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Autore: GreedFan    06/09/2011    4 recensioni
Paese di Doruath-henn, nel mezzo delle Grandi Montagne.
Colin Farrell è un venticinquenne privo di scopi e prospettive, indifferente alla corte delle donne, ma soprattutto senza un drago. E sì, perché, da secoli ormai, tutti gli uomini di Doruath-henn ne possiedono uno.
Tutto cambia quando, una notte in cui la Luna splende di rosso, decide di seguire il consiglio dell'indovina del villaggio e recarsi sul picco più alto. Lì, farà un incontro che stravolgerà completamente la sua vita.
Il "senzadrago" non sarà più tale, e la sua storia si intreccerà con quella, ben più antica e tormentata, di una creatura sorprendentemente umana.
Jared.
[Primo, psicotico tentativo sul fandom]
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Brave New World

“Wilderness, house of pain, makes no sense of it all
Close this mind, dull this brain, Messiah before his fall
What you see is not real, those who know will not tell
All is lost, sold your souls to this brave new world”

Iron Maiden, Brave New World

 

Colin si recò alle stalle che il sole non era ancora sorto.

Quell’anticipo era dovuto – oltre ad un suo desiderio di scambiare qualche parola con Jared prima del cambio di forma – alla necessità di accordarsi sulla destinazione della prima tappa del viaggio. Se aveva ben capito, era da parecchio tempo che il ragazzo non viaggiava all’est, e lui non aveva la mini ma idea di come fosse il territorio, da quelle parti; non possedeva nemmeno una mappa.

Le I-Qëndrue erano grossi edifici in pietra scura, che si abbarbicavano su un fianco di Piccobuio con la loro geometria greve e sgraziata; non avevano finestre, e le entrate, enormi archi rivestiti di piastrelle, erano privi di porte. All’interno, si trovavano degli scompartimenti abbastanza grandi per ospitare la mole di un drago, divisi l’uno dall’altro con delle pareti spesse circa due metri (questo per evitare che gli animali potessero abbatterle inavvertitamente) e chiusi con delle porte d’acciaio temprato. Accanto ad ogni cubicolo c’era poi una sorta di sgabuzzino in cui i cavalieri sistemavano la sella e tutte le bardature dei draghi.

Colin, camminando nel corridoio tra due file di celle, rabbrividì nell’udire i respiri asincroni di centinaia di animali, e si chiese cosa sarebbe successo se, per errore, li avesse svegliati. Per fortuna non era mai stato un tipo particolarmente rumoroso, e, percorrendo il corridoio in punta di piedi, riuscì a non destare nessuno; naturalmente, sapeva dove dirigersi: alla nascita, ad ogni uomo di Doruath-henn veniva riservato un posto nelle stalle, con tanto di nome e cognome, nell’attesa che riuscisse a trovare un drago. Il posto di Colin era stato occupato tempo addietro da qualche altro compaesano, visto che a tutti sembrava sciocco sprecare uno spazio che – quasi sicuramente – sarebbe rimasto inutilizzato, ma non si poteva dire lo stesso di quello di Eamon Farrell.

La tradizione voleva, infatti, che portasse sfortuna occupare la cella di un cavaliere morto in circostanze non naturali, e non erano pochi i posti inutilizzati da decenni. A Colin quella diceria non aveva mai fatto particolarmente paura, e non avrebbe avuto comunque altra scelta che prendere il vecchio alloggiamento del padre.

Si trovava quasi in fondo al corridoio, a sinistra. Una volta arrivato davanti alla porta, Farrell, non sapendo cosa fare, bussò delicatamente sulla superficie di metallo, dandosi dello stupido per tutta quella timidezza.

«Jared, sei sveglio?»

«Entra e non fare l’idiota».

I chiavistelli gemettero sotto la pressione delle sue dita. Spalancò la porta quel tanto che bastava per farlo passare, poi se la richiuse alle spalle; nella semioscurità della stanza, gli occhi azzurri di Jared brillavano a pochi centimetri da terra, segno che il ragazzo lo stava aspettando seduto sul pavimento di pietra (nelle stalle non c’era la paglia, materiale troppo infiammabile).

«Possibile che tu debba essere sempre così scorbutico?»

