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Autore: Himitsu87    09/09/2011    1 recensioni
La verità mi aveva colpito come uno schiaffo e io ero rimasto immobile, contratto, mentre il suo abbraccio mi rivelava ciò che lui non avrebbe mai osato dirmi…
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Questa fic è stata scritta mooolto tempo fa quindi forse lo stile non è dei migliori e nemmeno la storia ^^''... cmq alla fine la mia follia mi ha spinto a pubblicarla, sperando che sia apprezzata da qualcuno.
Sono 7 capitoli in totale ma aggiornerò con frequenza regolare e abbastanza velocemente.
Un commentino mi farebbe molto piacere...anche negativo ovviamente.


1 - Estate

Fu in quel momento che me ne resi conto. Mi chiedo come abbia fatto a non accorgermene prima. Ripensandoci, qualche indizio c’era stato, ma non avevo mai realizzato sul serio. O forse no. Forse una parte di me aveva capito, ma ero rimasto zitto. Non lo so in realtà, non l’ho mai saputo. Ma che importa? In fondo questi sono ragionamenti a mente fredda. In quel momento non riuscivo a pensare a niente. La verità mi aveva colpito come uno schiaffo e io ero rimasto immobile, contratto, mentre il suo abbraccio mi rivelava ciò che lui non avrebbe mai osato dirmi…


Per ventitre anni avevo vissuto senza guardare nessuno in faccia. Consapevole di essere solo, di non contare davvero niente per nessuno, avevo deciso di fare della mia stessa solitudine un’arma. Senza genitori, allevato da una nonna troppo vecchia per occuparsi di un bambino, avevo vissuto per strada e ne avevo imparato le leggi.
Non avere mai pietà di nessuno.
Questa la prima regola. E non solo perché la pietà ti rende più debole, ma perché non è adatta alla strada. Solo chi ha qualcosa può avere pietà. Ecco perché mi sorpresi quando mi accorsi che ciò che stavo fissando era una persona e che il modo in cui la guardavo era intriso di compassione.
Non sembrava povero o in difficoltà, non era ferito o stava piangendo; in realtà stava giocando col suo cane, ma c’era qualcosa nel suo volto che mi faceva pena. Uno sguardo perso, in cerca di aiuto.
Mi ritrovai a fissarlo per oltre mezz’ora, mentre sembrava non annoiarsi nel lanciare continuamente il frisbee al suo cane. Non doveva avere più di diciassette o diciotto anni. Esile e non molto alto, sembrava così fragile. Quel colorito pallido e i suoi morbidi capelli castano chiaro mi ricordavano una statuina di porcellana, pronta a frantumarsi in mani poco delicate. Cercavo i suoi occhi, così tristi e soli, e più li guardavo più sembrava che il mondo intorno non esistesse, che quel parco, così affollato in quella domenica d’estate, si fosse improvvisamente svuotato. Possibile che si fossero zittiti tutti? Eppure percepivo solo la sua risata mentre il cane gli leccava il viso.
Cosa c’era di sbagliato? Una tristezza di fondo forse. Non era una risata sincera e gli occhi erano lucidi, sul punto sempre di cedere alle lacrime.
Ero così concentrato sul suo viso, sui suoi occhi, che non mi accorsi subito che il motivo per cui riuscivo a distinguerli così bene era dovuto al fatto che ricambiava il mio sguardo. Si era seduto ad osservare la gente e si era accorto del mio sguardo insistente. Lo vidi alzarsi e venirmi vicino. Avrei voluto abbassare gli occhi, o magari alzarmi e tornare a casa, ma non riuscii a muovermi, a staccare i miei occhi dai suoi. Ero imbarazzato dal mio comportamento eppure quelle lacrime invisibili non mi lasciavano libero.
«Posso aiutarla?» disse gentilmente, sedendosi accanto a me.
Assurdamente e involontariamente mi sentii dire «Si!»

   
 
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