprendere ciò che provo in questo istante. Chi ti credi di essere?! Con quale coraggio osi affermare con certezza di conoscere ogni mio pensiero?!».

Gridi al vento il tuo dolore, urlando a squarciagola tutto ciò che avevi segregato in fondo al tuo cuore per quel lungo lasso di tempo. Sta emergendo ogni parte recondita della tua anima, mostrandosi dinnanzi a me in tutta la sua bellezza, fierezza e potenza. Mi sento impotente e incapace di fare alcunché di fonte alla tua ribellione.

«Ora tu… tu stai fuggendo, come un codardo da un macabro destino che non hai il coraggio di accettare. Hai paura?! Eppure dovresti essere al sicuro! Ci siamo tutti noi qui a proteggerti… ci sono io!!! Perché vuoi andartene? PER IL NOSTRO BENE?!».

«Un giorno mi ringrazierai».

Prendo a camminare verso il mio fedele compagno, spettatore casuale di quel diverbio carico di agonia e sofferenza.

Non hai ancora capito, vero? Non sei riuscita a capacitarti completamente del nobile gesto che sto compiendo. Se solo ci fosse un altro modo per salvarti, forse adesso non mi ritroverei in questa situazione.

«Tu… tu non sei cambiato affatto».

Scruto con attenzione la tua elegante e divina figura, posta poco distante da me. Poso lo sguardo sui tuoi occhi, sorprendendomi alquanto.

Sono ricolmi di astio e rancore, lo stesso che anni fa aveva alimentato quel tuo altro sentimento nutrito nei miei confronti, il quale ora stai cercando di soffocare con forza e rabbia. Accusanti tutto il dolore e la sofferenza che ti avevo recato moralmente e fisicamente nel corso degli anni, mi inchiodano qui, impedendomi alcun movimento, costringendomi a ripercorrere mentalmente tutte le tappe di quella tua lenta e lunga agonia.

L’amore sofferto giace sopito, nascosto nel tuo intimo, piangente e disperato.

«Mi hai sempre lasciato sola, andando avanti per la tua strada senza di me.

Lance…

Ti ho sempre odiato».

Come una stilettata diretta al cuore, un colpo mortale inferto nel mio onore, le tue parole mi ghermiscono con i loro artigli gelidi carichi di verità, ferendomi, mozzandomi brutalmente il respiro.

Chissà se anche tu stai soffrendo al medesimo modo. Forse ancor più di me, data l’intensità con cui le hai pronunciate. Posso vedere nitidamente una lacrima calda scorrere lungo il tuo viso, in conferma al tuo tormento.

«Avevo trovato l’occasione perfetta per riscattarmi. Se solo ti fossi accorto di me…! Se solo fossi riuscita a farti notare la mia presenza…!! Se solo fossi riuscita a batterti e a dimostrare di essere la più forte… questa ragazzina che avevi da sempre evitato ed allontanato ti avrebbe finalmente superato. Doveva essere la mia vendetta personale».

Pretendevi solamente un briciolo di affetto, di essere guardata di tanto in tanto e presa in considerazione.

La gente, invece, ti aveva sempre ignorata, riconoscendoti solamente come la discendente della nostra stirpe di Domadraghi, la più importante di tutta Ebanopoli. Nessuno era riuscito a riconoscere la bambina sola ed indifesa che si nascondeva dietro quella maschera di orgoglio e di onore.

La colpa è solamente la mia, se ora sei diventata così.

Sono io l’artefice di tutto questo.

Tu non hai sbagliato nulla.

«Malgrado io ti abbia lasciato indietro per molti anni, tu ora mi hai raggiunto. E, in questo preciso istante, ci troviamo esattamente sullo stesso livello».

«…Sai che non posso farlo. Non posso dimenticare tutto quello che ho provato fino ad ora!».

«Lo riconosco benissimo. So perfettamente che tu mi…».

«TACI! NON OSARE PROFERIR PAROLA!».

Il tuo urlo riecheggia tra le rocce, oramai abbandonato all’eco delle montagne.

Non concludo neppure la frase. Osservo la tua figura, soffermandomi su ogni tua movenza ed azione. Sono ansioso di saperlo: confesserai tutto, ora? Come agirai? Mi impietosirai, costringendomi a restare?

Ti volti, dandomi le spalle, rifiutandoti di guardarmi. Eppure sono perfettamente conscio di ciò che stai facendo.

Alla fine il tuo orgoglio ha predominato su ogni cosa. Non ti sei permessa neppure di mostrarmi le tue ostentate lacrime, nonostante siano state provocate da me.

«Non sarò io a fermarti. Se è ciò che desideri fare, se vuoi davvero fuggire come un codardo… FA PURE! VATTENE!».