«Cerco di farti diventare un po’ meno cretino, bifolco, anche se rischi seriamente di farmi perdere ogni speranza. Con tutto il rumore che hai fatto si sarebbe svegliato persino uno Snaul... sai cos’è uno Snaul, vero?»

«Be’, io...»

«Avrei dovuto immaginarlo. Spera di non incontrarne mai uno».

«Perché?»

«Non so se riuscirò ad abituarmi alle tue domande stupide».

Colin sbuffò, alzando gli occhi al cielo, e Jared si mise in piedi; l’azzurro degli occhi si assottigliò nell’oscurità, e la sua voce fendette nuovamente l’aria.

«Quella cos’è?» Non gli era sfuggita la borsa rigonfia che Colin portava a tracolla; annusò l’aria e ridacchiò «Carne secca, gallette... acqua di pozzo. Hai portato il cibo, vedo. E... delle pezze di cotone?»

«Non sono pezze...» disse Colin, stringendo a sé la sacca «... ma vestiti. Per te, visto mai dovessimo fermarci in qualche villaggio per la notte. Non puoi andare in giro nudo».

«A questo non avevo pensato, effettivamente. Ti ringrazio, Colin...» lo sorpassò, aprendo la porta – che ruotò sui cardini senza un cigolio – e avanzando nelle tenebre con i passi felpati di un felino predatore «... e sarei felice di poter ricambiare il favore, ma non abbiamo tempo. All’alba i tuoi amichetti libereranno i draghi perché possano cacciare, quindi non ci conviene farci trovare qui. Si insospettirebbero, e non voglio che qualche compagno troppo affezionato ci segua, o, peggio, tenti di riportarti indietro».

«Oh, tranquillo, non credo di avere compagni particolarmente affezionati... comunque, ci serve una sella».

«E suppongo che tu non l’abbia».

«No, non una mia. Di solito vengono fatte su misura per il drago e il cavaliere che le richiedono, ma temo che dovremo adattarci. Senza sella non posso volare, rischierei di scorticarmi se rimanessi seduto per troppo tempo sulle tue squame».

«E noi non vogliamo che i gioielli di famiglia subiscono traumi, no? Ai miei tempi, i primi voli dei cavalieri erano senza alcun tipo di protezione, per far sì che il legame tra uomo e drago fosse più stretto e cementato anche col dolore. C’erano anche cavalieri più abili, però».

Ignorando quell’ultima frecciata, Colin si avvicinò alla porta dello sgabuzzino, al quale si accedeva dall’interno della cella. La chiave era andata persa anni prima, e forse fu una fortuna che, per tutti quegli anni, nessuno si fosse occupato della serratura: vetusta, cedé con uno schianto ad un calcio di Farrell. Jared sibilò, seccato da tutto quel fracasso.

L’interno della stanzetta – un cubicolo di tre metri quadri al massimo – era ingombro di oggetti che emanavano un pesante odore di cuoio marcio; Colin infilò il braccio nel mucchio, riemergendo, pochi secondi dopo, con una grossa sella dall’apparenza robusta. Era ancora intatta e aveva un odore gradevole, ma il cuoio sembrava liso, logorato in più punti per il troppo uso.

«Da’ qua». Jared la prese, e Farrell si stupì di come, nonostante la costituzione minuta, riuscisse a sostenerne il peso senza il minimo tremito.

«È bella... tuo padre doveva essere molto ricco, per potersi permettere un lavoro simile».

Colin annuì, osservando le dita pallide di Jared che vagavano sul ricamo d’oro – ormai pallido e sbiadito  - che correva su tutto il bordo della sella. Era un motivo floreale di grande bellezza, eseguito da sua madre quando lui era ancora molto piccolo.

«L’anima è fatta del legno dei pini di Piccobuio... mio padre diceva sempre che nulla avrebbe potuto spezzarla».

«E forse è vero, ma... non è giusta per te. Appena raggiungeremo una città dell’est provvederò a fartene fare una nuova».

«Perché? Io sono alto all’incirca come mio padre, per me va bene. Semmai è per te che non va».

«Indubbiamente non è adatta alle mie dimensioni quando mi trasformo, ma c’è qualcosa in questo oggetto che lo rende inadatto anche a te, Colin. Non credere che la sua anima sia soltanto quella fatta di legno, perché c’è una forza autentica che lo pervade... c’è troppa solidità, in questa sella, perché tu possa usarla».

Colin corrugò le sopracciglia, poi disse:« Fammi capire... io non vado bene perché non ho un animo solido?»

«Oh, non è solo la tua mollezza intellettiva il problema... questo discorso non varrebbe se la sella fosse di fattura comune, ma non lo è. È stata costruita usando la magia, sono pronto a giurarlo, e riconosce l’animo del suo utilizzatore. Sarebbe consigliabile non usarla affatto, ma non abbiamo molte alternative».

«Oh, meraviglioso. Credi che ci sia qualche sorta di antico sortilegio anche sulle briglie, o possiamo usarle tranquillamente?»

«Non provarci nemmeno per scherzo».

«Eh? Non saranno maledet-»

«No, non sono maledette, ma ci sono tre buoni motivi per non mettermele. Innanzitutto, quelle non sono magiche, ma, forse proprio per questo, si sono rovinate: la puzza di cuoio marcio arriva fin qui. Secondo poi, non c’è motivo per cui tu debba guidarmi, visto che sono io a conoscere il percorso e non ho bisogno di suggerimenti. Inoltre, e questa è la motivazione più importante, mi rifiuto categoricamente di farmi infilare un morso in bocca come qualsiasi stupida bestia».

Colin lo fissò per qualche secondo, allibito. Poi scosse la testa.

«Ok, ok. Andiamo fuori, starà sorgendo il sole».

«Tu aspetti qui dentro finché non ho finito, poi esci ad un mio segnale».

«Eh?! E perché?»

«Non voglio che tu mi veda mentre mi trasformo».

Uscì dalla stanza senza nemmeno prestare attenzione alle proteste di Farrell, che rimase impalato con la sella tra le braccia. Quando, dopo una logorante attesa durata dieci minuti, un ruggito scosse fin nelle fondamenta le stalle, Colin, per paura che qualcuno, a quel richiamo, potesse accorrere, si precipitò verso l’uscita; ad attenderlo, sul declivio fuori le I-Qëndrue, stava la mole scura di Jared, illuminato dai raggi del primo Sole.

Si avvicinò al garrese del drago e vi gettò sopra la sella, nell’intervallo più largo tra uno spuntone e l’altro; la parte in cuoio gli stava leggermente stretta (fortunatamente, Jared-drago manteneva le proporzioni sottili di Jared-umano), ma le sei cinture di cuoio che dovevano fissarla al corpo della creatura erano – fortunatamente – lunghe abbastanza per assicurarla bene. Dopo averla sistemata, Colin saltò in groppa e sistemò le staffe perché fossero all’altezza giusta, poi si assicurò al corpo le numerose cinghie che, in volo, servivano a tenerlo incollato al drago anche durante le evoluzioni più complesse. Afferrò l’arcione con sicurezza, visibilmente più tranquillo rispetto al primo volo, e raddrizzò la schiena.

«Puoi andare, Jared».

Non fece in tempo a pensare al suono dolce di quel nome, che il drago decollò con una spinta ascensionale fortissima, da fargli attorcigliare lo stomaco; si appiattì il più possibile sulla sella, seguendo i dettami dell’istinto, e, dopo qualche minuto di volo verticale, iniziò a scorgere attorno a sé le scie vaporose delle prime nuvole basse.

Bucarono un velo compatto di nubi, bianche come la prima neve autunnale, e solo a quel punto Jared gonfiò le ali, fermandosi a mezz’aria con un sobbalzo. Il panorama che si scorgeva da lassù era diverso da qualsiasi cosa Colin avesse mai visto prima: coltri di nuvole di ogni forma e dimensione si stendevano a perdita d’occhio, e venivano progressivamente illuminate dalla luce dorata del Sole nascente. Brillavano come gioielli preziosi, e qua e là si scorgevano sfumature variopinte dove la luce colpiva direttamente il vapore sospeso nell’aria; quello spettacolo aveva in sé una tale magnificenza che per qualche attimo Colin si commosse, e comprese, finalmente, che il suo viaggio era iniziato, e che da quel momento nulla sarebbe più stato come prima.

«È magnifico... come puoi tornare a terra, dopo aver ammirato uno spettacolo del genere?»