Non hai sbagliato tu, Sandra.

Sei stata contrapposta tra due sentimenti, così diversi eppure simili tra loro. Non hai alcuna colpa di ciò che è successo.

Vorrei tanto dirtelo, ma so che non accetteresti nulla di ciò che è stato pronunciato dalla mia voce. È lecito che tu mi respinga, esattamente come ho fatto e come sto facendo io.

Sei stata soggiogata da te stessa, raggirata da sentimenti che non possiamo accettare.

Quanto vorrei poterti aiutare…

Eppure non posso farlo, se non in questo modo soltanto. Il resto dipende solamente da te.

Ti guardo muovere un passo in avanti, per poi avviarti a capo chino verso l’ingresso di casa mia, pronta ad immergerti nel caldo ambiente familiare.

Esiti sulla soglia, indecisa se voltarti o meno. Vedo le tue lacrime precipitare a terra, ricolme di amore e dolore al contempo. Quanto vorrei potertele asciugare.

Salgo su Dragonite, ormai pronto a spiccare il volo per condurmi verso nuove lontane mete ancora non prefissate.

«Mi mancherai».

Non ottengo risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note conclusive:

Allora… faccio i complimenti a chi è arrivato fino in fondo a questo capitolo. Spero di non avervi uccisi con questa lettura, ragazzi miei.

Forse non è così drammatica come alcuni di voi immaginavano. Però spero di avervi indotti a riflettere su quanto l’amore possa far sragionare.

Il titolo è stato scelto a DOC per tutta la storia. “Guilty” significa “Colpevole, Reo, Tormentato, Pieno di Rimorso”. Perfetto per questa shot, non trovate?

Saltellare dal passato al presente mi ha fatto girare la testa, specie in alcuni importanti pezzi.

Nella prima stesura questa shot doveva essere di 4 pagine. Adesso saranno 5 o più. Non lo voglio neanche sapere. So solo che, con questa seconda stesura, è saltato fuori un pezzo (Quello del carcere) che non ci doveva essere. Misteri della fede, come si sol dire.

In alcuni punti del testo, Lance si rivolge a Sandra come “Divina”. Lì ho voluto riprendere invece il gioco, ossia il cartello dinnanzi alla sua palestra, dove vi è citato “Con i Pokèmon Drago è Divina”. Ok, devo essere ufficialmente andata di cervello. Passiamo ai personaggi.

Sandra, dipinta come una ragazza orgogliosa e forte presa in fallo da questo sentimento che la fa divenire improvvisamente fragile e impacciata…

Riguardo a lei avrei tantissime cose da dire. Innanzitutto spero di averla resa abbastanza IC in tutti gli spezzoni del passato. Ho cercato in tutti i modi di non renderla così sdolcinata come la vede Lance, bensì intossicata e confusa da questo sentimento che l’ha afferrata senza preavviso. Se avessi voluto fare questa shot con lei in prima persona, avrei messo sicuramente la sua rabbia riguardo a questo suo sentimento che non voleva affatto provare.

Nel paragrafo finale, ho voluto far prevalere il suo carattere forte e combattivo, così orgoglioso, facendola semplicemente piangere silenziosamente. Notare che non l’ho fatta neppure rispondere, alla fine.

Mentre scrivevo me la sono immaginata in tutto e per tutto, specie nel tratto dell’ascolto dei piani di Lance e nel finale. Spero davvero di non aver storpiato questo personaggio.

Lance… oh, Lance. Che diavolo ha combinato nel manga? Continuo a chiedermelo spesso.

Ho sfruttato alla grande la sua pazzia, in questa shot. Ho voluto fare in modo che all’inizio comparisse come un ragazzino borioso e prepotente, per poi renderlo consapevole di ciò che aveva combinato. Lì, non so cosa diavolo è preso alle mie mani che digitano su questa maledetta tastiera, è diventato un cavaliere suonato. O forse la suonata sono io. Non lo so. Sento IC Sandra ma non lo sento al 100% lui. Magari è il contrario, e allora comincio a preoccuparmi della mia salute mentale.

Ah, lui credeva di aver ucciso Sandra. In realtà credo non le abbia praticamente fatto niente, se non farle dei graffi qua e là, a volte più profondi e a volte meno. Non ho voluto approfondire questi dettagli macabri, bensì la sua disperazione. Forse ho un po’ esagerato…

Per la cronaca: Lance non ricambiava i sentimenti di Sandra. Provava un certo terrore nei confronti di essi.

Spero comunque che questa storia sia stata di vostro gradimento, specialmente ai tre miei grandi amici alla quale l’ho dedicata. Mi auguro di non avervi deluso!!!

 

Amy

  
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