Il drago descrisse un  ampio, lento cerchio orizzontale, forse – o, almeno il cavaliere sperò che fosse così – per permettergli di godere ancora un po’ di quel panorama, poi, dandosi la spinta con contrazioni possenti delle ali, iniziò a volare velocissimo in direzione del Sole. Colin si schermò gli occhi con una mano, e rabbrividì: lassù, nonostante il Sole sembrasse infinitamente più vicino che a terra, faceva molto freddo; avrebbe dovuto prevederlo e vestirsi di conseguenza.

Procedettero in quella direzione per circa un’ora, tra le correnti d’aria a tratti così fredda che Farrell temeva di congelare e le vertiginose evoluzioni di Jared, perfettamente a suo agio in quell’ambiente. Il cavaliere si chiese come fosse poter volare con le proprie forze e solcare i cieli secondo la propria volontà, andare a caccia sulle montagne e nutrirsi di carne cruda; come faceva Jared a destreggiarsi tra due nature praticamente opposte senza impazzire? Come poteva piegarsi ai bisogni di una natura bestiale, ma divina e tornare poi a sguazzare nell’iniquità umana come se nulla fosse?

Doveva possedere un animo incredibilmente forte, per sopportare quella situazione.

«Sai, forse in fondo sei meno stronzo di quello che sembri».

Senza nemmeno dargli il tempo di protestare, Jared emise un ruggito e inarcò la schiena, il muso puntato verso il terreno. Precipitò.

Lo stava facendo apposta, quello era chiaro, e si avvitava a velocità vertiginosa con la ali premute contro il corpo, sputando fiamme; Colin, sulla sua groppa, si era attaccato con tutte le proprie forze all’arcione, e malediceva il drago in tutti i modi più coloriti che conosceva, sperando che, una volta arrivati a terra – non prima, altrimenti sarebbe morto anche lui – gli si strappasse un’ala.

Jared si stufò di quel gioco solo quando ebbero oltrepassato l’ultima barriera di nuvole, e ricominciò a volare dritto con un ritmo lento e regolare. Colin, verde di nausea, tirò comunque un gran sospiro di sollievo.

Si astenne dai commenti salaci per la restante parte di viaggio.

In compenso, a distrarlo dalla frecciatine che gli premevano sulla punta della lingua, c’era il paesaggio, cambiato ancora una volta. Non si era reso conto della distanza che avevano percorso, immersi tra le nuvole, ma dovevano aver oltrepassato di molto il confine delle montagne: sotto di loro si stendeva un infinito mare di verde impregnato di nebbia grigiastra, che saliva al cielo sotto forma di pigre volute. Alberi altissimi bucavano a tratti quella coltre uniforme, svettando nella loro mole incredibile sui loro fratelli, visibilmente più piccoli; Colin udì distintamente le grida cavernose di molte creature, al loro passaggio, e vide stormi di strani volatili levarsi in volo centinaia di piedi più in basso. In certi punti, però, la cupola di miasmi era così fitta da impedirgli di distinguere qualcosa, salvo quell’onnipresente luminescenza verde che sembrava permeare l’intera foresta.

«Questa parte di Storgronn ha un aspetto più malato di quella che cresce sulle montagne». Commentò. Si sentiva un odore quasi impercettibile, ma ugualmente sgradevole, un misto di foglie marce e acqua putrida, che evidentemente saliva dalla vegetazione, giù in basso. Per qualche strana ragione quella percezione fece venire i brividi al cavaliere, che levò lo sguardo al cielo.

Fu un attimo.

Colin vide qualcosa sfrecciare verso di loro ad una velocità folle, prima che quello che sembrava un ago piumato si infilasse con uno schiocco nel fianco di Jared; il drago emise un grugnito infastidito, e continuò a tirare dritto, ma non durò per molto: improvvisamente, Colin vide la testa scivolare verso il basso, seguita inesorabilmente da tutto il corpo. Cadde in picchiata con un verso lamentoso, tentando debolmente di sbattere le ali che, inerti, si agitavano ai lati del corpo secondo la spinta del vento. Poi, sconfitto, chiuse gli occhi.

Il cavaliere gridò come un ossesso, incollato alla sella e schiaffeggiato violentemente dalla pressione del vento. La caduta di prima lo aveva spaventato, sì, ma quella era una questione completamente diversa: fuori controllo, il mondo gli vorticava intorno in un caleidoscopio di colori freddi, e le mani, unico punto ancora caldo del corpo, bruciavano per l’attrito con le cinghie, che aveva stretto violentemente per la paura – seppur immotivata – di staccarsi e precipitare da solo.

Il manto verde si avvicinava a velocità vertiginosa, con tutti i suoi rumori stridenti e l’odore di putrefazione, che si faceva sempre più forte.

L’ultima cosa che Colin riuscì a percepire fu una boccata di aria afosa e mefitica, poi più nulla.

 

***

 

Il mondo era diventato nero.

Colin aprì entrambi gli occhi, assicurandosi che funzionassero ancora, e scrutò l’immensa cupola vegetale che, qualche metro sopra la sua testa, si apriva sul cielo buio; inspirò, e l’aria umida e calda fischiò nei suoi polmoni, quasi soffocandolo: era densa, sgradevole, sapeva di marcio e viscidume. Sembrava quasi che gli togliesse le energie.

Cercò di tirarsi in piedi, scandagliando con occhiate rapide e ansiose la penombra bagnaticcia in cui era immerso. Quando vide i legacci ancora saldamente attaccati al suo corpo, realizzò l’assenza della mole scura di Jared.

Si guardò intorno, e vide subito la sella, a mezzo metro da lui. Sotto la spessa struttura di legno e cuoio, abbandonato come una bambola bianca sul terreno coperto di felci abbattute, il corpo di Jared riluceva del bagliore della luna e della luminescenza verde della foresta.

Colin trasalì, affrettandosi a slegarsi, poi si alzò in piedi – le ossa gli facevano un male terribile, ma non si era rotto niente – e scostò la sella con un calcio, scoprendo del tutto il corpo del compagno.

A parte un grosso livido all’altezza della spalla, sembrava illeso. Il cavaliere gli si avvicinò, sfilando con un colpo secco il minuscolo dardo, ancora conficcato sul suo fianco; Jared sussultò, socchiudendo leggermente gli occhi.

«Ehi, stai bene?» Colin, guardandosi intorno, notò che gran parte degli alberi attorno a loro erano scorticati o abbattuti. Evidentemente, nella caduta, il gigantesco corpo del drago si era aperto quel varco tra gli alberi.

Jared emise un mugugno, sollevando un braccio. Brancolò nel vuoto per qualche secondo, poi afferrò l’ago che Colin ancora stringeva tra le dita; se lo portò davanti agli occhi, mezzelune celesti innaturalmente chiazzate di luce verdognola, e contrasse il viso in un ghigno rabbioso.

«Merda...» ringhiò, tirandosi a sedere con una smorfia di dolore. Trasalì, stringendosi una gamba, quando tentò di alzarsi in piedi, e si rimise immediatamente seduto.

«Che succede?»

«La gamba... ho paura che sia rotta». Indicò un punto in cui la pelle era tesa, lucida e visibilmente gonfia, pochi centimetri sotto il ginocchio «Ma forse posso fare qualcosa».

Colin trattenne il respiro, mentre Jared poggiava le dita sul gonfiore e mormorava delle parole in una lingua stranissima, piena di sibili e sospiri; lentamente, una luce bianca sembrò illuminargli le dita, ma, dopo un certo aumento d’intensità, svanì miseramente nell’arco di pochi secondi. La gamba era tale e quale.

«Che significa?»

«Significa che quella maledetta freccia era avvelenata... merda!» Urlò, battendo un pugno a terra «Mi ha tolto tutta l’energia. Se non troviamo alla svelta un modo per andarcene di qui, chi mi ha tirato quella cosa ci verrà a prendere... anzi, strano che non l’abbia già fatto».

«Ma... non possiamo muoverci. La tua gamba, e poi la sella...»

«Lascia lì quel maledetto affare. Che il cielo mi fulmini se non è anche sua la responsabilità di questo disastro... sono stato un idiota a permetterti di usarla».

«Vuoi dire che quella cosa porta sfortuna?»

«Sì, e sarà meglio lasciarla a marcire nel bel mezzo di questa foresta. Adesso aiutami, dobbiamo scappare».

Aggrappandosi a Colin – che, nel frattempo, sembrava sprofondato in stato catatonico – Jared riuscì a tirarsi in piedi, senza appoggiare la gamba. Provò a muovere un passo, ma un piede solo non ce la faceva a mantenerlo in equilibrio, e, se Farrell non l’avesse afferrato in tempo, sarebbe caduto a terra.

«Non ce la fai, così... devo portarti in braccio».

Jared sgranò gli occhi.

«Non se ne parla. Non sono ancora diventato una donnicciola, e...»

«Senti, posso tollerare che tu mi interrompa quando parlo, posso chiudere un occhio sulle tue prese in giro da rompicoglioni e posso far finta che tu non cerchi in ogni momento di mettermi in difficoltà, ma non posso accettare di rischiare la vita per causa tua. Quindi...» Si piegò, passando le braccia sotto le ginocchia di Jared e sollevandolo come se si trattasse di un fuscello «... sta’ zitto e fatti portare. Potrai vendicarti di questo terribile affronto quando starai meglio».

Il ragazzo, sorprendentemente, non si ribellò. Rimase immobile, seppur vagamente imbronciato, e, se una qualsiasi persona avrebbe potuto trovare la situazione divertente – un ragazzino nudo come un verme incastrato malamente tra le braccia di un tipo che era il doppio di lui – Colin iniziò a sudare freddo.

Come avrebbero fatto, senza un dottore?

L’unica speranza era che Jared recuperasse le forze.

«In che direzione vado?»

«Credi forse che abbia una bussola incorporata? Uh, aspetta...» alzò lo sguardo verso il cielo, corrugando le sopracciglia «... dovrei essere capace di orientarmi con le stelle. Tanto, anche se sbagliassimo, dubito che riusciremmo ad allontanarci troppo dalla nostra meta».

«Quindi... qual è il piano?»

«Cerchiamo di allontanarci da questo posto e di evitare che gli abitanti del posto usino le nostre teste per ornare le loro capanne – no, non fare domande – poi, se all’alba siamo ancora vivi, ce ne voliamo via  da qui. Avevo pensato di fare tappa in un posto sicuro a qualche miglio da qui, ma, evidentemente, i miei programmi slitteranno di un giorno. Ah, da quella parte».

Colin seguì docilmente la direzione indicata dal dito del ragazzo, facendosi largo come meglio poteva tra la vegetazione fittissima e le liane che intrecciandosi esattamente all’altezza dei suoi occhi, sembravano avere tutta l’intenzione di accecarlo. Jared cercava di aiutarlo, ma non poteva muoversi troppo per non infastidirlo e il raggio d’azione delle sua braccia era troppo breve per servire realmente a qualcosa.

Ad ogni passo, percepiva distintamente un animato strisciare attorno ai suoi piedi, come di creaturine che si davano alla fuga percependo la sua presenza. Quel posto, poco ma sicuro, era il luogo peggiore in cui fosse mai stato in tutta la sua vita...

Camminò a lungo, resistente alla fatica come potevano esserlo solo le genti di montagna, abbattendo gli ostacoli che riusciva a buttare giù ed evitando quelli troppo resistenti. Alla fine, però fu costretto a riposare.

Trovò una larga pietra piatta, completamente ricoperta di muschio ed erbetta, e, dopo averci appoggiato Jared, si sdraiò accanto a lui; il ragazzo sembrava stanco, spompato: sudava, a tratti qualche brivido scuoteva le sue spalle sottili.

«Ehi, tutto ok?»

«T-tutto a posto,» serrò i denti «anche se non credo sarà così per molto».

«È il veleno? Ti fa star male?»

«No... non credo fosse un veleno fatto per uccidere. Ma mi toglie ogni forza, e non riesco ad usare la magia per curarmi... di questo passo, la ferita finirà per infettarsi».

«Magia... non c’è, che so, qualche erba medicinale che potremmo usare?» Gli toccò la fronte con il palmo della mano, preoccupato «Scotti. Sulle montagne crescono certe piante che ti abbassano la febbre, se le mangi, ci fai un infuso o un impacco. Qui, invece...»

«Non troverai nulla di buono in questa foresta, nulla che possa curarti. Solo nel suo centro, dove vivono gli abitanti, ci sono stagni di acqua pura e cibo commestibile... qui è tutto putrido».

«Tranquillo, dobbiamo solo resistere fino a domani. Ce la faremo, Jared».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Dunque... buongiorno :D! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto (cominciamo ad entrare nella parte più avventurosa della storia, preparatevi al peggio) e vi ringrazio per le stupende recensioni dello scorso capitolo.

Ci vediamo al prossimo chap!

See you soon,

Roby

   
 
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